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BENEDETTO CROCE. Quella di Croce è una figura decisiva della cultura liberale, tanto da influenzare per parecchi decenni, con la sua filosofia, la formazione intellettuale dell’intero paese. Maturato nell’ambiente della destra storica napoletana e presto interessatosi al marxismo grazie ad Antonio Labriola, in alcuni importanti saggi Croce prende presto le distanze dal materialismo dialettico e pone quindi le basi di un sistema filosofico idealistico che si regge su quella che egli stesso chiamò la “religione della libertà”. 1 Nonostante la profonda amicizia che lo lega a Giovanni Gentile, a partire dal 1925 egli diviene il punto di riferimento della cultura antifascista italiana, e quando Mussolini instaura la propria dittatura, Croce continua a mantenere in vita un’importante rete di legami e di riflessioni, grazie soprattutto alla rivista da lui diretta, “La Critica”. La sua è una concezione della storia umana come un campo aperto dove gareggiano diverse e opposte forze spirituali; un’idea di uomo libero per essenza (“poiché la libertà è l’essenza dell’uomo, e l’uomo la possiede nella sua qualità di uomo, non è da prendere letteralmente e materialmente l’espressione che bisogni all’uomo dare la libertà, che è ciò che non gli si può dare perché già l’ha in sé”); e, prima ancora, una scienza “liberata” dal dogmatismo positivista; e un’idea di filosofia da cui è scomparsa la pretesa di definitività di qualsiasi sistema filosofico: sono questi i presupposti del liberalismo crociano. Un liberalismo la cui etica rifiuta “il primato a leggi e casistiche e tabelle di doveri e di virtù” e pone al suo centro la coscienza morale. È esattamente su tali fondamenti che Benedetto Croce basa la sua religione della libertà – una concezione, questa, che “pone il fine della vita stessa, e il dovere nell’accrescimento e nell’innalzamento di questa vita, e il metodo nella libera iniziativa e nell’inventività individuale”. Per Croce la concezione liberale è una concezione “metapolitica” che “supera la teoria formale della politica e, in un certo senso, anche quella formale dell’etica, coincidendo con la concezione formale del mondo e della realtà [...] in essa si rispecchia tutta la filosofia e la religione dell’età moderna, incentrata nell’idea della dialettica ossia dello svolgimento, che, mercé la diversità e l’opposizione delle forze spirituali, accresce e nobilita di continuo la vita e le conferisce il suo unico ed intero significato”. 2 1 B. Croce, Discorsi di varia filosofia, Bari 1945, p. 262. 2 B. Croce, La concezione liberale come concezione della vita in Etica e politica, Adelphi, Milano, 1994, pp. 235-236. – 258 –

Certo, si potrà dire che il liberalismo di Croce è un liberalismo incompleto: suo parere è infatti che l’“etico liberalismo” non abbia legami di piena solidarietà con il sistema economico della libera concorrenza. E, in realtà, la libertà ha bisogno di condizioni “materiali” per realizzarsi e ciò non è possibile, qualunque sia il sistema economico, come per esempio quello comunista, in cui sia stata abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione, giacché “chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini”. 3 Tuttavia, sebbene incompleto, il liberalismo di Croce resta fondamentale per la costruzione, lo sviluppo e la difesa di una società aperta. “La ragion d’essere del liberalismo”, la sua “ragione d’orgoglio” – scrive infatti Croce – consiste in quella regola di gioco che “vuole tolleranza, rispetto delle altrui opinioni, disposizione ad ascoltare e imparare dagli avversari e, in ogni caso, a ben conoscerli, e perciò a far sì che non debbano nascondersi nascondendo il loro pensiero e le loro intenzioni”. Da qui l’opposizione di Croce a quell’autoritarismo imposto da presunti interpreti di una sapienza divina “e per fini ultramondani”, ma anche all’autoritarismo delle visioni “socialistiche” che “pongono come ideale il paradiso da conquistare”. E, di fronte a tanti intellettuali che si inginocchiano davanti a Mussolini ed al fascismo, rimane incrollabile l’opposizione di Croce, il quale invano ha inizialmente pensato che il regime mussoliniano avesse avuto il merito di aver sottoposto l’Italia ad una cura benefica (poiché, tra l’altro, “lo Stato senza autorità non è uno Stato”) e sperato in un ritorno al regime liberale, ora ha chiaro invece che quello che avrebbe dovuto esser un rimedio, si è trasformato in realtà in un danno ancor peggiore: Stato totalitario o Stato etico. E mentre tale concezione di Stato viene approvata da Gentile, il quale sentenzia che: “il massimo della libertà coincide col massimo della forza”, Croce qualifica simile prospettiva come semplicemente “ripugnante”. E al Manifesto degli intellettuali del fascismo scritto da Gentile egli contrappone il manifesto degli antifascisti: una risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani, che appare su “Il Mondo”, il 1° maggio del 1925, giorno della Festa del lavoro. GIOVANNI GENTILE. Giovanni Gentile nasce a Castelveltrano (provincia di Trapani) il 29 maggio del 1875. Frequenta il liceo Ximens a Trapani e successivamente si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia alla Scuola Superiore di Pisa. Determinante risulta in quegli anni l’incontro con 3 F.A. von Hayek, La via della schiavitù, Rusconi, Milano, 1995, p. 133. – 259 –

Certo, si potrà <strong>di</strong>re che il liberalismo <strong>di</strong> Croce è un liberalismo incompleto:<br />

suo parere è infatti che l’“etico liberalismo” non abbia legami <strong>di</strong><br />

piena solidarietà con il sistema economico della libera concorrenza. E, in<br />

realtà, la libertà ha bisogno <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni “materiali” per realizzarsi e ciò<br />

non è possibile, qualunque sia il sistema economico, come per esempio<br />

quello comunista, in cui sia stata abolita la proprietà privata dei mezzi <strong>di</strong><br />

produzione, giacché “chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini”. 3<br />

Tuttavia, sebbene incompleto, il liberalismo <strong>di</strong> Croce resta fondamentale<br />

per la costruzione, lo sviluppo e la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> una società aperta. “La ragion<br />

d’essere del liberalismo”, la sua “ragione d’orgoglio” – scrive infatti<br />

Croce – consiste in quella regola <strong>di</strong> gioco che “vuole tolleranza, rispetto<br />

delle altrui opinioni, <strong>di</strong>sposizione ad ascoltare e imparare dagli avversari e,<br />

in ogni caso, a ben conoscerli, e perciò a far sì che non debbano nascondersi<br />

nascondendo il loro pensiero e le loro intenzioni”.<br />

Da qui l’opposizione <strong>di</strong> Croce a quell’autoritarismo imposto da presunti<br />

interpreti <strong>di</strong> una sapienza <strong>di</strong>vina “e per fini ultramondani”, ma anche all’autoritarismo<br />

delle visioni “socialistiche” che “pongono come ideale il para<strong>di</strong>so<br />

da conquistare”. E, <strong>di</strong> fronte a tanti intellettuali che si inginocchiano<br />

davanti a Mussolini ed al fascismo, rimane incrollabile l’opposizione <strong>di</strong><br />

Croce, il quale invano ha inizialmente pensato che il regime mussoliniano<br />

avesse avuto il merito <strong>di</strong> aver sottoposto l’Italia ad una cura benefica<br />

(poiché, tra l’altro, “lo Stato senza autorità non è uno Stato”) e sperato in un<br />

ritorno al regime liberale, ora ha chiaro invece che quello che avrebbe dovuto<br />

esser un rime<strong>di</strong>o, si è trasformato in realtà in un danno ancor peggiore:<br />

Stato totalitario o Stato etico. E mentre tale concezione <strong>di</strong> Stato viene approvata<br />

da Gentile, il quale sentenzia che: “il massimo della libertà coincide<br />

col massimo della forza”, Croce qualifica simile prospettiva come semplicemente<br />

“ripugnante”. E al Manifesto degli intellettuali del fascismo scritto<br />

da Gentile egli contrappone il manifesto degli antifascisti: una risposta <strong>di</strong><br />

scrittori, professori e pubblicisti italiani, che appare su “Il Mondo”, il<br />

1° maggio del 1925, giorno della Festa del lavoro.<br />

GIOVANNI GENTILE. Giovanni Gentile nasce a Castelveltrano<br />

(provincia <strong>di</strong> Trapani) il 29 maggio del 1875. Frequenta il liceo Ximens a<br />

Trapani e successivamente si iscrive alla facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia alla<br />

Scuola Superiore <strong>di</strong> Pisa. Determinante risulta in quegli anni l’incontro con<br />

3 F.A. von Hayek, La via della schiavitù, Rusconi, Milano, 1995, p. 133.<br />

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