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donne invocarono l’estensione universale dei diritti alla libertà, all’uguaglianza e alla fraternità senza preclusioni di sesso. Durante la rivoluzione industriale il passaggio dal lavoro artigianale (che le donne avevano svolto tradizionalmente in casa e senza essere retribuite) alla produzione di massa fece sì che le donne delle classi meno abbienti entrassero in fabbrica come salariate: ciò rappresentò un primo passo verso l’indipendenza e l’emancipazione, sebbene i rischi sul lavoro fossero elevati e i salari, inferiori a quelli degli uomini, fossero amministrati dai mariti. La situazione delle donne non migliorò neanche sotto il regime napoleonico dal momento che il Codice, emanato nel 1804, prevedeva svantaggi per le donne nell’ambito della vita coniugale nonché nelle relazioni sociali in genere. L’unificazione italiana poi, portò alla nascita di forti conflitti ideologici che incidevano profondamente sul tessuto socio-economico ed erano alimentati da problemi etici e morali, sviluppatisi in conseguenza dello sviluppo delle nuove tecnologie e del loro impatto sull’opinione pubblica. Tale progresso produsse nuovi oggetti (macchine da cucire, articoli per la casa, utensili) che influirono su ritmi e gesti della vita quotidiana femminile: tutto ciò unito allo sviluppo culturale e alla progressiva presa di coscienza da parte delle donne della loro condizione e, per contrasto, delle loro potenzialità, fece sì che nascesse un sentire comune per il quale esse cessarono di sentirsi un semplice riflesso dell’uomo, senza una distinta personalità, ma cominciarono a considerarsi soggetti attivi della società con la forte necessità di esprimere la propria opinione. Nacque dunque nei primi del ’900 l’associazionismo femminista che si costituì in grandi federazioni con sede centrale a Roma. Già nel 1906 queste federazioni con la collaborazione di altre organizzazioni femminili tennero il primo congresso nazionale italiano femminile nel quale le partecipanti si autodefinirono espressamente”femministe”. Questo fu il primo episodio di quella grande battaglia per il voto che sarebbe culminata con la grande vittoria del 2 giugno 1946: “Al voto abbiamo diritto perché siamo cittadine, perché paghiamo tasse ed imposte, perché siamo produttrici di ricchezze, perché paghiamo l’imposta del sangue dei dolori della maternità”. Con lo scatenarsi della prima guerra mondiale, il Movimento Femminista si inserì nella questione dell’interventismo e dell’astensione dal conflitto: nel 1915 si erano radunate all’Aja donne di tutta Europa per gridare la propria opposizione alla guerra e dichiarare l’esigenza della pace nel mondo. – 292 –

Il malessere prorompente nella società italiana coeva dovuto al ritorno dei reduci con il conseguente riflusso femminile dai posti di lavoro ed una grande povertà generale portò, da una parte, alla nascita del movimento fascista, dall’altra al rafforzamento di quello femminista. Se in un primo momento il fascismo nel suo periodo formativo esercitò su molte donne un’innegabile attrazione, dando un’apparente protagonismo alle loro richieste (Benito Mussolini, nonostante la sua contrarietà al voto femminile, dichiarò al Congresso femminista pro-suffragio del 1923 di impegnarsi per la sua approvazione allo scopo di accaparrarsi il favore delle femministe); successivamente, tuttavia, numerose donne parteciparono attivamente all’antifascismo, conoscendo esecuzioni e confino; si scontrarono con la milizia fascista in grandi scioperi, continuando a protestare per la condizione a cui erano condannate. Ad esempio, nel caso in cui qualche italiana, durante il fascismo, fosse rimasta vedova doveva notificarlo all’apposito Tribunale che immediatamente assumeva la patria potestà del defunto e provvedeva all’educazione dei figli: la donna dunque era ostaggio non solo del proprio marito ma anche dello Stato. Risulta infatti ambiguo il rapporto tra donne e Fascismo, dal momento che alla radicata antifemminilità del pensiero fascista, che si basava su un equilibrio sociale fondato sull’autorità maschile, si accostava il tentativo di Mussolini di porre le radici anche nel consenso delle donne e quindi di integrare queste ultime all’interno delle organizzazioni fasciste. Se quindi nella sfera privata il progetto fascista aveva costruito il mito della donna come sposa madre e sorella esemplare, attraverso l’esaltazione della funzione materna (“Lo scopo della vita di ogni donna è il figlio. La maternità fisica e psichica non ha che questo scopo” 36 ), questo avveniva per la preoccupazione del calo demografico rispetto alle mire espansionistiche e imperialistiche del Fascismo, e anche per escludere le donne dalla vita pubblica, definendole con lo slogan: “Madri nuove per figli nuovi”. All’interno della sfera pubblica, le figure femminili erano relegate ad attività che si muovevano a favore degli obbiettivi di Partito e che avevano a cuore gli interessi dello Stato. Nascevano dunque vari gruppi, come i Fasci Femminili, le Massaie rurali, le Sezioni Operaie e le Lavoranti a domicilio. Tuttavia tali associazioni erano controllate dalle gerarchie maschili di partito, e la loro attività si restringeva spesso al semplice volontariato. 36 Manuale d’igiene, divulgato dal Regime alla fine degli anni ’30. – 293 –

donne invocarono l’estensione universale dei <strong>di</strong>ritti alla libertà, all’uguaglianza<br />

e alla fraternità senza preclusioni <strong>di</strong> sesso. Durante la rivoluzione<br />

industriale il passaggio dal lavoro artigianale (che le donne avevano svolto<br />

tra<strong>di</strong>zionalmente in casa e senza essere retribuite) alla produzione <strong>di</strong> massa<br />

fece sì che le donne delle classi meno abbienti entrassero in fabbrica come<br />

salariate: ciò rappresentò un primo passo verso l’in<strong>di</strong>pendenza e l’emancipazione,<br />

sebbene i rischi sul lavoro fossero elevati e i salari, inferiori a<br />

quelli degli uomini, fossero amministrati dai mariti.<br />

La situazione delle donne non migliorò neanche sotto il regime napoleonico<br />

dal momento che il Co<strong>di</strong>ce, emanato nel 1804, prevedeva svantaggi<br />

per le donne nell’ambito della vita coniugale nonché nelle relazioni sociali<br />

in genere.<br />

L’unificazione italiana poi, portò alla nascita <strong>di</strong> forti conflitti ideologici<br />

che incidevano profondamente sul tessuto socio-economico ed erano alimentati<br />

da problemi etici e morali, sviluppatisi in conseguenza dello sviluppo delle<br />

nuove tecnologie e del loro impatto sull’opinione pubblica. Tale progresso<br />

produsse nuovi oggetti (macchine da cucire, articoli per la casa, utensili) che<br />

influirono su ritmi e gesti della vita quoti<strong>di</strong>ana femminile: tutto ciò unito allo<br />

sviluppo culturale e alla progressiva presa <strong>di</strong> coscienza da parte delle donne<br />

della loro con<strong>di</strong>zione e, per contrasto, delle loro potenzialità, fece sì che nascesse<br />

un sentire comune per il quale esse cessarono <strong>di</strong> sentirsi un semplice riflesso<br />

dell’uomo, senza una <strong>di</strong>stinta personalità, ma cominciarono a considerarsi<br />

soggetti attivi della società con la forte necessità <strong>di</strong> esprimere la propria<br />

opinione. Nacque dunque nei primi del ’900 l’associazionismo femminista<br />

che si costituì in gran<strong>di</strong> federazioni con sede centrale a Roma.<br />

Già nel 1906 queste federazioni con la collaborazione <strong>di</strong> altre organizzazioni<br />

femminili tennero il primo congresso nazionale italiano femminile<br />

nel quale le partecipanti si autodefinirono espressamente”femministe”.<br />

Questo fu il primo episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> quella grande battaglia per il voto che sarebbe<br />

culminata con la grande vittoria del 2 giugno 1946: “Al voto abbiamo<br />

<strong>di</strong>ritto perché siamo citta<strong>di</strong>ne, perché paghiamo tasse ed imposte, perché<br />

siamo produttrici <strong>di</strong> ricchezze, perché paghiamo l’imposta del sangue dei<br />

dolori della maternità”.<br />

Con lo scatenarsi della prima guerra mon<strong>di</strong>ale, il Movimento Femminista<br />

si inserì nella questione dell’interventismo e dell’astensione dal conflitto:<br />

nel 1915 si erano radunate all’Aja donne <strong>di</strong> tutta Europa per gridare la<br />

propria opposizione alla guerra e <strong>di</strong>chiarare l’esigenza della pace nel<br />

mondo.<br />

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