MISCELLANEA 2005 2006.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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Per riassumere, la promessa di eternità sembra ancora lontana dall’essere soddisfatta. La tecnologia digitale può però essere molto utile per eliminare alcuni difetti dei materiali originali (per esempio l’instabilità dell’immagine sullo schermo, l’illluminazione intermittente), ma è ancora in discussione se questo tipo di interventi si possa davvero chiamare restauro. Paolo Cherchi Usai si chiede infatti: il miglioramento delle immagini rispetto agli originali può davvero definirsi come restauro? Il fatto che una delle proprietà ontologiche del film sia quella di essere riprodotto in molte copie, sembra teoricamente giustificare il restauro dei film come un’arte della duplicazione. È chiaro che richiede specifiche competenze (tecnica, storica, filologica e artistica) per stabilire innanzitutto quale versione di un dato film debba essere restaurato, e con quale tecnologia. Dopo aver verificato e vagliato tutti i dati e i materiali disponibili, alla fine è importante registrare la documentazione del restauro (non solo le azioni e gli interventi intrapresi, ma anche le motivazioni dietro ogni decisione presa), proprio per rispondere alla richiesta di reversibilità in ulteriori interventi che possano essere realizzati in futuro. ____ ____ ____ In conclusione, in questo saggio abbiamo cercato di definire il restauro dei film, arrivando a definirlo come una pratica che mira a ricostituire una versione autentica di un testo di cui esistono numerose varianti, e che si basa su un certo numero di teorie e metodi che risalgono da una parte alla filologia e codicologia (la disciplina per la ricostruzione di un testo letterario), e dall’altra al restauro delle opere d’arte tradizionali (la disciplina per il restauro dell’entità materiale di un’opera d’arte). È fondamentale che sia la teoria, sia i metodi del restauro dei film siano elaborati e condivisi da chi lavora nelle cineteche e dai restauratori. Ciò è particolarmente vero, soprattutto se consideriamo le possibilità delle nuove tecnologie, come la scannerizzazione e la preservazione digitale. – 116 –

ANNA MARIA ROBUSTELLI Le sorelle di Shakespeare Questa ricerca nasce da alcune idee sviluppate nello svolgimento del programma di letteratura inglese nella classe IV E del Liceo Linguistico nell’anno scolastico 2005-06 per evidenziare alcuni apporti femminili alla storia di questa letteratura nei secoli XVI, XVII e XVIII, che le più quotate antologie della Scuola Media Superiore continuano a sottovalutare o a ignorare. La ricerca si situa nell’ambito di un progetto volto a valorizzare le pari opportunità che, sin dall’inizio dell’anno scolastico 2004-2005, ha visto una collaborazione con la Prof.ssa Marilena Fotia, attiva in classi del Liceo Classico. È noto come Virginia Woolf ipotizzasse nel suo famoso saggio Una Stanza Tutta per Sé la possibilità che una donna dell’età elisabettiana avrebbe potuto avere di scrivere, per rispondere alle provocatorie affermazioni di “quel vecchio signore [...] (credo che fosse un vescovo)”, il quale aveva dichiarato che “era impossibile immaginare una donna, passata, presente o futura, il cui genio si potesse paragonare a quello di Shakespeare”. 1 Passa poi ad immaginare quale avrebbe potuto essere l’esistenza di una possibile sorella di Shakespeare dotata della stessa vivacità del famoso poeta e drammaturgo. Questa rappresentazione fittizia è conosciuta: la sorella di Shakespeare non avrebbe ricevuto nessun tipo di istruzione istituzionalizzata, avrebbe imparato a leggere in un modo o nell’altro e qualche volta avrebbe potuto prendere un libro in casa e leggere un po’, ma poi i genitori l’avrebbero ricondotta alle usuali incombenze femminili. L’avrebbero poi promessa al figlio di un mercante, una volta raggiunta la pubertà, cosa che “Judith” – tale era il nome fittizio datole dalla Woolf – non avrebbe voluto. Usando il bastone e la carota il padre avrebbe tentato di convincerla. La ragazza sarebbe scappata a Londra – si sentiva attratta dal teatro – ma gli attori e gli impresari a cui avesse chiesto di partecipare a quel tipo di vita, le avrebbero riso in faccia. Un attore l’avrebbe poi presa con sé e messa incinta e Judith avrebbe finito con il suicidarsi. 1 Virginia Woolf, Una Stanza Tutta per Sé, Il Saggiatore, Milano, 1963. – 117 –

ANNA MARIA ROBUSTELLI<br />

Le sorelle <strong>di</strong> Shakespeare<br />

Questa ricerca nasce da alcune idee sviluppate nello svolgimento del<br />

programma <strong>di</strong> letteratura inglese nella classe IV E del <strong>Liceo</strong> Linguistico<br />

nell’anno scolastico <strong>2005</strong>-06 per evidenziare alcuni apporti femminili<br />

alla storia <strong>di</strong> questa letteratura nei secoli XVI, XVII e XVIII, che le più<br />

quotate antologie della Scuola Me<strong>di</strong>a Superiore continuano a sottovalutare<br />

o a ignorare. La ricerca si situa nell’ambito <strong>di</strong> un progetto volto a<br />

valorizzare le pari opportunità che, sin dall’inizio dell’anno scolastico<br />

2004-<strong>2005</strong>, ha visto una collaborazione con la Prof.ssa Marilena Fotia,<br />

attiva in classi del <strong>Liceo</strong> Classico.<br />

È noto come Virginia Woolf ipotizzasse nel suo famoso saggio Una<br />

Stanza Tutta per Sé la possibilità che una donna dell’età elisabettiana<br />

avrebbe potuto avere <strong>di</strong> scrivere, per rispondere alle provocatorie affermazioni<br />

<strong>di</strong> “quel vecchio signore [...] (credo che fosse un vescovo)”, il quale<br />

aveva <strong>di</strong>chiarato che “era impossibile immaginare una donna, passata, presente<br />

o futura, il cui genio si potesse paragonare a quello <strong>di</strong> Shakespeare”. 1<br />

Passa poi ad immaginare quale avrebbe potuto essere l’esistenza <strong>di</strong> una possibile<br />

sorella <strong>di</strong> Shakespeare dotata della stessa vivacità del famoso poeta e<br />

drammaturgo. Questa rappresentazione fittizia è conosciuta: la sorella <strong>di</strong><br />

Shakespeare non avrebbe ricevuto nessun tipo <strong>di</strong> istruzione istituzionalizzata,<br />

avrebbe imparato a leggere in un modo o nell’altro e qualche volta<br />

avrebbe potuto prendere un libro in casa e leggere un po’, ma poi i genitori<br />

l’avrebbero ricondotta alle usuali incombenze femminili. L’avrebbero poi<br />

promessa al figlio <strong>di</strong> un mercante, una volta raggiunta la pubertà, cosa che<br />

“Ju<strong>di</strong>th” – tale era il nome fittizio datole dalla Woolf – non avrebbe voluto.<br />

Usando il bastone e la carota il padre avrebbe tentato <strong>di</strong> convincerla. La<br />

ragazza sarebbe scappata a Londra – si sentiva attratta dal teatro – ma gli<br />

attori e gli impresari a cui avesse chiesto <strong>di</strong> partecipare a quel tipo <strong>di</strong> vita,<br />

le avrebbero riso in faccia. Un attore l’avrebbe poi presa con sé e messa<br />

incinta e Ju<strong>di</strong>th avrebbe finito con il suicidarsi.<br />

1 Virginia Woolf, Una Stanza Tutta per Sé, Il Saggiatore, Milano, 1963.<br />

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