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È evidente che il restauratore deve affrontare questo problema di etica professionale prima di cominciare il lavoro. Read e Meyer, 14 ispirati dall’articolo di Bowser, 15 elencano alcuni principi del restauro dei film. Il restauratore può restaurare il film: 1. esattamente come lo ha ricevuto; 2. come fu visto dal pubblico; 3. come fu visto dal pubblico in un periodo successivo alla prima visione; 4. come fu concepito dai suoi realizzatori; 5. come il pubblico di oggi si aspetta di vederlo; 6. secondo una nuova versione rivista da un artista contemporaneo; 7. secondo una nuova versione da sfruttare a livello commerciale. Seguendo quanto abbiamo riportato a proposito del restauro delle opere d’arte tradizionali, codificato dalla teoria di Brandi, il termine restauro non si può applicare agli ultimi due casi. È sufficiente considerare ciò che Giorgio Moroder fece nel 1984 con Metropolis, basato sullo stesso film diretto da Fritz Lang nel 1927, o la riedizione di Star Wars (1977) di Gorge Lucas. Per tornare al termine ‘originale’, se consideriamo le regole di catalogazione della FIAF (Federazione Internazionale degli Archivi dei Film), non troviamo una definizione, ma la prima visione sembra essere quella più vicina alla definizione di ‘originale’. Più di recente si è andato affermando un nuovo concetto, un termine alternativo a quello di ‘originale’: la versione ‘autentica’ 16 che può essere meglio definita come una versione criticamente data e definita: 17 in altre parole una versione che è esistita in qualche forma in passato e che può essere ricostruita e replicata nel modo più preciso possibile. Per questo motivo Mazzanti e Farinelli sostengono che è da respingere un lavoro di restauro come quello completato di recente sul film Touch of Evil diretto da Orson Welles nel 1958. Il restauro si è ba- 14 Idem. 15 Eileen Bowser, ‘Some Principles of Film Restoration’, anche tradotto in italiano in Griffithiana, 11, nos. 38-39 (Oct. 1990), 170-173. 16 Il termine ‘autenticità’ è presentata in modo critico da Paolo Cherchi Usai, ‘La cineteca di Babele’, in Storia del cinema mondiale, vol. V, pp. 965-1067, (p. 1034). 17 (‘Crediamo pertanto che sia almeno d’obbligo [...] trattenersi dall’utilizzare il termine “originale” e più modestamente appigliarsi al concetto di “versione criticamente data e definita”’), citato da Nicola Mazzanti e Gianluca Farinelli, ‘Il restauro: metodo e tecnica’ in Storia del cinema mondiale: teoria, strumenti, memorie, vol. V, pp. 1119-1174 (p. 1152). – 112 –
sato sulla corrispondenza di Welles con la produzione, in cui c’è la richiesta da parte del regista di alcune modifiche di montaggio ed edizione. Tuttavia, sebbene sia possibile ricostruire questa versione attraverso i documenti, essa non è mai esistita, nessuno la vide al cinema e non sappiamo se poi Welles avrebbe richiesto altre successive modifiche, dopo aver visionato il film rimontato. In conclusione, il concetto di ‘autentico’ può essere molto utile nel definire una teoria del restauro dei film. ____ ____ ____ Un altro punto da mettere a fuoco è senz’altro l’importanza di una adeguata documentazione delle decisioni e delle azioni intraprese dai restauratori nel corso del loro lavoro. Essa infatti risponde a un principio ormai codificato nella teoria del restauro, quello della reversibilità. Nulla dei materiali originali dovrebbe essere alterato in modo che il restauro non possa essere intrapreso di nuovo. ‘Reversibilità’ significa ‘ripetibilità’. 18 Ecco perché è così importante che i futuri ricercatori e restauratori abbiano accesso alle stesse fonti. Grazie a questa documentazione e alla conservazione dei materiali originali, saranno possibili in futuro nuovi e più sofisticati restauri. In seguito al lavoro filologico, mirante a decidere cosa debba essere ricostruito, i restauratori debbono confrontarsi con i diversi materiali del film, con il manifesto proposito di ricostruire il film come testo. Senza approfondire troppo gli aspetti tecnici, si può dire che dopo aver raccolto, esaminato e selezionato in modo critico i materiali a disposizione, il restauro del film consista nel pulire, riparare e copiare i film, non solo per vederli, ma anche per preservarli. Senza dubbio la duplicazione del materiale fotografico è il cuore del restauro dei film; ma duplicare implica sempre una perdita di informazioni e crea sempre una lacuna. Si è stabilito che questa perdita si aggiri intorno al 15% nel passaggio da una generazione all’altra. Certo questa percentuale è da considerarsi anche più alta se consideriamo alcune pratiche assolutamente erronee: per esempio la duplicazione di film muti in bianco e nero, sebbene essi fossero, tutti o in parte, colorati. Questo oggi viene considerato comunemente un errore, ma per decenni molte cineteche hanno duplicato i film muti in bianco e nero, prendendo nota dei colori su documenti cartacei, e distruggendo le stampe originali dopo la duplicazione. Secondo Desmet e 18 Restoration, eds Read and Meyer, p. 71. – 113 –
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sato sulla corrispondenza <strong>di</strong> Welles con la produzione, in cui c’è la richiesta<br />
da parte del regista <strong>di</strong> alcune mo<strong>di</strong>fiche <strong>di</strong> montaggio ed e<strong>di</strong>zione. Tuttavia,<br />
sebbene sia possibile ricostruire questa versione attraverso i documenti,<br />
essa non è mai esistita, nessuno la vide al cinema e non sappiamo se poi<br />
Welles avrebbe richiesto altre successive mo<strong>di</strong>fiche, dopo aver visionato il<br />
film rimontato.<br />
In conclusione, il concetto <strong>di</strong> ‘autentico’ può essere molto utile nel definire<br />
una teoria del restauro dei film.<br />
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Un altro punto da mettere a fuoco è senz’altro l’importanza <strong>di</strong> una<br />
adeguata documentazione delle decisioni e delle azioni intraprese dai restauratori<br />
nel corso del loro lavoro. Essa infatti risponde a un principio ormai co<strong>di</strong>ficato<br />
nella teoria del restauro, quello della reversibilità. Nulla dei materiali<br />
originali dovrebbe essere alterato in modo che il restauro non possa essere intrapreso<br />
<strong>di</strong> nuovo. ‘Reversibilità’ significa ‘ripetibilità’. 18 Ecco perché è così<br />
importante che i futuri ricercatori e restauratori abbiano accesso alle stesse<br />
fonti. Grazie a questa documentazione e alla conservazione dei materiali originali,<br />
saranno possibili in futuro nuovi e più sofisticati restauri. In seguito al<br />
lavoro filologico, mirante a decidere cosa debba essere ricostruito, i restauratori<br />
debbono confrontarsi con i <strong>di</strong>versi materiali del film, con il manifesto proposito<br />
<strong>di</strong> ricostruire il film come testo. Senza approfon<strong>di</strong>re troppo gli aspetti<br />
tecnici, si può <strong>di</strong>re che dopo aver raccolto, esaminato e selezionato in modo<br />
critico i materiali a <strong>di</strong>sposizione, il restauro del film consista nel pulire, riparare<br />
e copiare i film, non solo per vederli, ma anche per preservarli.<br />
Senza dubbio la duplicazione del materiale fotografico è il cuore del<br />
restauro dei film; ma duplicare implica sempre una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> informazioni<br />
e crea sempre una lacuna. Si è stabilito che questa per<strong>di</strong>ta si aggiri intorno<br />
al 15% nel passaggio da una generazione all’altra. Certo questa percentuale<br />
è da considerarsi anche più alta se consideriamo alcune pratiche assolutamente<br />
erronee: per esempio la duplicazione <strong>di</strong> film muti in bianco e nero,<br />
sebbene essi fossero, tutti o in parte, colorati. Questo oggi viene considerato<br />
comunemente un errore, ma per decenni molte cineteche hanno duplicato i<br />
film muti in bianco e nero, prendendo nota dei colori su documenti cartacei,<br />
e <strong>di</strong>struggendo le stampe originali dopo la duplicazione. Secondo Desmet e<br />
18 Restoration, eds Read and Meyer, p. 71.<br />
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