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MISCELLANEA 2005 2006.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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la polemica svolta da parte fascista e, in generale, da destra contro gli artefici dell’attentato. Accusò<br />

gli attentatori <strong>di</strong> viltà Bruno Spampanato, che peraltro era stato <strong>di</strong>rettore del «Messaggero» <strong>di</strong> Roma<br />

durante l’occupazione nazista, nel suo Contromemoriale, vol. III, C.E.N., Roma 1974, p. 687.<br />

Da parte loro Indro Montanelli e Mario Cervi, in un volume della Storia d’Italia, pongono l’accento<br />

sulle ragioni politiche e sull’inutilità sostanziale dell’attentato (vd. Indro Montanelli - Mario<br />

Cervi, L’Italia della guerra civile, E<strong>di</strong>zione CDE, su lic. Rizzoli, Milano 1986, p. 201-202: «...i<br />

gappisti non potevano pensare che la strage, progettata ed eseguita mentre si negoziava per proclamare<br />

Roma città aperta, e rivolta contro un reparto non impegnato nei combattimenti, restasse<br />

senza conseguenze per gli sventurati, ebrei e non ebrei, che erano in mani naziste e fasciste. Sul<br />

piano militare, l’azione avrebbe potuto avere un significato, sia pure simbolico – era chiaro che<br />

Roma sarebbe stata liberata entro breve termine – solo se si fosse collegata a una insurrezione citta<strong>di</strong>na.<br />

Roma non prese le armi, né allora né quando le truppe alleate furono a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> pochi<br />

chilometri (...). I morti delle Ardeatine erano stati sacrificati alla ragione politica, al proposito <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrare, per fini appunto politici, che i tedeschi se ne andavano non soltanto perché incalzati<br />

dagli angloamericani, ma perché scacciati dalla popolazione. Questo scopo fallì.»). Lo storico<br />

Renzo De Felice, nella sua monumentale biografia <strong>di</strong> Mussolini, in Mussolini l’alleato, vol. II La<br />

guerra civile (1943-1945), Einau<strong>di</strong>, Torino 1998, pp. 150-151, rileva che l’attentato <strong>di</strong> via Rasella<br />

mostra la scarsa influenza del CLN sui GAP, i quali avrebbero deciso in assoluta autonomia<br />

quell’azione. Ricalca il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Montanelli anche Bruno Vespa, rilevando l’inutilità dell’attentato<br />

compiuto quando gli alleati stavano per sfondare i fronti <strong>di</strong> Cassino e <strong>di</strong> Anzio (vd. Bruno<br />

Vespa, Vincitori e vinti, Rai Eri-Mondadori, Milano <strong>2005</strong>, pp. 242-245; v’è da osservare che nella<br />

sua precedente Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi, RAI-Mondadori, Milano 2004, p. 21, il<br />

famoso giornalista e conduttore televisivo aveva fatto cenno <strong>di</strong> un «avvertimento [scil. agli attentatori<br />

<strong>di</strong> via Rasella perché si consegnassero] scritto sui manifesti fatti affiggere dal comando<br />

tedesco»: manifesti che invece non vi furono affatto, perché la rappresaglia fu organizzata il giorno<br />

dopo l’attentato e in segreto dai tedeschi, a cui non interessava tanto ricercare gli autori quanto<br />

spargere il terrore tra i romani con l’enormità e la ferocia della vendetta). La ricostruzione <strong>di</strong> Bruno<br />

Vespa ha suscitato la risentita risposta <strong>di</strong> Rosario Bentivegna, il principale protagonista <strong>di</strong> quell’azione:<br />

ne è nato un nutrito scambio epistolare, aspramente ma civilmente polemico, raccolto e<br />

pubblicato in Rosario Bentivegna, Via Rasella la storia mistificata, carteggio con Bruno Vespa,<br />

Manifestolibri, Roma 2006 (vd. l’intr. <strong>di</strong> Sergio Luzzatto, assai intransigente verso le presunte<br />

manchevolezze della ricostruzione storica del giornalista, pp. 7-18; vd. anche l’intervento <strong>di</strong> Alessandro<br />

Portelli, Rappresaglie da talk show, in «Il Manifesto», 25 aprile 2006). Ovviamente è del<br />

tutto <strong>di</strong>verso il giu<strong>di</strong>zio degli storici <strong>di</strong> sinistra, che, condannando l’inumana rappresaglia delle<br />

Fosse Ardeatine, giustificano l’azione <strong>di</strong> via Rasella nel quadro della lotta all’occupazione nazista.<br />

Nella Storia della Resistenza italiana <strong>di</strong> Roberto Battaglia (Einau<strong>di</strong>, Torino 1974 3 [I ed. 1953],<br />

p. 262) l’attentato <strong>di</strong> via Rasella è definito «una vera e propria operazione <strong>di</strong> guerra stu<strong>di</strong>ata e<br />

preor<strong>di</strong>nata in ogni minimo particolare». Pur riconoscendo le proprie responsabilità, quale membro<br />

del CLN e comandante delle Brigate Garibal<strong>di</strong>, <strong>di</strong>fese il fatto <strong>di</strong> via Rasella come azione <strong>di</strong><br />

guerra Giorgio Amendola, che ne fu il principale ispiratore (vd. Giorgio Amendola, Lettere a<br />

Milano.Ricor<strong>di</strong> e documenti 1939-1945, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1974, rist., pp. 294-299): per il<br />

<strong>di</strong>rigente comunista gli attentatori avevano comunque il dovere <strong>di</strong> non presentarsi ai tedeschi,<br />

perché erano da considerarsi combattenti in lotta contro l’occupante. Analoga riflessione svolge<br />

Giorgio Bocca, per il quale «la Resistenza cesserebbe <strong>di</strong> essere tale all’atto stesso in cui cedesse<br />

al ricatto del terrore, in cui accettasse il principio che ogni autore <strong>di</strong> un atto resistenziale ha il<br />

dovere morale <strong>di</strong> presentarsi all’occupante oppressore per evitare la rappresaglia» (Giorgio<br />

Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Mondadori, Milano 2006, rist., p. 292; ci sembra inatten<strong>di</strong>bile<br />

il grottesco particolare, riferito dal Bocca, che il ministro Buffarini avrebbe ricevuto il<br />

questore Caruso mentre faceva il bagno nella vasca [p. 290]: in realtà Buffarini, quando si pre-<br />

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