MISCELLANEA 2005 2006.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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dovevano avere un proprio giardino, anche Naturino lo aveva avuto e, divenuto abbastanza forte, lo coltivava da sé. Tagliava, abbatteva, bruciava, zappava, seminava tutti i giorni un bel po’. Era diventato tanto bravo che il suo sembrava il giardino più bello del regno e molti, sentendone parlare, andavano a vederlo anche dalle contrade più remote. Un giorno, però, il vecchio padre morì e Naturino divenne re e fu occupato in tanti altri affari. Riceveva ambasciatori e ministri, viaggiava in paesi lontani dove gli alberi e i fiori non esistevano e al loro posto vedeva torri di cemento e nastri interminabili di asfalto e gente che andava veloce in tante scatole mobili colorate come i fiori, ma che fiori non erano. E nelle città al posto degli alberi c’erano lampioni al neon e tralicci di ferro; non c’era nei viali il verde dei giardini, né si sentiva il profumo dei fiori, ma si vedevano solo enormi insegne luminose e dappertutto si respirava un’aria pesante e grigia. In cielo neppure un volo di uccelli. Il peggio era però che re Naturino, quando tornava da questi viaggi, dava ogni volta ordine di fare altrettanto e comandava ai suoi ministri di impiantare fabbriche e costruire quegli enormi casermoni tetri con pareti punteggiate da infiniti occhi oscuri. La gente non era più tanto felice e soprattutto gli anziani si lamentavano: Naturino, Naturino, torna, torna al vecchio tuo giardino! Gli anni passarono. Il paese di Naturalia era molto cambiato.Assomigliava in tutto a quelle cartoline illustrate che venivano da lontano Alcuni dei vecchi erano perfino contenti di morire prima, dicevano che Naturalia era diventata come tutti gli altri paesi, che il mondo era diventato ovunque lo stesso e rimpiangevano i tempi del vecchio re, ma di nascosto dalle guardie e con un filo di voce, ché Naturino s’era fatto cattivo e permaloso, sussurravano: Naturino, Naturino, dì addio al tuo bel giardino! Questa volta la voce di bocca in bocca giunse fino alle orecchie del re, il quale chiamò il suo primo ministro e gli domandò: - Cosa dice il popolo di me? Cosa brontolano i miei sudditi? - Maestà, non oserei... - Parla, te lo ordino! –54–

E il ministro riportò al re le parole del suo popolo. Il re, vecchio e stanco, ricordò allora il suo giardino e il tempo felice in cui gli dedicava tante cure. Volle essere infine accompagnato dietro alla reggia, dove si trovava abbandonato il suo giardino. Lo trovò che era irriconoscibile: la siepe abbattuta, i sentieri coperti di erbacce e là dove c’era un tempo il prato e c’erano i fiori, ora si estendeva una terra arida e dura che non produceva più niente e gli alberi, sui quali era tante volte salito a cogliere i frutti, stavano rinsecchiti e fragili con le radici sporgenti alla superficie nella vana ricerca di un po’ d’acqua. Re Naturino si sedette su un tronco caduto. Era triste: intorno a sé scorgeva solo desolazione. Pensò a quello che il suo regno sarebbe stato di lì a qualche anno senza piante, fiori, erbe e boschi. Si affrettò a cambiare. Mandò gli araldi a cercare in tutto il regno i giardinieri di un tempo, ma erano tutti morti e i sopravvissuti, vecchissimi, non avevano più forze. Decise di far insegnare l’arte delle piante e dei fiori ai più giovani, ma non trovò chi ne fosse capace. Riprese allora a scendere in giardino. Lo fece ripulire e seminare. Ogni cosa dopo un po’ apparve migliorata, ma nessun germoglio spuntava. Il re per ore sedeva sul tronco macerato ad aspettare. Voleva vedere almeno un fiore sbocciare, l’ultimo; un fiore che desse vita a tanti altri fiori, proprio come una volta. Passarono i giorni. L’inverno era rigido. Naturino si ammalò e giunse il momento di lasciare questa terra. Sentendo che le forze lo abbandonavano, volle che lo portassero nel suo giardino. Appoggiato al tronco, Naturino si guardò attorno, ansimando, mentre la morte gli si avvicinava. Dai suoi occhi una lacrima, l’ultima della vita, scivolò lungo la guancia e cadde su un seme nascosto tra le radici del tronco. Passarono altri mesi dopo la morte di Naturino. Il giovine figlio si recò a visitare in un tiepido mattino di primavera il terreno che suo padre gli aveva lasciato. Era deciso a costruirvi sopra, ora che non produceva più nulla. Giunto al tronco, si sedette pensando a suo padre. Si commosse al ricordo, abbassò gli occhi e vide una cosa meravigliosa, tra la polvere e i rami secchi sparsi per terra un fiorellino variopinto era sbocciato. Finalmente, pensò, il giardino ritorna a fiorire. Questo lo chiamerò: Fior di Naturino, perché è nato dal pianto di mio padre... –55–

dovevano avere un proprio giar<strong>di</strong>no, anche Naturino lo aveva avuto e, <strong>di</strong>venuto<br />

abbastanza forte, lo coltivava da sé.<br />

Tagliava, abbatteva, bruciava, zappava, seminava tutti i giorni un bel<br />

po’. Era <strong>di</strong>ventato tanto bravo che il suo sembrava il giar<strong>di</strong>no più bello del<br />

regno e molti, sentendone parlare, andavano a vederlo anche dalle contrade<br />

più remote.<br />

Un giorno, però, il vecchio padre morì e Naturino <strong>di</strong>venne re e fu occupato<br />

in tanti altri affari. Riceveva ambasciatori e ministri, viaggiava in paesi<br />

lontani dove gli alberi e i fiori non esistevano e al loro posto vedeva torri <strong>di</strong><br />

cemento e nastri interminabili <strong>di</strong> asfalto e gente che andava veloce in tante<br />

scatole mobili colorate come i fiori, ma che fiori non erano.<br />

E nelle città al posto degli alberi c’erano lampioni al neon e tralicci <strong>di</strong><br />

ferro; non c’era nei viali il verde dei giar<strong>di</strong>ni, né si sentiva il profumo dei<br />

fiori, ma si vedevano solo enormi insegne luminose e dappertutto si respirava<br />

un’aria pesante e grigia. In cielo neppure un volo <strong>di</strong> uccelli.<br />

Il peggio era però che re Naturino, quando tornava da questi viaggi,<br />

dava ogni volta or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fare altrettanto e comandava ai suoi ministri <strong>di</strong><br />

impiantare fabbriche e costruire quegli enormi casermoni tetri con pareti<br />

punteggiate da infiniti occhi oscuri.<br />

La gente non era più tanto felice e soprattutto gli anziani si lamentavano:<br />

Naturino, Naturino,<br />

torna, torna<br />

al vecchio tuo giar<strong>di</strong>no!<br />

Gli anni passarono. Il paese <strong>di</strong> Naturalia era molto cambiato.Assomigliava<br />

in tutto a quelle cartoline illustrate che venivano da lontano Alcuni dei vecchi<br />

erano perfino contenti <strong>di</strong> morire prima, <strong>di</strong>cevano che Naturalia era <strong>di</strong>ventata<br />

come tutti gli altri paesi, che il mondo era <strong>di</strong>ventato ovunque lo stesso e<br />

rimpiangevano i tempi del vecchio re, ma <strong>di</strong> nascosto dalle guar<strong>di</strong>e e con un<br />

filo <strong>di</strong> voce, ché Naturino s’era fatto cattivo e permaloso, sussurravano:<br />

Naturino, Naturino,<br />

dì ad<strong>di</strong>o al tuo bel giar<strong>di</strong>no!<br />

Questa volta la voce <strong>di</strong> bocca in bocca giunse fino alle orecchie del re,<br />

il quale chiamò il suo primo ministro e gli domandò:<br />

- Cosa <strong>di</strong>ce il popolo <strong>di</strong> me? Cosa brontolano i miei sud<strong>di</strong>ti?<br />

- Maestà, non oserei...<br />

- Parla, te lo or<strong>di</strong>no!<br />

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