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ficherebbe nella realtà... non un silenzio, non una lacuna, ma una minaccia, un pericolo. La minaccia alla pace religiosa, il pericolo di vederla turbata per la possibilità che lo sia». Il 19 dello stesso mese: «Questo eventuale diniego [si tratta sempre del diniego del richiamo esplicito ai Patti], il sostenerlo necessario, il presagirlo possibile, turba già la pace e l’unità spirituale del popolo, il quale può ben pensare fin d’ora che tale pace, tale unità è minacciata per l’avvenire, se al suo unico fondamento si vuol... togliere la sicurtà costituzionale». Il 20 e il 21 dello stesso mese: «Per quanto si protesti fin d’ora di non voler cadere nell’anticlericalismo di maniera, né in una lotta contro la religione, tuttavia [se si esclude dall’articolo 5 il richiamo costituzionale ai Patti lateranensi], pace religiosa... certissimamente non sarà, purtroppo». Il 22 di marzo: «Se realmente si vuole che nessuna lotta a carattere religioso turbi il faticoso rinnovamento della patria, perché mai così manifesto timore di riaffermare, in un momento e in un documento solenne, l’efficacia di Patti sottoscritti non soltanto tra un governo e altro governo, tra uno Stato e altro Stato, bensì tra il popolo italiano e la sua fede e la sua Chiesa?». Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte a un’esplicita manifestazione di volontà dell’altra parte, della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Ed è questo il punto da cui dobbiamo partire, onorevoli colleghi, nel determinare la nostra posizione. Questo è il punto da cui dobbiamo partire, dal momento che tutte le questioni da noi precedentemente sollevate sono state sempre subordinate a una esigenza fondamentale, quella di non turbare la pace religiosa del nostro Paese. Esisteva o no la pace religiosa prima di oggi, prima del crollo del fascismo, prima della disfatta? Si può discutere, si può vedere come sono andate le cose storicamente. Nel 1929, quando i Patti lateranensi furono firmati, non c’è dubbio che, nonostante tutto il precedente lavorio preparatorio compiuto da uomini politici di marca democratica e di fede liberale, non c’è dubbio che quell’accordo, concluso in quel momento, fece veramente pesare sul nostro Paese – permettetemi l’espressione romantica – l’ombra funesta del triste amplesso di Pietro e Cesare. Lo sentimmo chiaramente noi, che dirigevamo la lotta antifascista della parte avanzata del popolo italiano. Sentimmo che, nonostante oggi si interpreti l’espressione “uomo della Provvidenza” dicendo che si trattava di riferirsi a quella virtù che la Provvidenza ha di mandare uomini buoni e uomini cattivi, allora “uomo della Provvidenza” fu inteso come uomo “provvidenziale”. – 242 –
Poi le cose cambiarono, senza dubbio. Questa prima impressione si attutì; qualche posizione fu conquistata e consolidata da noi; qualche posizione fu perduta dal fascismo; la nostra lotta per la democrazia, per la libertà contro la tirannide si sviluppò; gli uomini si svincolarono da quella primitiva impressione. Arrivammo così alla guerra di liberazione, nella quale avemmo profonda l’impressione che la pace religiosa veramente ci fosse. Vedemmo infatti nelle nostre unità partigiane operai cattolici affratellati con militanti comunisti e socialisti; vedemmo nelle unità comandate dai migliori tra i nostri capi partigiani, i cappellani militari, sacerdoti, frati, accettare la stessa nostra disciplina di lotta. Tutto questo ci permetteva di ritenere che la pace religiosa fosse stata raggiunta. Per questo chiudemmo quella pagina;né avevamo alcuna intenzione di riaprirla. Non solo, ma arrivammo a quel grande successo, a quella grande vittoria che è stata l’unità sindacale, giungemmo alla conclusione di un patto di unità sindacale fra le grandi correnti tradizionali del movimento operaio italiano: la corrente comunista, la corrente socialista e la corrente cattolica. Poi ci fu il 2 giugno, che segnò senza dubbio un passo addietro, per gli episodi di cui tutti fummo testimoni; per i motivi che tutti sappiamo. E ora siamo di fronte all’avvenire e a difficoltà nuove per il nostro Paese: siamo di fronte a problemi economici e politici che si stanno accumulando e intrecciando l’uno con l’altro. In questa situazione, abbiamo bisogno della pace religiosa, né possiamo in nessun modo consentire a che essa venga turbata. Ora, il contrario del termine “pace” è “guerra”. È vero che per fare la guerra bisogna essere in due e che una delle parti può sempre dichiarare – come fai tu, compagno Nenni – «noi la guerra non la vogliamo»; ma per dichiararla, la guerra, basta uno solo. Di questo bisogna tener conto. Questa è la situazione reale, di fatto, che oggi esiste, e noi, Partito comunista, che dal momento in cui abbiamo incominciato ad agire legalmente nel Paese, sempre abbiamo avuto tra i nostri principali obiettivi quello di mantene- re la pace religiosa, non possiamo trascurare questa situazione, anzi dobbiamo tenerne conto e adeguare ad essa la nostra posizione e,di conseguenza, il nostro voto. Orbene, vogliamo noi che tra questa massa di 106mila operai che segue la Democrazia cristiana e la rimanente massa di tre o quattrocentomila operai che non seguono la Democrazia cristiana, ma di cui molti sono cattolici, si apra un contrasto proprio oggi, in un momento in cui questioni così gravi sono poste davanti a noi, in cui è soprattutto necessario che le forze del lavoro siano unite? – 243 –
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infatti nelle nostre unità partigiane operai cattolici affratellati con militanti<br />
comunisti e socialisti; vedemmo nelle unità comandate dai migliori tra i nostri<br />
capi partigiani, i cappellani militari, sacerdoti, frati, accettare la stessa<br />
nostra <strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> lotta. Tutto questo ci permetteva <strong>di</strong> ritenere che la pace religiosa<br />
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successo, a quella grande vittoria che è stata l’unità sindacale, giungemmo alla<br />
conclusione <strong>di</strong> un patto <strong>di</strong> unità sindacale fra le gran<strong>di</strong> correnti tra<strong>di</strong>zionali<br />
del movimento operaio italiano: la corrente comunista, la corrente socialista<br />
e la corrente cattolica. Poi ci fu il 2 giugno, che segnò senza dubbio un<br />
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tutti sappiamo. E ora siamo <strong>di</strong> fronte all’avvenire e a <strong>di</strong>fficoltà nuove per il<br />
nostro Paese: siamo <strong>di</strong> fronte a problemi economici e politici che si stanno<br />
accumulando e intrecciando l’uno con l’altro. In questa situazione, abbiamo<br />
bisogno della pace religiosa, né possiamo in nessun modo consentire a che<br />
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Ora, il contrario del termine “pace” è “guerra”. È vero che per fare la<br />
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come fai tu, compagno Nenni – «noi la guerra non la vogliamo»; ma per <strong>di</strong>chiararla,<br />
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Orbene, vogliamo noi che tra questa massa <strong>di</strong> 106mila operai<br />
che segue la Democrazia cristiana e<br />
la rimanente massa <strong>di</strong> tre o quattrocentomila operai<br />
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in cui è soprattutto necessario che le forze del lavoro siano unite?<br />
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