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dei danni (non particolarmente gravi rispetto a quelli subiti nel corso del conflitto da altre città, come Coventry o Dresda), quanto per il valore simbolico che essa assunse: le bombe cadute a Roma il 19 luglio 1943, insieme con l’invasione della Sicilia, testimoniavano una volta di più che la facile passeggiata promessa dal Duce, con i seimila morti che, a suo dire, gli sarebbero occorsi per sedersi da vincitore al tavolo della pace, si era rivelata una tragica illusione e che il regime fascista, dopo la perdita delle colonie e l’invasione della Sicilia, era ormai in piena crisi (crisi divenuta istituzionale con la votazione, da parte degli stessi gerarchi fascisti riuniti nel Gran Consiglio la notte tra il 24 e il 25 luglio, dell’Ordine del giorno Grandi, che sfiduciava di fatto il Duce chiedendogli di restituire i poteri militari al re). 18 Riporteremo di seguito le risposte dei nonni al questionario-intervista e aggiungeremo, nelle note, brani di autori famosi a ricordo degli eventi citati (senza, ovviamente, alcuna idea di confrontare questi con quelle). Il lettore potrà dunque giudicare agevolmente se e quanto le risposte date corrispondano o si differenzino da quelle più famose testimonianze. 3. Testimonianze sul bombardamento di Roma (risposte alla domanda n. 1 del “questionario-intervista”). Il 19 luglio 1943, mentre Mussolini si trovava a convegno con Hitler a Villa Gaggia presso Feltre, 320 fortezze volanti americane (“Liberator”) sganciarono in quattro incursioni tra le ore 11,10 e le 14 più di 680 tonnellate di bombe, provocando quasi 1500 morti e 18 Tra le testimonianze del progressivo ma inarrestabile sfaldarsi del regime e, insieme, del Paese nel 1943, scegliamo un brano del pittore e poeta Ardengo Soffici, il cui diario documenta la crisi del fascismo vista dal suo interno. Scrive emblematicamente il Soffici l’8 aprile 1943, a testimonianza di come i miti della patria, della lotta e della vittoria fossero crollati nella coscienza dei giovani: «Nel corso della nostra conversazione il Prefetto ci ha raccontato qualcosa che concorda con quanto scrivevo l’altro giorno. Le autorità fasciste mandavano giovani fascisti a scriver sui muri frasi patriottiche e di entusiasmo guerresco. La mattina dopo si trovavano scritte sovversive inneggianti ai nemici e al bolscevismo. Il Prefetto ha fatto eseguire indagini, appostamenti eccetera. Si è così riusciti a sorprendere una diecina di scrittori «sovversivi» notturni; ma si è poi scoperto ch’essi non erano altro che giovani fascisti, incaricati come si è detto dalle autorità fasciste di scrivere le prime frasi. Cosa che sembra mostruosa, ma che è invece naturalissima. Una menzogna come quella di certo fascismo non può generare che menzogne, tradimenti eccetera. Codesti giovani, testimoni della bassezza di certi rappresentanti di un’idea sbandierata, ma costantemente tradita nella pratica, vivono nel disgusto, nella rivolta morale, e si sfogano come possono: si vendicano in quel modo. La loro non è l’espressione di un’idea, di una convinzione politica. È una protesta» (Ardengo Soffici, Sull’orlo dell’abisso. Diario 1939-1943, Luni Editrice, Milano 2000, p. 123). –82–

gravissime distruzioni soprattutto al quartiere San Lorenzo. 19 Tale episodio, forse più della perdita delle colonie africane, dette agli italiani l’accorata sensazione della disfatta imminente. Le testimonianze del bombardamento di Roma, rese dagli intervistati, convergono nel disegnare il medesimo quadro a tinte drammatiche e nel trasmettere ancora quella sensazione di terrore e di sorpresa che dovettero provare i romani ghermiti dalla minaccia dall’alto. 20 Citiamo la risposta della signora Grazia Maria M., nonna dell’alunna Giorgia (risposta n. 2): «Quel giorno mi trovai in prossimità della piazza di San Giovanni, quando sentii il rumore di una flotta di aeroplani e poco dopo il frastuono delle bombe che esplodevano. Provai tanta paura e nella confusione generale decisi di rifugiarmi nella chiesa. Da lì vidi il fumo dell’esplosione proveniente dalla zona ferroviaria di San Lorenzo». Aggiungiamo le testimonianze più dettagliate della signora Luciana S., nonna dell’alunna Camilla 19 Sul bombardamento di Roma vd. Augusto Pompeo, Il bombardamento su Roma del 19 luglio 1943 nelle carte dell’Archivio di Stato di Roma, in «Rivista Storica del Lazio», n. 12, 2000, pp. 135-179; vd. anche la recente testimonianza di Adriano Ossicini, in Pietro M. Trivelli, «Sotto quelle bombe morì anche il fascismo», in «Il Messaggero», 20 luglio 2003. Testimonianze orali sul bombardamento di Roma sono raccolte in Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito, cit., pp. 113-119. In generale sulle missioni di bombardamento che sconvolsero le città italiane durante l’estate del 1943, vd. Giorgio Bonacina, Le bombe dell’Apocalisse, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1973 (con gravi giudizi sul Bomber Command della RAF e sul suo comandante sir Arthur Harris per la scelta di coinvolgere programmaticamente nei bombardamenti le popolazioni civili, ma ancor più sul teorico dei bombardamenti apocalittici, che per ironia della sorte fu un generale italiano, Giulio Douhet, vd. pp. 92-93); sulla rimozione operata dalla storiografia “resistenziale” a proposito dei tragici bombardamenti alleati sull’Italia (che pure causarono 70.000 vittime) vd. Dino Messina, Il grande silenzio sulle «piccole Dresda» d’Italia, in «Corriere della Sera», 17 luglio 2005. 20 La reazione dei romani al bombardamento, in generale, fu di rassegnata, civile compostezza, come si legge nel diario di un testimone diretto, il ministro fascista Giuseppe Bottai, al 19 luglio 1943: «Faccio un giro: Policlinico, Università, San Lorenzo, Porta Maggiore. Danni gravi, ma purtroppo solo iniziali. La reazione della gente, per ora, è tipicamente “romanesca”: disordinata, ma con bonomia, tra brontoli e parolacce, ma ancor sorridente». (in Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, a cura di Giordano Bruno Guerri, Rizzoli, Milano 1989, pp. 400- 401). Più articolata, ma sostanzialmente coincidente, l’ammirata descrizione della popolazione romana in Paolo Monelli, Roma 1943, Mondadori, Milano 1979 (I ed. 1948), p. 68: «Vedemmo questi romani, che ci erano parsi brulicanti e clamorosi nei poveri mercati, per le vie gremite, queruli e litigiosi nelle file, nei tranvai stipati, dovunque li ammucchiasse la squallida miseria quotidiana, subire le offese mortali con una fierezza malinconica e austera; li vedemmo frugare fra le case distrutte, cercare i famigliari scomparsi, caricarsi in capo le poche masserizie salvate dalla rovina, andare per le vie invase dal polverone soffocante, picchiate dal sole, far sosta alle fontane, all’ombra delle mura con atteggiamenti misurati e solenni; non si vedeva un viso stravolto, non si udivano imprecazioni né lamenti, non brillavano lacrime. Paziente dignità della gente nostra, che la sventura rivela; coscienza della sua nobiltà, della sua umanità». –83–

gravissime <strong>di</strong>struzioni soprattutto al quartiere San Lorenzo. 19 Tale episo<strong>di</strong>o,<br />

forse più della per<strong>di</strong>ta delle colonie africane, dette agli italiani l’accorata sensazione<br />

della <strong>di</strong>sfatta imminente. Le testimonianze del bombardamento <strong>di</strong><br />

Roma, rese dagli intervistati, convergono nel <strong>di</strong>segnare il medesimo quadro<br />

a tinte drammatiche e nel trasmettere ancora quella sensazione <strong>di</strong> terrore e <strong>di</strong><br />

sorpresa che dovettero provare i romani ghermiti dalla minaccia dall’alto. 20<br />

Citiamo la risposta della signora Grazia Maria M., nonna dell’alunna Giorgia<br />

(risposta n. 2): «Quel giorno mi trovai in prossimità della piazza <strong>di</strong> San Giovanni,<br />

quando sentii il rumore <strong>di</strong> una flotta <strong>di</strong> aeroplani e poco dopo il frastuono<br />

delle bombe che esplodevano. Provai tanta paura e nella confusione<br />

generale decisi <strong>di</strong> rifugiarmi nella chiesa. Da lì vi<strong>di</strong> il fumo dell’esplosione<br />

proveniente dalla zona ferroviaria <strong>di</strong> San Lorenzo». Aggiungiamo le testimonianze<br />

più dettagliate della signora Luciana S., nonna dell’alunna Camilla<br />

19 Sul bombardamento <strong>di</strong> Roma vd. Augusto Pompeo, Il bombardamento su Roma del<br />

19 luglio 1943 nelle carte dell’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Roma, in «Rivista Storica del Lazio», n. 12,<br />

2000, pp. 135-179; vd. anche la recente testimonianza <strong>di</strong> Adriano Ossicini, in Pietro M. Trivelli,<br />

«Sotto quelle bombe morì anche il fascismo», in «Il Messaggero», 20 luglio 2003. Testimonianze<br />

orali sul bombardamento <strong>di</strong> Roma sono raccolte in Alessandro Portelli, L’or<strong>di</strong>ne è già stato<br />

eseguito, cit., pp. 113-119. In generale sulle missioni <strong>di</strong> bombardamento che sconvolsero le città<br />

italiane durante l’estate del 1943, vd. Giorgio Bonacina, Le bombe dell’Apocalisse, Fratelli Fabbri<br />

E<strong>di</strong>tori, Milano 1973 (con gravi giu<strong>di</strong>zi sul Bomber Command della RAF e sul suo comandante<br />

sir Arthur Harris per la scelta <strong>di</strong> coinvolgere programmaticamente nei bombardamenti le popolazioni<br />

civili, ma ancor più sul teorico dei bombardamenti apocalittici, che per ironia della sorte<br />

fu un generale italiano, Giulio Douhet, vd. pp. 92-93); sulla rimozione operata dalla storiografia<br />

“resistenziale” a proposito dei tragici bombardamenti alleati sull’Italia (che pure causarono 70.000<br />

vittime) vd. Dino Messina, Il grande silenzio sulle «piccole Dresda» d’Italia, in «Corriere della<br />

Sera», 17 luglio <strong>2005</strong>.<br />

20 La reazione dei romani al bombardamento, in generale, fu <strong>di</strong> rassegnata, civile compostezza,<br />

come si legge nel <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> un testimone <strong>di</strong>retto, il ministro fascista Giuseppe Bottai, al<br />

19 luglio 1943: «Faccio un giro: Policlinico, Università, San Lorenzo, Porta Maggiore. Danni<br />

gravi, ma purtroppo solo iniziali. La reazione della gente, per ora, è tipicamente “romanesca”:<br />

<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata, ma con bonomia, tra brontoli e parolacce, ma ancor sorridente». (in Giuseppe<br />

Bottai, Diario 1935-1944, a cura <strong>di</strong> Giordano Bruno Guerri, Rizzoli, Milano 1989, pp. 400-<br />

401). Più articolata, ma sostanzialmente coincidente, l’ammirata descrizione della popolazione<br />

romana in Paolo Monelli, Roma 1943, Mondadori, Milano 1979 (I ed. 1948), p. 68: «Vedemmo<br />

questi romani, che ci erano parsi brulicanti e clamorosi nei poveri mercati, per le vie gremite,<br />

queruli e litigiosi nelle file, nei tranvai stipati, dovunque li ammucchiasse la squallida miseria<br />

quoti<strong>di</strong>ana, subire le offese mortali con una fierezza malinconica e austera; li vedemmo frugare<br />

fra le case <strong>di</strong>strutte, cercare i famigliari scomparsi, caricarsi in capo le poche masserizie salvate<br />

dalla rovina, andare per le vie invase dal polverone soffocante, picchiate dal sole, far sosta<br />

alle fontane, all’ombra delle mura con atteggiamenti misurati e solenni; non si vedeva un viso<br />

stravolto, non si u<strong>di</strong>vano imprecazioni né lamenti, non brillavano lacrime. Paziente <strong>di</strong>gnità<br />

della gente nostra, che la sventura rivela; coscienza della sua nobiltà, della sua umanità».<br />

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