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Il secondo era anch’esso di vari tipi: sebbene all’interno del progetto fosse stato escluso qualunque caso di referendum di tipo consultivo, (“il popolo non è un organo consultivo” bensì “il più qualificato organo politico dello stato democratico”) attraverso i referendum di tipo popolare era consentito bloccare l’esecuzione di una legge approvata dal parlamento, non ancora entrata in vigore, per deliberare su essa, o abrogarla dopo che fosse stata resa efficace. Tuttavia, sebbene il referendum, quale “strumento di democrazia” (Greco, Uberti), “forma di controllo popolare” (Terracini), “mezzo di comunicazione politica” (Mortati), “freno alla partitocrazia” (Ruini), fosse dall’Assemblea tutta considerato elemento necessario della Costituzione, la concordia sul principio generale non si tradusse in unità di vedute per quanto riguardava i limiti della sua applicazione, dando fin da subito inizio a quel processo di “filtro” che investì prima di tutto l’ampio potere in ambito referendario che veniva attribuito al capo dello stato. Molti, in effetti, temevano che ciò avrebbe portato ad una sorta di dittatura personale del Presidente, il quale avrebbe scavalcato la “volontà del popolo che ha già nel Parlamento la sua espressione” e, nonostante le obiezioni di quanti tentavano di dissipare i dubbi asserendo che il capo dello stato avrebbe dovuto comunque agire sotto la responsabilità dell’Esecutivo, in sede di votazione i Commissari respinsero le proposte: al Presidente non sarebbe stato consentito ricorrere alla consultazione popolare per sottoporvi una legge già esaminata dal Parlamento. Inoltre, dei tanti modelli di referendum inizialmente previsti, venne ammesso solamente quello arbitrale o conciliatorio su iniziativa del Capo dello Stato in caso di conflitto tra le Camere, quello sospensivo o preventivo di iniziativa popolare o dei consigli regionali per deliberare su leggi la cui promulgazione fosse stata sospesa o abrogativo per leggi già in vigore. Tra questi il più osteggiato fu sicuramente il secondo: considerato antigiuridico e antidemocratico, fu motivo di una diffusa paura nei confronti di possibili manovre ostruzionistiche delle minoranze. Nonostante tutto, non si presentarono notevoli modificazioni tra lo schema proposto dal Comitato di redazione e quello approvato dalla Commissione Costituente, che fu invece cambiato una volta giunto all’Assemblea. Difatti l’importanza che rivestiva l’istituto referendario nel nostro ordinamento costituzionale e la necessità di trattare questo problema con estrema attenzione, si riflesse, come si è visto, in diatribe di natura giuridica, politica ed ideologica, che sarebbero risultate solamente il preludio delle discussioni – 218 –
dell’Assemblea, quando Mortati ripresentò quello che era rimasto del suo schema iniziale dopo le epurazioni precedenti. Egli, pur difendendo l’istituto del referendum come “l’istituto più democratico”, espressione dell’unione tra parlamento e popolo, tutela delle minoranze, si dimostrò favorevole alla soppressione del sospensivo, in quanto veniva posto in discussione l’art. 72, laddove lo stesso istituto creava incertezza nel diritto attraverso la previsione di periodi di sospensione, pluralità di pubblicazioni, etc. Finalmente, come disse Ruini, “dopo un’insistente pioggia di emendamenti soppressivi del referendum preventivo si arrivò a toglierlo di mezzo”. Le opposizioni al referendum abrogativo furono sicuramente più contenute:fu avanzata, certo, la richiesta di soppressione facendo riferimento a problemi come la possibile instabilità delle norme e delle situazioni giuridiche, che venne però subito annullata dall’intervento di Ruini il quale difese il referendum legislativo come la più alta e completa forma di referendum, “in un senso che ormai mi sembra indispensabile in una nuova democrazia”. L’emendamento Targetti fu respinto, pur non ponendo fine alle polemiche. Lo schema originario permetteva di sottoporre a consultazione popolare solo le leggi in vigore da almeno due anni: la durata e le ragioni di questo termine furono il centro di un infuocato dibattito. Poiché molti chiesero di eliminare il limite di due anni di vigenza, fu accolta la proposta della Commissione, che non poneva alcun termine. Oltretutto, l’ultimo comma dell’art. 72 del Progetto ammetteva la richiesta del referendum a seconda della legge da trattare. Le proposte si mossero in ambiti diametralmente opposti: quella di Perassi mirava, attraverso l’ammissione delle leggi fino ad allora escluse, ad includervi solo le leggi tributarie, quella di Piemonte, grazie ad una maggiore limitazione, ad escludere quelle di autorizzazione per i trattati. Dal gruppo comunista invece M. Maddalena Rossi ed altri domandarono di comprendere tra le leggi escluse anche le leggi elettorali, a cui rispose un indignato Ruini che, nel sostenere la sovranità popolare, affermò: “[essa] si esprime [nel sistema elettorale] con tutta la sua ragion d’essere ad impedire, in ipotesi, che i membri del Parlamento abusino nel regolare a comodo loro le elezioni”. La Scissione di Palazzo Barberini: i personaggi più rappresentativi La riflessione sulla scissione di palazzo Barberini assume un’attualità che non ebbe mai prima d’ora. Allora si trattò di affermare nei confronti dello stalinismo le ragioni dell’autonomia socialista, minacciata ma viva e – 219 –
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dell’Assemblea, quando Mortati ripresentò quello che era rimasto del suo<br />
schema iniziale dopo le epurazioni precedenti. Egli, pur <strong>di</strong>fendendo l’istituto<br />
del referendum come “l’istituto più democratico”, espressione dell’unione<br />
tra parlamento e popolo, tutela delle minoranze, si <strong>di</strong>mostrò favorevole alla<br />
soppressione del sospensivo, in quanto veniva posto in <strong>di</strong>scussione l’art. 72,<br />
laddove lo stesso istituto creava incertezza nel <strong>di</strong>ritto attraverso la previsione<br />
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Finalmente, come <strong>di</strong>sse Ruini, “dopo un’insistente pioggia <strong>di</strong> emendamenti<br />
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Le opposizioni al referendum abrogativo furono sicuramente più contenute:fu<br />
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“in un senso che ormai mi sembra in<strong>di</strong>spensabile in una nuova democrazia”.<br />
L’emendamento Targetti fu respinto, pur non ponendo fine alle polemiche.<br />
Lo schema originario permetteva <strong>di</strong> sottoporre a consultazione popolare solo<br />
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il limite <strong>di</strong> due anni <strong>di</strong> vigenza, fu accolta la proposta della Commissione,<br />
che non poneva alcun termine. Oltretutto, l’ultimo comma dell’art. 72 del<br />
Progetto ammetteva la richiesta del referendum a seconda della legge da<br />
trattare. Le proposte si mossero in ambiti <strong>di</strong>ametralmente opposti: quella <strong>di</strong><br />
Perassi mirava, attraverso l’ammissione delle leggi fino ad allora escluse, ad<br />
includervi solo le leggi tributarie, quella <strong>di</strong> Piemonte, grazie ad una maggiore<br />
limitazione, ad escludere quelle <strong>di</strong> autorizzazione per i trattati. Dal gruppo<br />
comunista invece M. Maddalena Rossi ed altri domandarono <strong>di</strong> comprendere<br />
tra le leggi escluse anche le leggi elettorali, a cui rispose un in<strong>di</strong>gnato Ruini<br />
che, nel sostenere la sovranità popolare, affermò: “[essa] si esprime [nel<br />
sistema elettorale] con tutta la sua ragion d’essere ad impe<strong>di</strong>re, in ipotesi,<br />
che i membri del Parlamento abusino nel regolare a comodo loro le elezioni”.<br />
La Scissione <strong>di</strong> Palazzo Barberini: i personaggi più rappresentativi<br />
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dello stalinismo le ragioni dell’autonomia socialista, minacciata ma viva e<br />
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