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Gli sembra di trovarsi, leggendo i romanzi che Cassola puntualmente ogni anno pubblica, di fronte ad una galleria di quadri tutti sostanzialmente ripetitivi dello stesso soggetto. A questo punto o li considera studi dello stesso argomento, un po’ come il Monet per le ninfee, valutandoli come integrazioni progressive quasi di un unico personaggio, femminile, e ammirando la fedeltà dell’autore alla propria poetica chiusa, minimale e volutamente astorica oppure smette di leggerli per superare quel senso di fastidio che provoca l’assunzione prolungata del medesimo cibo. D’altronde già quando uscirono, i romanzi di Cassola provocarono accese polemiche e si attirarono l’accusa di sfuggire all’impegno letterario e civile, rifugiandosi in un vuoto lirismo e in un realismo facile, idilliaco, privo di conflitti. Non si possono dimenticare le parole di Calvino che li chiama “Romanzi sbiaditi come l’acqua della rigovernatura dei piatti, in cui nuota l’unto dei sentimenti ricucinati”. Ho l’impressione che Cassola stesso abbia avvertito questo pericolo e negli ultimi anni, mosso certamente e soprattutto da una rinnovata sensibilità per i gravi problemi attuali, ha rivolto ad altre tematiche e generi diversi la sua attenzione. A me è capitato di fare la seconda scelta. Quando uscì nel 1973 Monte Mario ricordo che abitavo a Napoli. Lo lessi e mi piacque. Decisi allora di passare in una libreria nei pressi di Piazza dei Martiri e comprare tutti i romanzi di Cassola in una volta sola. Li lessi nei mesi seguenti. Poi nel 1974 uscì Gisella e nel 1976 L’Antagonista. Fu allora che decisi di fermarmi. Cassola non mi dava più stimoli, mi dava l’impressione della ripetitività; in più m’infastidiva quella puntuale edizione di un romanzo annuale, come se l’ispirazione venisse a tempi prestabiliti, docile alle esigenze di mercato. Nel frattempo avevo messo insieme queste riflessioni personali, che ora ho qui esposte, dopo averle parzialmente riviste e dalle quali finalmente mi congedo. –52–
GIUSEPPE D’AVINO Il regno di Naturalia e altri racconti IL REGNO DI NATURALIA In una regione molto lontana da qui, dove i monti erano ancora coperti di boschi e l’aria era pura e le acque dei fiumi scorrevano sempre limpide e cristalline tra valli rigogliose e villaggi animati, viveva come nei tempi antichi un re con una regina, una corte ed una splendida reggia, dove si potevano dare feste danzanti e ricevere tutti gli ambasciatori del mondo. Il popolo di questo regno viveva felice e tranquillo. Di generazione in generazione i re si erano trasmessi l’impegno di conservare sempre la natura del paese così come l’avevano trovata quando vi si erano stanziati. Anzi, s’erano sempre sforzati di migliorarla con cura e studi specializzati. I re erano stati così bravi che ormai da secoli avevano preso il nome di Belfiore: Belfiore I, Belfiore II, III, IV e così giù giù fino all’ultimo Belfiore LXXXIX. Gli abitanti di Naturalia (così si chiamava il regno) trovavano, però, troppo lungo questo nome per cui preferivano chiamare il loro principe Naturino. Naturino cresceva come un alberello, snello e con pochi rametti, ma già robusto e diritto. Correva veloce nei vasti campi a rotolarsi tra l’erba o si sporgeva sulla riva dei ruscelli a giocare con ciottoli o si arrampicava sui rami che si rispecchiavano sulle limpide acque. Altre volte risaliva i dolci pendii dei colli, nascondendosi tra i pini odorosi, o attraversava i viali alberati della capitale, fermandosi nei parchi coi bambini e nei giardini dei suoi sudditi. Conosceva già moltissimi nomi di persone e di piante. Il popolo, che lo amava, al vederlo passare esclamava: Come è bello il nostro principino, sembra un fiore, bello come quelli del suo giardino! Naturino, infatti, passava molte ore del giorno a coltivare i fiori di un terreno che il re suo padre, seguendo un’antichissima tradizione di famiglia, gli aveva concesso alla nascita. Così, poiché tutti nel regno di Naturalia, –53–
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stesso argomento, un po’ come il Monet per le ninfee, valutandoli come<br />
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astorica oppure smette <strong>di</strong> leggerli per superare quel senso <strong>di</strong> fasti<strong>di</strong>o<br />
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quando uscirono, i romanzi <strong>di</strong> Cassola provocarono accese polemiche e si<br />
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possono <strong>di</strong>menticare le parole <strong>di</strong> Calvino che li chiama “Romanzi sbia<strong>di</strong>ti<br />
come l’acqua della rigovernatura dei piatti, in cui nuota l’unto dei sentimenti<br />
ricucinati”.<br />
Ho l’impressione che Cassola stesso abbia avvertito questo pericolo e<br />
negli ultimi anni, mosso certamente e soprattutto da una rinnovata sensibilità<br />
per i gravi problemi attuali, ha rivolto ad altre tematiche e generi <strong>di</strong>versi<br />
la sua attenzione.<br />
A me è capitato <strong>di</strong> fare la seconda scelta. Quando uscì nel 1973 Monte<br />
Mario ricordo che abitavo a Napoli. Lo lessi e mi piacque. Decisi allora <strong>di</strong><br />
passare in una libreria nei pressi <strong>di</strong> Piazza dei Martiri e comprare tutti i<br />
romanzi <strong>di</strong> Cassola in una volta sola. Li lessi nei mesi seguenti. Poi nel 1974<br />
uscì Gisella e nel 1976 L’Antagonista. Fu allora che decisi <strong>di</strong> fermarmi.<br />
Cassola non mi dava più stimoli, mi dava l’impressione della ripetitività;<br />
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se l’ispirazione venisse a tempi prestabiliti, docile alle esigenze <strong>di</strong> mercato.<br />
Nel frattempo avevo messo insieme queste riflessioni personali, che ora<br />
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