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MISCELLANEA 2005 2006.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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LICEO CLASSICO “ORAZIO”<br />

ROMA<br />

Miscellanea<br />

<strong>di</strong> Saggi e Ricerche<br />

FRANZA - D’AVINO - BOTTONI - CARINI<br />

CASTELLAN - FIERRO - JANKOWSKI - MAIONE<br />

PELLEGRINI - PERETTI - PESCETELLI - ROBUSTELLI<br />

a cura <strong>di</strong> Mario Carini<br />

N. 3<br />

ANNO SCOLASTICO<br />

<strong>2005</strong>-2006


Stampa: Tipolito Istituto Salesiano Pio XI<br />

Via Umbertide, 11 - 00181 Roma<br />

Tel. 06.7827819 - E-mail: tipolito@pcn.net<br />

Finito <strong>di</strong> stampare: Maggio 2007


INDICE<br />

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5<br />

SEZIONE DOCENTI<br />

ANNA PAOLA BOTTONI - GREGORIO FRANZA, Considerazioni sulla natura del regolamento<br />

<strong>di</strong>sciplinare degli studenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11<br />

GIUSEPPE D’AVINO, Il romanzo storico <strong>di</strong> Walter Scott e <strong>di</strong> Alessandro Manzoni . . . . . . . . . . 22<br />

GIUSEPPE D’AVINO, Il romanzo elegiaco <strong>di</strong> Carlo Cassola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35<br />

GIUSEPPE D’AVINO, Il regno <strong>di</strong> Naturalia e altri racconti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53<br />

ANNA PAOLA BOTTONI, Alcune riflessioni sulla <strong>di</strong>dattica orientativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63<br />

MARIO CARINI, Uno strumento <strong>di</strong> approccio allo stu<strong>di</strong>o della storia: il “questionariointervista”<br />

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71<br />

MARCO PESCETELLI, Scritto sull’acqua, riflessioni teoriche sul restauro dei film . . . . . . . . . . . 104<br />

ANNA MARIA ROBUSTELLI, Le sorelle <strong>di</strong> Shakespeare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117<br />

SEZIONE DIDATTICA<br />

(collaborazioni degli studenti)<br />

Licia Fierro, Introduzione al lavoro sulla Costituzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139<br />

La tra<strong>di</strong>zione del liberalismo italiano e la sua influenza sulla Costituzione italiana:<br />

Enrico De Nicola, progetto a cura della classe I B, coor<strong>di</strong>nato dalla prof.ssa<br />

Licia Fierro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142<br />

Conferenza del prof. Lucio Lanfranchi (rielaborata e trascritta dagli studenti) . . . . . . 152<br />

Un contributo significativo della sinistra alla stesura della Costituzione: la figura<br />

<strong>di</strong> Palmiro Togliatti, progetto a cura della classe II B, coor<strong>di</strong>nato dalla prof.ssa<br />

Licia Fierro, con la collaborazione della prof.ssa Paola Peretti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178<br />

Pensare e agire al femminile a Roma nel secondo dopoguerra (Progetto: Roma per<br />

vivere, Roma per pensare), a cura della classe III B, con la collaborazione della<br />

prof.ssa Licia Fierro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 250<br />

Progetto speciale “La scuola adotta un monumento”, anno scolastico <strong>2005</strong>-2006,<br />

a cura della prof.ssa Maria Paola Maione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 307


Miscellanea <strong>di</strong> matematica, a cura del prof. Maurizio Castellan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 334<br />

Progetto bullismo, a cura della prof.ssa Valentina Pellegrini e del Consiglio <strong>di</strong> Classe<br />

della I F . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 345<br />

Laboratorio teatrale 2006-2007 <strong>di</strong>retto dal prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski: ...Siamo fatti<br />

della stessa stoffa <strong>di</strong> cui son fatti i sogni (Antologia da Shakespeare) . . . . . . . . . . . 355<br />

L’ultimo sguardo cieco, racconto <strong>di</strong> Francesca Rubini (classe III L) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 379


INTRODUZIONE<br />

Il terzo volume della Miscellanea <strong>di</strong> Saggi e Ricerche, relativo all’anno scolastico<br />

<strong>2005</strong>-2006, si presenta con l’impianto già collaudato nel secondo volume,<br />

ossia la partizione in sezione docenti e sezione <strong>di</strong>dattica (collaborazioni degli studenti).<br />

Scorrendo l’in<strong>di</strong>ce si nota che la seconda sezione risulta più consistente sia<br />

rispetto allo scorso anno sia rispetto all’attuale sezione docenti. Il dato va interpretato<br />

come l’espressione del fatto che la nostra Miscellanea si va <strong>di</strong>ffondendo<br />

sempre più nell’ambito dell’istituto e vari colleghi ritengono utile questo volume<br />

come strumento <strong>di</strong> conoscenza e <strong>di</strong>ffusione dei lavori prodotti con le loro classi<br />

nell’ambito <strong>di</strong> percorsi progettuali o laboratoriali.<br />

I lavori accolti in questo volume fanno osservare che vi è stata, rispetto ai due<br />

precedenti, una mo<strong>di</strong>fica strutturale che coincide con un progressivo ampliamento<br />

degli orizzonti della Miscellanea. Mentre, infatti, il primo numero era rivolto in<br />

via esclusiva a raccogliere i lavori dei docenti, come segni <strong>di</strong> qualificato impegno<br />

culturale a fianco <strong>di</strong> quello <strong>di</strong>dattico, il secondo già rivela una trasformazione nel<br />

senso dell’apertura verso una <strong>di</strong>dattica attiva, con l’istituzione <strong>di</strong> una apposita<br />

sezione <strong>di</strong>dattica. Si è passati, infatti, dalla ricerca, intesa come produzione <strong>di</strong><br />

saggi e articoli dei singoli docenti, a testimonianza dei loro interessi culturali, alla<br />

ricerca-azione, intesa come ricerca nel suo aspetto <strong>di</strong>namico, che procede da una<br />

sinergica collaborazione tra docente e alunni. Espressione della ricerca-azione<br />

sono i numerosi lavori prodotti dagli allievi stessi, sotto la guida dei docenti, alcuni<br />

dei quali sono segni <strong>di</strong> una autonoma e creativa attività in<strong>di</strong>viduale.<br />

Quin<strong>di</strong> la Miscellanea con questo terzo volume si configura come uno spazio<br />

e<strong>di</strong>toriale in cui si congiungono armoniosamente i contributi prodotti esclusivamente<br />

dai docenti, i lavori che sono frutto della collaborazione tra docenti e alunni<br />

e gli apporti dei singoli alunni. È, questo, un risultato reso possibile non solo da<br />

un armonioso contemperarsi <strong>di</strong> teoria e prassi <strong>di</strong>dattica, ma anche dal sentimento<br />

<strong>di</strong> appartenenza comunitario che pervade sempre più tutti coloro che operano nel<br />

nostro istituto. E questa coscienza comunitaria la Miscellanea, così come le altre<br />

iniziative culturali del <strong>Liceo</strong> “<strong>Orazio</strong>”, intende riflettere nelle sue pagine, giunte<br />

con questo volume a quasi quattrocento.<br />

Il presente terzo volume raccoglie i seguenti lavori. La “Sezione docenti”<br />

si apre con un articolo del nuovo Dirigente Scolastico, il prof. Gregorio Franza,<br />

Considerazioni sulla natura del regolamento <strong>di</strong>sciplinare degli studenti, scritto in<br />

collaborazione con la prof.ssa Anna Paola Bottoni: in esso si mette in rilievo, in<br />

modo originale e significativo, come il regolamento scolastico, per la sua stessa<br />

natura formativa, possa <strong>di</strong>ventare uno strumento dalla forte valenza educativa e<br />

ricoprire un ruolo fondamentale nella crescita e nell’orientamento dell’alunno. Ad<br />

esso seguono due articoli <strong>di</strong> critica letteraria del prof. Giuseppe D’Avino, che pur<br />

–5–


avendo terminato la sua esperienza <strong>di</strong> Dirigente Scolastico nel <strong>Liceo</strong> “<strong>Orazio</strong>”<br />

continua a mettere generosamente a <strong>di</strong>sposizione dei docenti le risorse della sua<br />

esperienza, cultura e passione per la scuola, non più dall’ufficio della Presidenza<br />

ma dalle pagine della Miscellanea. Il primo articolo è Il romanzo storico <strong>di</strong> Walter<br />

Scott e <strong>di</strong> Alessandro Manzoni: in esso si delineano i caratteri essenziali del<br />

romanzo storico, attraverso un’analisi degli aspetti peculiari della narrativa <strong>di</strong><br />

Walter Scott e <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Alessandro Manzoni, condotta alla luce delle <strong>di</strong>fferenti<br />

concezioni della storia che riflettono entrambi. Nel secondo, Il romanzo elegiaco<br />

<strong>di</strong> Carlo Cassola, l’autore pone in rilievo il prevalente motivo della narrativa<br />

cassoliana, ossia l’analisi della psicologia femminile condotta in tutte le sue<br />

sfumature. A questi saggi egli ha aggiunto alcuni pregevoli racconti, che uniscono la<br />

profon<strong>di</strong>tà della riflessione sui temi dolorosi dell’esistenza a una delicata, crepuscolare<br />

sensibilità. Il lavoro successivo è un articolo della prof.ssa Anna Paola Bottoni,<br />

Alcune riflessioni sulla <strong>di</strong>dattica orientativa, nel quale presenta alcune osservazioni<br />

emerse dalla relazione dell’IRRSAE Piemonte sulla valenza orientativa delle <strong>di</strong>scipline,<br />

insieme con alcune in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> attuazione. Seguono il mio lavoro, Uno<br />

strumento <strong>di</strong> approccio allo stu<strong>di</strong>o della storia: il “questionario-intervista”, che<br />

prende in esame i ricor<strong>di</strong> e le testimonianze sulla seconda guerra mon<strong>di</strong>ale offerte<br />

dai nonni degli alunni, e l’articolo del prof. Marco Pescetelli, Scritto sull’acqua,<br />

riflessioni teoriche sul restauro dei film, un contributo alla riflessione sul problema<br />

della salvaguar<strong>di</strong>a del nostro patrimonio cinematografico, minacciato dalla facile<br />

deperibilità del materiale filmico. Conclude la sezione l’articolo della prof.ssa Anna<br />

Maria Robustelli, già docente del nostro istituto, Le sorelle <strong>di</strong> Shakespeare, nel<br />

quale l’autrice, rispondendo al quesito sull’inesistenza <strong>di</strong> una letteratura femminile<br />

inglese fino al Settecento, esamina la con<strong>di</strong>zione della donna dall’età elisabettiana,<br />

con l’ausilio <strong>di</strong> numerose testimonianze letterarie.<br />

La “Sezione <strong>di</strong>dattica (collaborazioni degli studenti)”, quest’anno assai nutrita,<br />

si apre anzitutto con i lavori svolti dagli alunni delle classi I e II B, coor<strong>di</strong>nati dalla<br />

prof.ssa Licia Fierro nell’ambito del progetto <strong>di</strong>dattico “La Costituzione repubblicana:<br />

il patrimonio degli italiani”, promosso dalla sezione romana della FNISM<br />

(Federazione Nazionale degli Insegnanti), in collaborazione con l’Archivio Centrale<br />

dello Stato, la <strong>di</strong>rezione generale degli Archivi e l’Imes, per celebrare il sessantesimo<br />

anniversario del referendum del 2 giugno 1946, che decise la vittoria della<br />

repubblica. Nel primo lavoro, La tra<strong>di</strong>zione del liberalismo italiano e la sua<br />

influenza sulla Costituzione italiana: Enrico De Nicola, gli studenti della classe I B,<br />

guidati dalla prof.ssa Fierro, hanno analizzato l’apporto dato alla costruzione <strong>di</strong><br />

un’Italia libera e democratica da una delle maggiori figure della cultura liberale<br />

italiana, Enrico de Nicola, che fu Capo provvisorio del nascente Stato repubblicano.<br />

Il lavoro contiene la conferenza del prof. Lucio Lanfranchi, rielaborata e trascritta<br />

dagli studenti. Il secondo lavoro, curato dalla classe II B con la guida della prof.ssa<br />

Fierro e la collaborazione della prof.ssa Peretti, è Un contributo significativo della<br />

–6–


sinistra alla stesura della Costituzione: la figura <strong>di</strong> Palmiro Togliatti: vi si esamina<br />

l’apporto dato dalla sinistra, e in particolare dal leader comunista Palmiro Togliatti,<br />

nell’ambito delle <strong>di</strong>scussioni sulla recezione dei Patti Lateranensi nell’or<strong>di</strong>namento<br />

costituzionale italiano. Segue un terzo lavoro, prodotto dagli studenti della classe<br />

III B, ancora sotto la guida della prof.ssa Fierro, per il progetto “Roma per vivere,<br />

Roma per pensare” (Pensare e agire al femminile a Roma nel secondo dopoguerra):<br />

si tratta <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>o sulle donne esponenti del pensiero filosofico del Novecento,<br />

quali Maria Zambrano e Hanna Arendt, impegnate nel promuovere la valorizzazione<br />

della identità femminile nella prospettiva <strong>di</strong> una concreta e solidaristica apertura<br />

agli altri. Il Progetto speciale “La scuola adotta un monumento”, anno scolastico<br />

<strong>2005</strong>-2006, a cura degli studenti delle classi 1ª, 2ª e 3ª C e 5ª M, coor<strong>di</strong>nati<br />

dalla prof.ssa Maria Paola Maione, ha visto la realizzazione <strong>di</strong> una ricerca, corredata<br />

da ampie testimonianze artistiche e letterarie, sulle Terme <strong>di</strong> Diocleziano e<br />

sulla Basilica <strong>di</strong> Santa Maria degli Angeli e dei Martiri in piazza della Repubblica.<br />

La Miscellanea <strong>di</strong> matematica, a cura del prof. Maurizio Castellan, è una raccolta <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrazioni svolte dagli studenti delle classi IV ginnasiali D e H (P.N.I.), come<br />

applicazioni della “pratica <strong>di</strong>mostrativa” estesa ai più vari ambiti della matematica.<br />

Il lavoro intitolato Progetto bullismo, a cura della prof.ssa Valentina Pellegrini e del<br />

Consiglio <strong>di</strong> Classe della I F, è nato dall’esigenza <strong>di</strong> riflettere su questo fenomeno,<br />

che le recenti cronache rendono assai attuale e che emerge in tutta la sua drammatica<br />

evidenza dalle interviste realizzate a docenti, genitori e alunni della classe I F<br />

sulle loro esperienze relative al bullismo. Nell’ambito del laboratorio teatrale 2006-<br />

2007 <strong>di</strong>retto dal prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski, si presenta il copione tratto da brani <strong>di</strong><br />

trage<strong>di</strong>e e comme<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Shakespeare ...Siamo fatti della stessa stoffa <strong>di</strong> cui son fatti<br />

i sogni (Antologia da Shakespeare), <strong>di</strong> cui il docente e regista sta curando l’allestimento<br />

per il consueto spettacolo <strong>di</strong> fine anno. Infine chiude la sezione il racconto<br />

L’ultimo sguardo cieco <strong>di</strong> Francesca Rubini, alunna della I F.<br />

Nel formulare l’auspicio che anche questo terzo volume possa riscuotere interesse<br />

e apprezzamento come i precedenti due, concludo esprimendo la mia riconoscenza<br />

sia al precedente Preside prof. D’Avino, che ha fortemente voluto la<br />

Miscellanea, sia al nuovo Preside prof. Franza, che, con spirito <strong>di</strong> apertura e sensibilità,<br />

ha riconosciuto la vali<strong>di</strong>tà dell’iniziativa e favorito la continuazione della<br />

pubblicazione, sia a tutti i Colleghi che con i loro contributi hanno permesso <strong>di</strong><br />

realizzare questo numero.<br />

Roma, 21 febbraio 2007 Mario Carini<br />

–7–


Sezione docenti


ANNA PAOLA BOTTONI - GREGORIO FRANZA 1<br />

Considerazioni sulla natura<br />

del regolamento <strong>di</strong>sciplinare degli studenti<br />

1. Le ragioni <strong>di</strong> un regolamento <strong>di</strong>sciplinare degli studenti. La nuova<br />

prospettiva pedagogica, affermatasi negli ultimi anni nel contesto politicoculturale<br />

ed educativo europeo, in<strong>di</strong>vidua nella formazione civile un progetto<br />

educativo <strong>di</strong> respiro complessivo che abbraccia e pervade l’intero curricolo<br />

ed è finalizzato alla formazione dell’Uomo nel quadro storico-culturale della<br />

nuova Europa unitaria.<br />

L’itinerario formativo che, nella sua complessiva estensione (aspetti <strong>di</strong>sciplinari<br />

e non dell’educazione), è volto a formare l’uomo e il citta<strong>di</strong>no,<br />

costituisce, infatti, l’intelaiatura <strong>di</strong> ogni azione <strong>di</strong>dattica. Esso si propone <strong>di</strong><br />

promuovere lo sviluppo della coscienza etico-civile dei citta<strong>di</strong>ni in formazione,<br />

una sorta <strong>di</strong> alfabetizzazione civica, e accompagnare il processo della<br />

loro socializzazione civico-politica. 2<br />

È in questo spazio educativo, rivolto alla conoscenza delle leggi che regolano<br />

la nostra società democratica e alla loro applicazione, che si inserisce<br />

la nostra riflessione sulla stesura del regolamento, quale espressione pragmatica<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni comportamentali (norme) che si sostanziano <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto.<br />

Nello scenario <strong>di</strong> una scuola sempre più documentaristica, espressione<br />

spesso <strong>di</strong> un’eccessiva tendenza a legittimare le ragioni e le modalità <strong>di</strong><br />

ogni iniziativa scolastica, porre l’attenzione sulla funzione e sui criteri <strong>di</strong><br />

elaborazione del regolamento scolastico può risultare, tuttavia, un’ulteriore<br />

(se non inutile) pratica <strong>di</strong> tipo burocratico e normativo.<br />

Va considerato, inoltre, che il regolamento scolastico, al pari <strong>di</strong> qualsiasi<br />

altro regolamento, è un atto formale in quanto sostanziato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto; esso,<br />

pertanto, in<strong>di</strong>vidua sanzioni e ne precisa la natura nel rispetto delle leggi,<br />

stabilendo una gerarchia e una gradualità. L’aspetto prescrittivo, esplicitato<br />

soprattutto in una serie <strong>di</strong> <strong>di</strong>vieti, e quello sanzionatorio rischiano <strong>di</strong> essere<br />

interpretati come modelli educativi superati, manifestazione <strong>di</strong> una realtà<br />

scolastica <strong>di</strong> tipo autoritario e gerarchico, ormai anacronistica.<br />

1 Dirigente Scolastico del <strong>Liceo</strong> “<strong>Orazio</strong>” dall’anno 2006-2007.<br />

2 Cfr. Emilio Lastrucci, La nuova scuola delle due riforme, Anicia, Roma <strong>2005</strong>, pp. 83 e 91.<br />

–11–


Di fatto, il regolamento scolastico, per la sua stessa natura formativa, può<br />

<strong>di</strong>ventare uno strumento dalla forte valenza educativa e ricoprire un ruolo<br />

fondamentale nella crescita e nell’orientamento dell’alunno. Va precisato,<br />

infatti, che il momento formativo e quello dell’orientamento devono essere<br />

considerati come fenomeni interrelati fra loro: ogni processo formativo determina<br />

orientamenti nuovi; orientarsi è in nuce il processo formativo stesso.<br />

La finalità educativa alla base della stesura <strong>di</strong> un regolamento scolastico è<br />

quella <strong>di</strong> far maturare “la coscienza in<strong>di</strong>viduale oltre l’in<strong>di</strong>vidualità”, per usare<br />

un’espressione <strong>di</strong> Morin, 3 orientando e impegnando la crescita dell’in<strong>di</strong>viduo<br />

nella costruzione <strong>di</strong> relazioni responsabili, improntate al principio del rispetto.<br />

Il regolamento affronta, così, il complesso problema dell’imparare e<br />

insegnare a vivere insieme, ossia interpreta la <strong>di</strong>mensione della socializzazione<br />

non come abitu<strong>di</strong>ne a stare insieme ma come possibilità <strong>di</strong> vivere la<br />

democrazia con il suo pluralismo, in cui i contrasti, le decisioni, il rispetto<br />

delle regole, la solidarietà sono saldamente impiantate nell’etica della responsabilità.<br />

Ed è proprio lo sviluppo della <strong>di</strong>mensione etica nell’agire scolastico<br />

che ci spinge ad avvalorare la stesura del regolamento in quanto<br />

strumento significativo della progettualità educativa, perché capace <strong>di</strong> promuovere<br />

l’assunzione <strong>di</strong> atteggiamenti e scelte responsabili, proiettando<br />

l’acquisizione della <strong>di</strong>mensione sociale verso l’accoglienza dell’altro, verso<br />

quella che potrebbe definirsi la “morale dell’ospitalità”.<br />

Sempre per citare Morin, “una società-mondo più equilibrata e giusta<br />

sarà possibile solo se l’etica tornerà al centro delle nostre preoccupazioni,<br />

tanto sul piano personale che su quello collettivo. L’etica, infatti alimenta i<br />

concetti <strong>di</strong> responsabilità e solidarietà”.<br />

Nell’ottica solidaristica, educare a vivere con gli altri significa insegnare<br />

e imparare a vivere nella prospettiva dell’alterità, superando gradualmente<br />

soggettivismi e in<strong>di</strong>vidualismi, per citare una nota espressione del filosofo<br />

Kant, “agire per gli altri come noi vorremmo che gli altri agissero nei nostri<br />

confronti”. Occorre, infatti, riconoscere l’altro come portatore <strong>di</strong> valori, <strong>di</strong><br />

idee, sentimenti, comprendendo le motivazioni e gli atteggiamenti dell’altro.<br />

Scrive Fernando Savater nel suo saggio Etica per un figlio: “il principio<br />

fondamentale della vita autentica è trattare le persone da persone, e cioè:<br />

essere capaci <strong>di</strong> metterci al posto dei nostri simili e <strong>di</strong> relativizzare i nostri<br />

interessi per armonizzarli con i loro. Questa virtù si chiama giustizia”. 4<br />

3 Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano.<br />

4 Fernando Savater, Etica per un figlio, Laterza, Roma-Bari 2003 6 , p. 103.<br />

–12–


Il regolamento, infatti, non è costruito solo sull’applicazione del <strong>di</strong>ritto<br />

ma si sostanzia sull’attenzione alla presenza dell’altro, sulla <strong>di</strong>sponibilità<br />

all’incontro, sull’apertura, in ultima analisi, alla realtà umana stessa. Esso<br />

offre, in ultima analisi, l’opportunità <strong>di</strong> raggiungere quelle mete educative<br />

che – secondo l’architettura educativa poggiante sui quattro pilastri in<strong>di</strong>cati<br />

da Jaques Delors – rientrano essenzialmente nei domini del saper essere e<br />

del saper vivere con gli altri. 5<br />

Le stesse regole sono costruite e prendono vita dai contesti quoti<strong>di</strong>ani,<br />

anche i più informali, nella <strong>di</strong>fficile me<strong>di</strong>azione che scaturisce dal <strong>di</strong>alogo e<br />

dal rapporto con tutte le componenti della scuola. È proprio l’aspetto <strong>di</strong>alogico<br />

uno degli elementi costitutivi del regolamento; esso si configura come<br />

“l’interfaccia dell’organizzazione interna rispetto alle scelte del POF”, 6<br />

dove per interfaccia inten<strong>di</strong>amo la possibilità <strong>di</strong> interconnettere due o più<br />

realtà, stabilendo punti comuni <strong>di</strong> incontro su un confine con<strong>di</strong>viso.<br />

È possibile stabilire un <strong>di</strong>alogo operativo e collaborativo con gli studenti<br />

solo se si fissano chiare regole in grado <strong>di</strong> rendere possibile il confronto,<br />

riducendo il rischio <strong>di</strong> soggettivismi arbitrari, improntati ad autoritarismi o<br />

facili permissivismi. Lo studente che riven<strong>di</strong>ca i propri <strong>di</strong>ritti è lo studente che<br />

riconosce i propri doveri e rispetta il regolamento, inteso come l’accettazione<br />

dei principi ispiratori del l’applicazione del <strong>di</strong>ritto nell’ambito scolastico.<br />

È nel riconoscimento e nella con<strong>di</strong>visione delle regole che si in<strong>di</strong>viduano<br />

i punti <strong>di</strong> incontro su cui costruire il <strong>di</strong>alogo educativo, fornendo, così, la<br />

possibilità <strong>di</strong> realizzare un modello <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong>dattica fondato su un<br />

complesso sistema <strong>di</strong> equilibri fra componenti eterogenee che decidono <strong>di</strong><br />

“interfacciare”, <strong>di</strong> aprirsi al confronto <strong>di</strong>alettico, espressione <strong>di</strong> ogni società<br />

democratica.<br />

Il regolamento, quin<strong>di</strong>, nella sua forte connotazione educativa, intesa<br />

come trasmissione e acquisizione <strong>di</strong> valori, nella sua possibilità <strong>di</strong>alogica<br />

consente la maturazione del singolo, avviandolo ad aprirsi a realtà <strong>di</strong>verse<br />

dalla propria e ad accompagnarlo nella scoperta della propria identità<br />

sociale, svolgendo così pienamente uno dei compiti dell’orientamento.<br />

Le regole si impongono, quin<strong>di</strong>, come supporto necessario alla crescita<br />

personale e all’acquisizione <strong>di</strong> atteggiamenti responsabili capaci <strong>di</strong> motivare<br />

e orientare in modo consapevole le scelte degli alunni, ponendoli <strong>di</strong> fronte a<br />

5 Jacques Delors, Nell’educazione un tesoro, ed. it., Armando, Roma 2000.<br />

6 Vd. Gregorio Franza, intr. al POF del <strong>Liceo</strong> Classico “Amal<strong>di</strong>” <strong>di</strong> Roma, anno scolastico<br />

2004-<strong>2005</strong>.<br />

–13–


possibilità concrete piuttosto che a velleitarie aspirazioni e smodate ambizioni,<br />

espressione <strong>di</strong> una società che vede nel superamento della “cultura del<br />

limite” (e le norme hanno un aspetto limitante) l’affermazione del singolo.<br />

La complessa fenomenologia dell’adolescenza non può essere considerata<br />

solo come un periodo iniziatico, ma come una stagione della vita in cui<br />

la scoperta <strong>di</strong> sé è ostacolata, spesso, dalla mancata percezione e accettazione<br />

dei propri limiti. Gli atteggiamenti provocatori e <strong>di</strong> aperto conflitto nei<br />

confronti <strong>di</strong> adulti, soprattutto se investiti del ruolo <strong>di</strong> educatori, esprimono<br />

insofferenza verso qualsiasi forma <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio ma al tempo stesso palesano<br />

la richiesta <strong>di</strong> modelli referenziali e linee guida comportamentali oggettive<br />

e razionali (norme), capaci <strong>di</strong> porre or<strong>di</strong>ne nelle loro esperienze sregolate e<br />

spesso autolesive.<br />

È superfluo, al riguardo, fare riferimento alla vasta letteratura sui “no<br />

che aiutano a crescere”. Essa, però, se ben manifesta la necessità delle<br />

regole, quali punti <strong>di</strong> riferimento e linee guida <strong>di</strong> formazione in<strong>di</strong>viduale per<br />

lo sviluppo della <strong>di</strong>mensione sociale, intesa come il rapporto del singolo all’interno<br />

della comunità, non evidenzia, tuttavia, un altro aspetto peculiare <strong>di</strong><br />

una società multiculturale e democratica che è quello dell’etica solidaristica.<br />

Concludendo, possiamo dunque affermare che aspetto connotativo del<br />

regolamento (ed è qui tutta la pregnanza della sua “sfida educativa”) è<br />

quello <strong>di</strong> rivestire una funzionalità ambivalente: modello organizzativo e<br />

strumento educativo. L’aspetto giuri<strong>di</strong>co e quello educativo sono imprescin<strong>di</strong>bilmente<br />

interconnessi fra loro. Già da un’attenta riflessione sul significato<br />

della regola stessa in ambito giuri<strong>di</strong>co ne compren<strong>di</strong>amo la finalità<br />

etica. Secondo l’affermazione del giurista Paolo (“ex iure quod est, regula<br />

fiat”) la regola nasce dal <strong>di</strong>ritto vigente e non viceversa; essa si configura<br />

quale textus legis e va considerata come norma <strong>di</strong> legge, quale espressione<br />

dell’interesse generale tradotto dal legislatore nelle forme dell’or<strong>di</strong>namento<br />

giuri<strong>di</strong>co. Essa in<strong>di</strong>ca e guida il comportamento dei singoli, conformemente<br />

al <strong>di</strong>ritto e non in sostituzione <strong>di</strong> esso, in modo che esso non contrasti con<br />

l’interesse generale della collettività, come scrive, attraverso una similitu<strong>di</strong>ne<br />

significativa, il filosofo Francesco Bacone “Regula enim legem (ut<br />

acus nautica polos) in<strong>di</strong>cat, non statuit”. Non è la regola a creare la legge<br />

(nessuna regola può istituire una legge ex novo) ma è la regola il riflesso <strong>di</strong><br />

leggi preesistenti (ossia essa deve ispirarsi a norme costituite o a costumanze,<br />

tra<strong>di</strong>zioni, usi): essa in<strong>di</strong>ca il comportamento legittimo, ossia conforme<br />

alla legge (ma anche a un co<strong>di</strong>ce etico), così come l’ago della bussola in<strong>di</strong>ca<br />

il polo.<br />

–14–


La redazione del regolamento è un compito educativo e formativo a<br />

cui la scuola è chiamata a rispondere: la vita scolastica non ha come fine<br />

l’or<strong>di</strong>ne, ma l’esigenza <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne si fonda sul <strong>di</strong>ritto piuttosto che su formali<br />

autoritarismi. Il regolamento, dunque, in quanto strumento giuri<strong>di</strong>co svolge<br />

la sua funzione educativa e <strong>di</strong> orientamento, il suo ruolo <strong>di</strong> “bussola”, per<br />

riprendere la citazione <strong>di</strong> Bacone, capace <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care la <strong>di</strong>rezione dell’agire<br />

moralmente corretto in un ambiente esterno privo <strong>di</strong> solide convinzioni<br />

etiche.<br />

Parafrasando il pensiero <strong>di</strong> Platone espresso nelle Leggi (“il compito del<br />

legislatore è quello <strong>di</strong> essere educatore”), potremmo affermare che un vero<br />

educatore non può non essere anche legislatore. Esemplificativo è il paragone,<br />

sempre desunto dall’opera platonica, fra il cattivo legislatore e il<br />

me<strong>di</strong>co frettoloso. Il me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> schiavi passa in fretta da un malato all’altro<br />

e, senza addurre ragioni, senza fare esami esaurienti, prescrive, brusco e<br />

autoritario, secondo quello che sa e che è abituato a fare per tra<strong>di</strong>zione altrui<br />

o per propria esperienza. Non è <strong>di</strong>fficile scorgervi, trasferendo il passo in<br />

ambito scolastico, certe prassi formative e <strong>di</strong>dattiche. Troppo spesso l’agire<br />

scolastico non è legittimato da adeguate spiegazioni (dai voti <strong>di</strong> profitto, ad<br />

esempio, alle misure sanzionatorie non chiaramente motivate): <strong>di</strong> fronte a<br />

<strong>di</strong>fferenti contesti ambientali e situazionali, si applicano e si ripropongono i<br />

medesimi stereotipi determinati dall’abitu<strong>di</strong>ne e facilitati dalla ripetizione.<br />

Il legislatore, invece, inteso nel senso più alto, sempre secondo Platone, è<br />

paragonato al me<strong>di</strong>co dei citta<strong>di</strong>ni liberi che si mette a parlare con il malato<br />

come con uno scolaro a cui si spiega la causa <strong>di</strong> ogni fenomeno. Chi non è<br />

vero me<strong>di</strong>co non è educatore: il legislatore è quin<strong>di</strong> l’educatore dei citta<strong>di</strong>ni,<br />

secondo Platone, e, invertendo i termini della similitu<strong>di</strong>ne, possiamo<br />

aggiungere che il vero educatore è anche legislatore.<br />

Un’altra riflessione interessante fornitaci dal testo platonico e adatta a<br />

chiarire la funzione del regolamento è quella riguardante l’attività del legislatore,<br />

il cui compito non è quello <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>care azioni prodotte contro il<br />

<strong>di</strong>ritto, ma vegliare a che tali azioni non si producano. Non si educa, certamente,<br />

con il regolamento alla mano, ma esso, secondo le modalità con cui<br />

si usa, può <strong>di</strong>ventare uno strumento <strong>di</strong> prevenzione, favorendo la conoscenza<br />

dell’ “agire etico”, ossia l’acquisizione <strong>di</strong> comportamenti ispirati a<br />

correttezza. Le azioni non risultano, così, fondate sul “tu devi” imposto dall’esterno<br />

e sentito come proibizione o sanzione, ma sul “tu puoi”, scaturito<br />

dal convincimento personale. Potremmo <strong>di</strong>re, facendo sempre riferimento<br />

alla civiltà greca, che il regolamento è una sorta <strong>di</strong> “<strong>di</strong>eta”, <strong>di</strong> modus<br />

–15–


viven<strong>di</strong>, ossia quel regime <strong>di</strong> vita che la scienza me<strong>di</strong>ca greca prescriveva<br />

per l’uomo sano piuttosto che per quello malato.<br />

Ripren<strong>di</strong>amo, così, un concetto già espresso: il regolamento non nasce<br />

con finalità sanzionatorie ma educativo-formative e come tale, dunque, non<br />

in<strong>di</strong>vidua nello studente da punire un destinatario esclusivo ma si rivolge, al<br />

pari <strong>di</strong> ogni altro strumento proprio <strong>di</strong> un itinerario <strong>di</strong> formazione, a tutti gli<br />

studenti. Essi, infatti, non rivestono nei confronti del regolamento il ruolo<br />

passivo <strong>di</strong> chi, senza alternativa, si sottopone alle regole, ma quello <strong>di</strong> protagonisti,<br />

ossia soggetti attivi giuri<strong>di</strong>camente e presenti. Gli studenti sono<br />

resi partecipi <strong>di</strong> tutte le fasi <strong>di</strong> stesura del regolamento: dall’in<strong>di</strong>viduazione,<br />

definizione e con<strong>di</strong>visione consapevole dei principi ispiratori, quali presupposti<br />

al regolamento stesso, all’accettazione delle decisioni, anche in<br />

termini <strong>di</strong> sanzione che la norma comporta. È tale partecipazione che determina<br />

una delle basi della legittimità del <strong>di</strong>ritto. Le norme che scan<strong>di</strong>scono<br />

la vita scolastica, in quanto ra<strong>di</strong>cate e sostanziate <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, <strong>di</strong>ventano<br />

espressione, così, della realtà della vita comunitaria all’interno <strong>di</strong> una<br />

societas improntata ai valori democratici. Il regolamento è dunque in grado<br />

<strong>di</strong> integrare due <strong>di</strong>mensioni: la regolamentazione formale della comunità<br />

educativa da una parte e l’appren<strong>di</strong>mento della citta<strong>di</strong>nanza dall’altra.<br />

2. Gli obiettivi del regolamento. Da quanto esposto possiamo evidenziare,<br />

nella redazione del regolamento, come prioritari, i seguenti obiettivi finalizzati<br />

all’acquisizione <strong>di</strong> una formazione civile, in una prospettiva pragmatica tesa a<br />

sviluppare comportamenti conformi a un sistema <strong>di</strong> valori assiologici.<br />

1. L’iniziazione allo spazio politico. Anche se lo studente è un minore e<br />

non gode dei <strong>di</strong>ritti politici, esso può farsi un’idea <strong>di</strong> ciò che rappresenta lo<br />

spazio politico attraverso i fondamenti dell’azione collettiva, i suoi obblighi<br />

e doveri, i vantaggi e gli inconvenienti. Prende avvio, così, quella che viene<br />

definita alfabetizzazione civica, che pone il suo fulcro nell’educazione del<br />

citta<strong>di</strong>no attivo e solidale. La partecipazione alla vita democratica della<br />

scuola può <strong>di</strong>ventare, così, lo spazio in cui sperimentare l’appartenenza ad<br />

una communitas, luogo in cui non si scopre solo la <strong>di</strong>mensione dell’alterità<br />

ma anche quella del sé, attraverso il confronto <strong>di</strong>alettico. “Il sentimento<br />

dell’io si sviluppa pienamente solo quando gli si contrappone un tu” così<br />

scrive il Pohlenz a proposito della nascita della polis nell’antica Grecia. 7 Gli<br />

7 Vd. Max Pohlenz, L’uomo greco, trad. <strong>di</strong> Beniamino Proto, La Nuova Italia, Firenze 1986,<br />

rist., p. 185.<br />

–16–


studenti, inoltre, percependo la responsabilità delle decisioni e dei vincoli<br />

della comunità scolastica, si rendono conto della necessità della legge.<br />

2. La scoperta della citta<strong>di</strong>nanza. Attraverso l’in<strong>di</strong>viduazione dei <strong>di</strong>ritti<br />

e dei doveri, il regolamento contribuisce in maniera notevole alla scoperta<br />

dei principi della citta<strong>di</strong>nanza. Quando i principi della scuola sono ispirati e<br />

strettamente legati a quelli della Repubblica lo studente in quanto tale è già<br />

un citta<strong>di</strong>no. Il regolamento <strong>di</strong>venta, così, espressione significativa, nella<br />

sua concretezza, del progetto <strong>di</strong> formazione globale de<strong>di</strong>cato all’ educazione<br />

alla citta<strong>di</strong>nanza.<br />

3. La ricerca <strong>di</strong> una corrispondenza tra la legge della scuola e la<br />

“legge della Città”, ossia della società che circonda e vive, al tempo stesso,<br />

nella scuola. L’applicazione quoti<strong>di</strong>ana del regolamento è una pratica della<br />

citta<strong>di</strong>nanza. Ciò permette <strong>di</strong> apprendere la legge e <strong>di</strong> conoscerne le sanzioni.<br />

Il regolamento <strong>di</strong>venta un oggetto <strong>di</strong> grande valore simbolico che si<br />

impone alla comunità scolastica, anzi esso stesso riveste la funzione <strong>di</strong> simbolo,<br />

secondo l’etimologia greca del termine (symbolon). Il symballein<br />

(verbo greco da cui deriva il nome symbolon) significa “legare insieme”<br />

(lett. syn-ballein). Il “simbolo” nel mondo greco era un oggetto <strong>di</strong> varia natura,<br />

ad esempio una tessera d’avorio, che denotava l’ospitalità fra famiglia<br />

e famiglia: spezzato in due consentiva ai portatori delle singole parti <strong>di</strong> riconoscersi<br />

come membri appartenenti alla stessa comunità. In analogia con<br />

il symbolon dei Greci il regolamento esprime, dunque, un duplice valore<br />

simbolico. È segno <strong>di</strong> riconoscimento e appartenenza ad una comunità<br />

scolastica dal momento che modella le norme sul contesto ambientale; ma<br />

è anche segno <strong>di</strong> riconoscimento e appartenenza ad una communitas dai<br />

confini più ampi, perché si sostanzia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto.<br />

3. La natura della sanzione. Il regolamento consente allo studente <strong>di</strong><br />

fare esperienza <strong>di</strong>retta della legge, in tutti i suoi aspetti prescrittivi e sanzionatori.<br />

“Durum hoc est sed ita lex scripta est”, leggiamo nel Digesto, 8<br />

perché la natura della legge non può che essere severa e austera nel suo<br />

rigore.<br />

Anche la sanzione, non<strong>di</strong>meno però, partecipa del <strong>di</strong>ritto e dell’educazione.<br />

Essa comunica allo studente l’intangibilità della regola. Dopo il<br />

<strong>di</strong>alogo e le rimostranze, l’unica risorsa educativa risiede nella sanzione,<br />

che lo studente comprende e aspetta come inevitabile conseguenza.<br />

8 Ulpiano 40,9,12,1.<br />

–17–


La sanzione è costruttiva e cancella la colpa. Per agire in tal modo però<br />

la sanzione deve mantenere alcuni caratteri propri:<br />

1. la natura simbolica. La sanzione è il supporto simbolico (il segno)<br />

che serve a richiamare lo studente alle regole che la comunità educativa<br />

si è data. La ricerca dell’analogia tra la mancanza e la sanzione è<br />

inutile e vana, sommaria e non sempre praticabile;<br />

2. la giustizia. La sanzione ha una sua reale portata se è giusta, proporzionata<br />

alla violazione, compresa dallo studente e se interviene in un<br />

contesto e in un clima psicologico privo <strong>di</strong> ogni colorazione aggressiva;<br />

3. il rispetto e la fiducia. Come nella sanzione positiva (la ricompensa,<br />

l’incoraggiamento, ecc.) la sanzione punitiva deve prendere le <strong>di</strong>stanze<br />

dal comportamento oggetto <strong>di</strong> valutazione. Punire ha un senso<br />

educativo solo se lo studente riconosce come legittima la persona<br />

che lo sanziona. Non vi è una buona sanzione senza tolleranza e<br />

rispetto reciproco.<br />

Lo Statuto delle studentesse e degli studenti introduce per la prima<br />

volta un nuovo tipo <strong>di</strong> sanzione, alternativa alla sospensione. Si tratta <strong>di</strong><br />

“attività in favore della comunità scolastica”. Si favorisce, in questo modo,<br />

la prospettiva solidaristica, fondamento dell’agire etico <strong>di</strong> una collettività<br />

permeata nei valori dell’uguaglianza e dell’aiuto reciproco, attraverso l’assunzione<br />

<strong>di</strong> un impegno personale vissuto come servizio. È vero che questi<br />

lavori “socialmente utili” non sono imposti e che è lo studente a chiedere <strong>di</strong><br />

convertire la sanzione in attività in favore della comunità scolastica. La<br />

pena alternativa deve essere il frutto <strong>di</strong> un serio impegno critico da parte dei<br />

responsabili della stesura del regolamento, in modo che comunque essa<br />

mantenga la natura e i caratteri della sanzione.<br />

Lo Statuto lascia alla responsabilità delle scuole la costituzione dell’organo<br />

<strong>di</strong>sciplinare giu<strong>di</strong>cante. C’è la possibilità che si preferisca farlo coincidere<br />

con il Consiglio <strong>di</strong> classe. Il Consiglio <strong>di</strong> classe è utile per <strong>di</strong>scutere<br />

le motivazioni, le con<strong>di</strong>zioni nelle quali si è prodotta l’azione lesiva delle<br />

regole della scuola, serve certamente a istruire il caso dello studente. Ma<br />

anche se permette <strong>di</strong> accedere a una visione più approfon<strong>di</strong>ta delle motivazioni<br />

e del contesto comportamentale (situazione sociale, famigliare,<br />

precedenti, ecc.), può <strong>di</strong>ventare una pessima soluzione se viene utilizzato<br />

per eludere la decisione o l’applicazione della sanzione. Si potrebbe scegliere<br />

la strada della costituzione <strong>di</strong> un Consiglio <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina (o qualsiasi<br />

altro organismo collegiale non coincidente con il Consiglio <strong>di</strong> classe),<br />

almeno per i casi <strong>di</strong> particolare gravità: è un’antica istituzione, che non ha<br />

–18–


mai avuto buona fama almeno nell’immaginario collettivo. Ma la riforma <strong>di</strong><br />

questo Istituto è opportunamente affidata dallo Statuto al regolamento delle<br />

scuole, che potrebbero dare ad esso una forma e una modalità <strong>di</strong> funzionamento<br />

più adeguate allo scopo.<br />

Il Consiglio <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina dovrebbe <strong>di</strong>ventare nello spirito, nelle finalità<br />

e nel metodo, un’istanza <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto che tende soprattutto a proteggere gli<br />

equilibri della comunità educativa e gli interessi degli alunni. L’alunno deve<br />

essere giu<strong>di</strong>cato secondo criteri <strong>di</strong> massima trasparenza da una commissione<br />

rappresentativa davanti alla quale può <strong>di</strong>fendersi ed essere assistito.<br />

La sospensione dalle lezioni non gli fa perdere il beneficio della scolarità<br />

(“nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> allontanamento deve essere previsto, per quanto possibile,<br />

un rapporto con lo studente e con i suoi genitori tale da preparare il rientro<br />

nella comunità scolastica”). E può presentare appello ad una istanza superiore<br />

(“Commissione <strong>di</strong> garanzia”). L’inconveniente del Consiglio <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina<br />

potrebbe risiedere nella eccessiva proceduralizzazione del suo funzionamento<br />

e, <strong>di</strong> conseguenza, nell’eventuale annullamento delle decisioni per<br />

vizio <strong>di</strong> forma. Ma è la regola democratica. La delibera dell’organo <strong>di</strong>sciplinare<br />

<strong>di</strong>venta il solo modo legale <strong>di</strong> escludere uno studente dalla scuola.<br />

Aggirare questo ostacolo con altre pratiche più <strong>di</strong>rette e sicure sotto il profilo<br />

della tempestività e “a prova <strong>di</strong> ricorso” sarebbe illegittimo e poco produttivo<br />

per l’alunno e per la stessa comunità scolastica. Nei casi <strong>di</strong> gravi e<br />

ripetute infrazioni, è educativo che lo studente vada incontro ad una istanza<br />

giuri<strong>di</strong>ca formalizzata.<br />

4. La stesura del regolamento. La traduzione del DPR del 29 maggio 1998<br />

(Statuto delle studentesse e degli studenti) in un concreto regolamento <strong>di</strong>sciplinare<br />

degli alunni presenta notevoli <strong>di</strong>fficoltà, soprattutto perché la legge<br />

si ispira a una visione piuttosto astratta delle con<strong>di</strong>zioni nelle quali si svolge<br />

la vita scolastica.<br />

Stante questo limite, è consigliabile operare in questo modo:<br />

1. elaborare, in sede <strong>di</strong> Consiglio <strong>di</strong> istituto, un regolamento provvisorio,<br />

molto essenziale e in grado <strong>di</strong> supplire alle carenze del temporaneo<br />

vuoto normativo;<br />

2. costituire una commissione mista (insegnanti, studenti, genitori) che<br />

lavori alla stesura <strong>di</strong> un regolamento completo da sottoporre – entro<br />

la fine dell’anno scolastico – all’approvazione del Consiglio <strong>di</strong><br />

Istituto previa consultazione del Collegio Docenti e dei comitati dei<br />

genitori e degli studenti, ove esistenti e funzionanti;<br />

–19–


3. consigliare al Collegio Docenti l’inserimento nel regolamento interno<br />

<strong>di</strong> un co<strong>di</strong>ce deontologico dei docenti che tenga conto sia contenuti<br />

dell’art. 1 del DPR (<strong>di</strong>ritti degli studenti), sia del co<strong>di</strong>ce dei<br />

pubblici <strong>di</strong>pendenti allegato al CCNL.<br />

Inoltre l’adozione e l’aggiornamento continuo del regolamento impone<br />

ai responsabili della scuola l’acquisizione <strong>di</strong> competenze specifiche legate<br />

alla gestione del confronto, alla me<strong>di</strong>azione, al lavoro <strong>di</strong> gruppo, all’organizzazione<br />

delle riunioni e ai processi decisionali.<br />

Premesso che il DPR si applica solo alla scuola secondaria (per la<br />

scuola elementare la <strong>di</strong>sciplina precedente viene del tutto abrogata), la commissione<br />

dovrà tener conto <strong>di</strong> alcuni elementi <strong>di</strong> novità rispetto al sistema<br />

precedente:<br />

• la scuola definisce autonomamente i doveri degli studenti (sulla base<br />

<strong>di</strong> quelli in<strong>di</strong>cati genericamente dall’art. 3 del DPR). È abrogato il<br />

titolo III del Regio Decreto 4 maggio 1925, n. 653;<br />

• sono abolite tutte le sanzioni che prevedono l’allontanamento dalle<br />

lezioni per più <strong>di</strong> 15 giorni, compresa ovviamente l’espulsione (nella<br />

precedente normativa la competenza era della Giunta);<br />

• le sanzioni non possono influire <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente sul<br />

profitto (impossibile l’esclusione dallo scrutinio finale e la conseguente<br />

bocciatura);<br />

• le sanzioni (non sospensive) debbono – se lo studente lo richiede –<br />

essere commutate in attività “in favore della scuola”;<br />

• il regolamento deve prevedere un organismo collegiale (il Consiglio<br />

<strong>di</strong> classe) per tutte le sanzioni sospensive. Il preside perde il potere<br />

<strong>di</strong> irrogare le sanzioni fino a 5 giorni <strong>di</strong> sospensione;<br />

• a questo organismo se ne deve aggiungere un altro come istanza <strong>di</strong><br />

appello (anche ai fini <strong>di</strong> <strong>di</strong>rimere i conflitti interpretativi del regolamento<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina).<br />

Per completezza va detto che il voto <strong>di</strong> condotta rimane, anche se il “7”<br />

non ha più effetti sulla carriera scolastica dello studente.<br />

Per la stesura del regolamento è consigliabile non cedere su questi<br />

punti:<br />

1. il co<strong>di</strong>ce penale va rispettato. Ogni violazione alla legge penale va<br />

denunciata dal <strong>di</strong>rigente. La scuola non gode del privilegio dell’extraterritorialità.<br />

Nella scuola non deve mai prevalere il principio che<br />

“i panni sporchi si lavano in casa”;<br />

–20–


2. la riparazione del danno non estingue il reato. Se il DPR afferma il<br />

principio della riparazione, non va <strong>di</strong>menticato che tale riparazione<br />

non estingue la violazione della norma <strong>di</strong>sciplinare. Lo studente<br />

viene ugualmente “processato” per mancanza a quel suo specifico<br />

dovere. I processi e le sanzioni <strong>di</strong>sciplinari devono avere la massima<br />

pubblicità. Solo in questo modo il co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong>sciplinare funziona da<br />

linea guida per tutti.<br />

In precedenza abbiamo esposto alcune osservazioni sulla stesura del<br />

regolamento: si tratta solo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni orientative che evidenziano l’importanza<br />

<strong>di</strong> uno strumento <strong>di</strong>dattico e formativo qual è il regolamento.<br />

Riguardo all’aspetto formativo in<strong>di</strong>viduiamo nel regolamento anche uno<br />

strumento normativo per combattere la <strong>di</strong>spersione scolastica: esso si propone,<br />

infatti, <strong>di</strong> promuovere e sostenere un positivo inserimento e un’attiva<br />

partecipazione alla vita sociale e civile ai soggetti con <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> integrazione<br />

o <strong>di</strong>sadattamento scolastico.<br />

La redazione <strong>di</strong> un documento normativo, come il regolamento, non<br />

deve indulgere a sommarietà o pressappochismo né a formalismi inutili, ma<br />

richiede una compilazione necessariamente minuziosa, senza lasciare né<br />

vuoti giuri<strong>di</strong>ci né dare luogo a interpretazioni e contestazioni.<br />

Come abbiamo già espresso, non si educa con il regolamento alla mano<br />

ma è attraverso <strong>di</strong> esso che possiamo realizzare quel processo formativo <strong>di</strong><br />

crescita e <strong>di</strong> maturazione dell’in<strong>di</strong>viduo come persona e come citta<strong>di</strong>no.<br />

È ben noto che ogni azione <strong>di</strong>dattica acquisisce efficacia e rilievo solo<br />

se esemplata dall’azione del docente: come leggiamo nel saggio <strong>di</strong> Falcone<br />

e Marchese, “gli aspetti imitativi sono un elemento importantissimo nell’educazione.<br />

Da questo <strong>di</strong>scende l’importanza che la correttezza degli atti e<br />

dei comportamenti dell’insegnante e dell’istituzione ha nel determinare i<br />

comportamenti degli alunni”. 9<br />

Alla fine, riba<strong>di</strong>amo, dunque, che non esiste effettività del co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong>sciplinare,<br />

se gli adulti presenti nella scuola non sanno rispettare il loro regolamento,<br />

che sia implicito o (meglio) formalizzato.<br />

9 Maria Falcone - Giovanni Marchese, Io e tu: la società. Educazione alla legalità e alla<br />

convivenza civile, Carocci Faber, Roma 2004, p. 12.<br />

–21–


GIUSEPPE D’AVINO 1<br />

Il romanzo storico<br />

<strong>di</strong> Walter Scott e <strong>di</strong> Alessandro Manzoni<br />

Prima <strong>di</strong> affrontare l’argomento centrale del tema è opportuno chiarire<br />

che, pur con le connotazioni specifiche ed originali che lo <strong>di</strong>stinguono, il<br />

romanzo storico appartiene <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, e vi rimane, all’ambito del genere<br />

letterario proprio del romanzo. Non viene a costituire, cioé, un genere a sé,<br />

se non nella specificità impressale dal carattere storico.<br />

Il motivo fondamentale che giustifica questa affermazione non è solo<br />

il fatto che la tecnica <strong>di</strong> cui il romanzo storico fa uso è quella propria del<br />

romanzo, ma la convinzione che il romanzo in genere, incluso quello <strong>di</strong><br />

ambientazione storica, segue sempre, anche nella forma espressiva, le idee<br />

culturali <strong>di</strong> fondo dell’epoca cui appartiene, per cui per gran parte del secolo<br />

XIX non poteva non essere se non «storico». 2 In questo modo rispondeva<br />

alla domanda del pubblico che aspirava ad una narrativa moderna e<br />

ispirata all’ideale romantico.<br />

Se si ammette che lo spirito <strong>di</strong> un’epoca (Zeitgeist) si manifesta anche<br />

nella scelta delle espressioni letterarie, oltre che artistiche, politiche, scientifiche,<br />

economiche, filosofiche, sociali, imponendo loro strutture, forme,<br />

tecniche e contenuti, è naturale che sin dai primi anni del secolo XIX la<br />

realtà sociale e politica oltre che filosofica doveva condurre alla rifondazione<br />

del romanzo. I tempi, infatti, erano ispirati ad un nuovo senso della<br />

storia che doveva prima o poi influenzare fortemente la struttura stessa del<br />

romanzo.<br />

Il primo a sostenere teoricamente il nuovo genere fu Pietro Borsieri<br />

nello scritto «Avventure letterarie <strong>di</strong> un giorno» (1816), mentre sul piano<br />

realizzativo fu Walter Scott.<br />

In Italia il modo narrativo dell’autore scozzese fu subito ben accolto ed<br />

imitato. Nel 1822 con «L’isoletta dei cipressi» e nel 1823 con «La calata<br />

degli Ungheri in Italia nel Novecento» <strong>di</strong> Davide Bertolotti e poi <strong>di</strong> seguito<br />

1 Dirigente Scolastico del <strong>Liceo</strong> «<strong>Orazio</strong>» fino all’anno <strong>2005</strong>-2006.<br />

2 Walter Schulz, Le nuove vie della filosofia contemporanea, vol. 4: Storicità, Marietti,<br />

Genova, 1987, pp. 32 ss.<br />

–22–


apparvero: «Le peregrinazioni del nobile Romeo <strong>di</strong> Provenza» (1824) e<br />

«Teodoro Callimachi» (1825) <strong>di</strong> Ottavio Falletti; «I viaggi <strong>di</strong> messer Francesco<br />

Novello da Carrara» (1824), «I viaggi <strong>di</strong> Pitagora» (1826) e «Un Papiro»<br />

(1826) <strong>di</strong> Stefano Picozzi; «Alessio ossia gli ultimi giorni <strong>di</strong> Psara» (1827)<br />

<strong>di</strong> Angelica Palli.<br />

Indubbiamente, in Inghilterra, ma anche in Italia i romanzi storici attraevano<br />

per la loro libera e varia impostazione e, soprattutto, per il loro carattere<br />

popolare.<br />

Mancava, però, ancora un vero romanzo storico italiano che si imponesse<br />

per efficacia e funzionalità. Questo apparirà finalmente nel 1827,<br />

quando accanto ad altri romanzi storici <strong>di</strong> carattere imitativo come «Il castello<br />

<strong>di</strong> Trezzo», 1827, <strong>di</strong> Giovan Battista Bazzoni, «La battaglia <strong>di</strong> Benevento»<br />

<strong>di</strong> Francesco Domenico Guerrazzi, «Cabrino Fondulo» <strong>di</strong> Vincenzo<br />

Lancetti e «Sibilla Odaleta» <strong>di</strong> Carlo Varese, viene e<strong>di</strong>to «I promessi sposi»<br />

<strong>di</strong> Alessandro Manzoni, autentico ed originale romanzo storico.<br />

È preferibile parlare, comunque, per la produzione posteriore al 1814<br />

<strong>di</strong> rifondazione del romanzo storico e non <strong>di</strong> nascita, poiché romanzi <strong>di</strong> argomento<br />

storico già erano stati scritti nei secoli passati. Nello stesso tempo,<br />

però, se si vuole stare al carattere autentico <strong>di</strong> romanzo storico, bisogna<br />

accogliere l’opinione <strong>di</strong> Georgy Lukàcs 3 ed escludere dalla definizione<br />

rigorosa <strong>di</strong> romanzo storico tutti i romanzi pubblicati prima del 1814, anno<br />

in cui Walter Scott (1771-1832) scrisse il Waverley. 4<br />

3 Georgy Luckàcs, Il Romanzo storico, Torino, 1965.<br />

4 Il padre del romanzo storico, Walter Scott, nasce a E<strong>di</strong>mburgo nel 1771 da una famiglia<br />

molto benestante <strong>di</strong> E<strong>di</strong>mburgo, Scott era uomo che, seppur debilitato da una grave malattia in<br />

tenera età, cresce forte e vigoroso. Era un amante della letteratura <strong>di</strong> ogni genere, in particolare<br />

<strong>di</strong>vorava fiabe, racconti, leggende e tutto ciò che fosse legato alla sua terra, gli Scottish Borders.<br />

Laureatori in Legge, il suo primo incarico legale si svolge a Selkirk. Qui sposa Margaret Charlotte<br />

Charpenter da cui ha cinque figli. Nel 1802-1803 pubblica il primo lavoro importante Ministrelsy<br />

Of The Scottish Border, ma è con The Lay Of The Last Minstrel (1805) che ottiene la<br />

fama. Scrive poi Marmion (1808), The Lady In The Lake, The Lord Of The Isles. All’apice della<br />

carriera, Scott decide <strong>di</strong> mettersi in affari con un amico, James Ballantyne per stampare le sue<br />

opere in proprio. L’impresa tuttavia fallisce e Scott si ripromette <strong>di</strong> saldare i debiti con i suoi<br />

scritti.<br />

Escono, tra i più famosi, Waverley (1814), Rob Roy (1817), The Heart of Mi<strong>di</strong>othian (1818).<br />

Sir Walter Scott, <strong>di</strong>venta baronetto, ma muore ancora indebitato nella grande mansione <strong>di</strong> Abbotsford,<br />

vicino al fiume Tweed nel 1832. Waverley, in sintesi. Il romanzo narra la storia <strong>di</strong> Edward<br />

Waverley, un giovane inglese aristocratico giunto in Scozia come ufficiale dell’esercito. Edward<br />

rimane coinvolto nella ribellione giacobita del 1745, nella quale si schiera accanto alle truppe scozzesi<br />

del principe Charles Stuart, contro il casato degli Hanover. In sostanza, il romanzo riguarda la<br />

guerra civile tra gli Inglesi e gli Scozzesi, nella quale Edward si schiera sostanzialmente dalla parte<br />

–23–


Il carattere essenziale del romanzo è la drammatizzazione. I fatti vengono<br />

presentati secondo un intreccio che, sia pure intersecandosi con altri <strong>di</strong><br />

minore importanza, attira l’attenzione del lettore, dall’inizio fino al compimento<br />

della vicenda, sulla figura del protagonista.<br />

Quanto più questi esemplarizza moti spirituali e azioni proprie dell’uomo,<br />

cogliendolo nel suo sforzo <strong>di</strong> superare quanto <strong>di</strong> contrastante o <strong>di</strong><br />

avverso esse contengono, tanto più il romanzo è «romanzo».<br />

In un certo senso drammatizzazione è sinonimo <strong>di</strong> realismo. Il lettore del<br />

romanzo deve riuscire a vedere nei personaggi della vicenda se stesso almeno<br />

in parte e vedere nell’esistenza e nelle <strong>di</strong>fficoltà che quelli affrontano<br />

le vicissitu<strong>di</strong>ni che la esistenza quoti<strong>di</strong>anamente offre a lui.<br />

Questo riconoscersi nella trama e nell’eroe garantisce la vali<strong>di</strong>tà del<br />

romanzo. Il lettore, tuttavia, non identifica, soltanto, nel protagonismo mitografico<br />

se stesso qual è nel suo vivere quoti<strong>di</strong>ano, ma rivive attraverso il<br />

sbagliata: nonostante sia un Inglese della classe <strong>di</strong>rigente, si ritrova a indossare il kit, ad ascoltare<br />

le persone parlare in Gaelico e a lottare a fianco degli Highlanders. Il romanzo introduce il lettore<br />

alle gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>visioni della Scozia, Whigs e Tories, sostenitori degli Hanover e Giacobiti, Inglesi e<br />

Scozzesi. Gli stessi Scozzesi sono <strong>di</strong>visi tra i Lowlanders e gli Highlanders, <strong>di</strong>versi nello stile <strong>di</strong><br />

vita, nella cultura e nel background storico. È un esempio <strong>di</strong> romanzo storico: la storia <strong>di</strong> Edward<br />

si svolge sullo sfondo <strong>di</strong> eventi storici effettivamente accaduti. I personaggi storici si confrontano<br />

con personaggi inventati, però essenzialmente rappresenttativi dell’epoca.<br />

Nonostante la fama <strong>di</strong> Scott come narratore <strong>di</strong> ballate tra<strong>di</strong>zionali (Minstrelsy Of The<br />

Scottish Border), l’elemento tra<strong>di</strong>zionale celtico del romanzo <strong>di</strong> Waverly è spesso sottovalutato.<br />

A partire dal capitolo 8, in cui Waverly ottiene una licenza dal suo reggimento per fare visita al<br />

Barone <strong>di</strong> Bradwar<strong>di</strong>ne, nello Perthshire, Scott ci introduce nelle Highlands, territorio aspro e in<br />

pieno contrasto con le Lowlands. La prima voce che Edward ode appena entrato nella mansione<br />

del barone è quella <strong>di</strong> un buffone al servizio della famiglia che intona un’antica filastrocca scozzese.<br />

Il personaggio è visto come custode della memoria collettiva, come una continuazione del<br />

Minstrelsy of the Scottish Border. Quando poi la mansione viene <strong>di</strong>strutta dalle truppe inglesi,<br />

Edward si ritrova ad ascoltare, immerso tra le rovine, il canto del buffone David, che, intonando<br />

un’antica canzone scozzese, rappresenta la forza e la tenacia della tra<strong>di</strong>zione popolare <strong>di</strong> fronte<br />

all’invasione <strong>di</strong>struttiva degli inglesi.<br />

Nei capitoli successivi, il personaggio <strong>di</strong> Edward incontra Alice, una donna che, servendogli<br />

la colazione, intona un’antica canzone gaelica. Al contempo, alla corte dei MacIvor, i clansmen si<br />

esercitano al suono delle bagpipe. Tra gli altri personaggi incontrati lungo il cammino, vi è Flora,<br />

l’arpista che ama la musica celtica, che suona avvolta nella nebbia su una collina. Flora rappresenta<br />

l’arcaico, la musica che si fonde con la natura. È evidente che, nel romanzo <strong>di</strong> Waverly,<br />

tra le intenzioni meno <strong>di</strong>chiarate <strong>di</strong> Scott, vi è la necessità <strong>di</strong> condurrre il lettore attraverso la<br />

conoscenza della reale cultura scozzese che Scott contrappone a quella inglese, e facendo parlare<br />

i personaggi inglesi in termini <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzo e astio per un qualcosa <strong>di</strong> antico e incomprensibile.<br />

Nonostante la conoscenza approfon<strong>di</strong>ta delle ballate delle Lowlands, nel romanzo Waverly,<br />

Scott ci lascia un affresco malinconico <strong>di</strong> una cultura oppressa, fatta <strong>di</strong> buffoni, bar<strong>di</strong> e arpisti.<br />

(Cfr. http://www.celticworld.it)<br />

–24–


acconto dei personaggi a lui cari le decine <strong>di</strong> vite che avrebbe voluto vivere<br />

e realizza me<strong>di</strong>atamente le aspirazioni anche eroiche che nutre nell’intimo<br />

del suo animo e della sua fantasia.<br />

L’universalità viene raggiunta quando alla efficacia e forza attrattiva e<br />

coinvolgente il romanzo unisce la capacità <strong>di</strong> rappresentare attraverso le<br />

imprese che narra, i contenuti, le trame, i caratteri, non questo o quell’uomo,<br />

<strong>di</strong> questa o quella etnia, nazione, lingua o cultura, ma l’uomo in quanto tale,<br />

ovvero l’intero genere umano attraverso la descrizione <strong>di</strong> un singolo.<br />

Avviene, allora, che chiunque legga quel romanzo, nell’angolo più reposto<br />

del mondo, nella lingua meno <strong>di</strong>ffusa sulla terra, si ritrova in quelle<br />

pagine, si riconosce nella rappresentatività <strong>di</strong> quei caratteri. Nella trama<br />

scopre narrato un briciolo della sua vita. Riconosce, infine, nell’autore uno<br />

che è riuscito a scrivere quel che lui avrebbe sempre voluto <strong>di</strong>re. Quando<br />

tutto ciò accade, si può <strong>di</strong>re che quel romanzo (o quel film) ha una valenza<br />

universale.<br />

Il romanzo storico aggiunge a questi caratteri la peculiarità <strong>di</strong> una trama<br />

che attinge la sua ispirazione a fatti storici.<br />

Le domande che sorgono sono <strong>di</strong>verse. Il romanzo storico può essere<br />

considerato legittimamente romanzo? Quali fatti reali si elevano a eventi<br />

storici e in quali mo<strong>di</strong> possono essere trasfusi nel contesto narrativo del<br />

romanzo? Il carattere storico amplifica o limita la natura <strong>di</strong> romanzo? Può<br />

un romanzo storico essere ampiamente efficace, estesamente attraente, ma<br />

soprattutto «universale»? Come si rapporta il «vero» della storia con il<br />

«fantastico» del romanzo? Il vero coarterà le ali all’invenzione o l’invenzione<br />

mistificherà il vero?<br />

Si comprende ora più facilmente la grande svolta causata nello sviluppo<br />

<strong>di</strong> questo genere letterario dall’introduzione del contenuto storico, che qui<br />

viene inteso come insieme <strong>di</strong> eventi <strong>di</strong> valenza storica, che si sviluppano<br />

non solo secondo una linea continua, per aggregazione, ma anche secondo<br />

una linea <strong>di</strong>scontinua, <strong>di</strong>alettica.<br />

Fatti storici, dunque. La storia introduce nel genere del romanzo la vita<br />

accaduta e «riconosciuta», con tutti i suoi risvolti, <strong>di</strong> costumi, riti, tra<strong>di</strong>zioni,<br />

canti, paesaggi, idee, espressioni, quoti<strong>di</strong>anità.<br />

La storia coglie l’uomo e le sue azioni non tanto introspettivamente,<br />

quanto nei rapporti reciproci, nonché nelle cause e nelle conseguenze degli<br />

atteggiamenti e degli eventi.<br />

La storia interpreta, mirando alla verità oggettiva, l’uomo e le sue azioni<br />

e genera un senso delle cose più profondo ed esatto. Perciò la drammaticità<br />

–25–


stessa del romanzo, adottando l’intreccio storico, si acuisce e si approfon<strong>di</strong>sce,<br />

si smitizza e si <strong>di</strong>sincanta, <strong>di</strong>venta reale, provata, perfino vissuta.<br />

Drammatizzazione e storicizzazione sono i due caratteri essenziali del<br />

romanzo storico.<br />

Fatte queste premesse sul romanzo in genere e su quello storico in particolare,<br />

occorre ora esaminare, visto che non si riconosce alla produzione<br />

precedente il 1814 valore <strong>di</strong> romanzo storico, il significato nuovo che la<br />

storia acquista all’epoca <strong>di</strong> Walter Scott. Solo così potremo comprendere,<br />

in primo luogo, la novità dell’opera scottiana e il suo porsi a modello del<br />

genere e, in secondo luogo, scoprire nelle sue più profonde ra<strong>di</strong>ci la genialità<br />

del Manzoni (1785-1873) nello scegliere <strong>di</strong> produrre un solo esaustivo<br />

romanzo e, nella fattispecie, un romanzo storico, elevando a tipo umano<br />

universale non questo o quel personaggio, nè questa o quella vicenda, ma<br />

un intero secolo, il ’600, <strong>di</strong> cui i portavoce più autentici non sono i gran<strong>di</strong>,<br />

ma gli umili.<br />

Per la completezza dell’analisi è necessario prendere le mosse dalla<br />

Rivoluzione francese, non tanto perché il romanzo storico è il frutto più maturo<br />

dell’avvenuta sistemazione al potere, inteso anche come cultura, della<br />

borghesia, ma perché dalla rivoluzione francese prende avvio lo sviluppo<br />

del pensiero hegeliano che della storia dà, in chiave teoretica, quel significato<br />

che le dà W. Scott nei suoi romanzi.<br />

La Rivoluzione francese ha prodotto effetti gran<strong>di</strong>ssimi in tutti i campi,<br />

non ultimo nel modo <strong>di</strong> concepire la storia.<br />

La vera rivoluzione, quella che ha posto fine al Me<strong>di</strong>o Evo, è senza<br />

dubbio quella francese.<br />

La concezione me<strong>di</strong>evale persisteva non solo nell’organizzazione feudale,<br />

con <strong>di</strong>ritti, abusi e privilegi della società, ma nel modo stesso <strong>di</strong> considerare<br />

gli avvenimenti e l’uomo.<br />

La storia era ancora intesa come un insieme <strong>di</strong> fatti, un «continuum»<br />

che nessun evento poteva ra<strong>di</strong>calmente interrompere o scompaginare; gli<br />

avvenimenti più critici e più imprevisti, anzi, ne confermavano la vali<strong>di</strong>tà e<br />

necessità.<br />

L’uomo non era ancora posto come protagonista della storia e tanto<br />

meno lo era il popolo o, potrei <strong>di</strong>re con Lukàcs, la massa.<br />

Con la Rivoluzione francese avviene la svolta. La ricchezza, che si era<br />

andata accumulando nelle mani della borghesia, non l’aveva soltanto pre<strong>di</strong>sposta<br />

alla conquista del potere, ma le aveva anche dato una immensa<br />

fiducia nelle proprie forze in vista <strong>di</strong> un ulteriore progresso.<br />

–26–


L’idea del progresso era strettamente legata alla idea dell’uomo e della<br />

sua qualità essenziale, la ragione.<br />

Di questo principio fu teorizzatore l’Illuminismo. Ma solo con la Rivoluzione<br />

francese quanto era affermato da pochi e per pochi <strong>di</strong>venta dominio<br />

<strong>di</strong>ffuso.<br />

Gli eserciti napoleonici assumeranno il compito <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere i nuovi<br />

principi oltre i confini della Francia.<br />

Questi eserciti compiono anche un’altra opera efficace: raccolgono le<br />

masse, le indottrinano e le rendono, esse proprie, protagoniste.<br />

Non sono più solo i sovrani e neppure gli in<strong>di</strong>vidui a fare la storia, ma<br />

anche, progressivamente, i popoli. E questi sono altresì coscienti <strong>di</strong> farla.<br />

Ecco qual è la grande conquista dei primi decenni del secolo XIX: il senso<br />

della storia <strong>di</strong>ffuso a livello <strong>di</strong> popolo.<br />

Il grande teorizzatore dell’idea è Hegel. A lui spetta, però, un merito<br />

ancora più grande, quello <strong>di</strong> aver dato un’interpretazione nuova della storia<br />

in sostituzione <strong>di</strong> quella tra<strong>di</strong>zionale. Egli prende come punto nevralgico<br />

non l’affermazione della continuità, ma la riconsiderazione positiva delle<br />

«crisi» che <strong>di</strong> continuo intervengono a interrompere e a capovolgere il<br />

destino storico dei popoli.<br />

Egli scopre proprio nell’esistenza delle crisi (e delle rivoluzioni) la fonte<br />

della forza espansiva della storia e del progresso. Hegel era stato in gioventù<br />

un ammiratore della Rivoluzione francese. Da adulto si è trovato a conciliare<br />

la forza <strong>di</strong>rompente e progressiva della Rivoluzione con quella contraria e<br />

paralizzante della Restaurazione.<br />

Nella sintesi ha trovato la soluzione, ma a noi interessa, soprattutto,<br />

riflettere sul metodo <strong>di</strong>alettico che egli ha legittimato per sempre nella<br />

valutazione della realtà. Quando Hegel scrive, gli effetti della Rivoluzione<br />

in Francia, in Germania e in altri paesi dell’Europa centrale sono ancora<br />

troppo vivi. Non è ancora possibile una serena riflessione sul «passato».<br />

Il contrario avviene in un’altra regione, l’Inghilterra. Questo paese ha<br />

superato da tempo la sua Rivoluzione e la borghesia è ormai stabilmente<br />

legata al potere e i suoi storici ufficiali vedono solo una gratificante e sicura<br />

continuità nella linea storica del loro paese. Eppure, fenomeni <strong>di</strong> rilievo<br />

come l’industrializzazione e il colonialismo evidenziano grossi scompensi<br />

nell’or<strong>di</strong>namento politico della società. Nononostante questo clima rassicurante,<br />

un romanziere, W. Scott, riesce a penetrare più a fondo negli avvenimenti<br />

passati, partendo dalla considerazione dei contrasti sociali e politici a<br />

lui contemporanei, e riconoscendo nella intera storia dell’Inghilterra la pre-<br />

–27–


senza <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> crisi terribili, che <strong>di</strong> volta in volta hanno prodotto lotte<br />

crudeli e vittime innocenti.<br />

Egli, tuttavia, non supera un limite proprio della cultura tra<strong>di</strong>zionale:<br />

l’idea della continuità. Scopre le crisi, ma non le interpreta hegelianamente<br />

in chiave <strong>di</strong>alettica; le considera parentesi necessarie e ineliminabili del<br />

progresso.<br />

La stessa operazione sarà fatta da Benedetto Croce per inserire nella sua<br />

visione della storia, consacrata alla crescita progressiva e continua della<br />

libertà, l’evento <strong>di</strong>rompente della <strong>di</strong>ttatura fascista, riducendo quest’ultima<br />

ad una semplice parentesi del cammino della libertà. Non <strong>di</strong>versa dal Croce<br />

la posizione del Meinecke che riduce il Nazismo a un incidente superabile<br />

della storia della Germania.<br />

Così è per Scott: nella storia dell’Inghilterra egli evidenzia una continuità<br />

che si conferma e si soli<strong>di</strong>fica attraverso il continuo superamento <strong>di</strong><br />

crisi. La sua prospettiva storica è ancora quella tra<strong>di</strong>zionale. Bisogna, tuttavia,<br />

riconoscere a Scott l’innegabile coraggio <strong>di</strong>mostrato, per lo spirito dei<br />

tempi, nell’aver posto le <strong>di</strong>ta sulle piaghe, adottando come tema dei suoi<br />

romanzi particolari momenti <strong>di</strong> crisi della storia dell’Inghilterra.<br />

W. Scott ha avuto questo coraggio, sia pure come necessità psicologica<br />

<strong>di</strong> fronte ai <strong>di</strong>sagi insuperabili, anche sul piano mitografico, del presente.<br />

Egli tenta <strong>di</strong> superare le contrad<strong>di</strong>zioni del presente, riscoprendone le origini<br />

nel passato. Ammette il progresso realizzato dall’Inghilterra, ma lo vede<br />

come continuo superamento <strong>di</strong> crisi. Così facendo W. Scott viene a trovarsi<br />

praticamente sullo stesso piano, sia pure con le <strong>di</strong>fferenze proprie <strong>di</strong> ciascuno,<br />

<strong>di</strong> Hegel.<br />

S’incontra con Hegel senza averlo mai conosciuto.<br />

Il fatto è che ambedue sono, in un certo senso, figli della Rivoluzione.<br />

Hegel <strong>di</strong> quella francese, appena entrata nella fase <strong>di</strong> riflessione; Scott <strong>di</strong><br />

quella inglese, che ha già dato da tempo i suoi frutti.<br />

È, dunque, dalla stessa situazione socio-politica dell’Inghilterra che<br />

scaturisce la concezione scottiana del romanzo; cosi come la simile e più<br />

chiaramente teorizzata concezione hegeliana scaturisce dalla realtà sociopolitica<br />

della Germania.<br />

La critica marxista, se ci si attiene alla teoria formulata sul romanzo<br />

storico da G. Lukàcs, accoglie con giu<strong>di</strong>zio favorevole l’opera <strong>di</strong> W. Scott,<br />

nonostante il suo fondametale conservatorismo. Il Lukacs illustra approfon<strong>di</strong>tamente<br />

i motivi <strong>di</strong> questa accettazione che, in sintesi, possono essere<br />

ridotti ai seguenti punti:<br />

–28–


1. Il conservatorismo <strong>di</strong> Scott è paradossalmente causa del suo riconoscimento<br />

della natura <strong>di</strong>alettica della storia. Il conservatorismo <strong>di</strong><br />

Scott è, infatti, proprio <strong>di</strong> chi vede la povertà stessa con occhio illuminato,<br />

ma non sa reagire, se non ricorrendo esclusivamente ad una<br />

riflessione onesta, ma non interventrice sulle cause, in<strong>di</strong>viduabili nel<br />

passato del paese, che l’hanno determinata.<br />

2. L’idea della storia in W. Scott, <strong>di</strong> fatto, viene a <strong>di</strong>alettizzarsi secondo<br />

lo schema hegeliano, che è alla base dello storicismo marxista.<br />

3. La scoperta dell’eroe-me<strong>di</strong>o è il geniale strumento <strong>di</strong> cui si serve Scott,<br />

che lo vede come punto d’incontro e <strong>di</strong> conciliazione delle <strong>di</strong>verse<br />

forze o correnti che agitano la società.<br />

4. L’accertamento estetico è subor<strong>di</strong>nato a quello storico-sociale.<br />

A questo punto si può meglio comprendere la forza drammatica che alla<br />

vicenda del romanzo imprime la storia intesa non più come un continuum<br />

(come nel tra<strong>di</strong>zionale romanzo <strong>di</strong> contenuto storico), ma <strong>di</strong>aletticamente,<br />

come sintesi <strong>di</strong> crisi.<br />

Durante le crisi gli uomini appaiono segnati in modo particolare dalle<br />

molteplici e contrastanti tendenze dell’animo, che manifestano con crudezza<br />

e, a volte, con ferocia. Niente, dunque, è più drammatico e romanzesco<br />

<strong>di</strong> quel che una crisi storica, ormai conclusa, offre al romanziere.<br />

Ciò avviene per la prima volta in filosofia con Hegel, nella letteratura<br />

con Scott.<br />

È evidente dunque che la semplice introduzione del contenuto storico<br />

(romanzo storico tra<strong>di</strong>zionale) non è sufficiente, bensi’occorre che se ne<br />

abbia una coscienza <strong>di</strong>alettica (romanzo storico scottiano).<br />

Sorge, ora, un problema: come si deve comportare l’autore <strong>di</strong> fronte alla<br />

necessità <strong>di</strong> obiettività storica, da un lato, e alla urgenza della sua ispirazione<br />

poetica, dall’altro lato? In che modo egli può rispettare nello stesso tempo la<br />

sua ispirazione e i fatti storici?<br />

Si tratta qui <strong>di</strong> definire l’obiettività storica, limitatamente all’ambito<br />

del romanzo storico. Nel romanzo per obiettività storica non s’intende, infatti,<br />

il trasferire i fatti come sono accaduti o, almeno, come li trascrivono<br />

gli storici <strong>di</strong> professione, nella loro presunta oggettività, ma incarnare in<br />

personaggi, in temi, e in eventi verosimili il loro «significato» più vero e<br />

profondo. Lo scrittore, cioè, può in qualche modo mo<strong>di</strong>ficare il fatto storico<br />

e arricchirlo con la sua fantasia in funzione del fine drammatico del suo<br />

romanzo, ma non ne può tra<strong>di</strong>re il senso. Non va, dunque, <strong>di</strong>menticato che<br />

il prodotto finale sarà «storico», ma rimarrà pur sempre «romanzo».<br />

–29–


D’altronde non si verifica a volte che il senso della storia è mo<strong>di</strong>ficato<br />

proprio riportando i fatti con apparente esattezza? In realtà non si altera<br />

l’essenza della storia quando dai fatti se ne ricava il senso autentico.<br />

Delineati i caratteri essenziali del romanzo storico, soprattutto attraverso<br />

le osservazioni fatte su W. Scott, che ne è considerato il modello classico,<br />

si può iniziare ora la riflessione sui Promessi sposi o, meglio, sui caratteri<br />

<strong>di</strong> romanzo storico <strong>di</strong> quest’opera.<br />

Va subito rilevato che il più grande dei nostri romanzieri, Alessandro<br />

Manzoni, ha scritto un unico romanzo e, questo, <strong>di</strong> carattere storico. In<br />

questa scelta egli si collega certamente a Walter Scott.<br />

Il problema che qui si vuole affrontare è questo: in che grado i Promessi<br />

sposi realizzano il genere del romanzo storico? Inoltre ci si domanda:<br />

poiché, come si è visto, <strong>di</strong> tal genere il modello classico universalmente riconosciuto<br />

è W. Scott, fino a che punto i Promessi sposi si avvicinano al<br />

«modo» in cui l’autore inglese ha realizzato la sua opera? In che cosa il<br />

Manzoni supera il modello?<br />

Il legame che unisce il Manzoni a W. Scott è abbastanza saldo, più <strong>di</strong><br />

quello che lega Balzac e Stendhal al romanziere inglese.<br />

L’autore italiano si attiene, infatti, più fedelmente al modello, anche se<br />

lo supera per arte ed originalità. Il Manzoni rimane fedele, cioè, soprattutto<br />

alla concezione storica scottiana, mentre, per esempio, il Balzac la supera,<br />

incentrando l’interesse sulla realtà a lui contemporanea.<br />

Fu lo stesso Manzoni a <strong>di</strong>chiarare la sua <strong>di</strong>pendenza da Scott. Un aneddoto<br />

mostra ciò con evidenza. Quando un giorno il Manzoni, incontrato a<br />

Milano W. Scott, gli <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> considerarsi suo <strong>di</strong>scepolo, il romanziere inglese<br />

rispose: «In tal caso I promessi sposi sono la mia opera migliore».<br />

Questo legame con Scott è anche lucidamente teorizzato dal Manzoni.<br />

Questi infatti tra il 1845 e 1855 pubblicò un «Discorso sul romanzo storico»<br />

che aveva già maturato dal 1828-29.<br />

Lo scritto del Manzoni affronta l’obiezione fondamentale che si poneva<br />

al romanzo storico sin dal suo sorgere: fin dove giunge la libertà del poeta<br />

<strong>di</strong> fronte all’oggettività del contenuto storico.<br />

Il Manzoni parla in termini <strong>di</strong> «parti storiche» e <strong>di</strong> «inventività» o immaginazione.<br />

Egli conclude separando nettamente «l’assentimento storico»<br />

dall’assentimento poetico, il vero positivo dal vero poetico, e affermando<br />

che tra i due termini c’è un’assoluta inconciliabilità. Giustifica l’enorme<br />

successo incontrato dai romanzi <strong>di</strong> W. Scott, attribuendolo alle circostanze<br />

<strong>di</strong> gusto e <strong>di</strong> moda.<br />

–30–


Il merito <strong>di</strong> W. Scott consisterebbe, dunque, nell’arte <strong>di</strong> scrivere e nella<br />

capacità <strong>di</strong> interpretare lo spirito del suo tempo. Il Manzoni in questa critica<br />

in<strong>di</strong>vidua il carattere transistorio dell’espressione letteraria per quanto riguarda<br />

le forme e i contenuti, non per l’ispirazione artistica che le anima.<br />

Anche il Lukàcs, proprio per il fondamento <strong>di</strong>alettico della sua critica,<br />

riconosce con altri termini e schemi mentali, il continuo drammatico susseguirsi<br />

delle forze esterne che dal romanzo storico dei primi anni del<br />

sec.XIX conducono al romanzo sociale e al romanzo inchiesta-reportage <strong>di</strong><br />

oggi.<br />

Per i due autori la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> fondo è, invero, sostanziale, legata a<br />

due concezioni storiche <strong>di</strong>verse: per il Lukàcs il romanzo storico è un momento<br />

<strong>di</strong> un processo <strong>di</strong>alettico superato, ma anche contenuto, nella sintesi;<br />

per il Manzoni è semplicemente un «momento» <strong>di</strong> un’epoca.<br />

Queste osservazioni il Manzoni critico le farà in contrasto con quanto<br />

egli stesso aveva scritto nella lettera al Signor Chauvet e riflettono una maturazione<br />

posteriore all’e<strong>di</strong>zione dei Promessi sposi.<br />

Per ora qui mette conto rilevare l’ascendenza scottiana del Manzoni romanziere.<br />

Tra i critici il primo che rilevò l’ascendenza scottiana dei Promessi<br />

Sposi fu un critico contemporaneo dell’autore, Giovita Scalvini (1791-<br />

1843) il quale scrisse la sua recensione nel 1829, ma la pubblicò soltanto<br />

nel 1831 (4). 5 Questo lasso <strong>di</strong> tempo gli tornò utile, perché gli permise <strong>di</strong><br />

conoscere le lo<strong>di</strong>, soprattutto del Goethe, Gioberti e Rosmini, e le critiche,<br />

del Goethe stesso, per esempio, mosse al grande romanzo.<br />

Egli scrive da Parigi con molta obiettività e subito riconosce sia il legame<br />

del Manzoni col romanzo <strong>di</strong> W. Scott sia la sua nuova originale esemplarità.<br />

Scalvini premette al suo saggio su «I Promessi Sposi» alcune parole sul<br />

concetto <strong>di</strong> forma interna (la genialità e l’ispirazione dell’autore) e forma<br />

esterna (preesistente all’autore).<br />

Poi afferma che il Manzoni ha ripreso l’insegnamento <strong>di</strong> W. Scott solo<br />

come forma esterna, ma ha dato la «sua» forma interna.<br />

Questa forma consiste nella ideologia manzoniana che, in trasparenza,<br />

regge i fili delle vicende e dei destini narrati. Il Manzoni ha in<strong>di</strong>cato, con-<br />

5 Fabio Danelon, «Note» <strong>di</strong> Giovita Scalvini su I promessi sposi, Firenze, Nuova Italia, 1986,<br />

pp. XII-144; Mario Marcazzan, Note manzoniane <strong>di</strong> Giovita Scalvini, Brescia, Morcelliana, 1942;<br />

Salvatore Battaglia, Problemi <strong>di</strong> metodo critico, Liguori,1979; Clerici Edmondo, «Giovita Scalvini»,<br />

Milano, 1912, XIII, 218 p. con prefazione <strong>di</strong> <strong>di</strong> Ettore Janni, Serie Anime del Risorgimento.<br />

–31–


trariamente a W. Scott, l’idea dominante che informa le vicende storiche<br />

dell’umanità.<br />

Egli non solo narra, ma esprime la propria (o dell’umanità intera) dolorosa<br />

ricerca della verità che, conquistata, lo incita a farne oggetto <strong>di</strong> coscienza<br />

universale.<br />

Più profonda, dunque, rispetto a Scott la visione manzoniana della<br />

storia e dell’uomo; ma anche o, meglio, proprio per questo, più pessimistica.<br />

Lo Scalvini nota, infatti, imme<strong>di</strong>atamente che la posizione <strong>di</strong> Scott è<br />

più serena e ottimistica e attribuisce ciò, con grande acume critico, soprattutto<br />

per quei tempi, al fatto che la società e l’epoca <strong>di</strong> cui lo Scott era interprete<br />

avevano già raggiunto il loro equilibrio.<br />

La società invece che genera il Manzoni è in continua lotta interna e<br />

contro l’occupazione straniera. È una società instabile, informe, immatura,<br />

logorata.<br />

È naturale che lo Scalvini, pur comprendendo bene l’ispirazione e l’ideologia<br />

manzoniana, non possa in<strong>di</strong>viduare i motivi storici scottiani ed hegeliani<br />

transunti nel Manzoni.<br />

Dice, infatti, che per Scott la storia è argomento <strong>di</strong> semplice <strong>di</strong>letto, è<br />

pseudostoria, è amore per il suo paese, la Scozia, che si rivela attraverso lo<br />

splendore del racconto. Non intende, cioè, la prospetttiva <strong>di</strong>alettica che fa<br />

ripiegare lo Scott sui momenti <strong>di</strong> crisi della storia inglese; nè l’esemplarità<br />

della crisi dei clan scozzesi o delle società normanna e sassone al tempo <strong>di</strong><br />

Ivanhoe, romanzo scottiano più famoso <strong>di</strong> Waverley. Il motivo <strong>di</strong> ciò è che<br />

Scalvini limita la vali<strong>di</strong>tà dell’assunzione della storia all’ideologia che l’informa<br />

e all’ispirazione poetica e non all’adesione dell’autore all’obiettività<br />

autentica.<br />

Lo Scalvini, comunque, ammette che l’esistenza <strong>di</strong> un’ideologia informatrice<br />

segna non solo un progresso, ma anche un limite, qualora essa <strong>di</strong>venti<br />

coercitiva e obbligante; riveste cioè, un carattere dogmatico e moralistico.<br />

L’obiezione più tar<strong>di</strong> sarà ripresa dal Croce; dopo, però, che il De Sanctis<br />

aveva già fatto notare la positività del sostrato ideologico manzoniano dei<br />

Promessi Sposi.<br />

La <strong>di</strong>fferenza tra il Manzoni e lo Scott invece, va ricercata nella <strong>di</strong>fferente<br />

concezione che della storia stessa ha ciascuno <strong>di</strong> loro.<br />

Un’altra intuizione critica <strong>di</strong> rilievo è quella che Scalvini ha quando<br />

nota l’umiltà dei protagonisti.<br />

Mentre, però, il Lukàcs parla <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ocritas e <strong>di</strong> me<strong>di</strong>etas dei personaggi<br />

scottiani e li pone in rapporto con la concezione <strong>di</strong>alettica della storia<br />

–32–


in quanto essi assolvono a una funzione <strong>di</strong> sintesi o <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione, lo Scalvini<br />

rapporta l’umiltà dei personaggi manzoniani non all’influenza del modello,<br />

ma alla ideologia cristiana del Manzoni.<br />

Più giusto sarebbe considerare unite nel Manzoni le due cose; la fede<br />

cristiana favoriva nel Manzoni l’assunzione dell’eroe-me<strong>di</strong>o scottiano e<br />

l’accettazione <strong>di</strong> una concezione <strong>di</strong>alettica della storia (come Scott), ma<br />

proiettata sullo schermo della Provvidenza.<br />

Lo Scalvini, infine, rileva anche il carattere democratico dei Promessi<br />

Sposi e quin<strong>di</strong> il rapporto tra cristianesimo manzoniano coi principi democratici<br />

dell’Illuminismo. Non supera, però, anche qui certi limiti della sua<br />

visione critica fino a in<strong>di</strong>viduare il carattere popolare più autentico del romanzo<br />

manzoniano.<br />

Uno dei meriti più notevoli del romanzo storico, infatti, rispetto alla<br />

invenzione del personaggio letterario, è proprio la scoperta del popolo come<br />

protagonista letterario. La spiegazione <strong>di</strong> questo progresso è facile: se il<br />

protagonista <strong>di</strong> tutta la storia è nella concezione hegeliana, l’uomo-società,<br />

introducendo la storia nel romanzo, vi si introduce <strong>di</strong> conseguenza un<br />

nuovo personaggio: il popolo o la società. All’interno poi <strong>di</strong> questo personaggio<br />

si prolificano vicende, antagonismi, protagonismi.<br />

W. Scott, pur proponendosi in teoria <strong>di</strong> rappresentare questo nuovo personaggio,<br />

in pratica finisce sempre per parlare <strong>di</strong> un solo protagonista,<br />

quello che assume in sé come tipo esemplare le esigenze, i contrasti, le idee,<br />

i sentimenti del popolo intero. Questa funzione <strong>di</strong> tipo, però, non è attribuita<br />

ai personaggi importanti della storia: re, capi del popolo o riformatori, ma<br />

all’uomo me<strong>di</strong>o, quello cioé in cui si trovano a confluire tutte le istanze<br />

presenti nella realtà: dall’alto o dal basso.<br />

In questo, oltre che nello scavo psicologico e nella resa artistica dei personaggi,<br />

il Manzoni supera il modello inglese. W. Scott in<strong>di</strong>vidua i momenti<br />

<strong>di</strong> crisi come luogo <strong>di</strong> drammatizzazione e il protagonista me<strong>di</strong>o esemplare<br />

per la sua forza equilibratrice e me<strong>di</strong>atrice. Il Manzoni, invece, in<strong>di</strong>vidua<br />

come crisi una totalità: l’intera storia d’Italia; e come personaggio tipo <strong>di</strong><br />

questa crisi un intero secolo: il ’600.<br />

È il <strong>di</strong>verso sviluppo storico dei due paesi a con<strong>di</strong>zionare l’invenzione<br />

artistica. Scott si trova a vivere in un paese arrivato e sicuro <strong>di</strong> sé e del suo<br />

sviluppo. Manzoni, invece, ha alle spalle una storia <strong>di</strong> incessanti contrasti<br />

e antagonismi, una storia che non si è mai composta in una linea unitaria<br />

e progessiva; intuisce, cioè, che per l’Italia non si può parlare solo <strong>di</strong> momenti<br />

critici, ma <strong>di</strong> un’unica ininterrotta crisi.<br />

–33–


L’invenzione del personaggio scaturisce logicamente da quanto premesso:<br />

il protagonista non può più essere un in<strong>di</strong>viduo, sia pure «me<strong>di</strong>o»,<br />

centro cioé <strong>di</strong> confluenza, ma un secolo intero che rappresenti in maniera<br />

esemplare i contrasti essenziali della storia d’Italia.<br />

Questo secolo non poteva non essere che il ’600. È in questo tempo che<br />

contrasti sociali, invenzioni, pestilenze, brigantaggio, fede, innocenza, debolezza,<br />

santità, ruberie, soprusi, soggezione politica, ignoranza, pseudocultura,<br />

illusioni e resistenza sono <strong>di</strong> tale gravità che possono assurgere a valore<br />

para<strong>di</strong>gmatico.<br />

I <strong>di</strong>versi protagonisti dei Promessi Sposi esemplificano, dunque, fenomeni<br />

particolari delle vicende e del carattere italiano, e tutti insieme esemplificano<br />

la totalità del ’600. Infine il ’600 stesso inteso come unico personaggio<br />

dei Promessi Sposi, esemplifica le vicende dell’Italia e, più remotamente,<br />

quelle dell’uomo in assoluto.<br />

Ecco perché un impianto così ampio e complesso qual è quello dei Promessi<br />

Sposi si regge e si agita intorno alle vicende <strong>di</strong> una coppia qualunque<br />

mosse dal vento invisibile della Provvidenza. A reggere, infatti, queste singole<br />

in<strong>di</strong>vidualità (persone e fatti) e a non far precipitare nel pessimismo e<br />

nel nulla l’uomo, la società e l’intero mondo manzoniano è la presenza<br />

governante e finalizzante della Provvidenza; la fede, cioè, in qualcosa che<br />

fa essere e fa coesistere particelle e forze centrifughe che altrimenti s’annullerebbero.<br />

Il destino umano visto in se stesso veramente sarebbe terribile se sullo<br />

sfondo, a illuminarlo come un sole e a definirlo in un circolo perfetto, non<br />

ci fosse un’idea che regga e spieghi il tutto.<br />

–34–


GIUSEPPE D’AVINO<br />

Il romanzo elegiaco<br />

<strong>di</strong> Carlo Cassola<br />

1. Il neorealismo<br />

“Non una traccia delle passioni civili, dei rovesciamenti politici, della<br />

guerra fredda, delle trasformazioni sociali, della paura atomica, della corsa<br />

al benessere, delle speranze giovani o kenne<strong>di</strong>ane” – così scrive A. Barbato<br />

– si riscontrano nella narrativa degli anni ’50 in Italia.<br />

Narrativa cosiddetta elegiaca, in contrasto con quella neorealistica, nel<br />

cui ambito pur si trova, e con l’avanguar<strong>di</strong>a letteraria. Della elegiaca Carlo<br />

Cassola è, insieme con Giorgio Bassani (Il giar<strong>di</strong>no dei Finzi-Contini,<br />

1962) 1 e Giuseppe Tomasi <strong>di</strong> Lampedusa (Il gattopardo), 2 tipico rappresentante.<br />

3<br />

1 Giorgio Bassani nasce a Bologna il 4 marzo 1916, da Dora ed Enrico Bassani.<br />

Con i fratelli Paolo e Jenny vive in Ferrara nella casa <strong>di</strong> via Cisterna del Follo durante<br />

il periodo dell’adolescenza. Consegue la maturità classica nel 1934 presso il liceo ferrarese<br />

“Ludovico Ariosto”.<br />

S’iscrive alla facoltà <strong>di</strong> lettere dell’Università <strong>di</strong> Bologna dopo che, frequentando la biblioteca<br />

<strong>di</strong> Giuseppe Ravignani, illustre letterato <strong>di</strong> Ferrara, si è appassionato alla letteratura italiana,<br />

deludendo la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina della sua famiglia.<br />

Nel 1938 il governo emana le leggi antisemite e Bassani, che è figlio <strong>di</strong> ebrei, soggiace alla<br />

triste esperienza delle persecuzioni contro gli ebrei in Italia. Per questo scrive sotto lo pseudonimo<br />

<strong>di</strong> Giacomo Marchi il primo libro”Città in pianura”. Nel 1939 riesce a laurearsi con una<br />

tesi su Niccolò Tommaseo.<br />

Attraversa anni <strong>di</strong> lotta antifascista, sin che nel maggio 1943 è arrestato. Rimane in carcere<br />

fino al 26 luglio. Liberato, milita nelle fila del Partito d’Azione.<br />

Ad agosto si sposa con Valeria Sinigallia e va ad abitare sotto falso nome a Firenze.<br />

Nel periodo del dopoguerra si trasferisce a Roma, con la moglie e i due figli Paolo ed Enrico.<br />

Vive lavorando per il cinema, nel giornalismo e come consulente <strong>di</strong> case e<strong>di</strong>trici. Collabora a<br />

“Letteratura”, “Lo spettatore italiano”, “Il Mondo”, “Aretusa”, ecc. È redattore <strong>di</strong> “Botteghe<br />

oscure” e <strong>di</strong> “Paragone”. Fitta è in questi anni la sua produzione letteraria.<br />

Poesia: Storia <strong>di</strong> poveri amanti e altri versi, 1946; Te lucis ante, 1947; Un’altra libertà,<br />

1952; L’alba ai vetri- Poesie 1942-50, 1963.<br />

Narrativa: Una città <strong>di</strong> pianura, 1940; La passeggiata prima <strong>di</strong> cena, 1953; Gli ultimi anni<br />

<strong>di</strong> Clelia Trotti, 1955; Cinque storie ferraresi, 1956; Gli occhiali d’oro, 1958; Le storie ferraresi,<br />

1960; Il giar<strong>di</strong>no dei Finzi-Contini, 1962; Dietro la porta, 1964; L’airone,1968<br />

Saggistica: Le parole preparate e altri scritti <strong>di</strong> letteratura, 1966.<br />

–35–


Non che in Cassola manchino momenti <strong>di</strong> più vivo aggancio alla realtà,<br />

come nella Ragazza <strong>di</strong> Bube del 1960, in cui l’autore rappresenta la Resistenza,<br />

ma anche in questi casi il tema è ridotto a <strong>di</strong>mensione sentimentale: una realtà<br />

letta sì, ma vista nella componente, prevalente, del dolore e dell’amore.<br />

Merita ricordare che fu Bassani a scoprire il talento <strong>di</strong> Tomasi e a sostenere presso la Feltrinelli<br />

la pubblicazione del romanzo Il Gattopardo.<br />

Bassani fu anche, tra il 1957 e il 1967, vicepresidente della Ra<strong>di</strong>otelevisione italiana, presidente<br />

<strong>di</strong> “Italia Nostra”, docente <strong>di</strong> Storia del Teatro all’Accademia Nazionale <strong>di</strong> Arte Drammatica<br />

a Roma.<br />

Dopo un lungo periodo <strong>di</strong> malattia morì a Roma il 13 aprile 2000.<br />

2 Giuseppe Tomasi <strong>di</strong> Lampedusa nasce a Palermo il 23 <strong>di</strong>cembre 1896, da Giulio Maria<br />

Tomasi e Beatrice Mastro Giovanni Tasca <strong>di</strong> Cutò. Dal padre ere<strong>di</strong>ta il titolo <strong>di</strong> principe <strong>di</strong><br />

Lampedusa. Con la madre, donna <strong>di</strong> forte personalità, aperta e in<strong>di</strong>pendente, a <strong>di</strong>fferenza del<br />

padre, ebbe rapporti <strong>di</strong> grande affetto e ne subì la marcata influenza.<br />

Si de<strong>di</strong>ca ai viaggi all’estero e a lunghi soggiorni a Palermo o nella casa <strong>di</strong> campagna <strong>di</strong><br />

Santa Margherita Belicea. In questa casa impara a leggere e a scrivere sotto la guida della maestra<br />

Donna Carmela e apprende il francese con l’aiuto della madre. Frequenta il liceo classico dal<br />

1911 prima a Roma e poi a Palermo. Dopo la maturità s’iscrive a Giurisprudenza all’università <strong>di</strong><br />

Roma. Alla laurea non giunge mai, anche perché partecipa alla 1ª e 2ª Guerra mon<strong>di</strong>ale. Fatto<br />

prigioniero, durante la 1ª guerra mon<strong>di</strong>ale, fugge ed attraversa tutta l’Europa per tornare in patria.<br />

Al congresso letterario <strong>di</strong> San Pellegrino nel 1954 conosce Montale, Bellonci e Bassani.<br />

Poi gli anni passano nella solitu<strong>di</strong>ne e nelle letture.<br />

A causa <strong>di</strong> un carcinoma polmonare muore il 23 luglio 1957.<br />

Tomasi dal momento del suo ritorno a Palermo si de<strong>di</strong>ca a scrivere Il Gattopardo. Bassani,<br />

recatosi in Sicilia, ormai essendo Tomasi già morto, trova il manoscritto dell’opera e la fa pubblicare<br />

nel 1958, dopo che Elio Vittorini lo aveva rifiutato per l’Einau<strong>di</strong>.<br />

Il Gattopardo.<br />

Al centro dell’opera, imponente, la figura del principe Fabrizio Salina, aristocratico coltissimo,<br />

scettico <strong>di</strong> fronte ai tempi nuovi e nel contempo conscio della fine irrevocabile delle vecchie<br />

istituzioni e della società <strong>di</strong> cui fa parte. Nel nipote pre<strong>di</strong>letto Tancre<strong>di</strong> egli rivede se stesso<br />

giovane. In Sicilia sbarcano i garibal<strong>di</strong>ni, la svolta che gli aristocratici dell’isola temono e che la<br />

nuova classe borghese ambisce è giunta. Il principe <strong>di</strong> Salina sa che la vecchia società sta per<br />

crollare e non intende intervenire. Nulla può impe<strong>di</strong>re al nuovo <strong>di</strong> imporsi. A Tancre<strong>di</strong> egli affida<br />

l’adesione al nuovo. Il nipote, infatti, entra nelle fila dei garibal<strong>di</strong>ni e partecipa alle loro gesta.<br />

Don Fabrizio approva le parole dello spregiu<strong>di</strong>cato nipote “perché tutto rimanga com’è, bisogna<br />

che tutto cambi” Tancredì è, infatti, convinto che nel nuovo stato <strong>di</strong> cose il mutamento sarà solo<br />

esteriore e che il potere resterà nelle mani della vecchia classe <strong>di</strong>rigente, purché questa sappia<br />

conformarsi e allearsi con la nuova classe emergente. Tancre<strong>di</strong> persegue questo <strong>di</strong>segno fino a<br />

sposare la bellissima Angelica Sedara, figlia <strong>di</strong> un borghese arricchito. Il futuro gli riserva una<br />

brillante carriera... Il principe <strong>di</strong> Salina, infine, lascia per sé il destino della decadenza della sua<br />

classe, inclusi valori, tra<strong>di</strong>zioni, gerarchie antiche, ed impersona la parte <strong>di</strong> un deluso e sfiduciato<br />

spettatore del processo storico in atto, cui si accompagna, imminente e inevitabile, il <strong>di</strong>sfacimento<br />

della sua stessa esistenza.<br />

3 Nonostante il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> Genio Pampaloni, il quale in proposito scrive: “A mio<br />

giu<strong>di</strong>zio considerare il Cassola come un elegiaco è un equivoco” (Storia della letteratura<br />

italiana, vol., Milano 1969, pp. 846-852).<br />

–36–


“Del neorealismo coevo Cassola accetta il terreno storico-ideologico,<br />

sia pure con risentita in<strong>di</strong>pendenza; ma non accetta né il primato dell’ideologia,<br />

né le coloriture espressionistiche, né alcuna forma <strong>di</strong> enfasi ‘realistica’,<br />

a cominciare dal <strong>di</strong>aletto. I suoi personaggi continuano a parlarsi<br />

nella loro lingua <strong>di</strong>messa e pulita, nei loro <strong>di</strong>aloghi senza gri<strong>di</strong>, aristocratici<br />

nello essere quoti<strong>di</strong>ani”. 4<br />

Queste sono le caratteristiche <strong>di</strong> fondo che oppongono la narrativa elegiaca<br />

degli anni ’50, <strong>di</strong> restaurazione centrista, a quella che era succeduta<br />

imme<strong>di</strong>atamente alla guerra.<br />

La guerra è il momento cui è necessario riferirsi. Una tale esperienza è<br />

crudele e demolitrice dell’uomo e della società. Nella realtà, si tratta, dopo<br />

che il ciclone <strong>di</strong>struttore (1940-1945) è passato, <strong>di</strong> ricostruire il paese pietra<br />

su pietra.<br />

Sul piano letterario occorre, invece, prendere coscienza <strong>di</strong> problemi<br />

nuovi e <strong>di</strong> esprimerli in moduli espressivi innovativi. Si tratta, in pratica, non<br />

<strong>di</strong> consolare, ma <strong>di</strong> formare, secondo quel programma che Elio Vittorini<br />

(1908-1966) andava svolgendo sul Politecnico.<br />

All’intellettuale e allo scrittore del dopoguerra s’impone il compito non<br />

solo <strong>di</strong> “ripresentare” in chiave teoretica l’esperienza vissuta, come faranno<br />

i memorialisti quali Carlo Levi (1902-1975) in Cristo si è fermato ad Eboli<br />

(1945), Mario Rigoni Stern nel Sergente nella neve (1953), e Le lettere dei<br />

condannati a morte della resistenza italiana (1959), ma anche <strong>di</strong> darle un<br />

volto narrativo sicuramente legato alla realtà.<br />

La guerra <strong>di</strong>viene matrice <strong>di</strong> realismo in quanto insegna all’uomo che<br />

la realtà non si può evadere e che essa torna sempre ad imporsi proprio<br />

nelle sue caratteristiche più crude <strong>di</strong> o<strong>di</strong>o, <strong>di</strong> violenza, <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione. Il neorealismo<br />

vuole analizzare la realtà italiana allo scopo <strong>di</strong> trarne una coscienza<br />

ed una formazione nuova. S’impone così nel mondo letterario, nonostante<br />

l’espressione rozza, a volte, e non classicamente curata, ma sempre spontanea,<br />

reale e viva. Su tanti autori del dopoguerra s’innalzano alcuni che<br />

meritano <strong>di</strong> essere espressamente ricordati come Italo Calvino (1923-1985),<br />

Beppe Fenoglio (1922-1963), Vasco Pratolini (1913-1991) e Francesco<br />

Jovine (1902-1950).<br />

4 Geno Pampaloni, ivi, p. 849.<br />

–37–


2. Il neorealismo elegiaco<br />

Il ricordo della crudezza della guerra e della gravità delle sue conseguenze<br />

storicizzate non solo nella produzione letteraria, ma anche, altrettanto<br />

bene, in quella cinematografica (Sciuscià, Paisà, Roma città aperta,<br />

Ladri <strong>di</strong> bicicletta, Il cammino della speranza...) segue un cammino inverso<br />

al progresso sociale.<br />

“Quante più macerie scompaiono e le industrie e il commercio fioriscono<br />

tanto più la gente <strong>di</strong>mentica”. Non è, però, credo, solo una questione<br />

<strong>di</strong> tempo, è soprattutto una risposta inconscia <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa propria dell’uomo.<br />

Non si può, fortunatamente, ricordare sempre il male nella sua atroce e<br />

viva presenza, si preferisce piuttosto tipizzarlo, teorizzarlo, riproporlo in<br />

chiave mitica ed esemplare. Per far ciò occorre collocare il dolore e i sentimenti<br />

dell’uomo fuori dalla concretezza storica ed esaminarli nella loro<br />

qualità ontologica. Ecco perché un Cassola e un Bassani sono sempre rappresentativi<br />

della realtà umana e delle esperienze della vita.<br />

Non è giusto, dunque, stigmatizzare la loro produzione come “letteratura<br />

rosa”. Ciò significherebbe mostrare <strong>di</strong> non comprendere che l’uomo<br />

vuole conoscere la realtà e ricordarla, ma non nella sua orribile imme<strong>di</strong>atezza.<br />

C’è chi è <strong>di</strong>sposto ad affrontare la realtà e a descriverla nella sua<br />

crudezza e a contestarla, ma c’è anche chi la rimuove e tenta <strong>di</strong> fuggirla<br />

in un’evasione elegiaca. A questa corrente appartengono oltre Cassola, il<br />

Tomasi del Gattopardo (1958) e il Bassani del Giar<strong>di</strong>no dei Finzi - Contini<br />

(1962).<br />

La forza dell’uomo è proprio in questo sapersi sollevare al <strong>di</strong> sopra<br />

delle vicende storiche e rilevarne le componenti eterne ed universali.<br />

Cogliere l’uomo in quanto uomo, stu<strong>di</strong>arne i segreti dell’animo, la psiche<br />

occulta, i trasformismi e le debolezze interne: anche questo è realismo, che<br />

nella trasfigurazione fantasiosa ed universalizzante <strong>di</strong>viene elegiaco.<br />

La produzione <strong>di</strong> Cassola evade dunque dalla storia, ma non dall’uomo.<br />

Egli non guarda alla storia come un teatro <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> eventi e <strong>di</strong> visioni finalizzate,<br />

ma come un paesaggio <strong>di</strong> fondo da interiorizzare spoglio <strong>di</strong> ogni orpello<br />

che non sia in<strong>di</strong>spensabile ad inquadrare la realtà esistenziale dei suoi<br />

personaggi.<br />

Forse che Cassola non fa letteratura, della migliore, quando riesce a<br />

rappresentare la realtà esistenziale attraverso l’esemplarizzazione dei sentimenti<br />

<strong>di</strong> dolore e <strong>di</strong> amore dell’uomo? Il minor ottimismo che ne deriva,<br />

rispetto alla letteratura più impegnata del neorealismo, non <strong>di</strong>pende dal-<br />

–38–


l’aver scoperto la eterna presenza nei destini dell’uomo del dolore, ma nel<br />

non dargli una risposta adeguata; e nel cristallizzare vicende e personaggi<br />

in un’atmosfera <strong>di</strong> sgomento e d’illusione, <strong>di</strong> tristezza e <strong>di</strong> delusione, <strong>di</strong><br />

abbandono e <strong>di</strong> rassegnazione.<br />

3. Carlo Cassola: Cenni biografici<br />

Carlo Cassola è nato a Roma, il 17 marzo 1917, da madre volterrana e<br />

da padre lombardo vissuto anch’egli lungamente a Volterra. Fino a ventitrè<br />

anni Cassola rimane nella capitale, ove frequenta il liceo Tasso e, in seguito,<br />

l’Umberto I, per poi iscriversi nel 1935 alla Facoltà <strong>di</strong> Giurisprudenza all’Università<br />

<strong>di</strong> Roma.<br />

Ai ricor<strong>di</strong> del periodo romano risale uno dei pochi libri <strong>di</strong> Cassola non<br />

ambientati in una ristretta zona della Toscana, tra Volterra e Marina <strong>di</strong><br />

Cecina: La casa <strong>di</strong> via Vala<strong>di</strong>er (scritto insieme col racconto Esiliati tra<br />

il ’53 e il ’56). A Roma ambienterà anche un altro racconto lungo Monte<br />

Mario, del 1973.<br />

Le prime esperienze letterarie Cassola le fa a vent’anni, nel 1937, quando<br />

Alberto Spaini gli pubblica due racconti sul “Meri<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> Roma” e nel 1939,<br />

quando Romano Bilenchi gli fa pubblicare tre racconti su “Letteratura”.<br />

“La vocazione alla letteratura mi nacque nell’estate del ’35, quando<br />

avevo 18 anni. Da allora non ho mai avuto altra ambizione che quella dello<br />

scrivere”, così si rivela lo stesso Cassola.<br />

Le prime prove letterarie <strong>di</strong> Cassola si limitano a brevi racconti raccolti<br />

in Alla periferia (1941) e La visita (1942).<br />

In questi primi racconti la materia già viene trattata secondo quelli che<br />

saranno i canoni della poetica cassoliana del subliminale: “essenzialità <strong>di</strong><br />

contenuto e <strong>di</strong> espressione; ricerca del senso assoluto ed eterno dell’esistenza<br />

umana attraverso l’analisi del <strong>di</strong>venire fenomenico della vita, espresso senza<br />

retorica, fronzoli, motivazioni, ma solo con gesti, oggetti, <strong>di</strong>aloghi, momenti<br />

oggettivi ed essenziali”.<br />

In Toscana l’autore partecipa attivamente alla Resistenza. Di questa<br />

esperienza, dopo un periodo <strong>di</strong> silenzio dovuto anche alle vicende belliche,<br />

ne risentono le opere, racconti e romanzi, scritti negli anni seguenti, mentre<br />

si de<strong>di</strong>ca anche all’insegnamento <strong>di</strong> Filosofia in un liceo <strong>di</strong> Grosseto: Baba<br />

(1946), I vecchi compagni (1953), Fausto e Anna (1952), Il taglio del bosco<br />

(1948, ma pubblicato più tar<strong>di</strong>).<br />

–39–


Dopo la guerra si de<strong>di</strong>ca all’attività giornalistica (“Il Mondo” <strong>di</strong> Mario<br />

Pannunzio, 1910-1968, e il “Contemporaneo”) con note <strong>di</strong> costume e <strong>di</strong> vita<br />

quoti<strong>di</strong>ana della Maremma, tanto che s’induce a scrivere I minatori della<br />

Maremma nel 1956, un libro inchiesta sui minatori della sua terra.<br />

A segnare un momento <strong>di</strong> maggior respiro nella vita appartata che egli<br />

conduce a Grosseto è il viaggio in Cina del 1955, da cui trae un <strong>di</strong>ario d’impressioni<br />

Viaggio in Cina (1956). Da Grosseto poi si trasferisce a Cecina e a<br />

Volterra.<br />

Fino al 1955 il successo ottenuto rimane limitato ad una cerchia <strong>di</strong> specializzati,<br />

ma con le opere seguenti Cassola attira un pubblico più vasto.<br />

Con Il soldato vince il premio Salerno 1956. Con una raccolta <strong>di</strong> tutti i suoi<br />

racconti, intitolata Il taglio del bosco ottiene il premio Marzotto 1959 e finalmente<br />

con La ragazza <strong>di</strong> Bube, anch’esso ispirato alla Resistenza, vince<br />

il premio Strega per il 1960.<br />

Ad un terzo periodo letterario (il primo va fino al 1956, il secondo tra<br />

1956 e il 1960 con la raggiunta popolarità; il terzo dal 1960 in poi) potremmo<br />

far risalire l’approfon<strong>di</strong>mento e la maturazione teorica della sua problematica<br />

e della sua poetica, ciò anche attraverso pronunciamenti critici e polemici.<br />

Egli in questo modo costruisce una poetica propria da cui sboccia un insieme<br />

<strong>di</strong> opere, quali Un cuore arido nel 1961, Il cacciatore nel 1964,<br />

Tempi memorabili nel 1966, Storia <strong>di</strong> Ada nel 1967, Ferrovia locale nel<br />

1968, Paura e tristezza nel 1970, Monte Mario nel 1973, Gisella nel 1974,<br />

Fogli <strong>di</strong> <strong>di</strong>ario nel 1974 e L’antagonista nel 1976, Vita <strong>di</strong> artista, 1979,<br />

Il ribelle, 1980.<br />

Negli ultimi anni della sua vita, Carlo Cassola, morto il 29 gennaio<br />

1987, a Montecarlo, in provincia <strong>di</strong> Lucca, ha trattato temi <strong>di</strong> impegno antimilitarista:<br />

La lezione della storia, 1978; Diritto alla sopravvivenza, 1982;<br />

Contro le armi, 1980; La rivoluzione <strong>di</strong>sarmista,1983, rimanendo però<br />

lontano dall’attività politica ufficiale.<br />

4. La poetica cassoliana<br />

Dovendo ritrovare gli ascendenti o i maestri <strong>di</strong> Cassola, bisognerebbe<br />

risalire più che alle esperienze ermetico-novecentesche, ai gran<strong>di</strong> romanzieri<br />

russi dell’800, ma, soprattutto, al Flaubert <strong>di</strong> Un cuore semplice e ai racconti<br />

dublinesi <strong>di</strong> Joyce, il cui influsso appare chiaramente nei racconti de La visita,<br />

1942. “In Joyce – <strong>di</strong>ce Cassola – scoprii il primo scrittore che concentrasse la<br />

–40–


sua attenzione su quegli aspetti della vita che per me erano sempre stati i più<br />

importanti e <strong>di</strong> cui gli altri sembravano non accorgersi nemmeno”.<br />

A queste fonti, però, Riccardo Scrivano aggiunge, riconoscendole<br />

un’influenza quasi predominante, la narrativa bilenchiana. 5 Cassola infatti,<br />

dalla conoscenza <strong>di</strong>retta delle opere <strong>di</strong> Romano Bilenchi (per es. Il capofabbrica,<br />

La siccità, La miseria, Conservatorio <strong>di</strong> Santa Teresa), dal suo<br />

lento raccontare analitico, dalla sua prosa limpida e scarna avrebbe tratto il<br />

timbro della sua stessa prosa. 6<br />

Lo Scrivano collega l’esperienza del Bilenchi e in<strong>di</strong>rettamente <strong>di</strong> Cassola,<br />

per motivi ideali sostenuti da “Solaria” (1926-36) e da “Letteratura”<br />

(1937-1940). Cassola, come il Bilenchi, ha accolto i motivi civili soprattutto<br />

della Resistenza.<br />

A partire dal 1961 con Un cuore arido, però, il Cassola rinunzia anche a<br />

questo elemento per concentrare tutto il suo sforzo nello scavo <strong>di</strong> intimità<br />

umane, quasi sempre femminili. È venuto creando personaggi chiusi in se<br />

stessi o al massimo che accettano <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogare solo con la natura e i luoghi<br />

in cui vivono. Quelli poi che per circostanze fatali si sono dovuti aprire al<br />

<strong>di</strong>alogo rimangono delusi e vi soggiacciono rassegnati.<br />

Per queste scelte Cassola è stato definito scrittore “e<strong>di</strong>ficante”, eppure<br />

non è così, il suo realismo, “che sembra scorrere tranquillamente e naturalmente,<br />

è più crudo <strong>di</strong> qualunque altro. L’eccesso della crudezza quasi per<br />

contrasto lascia sempre la speranza inconfessata d’una ripresa; la fatalità<br />

invece cassoliana, la resistenza sempre prudente dei suoi personaggi, la<br />

tristezza delle loro esistenze mai giunte a realizzarsi compiutamente provocano<br />

un sapore amaro e un desiderio <strong>di</strong> abbandonarci anche noi a un destino<br />

inavvertibile, ma possente”.<br />

I suoi personaggi, però, <strong>di</strong>staccati progressivamente dalla contingenza<br />

storica, <strong>di</strong>vengono sempre più emblematici. Attraverso questa catarsi poetica,<br />

5 In Riviste, scrittori e critici del Novecento, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 173-176).<br />

6 Romano Bilenchi nacque nel 1909 a Colle Val d’Elsa da una famiglia <strong>di</strong> piccoli industriali.<br />

A Firenze frequentò il liceo scientifico, ma, ammalatosi, dovette interrompere gli stu<strong>di</strong> per<br />

riprenderli più tar<strong>di</strong>. Fece le sue prime prove nel clima <strong>di</strong> “Strapaese” collaborando al “Selvaggio”<br />

<strong>di</strong> Mino Maccari. Nel dopoguerra si de<strong>di</strong>cò al giornalismo militante come redattore del “Contemporaneo”<br />

e come <strong>di</strong>rettore, dal 1948 al 1956 del quoti<strong>di</strong>ano fiorentino “Nuovo Corriere”.<br />

Narrativa: Vita <strong>di</strong> Pisto, 1931; Cronaca dell’Italia meschina ovvero Storia dei socialisti<br />

<strong>di</strong> Colle,1933; Il capofabbrica, 1933; Anna e Bruno e altri racconti, 1938; Conservatorio <strong>di</strong><br />

Santa Teresa, 1940; La siccità, 1941; Dino e altri racconti, 1942; Mio cugino Andrea, 1943;<br />

Racconti, 1958; Una città, 1958, Il bottone <strong>di</strong> Stalingrado 1972; Il gelo (1982).<br />

È morto a Firenze il 18 novembre 1989.<br />

–41–


i personaggi cassoliani riescono a toccare i confini dell’eternità e dell’universalità.<br />

Cassola afferma espressamente che non intende fare oggetto della sua<br />

narrativa la coscienza pratica dell’uomo, ma quanto vi è sotto “il limite della<br />

coscienza opaca” o, come egli stesso la chiama, della coscienza “subliminare”.<br />

Cassola stesso adotta questa espressione, quando scrive in questi termini:<br />

“Il nome (subliminare) lo trovò Cancogni, e a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> anni devo <strong>di</strong>re<br />

che era singolarmente azzeccato: subliminare significa infatti sotto la soglia,<br />

cioè sotto la soglia della coscienza pratica. Così appunto stanno le cose:<br />

l’emozione poetica non appartiene alla sfera della coscienza pratica, ma alla<br />

coscienza che sta sotto, alla coscienza subliminare. Il sublime è l’oggetto<br />

spogliato <strong>di</strong> ogni suo attributo ideologico, etico, psicologico ecc. Coincide<br />

cioè con l’esistente, col nudo fatto dell’esistere; o meglio, con l’esistenza e<br />

col solo attributo reale che essa comporti, la coesistenza dei sessi. L’esistenza-coesistenza<br />

dei sessi doveva <strong>di</strong>ventare il solo oggetto della rappresentazione<br />

letteraria”.<br />

Cassola per poetica del realismo subliminare intende “uno sguardo letterario<br />

attento a cogliere le vibrazioni più sottili e umbratili della realtà, spesso<br />

nascoste dalle apparenze banali del quoti<strong>di</strong>ano, relegate sotto la soglia della<br />

coscienza pratica, ma che racchiudono il significato vero e profondo della<br />

vita umana”.<br />

Egli ritiene che “L’emozione poetica è propria <strong>di</strong> quei momenti privilegiati<br />

in cui l’attenzione pratica viene meno, si squarcia il velo opaco che nasconde<br />

le cose e queste ci appaiono nella loro vera realtà”. La realtà coincide<br />

con la verità.<br />

Questa teoria poetica richiede, dunque, uno scavo paziente <strong>di</strong> quanto<br />

è semplice, normale, monotono perfino, e quoti<strong>di</strong>ano nell’esistenza umana.<br />

Non si sottraggono a questo scandaglio subliminale neppure i primi<br />

scritti <strong>di</strong> Cassola.<br />

Eppure, ciò facendo, Cassola si ricollega alla tra<strong>di</strong>zione, soprattutto alle<br />

esperienze letterarie degli anni ’30 e ’40 sorte nell’ambito <strong>di</strong> “Solaria” e <strong>di</strong><br />

“Letteratura”.<br />

Purtroppo egli vi aderisce con un certo rigore, per cui il suo lavoro <strong>di</strong><br />

riduzione (<strong>di</strong> fatti, contenuti e anche mezzi linguistici) lo costringe all’unica<br />

soluzione possibile, il silenzio. Solo nel dopoguerra Cassola riprenderà a<br />

scrivere, ma la poetica del subliminale da lui formulata non scomparirà;<br />

solo, però, verrà intesa con minor rigore anche rispetto alle scelte dei contenuti,<br />

e ciò gli permetterà <strong>di</strong> produrre una serie <strong>di</strong> racconti e romanzi come<br />

–42–


Baba (1946), Esiliati (1953), La casa <strong>di</strong> via Vala<strong>di</strong>er (1956), Fausto e Anna<br />

(1952), La ragazza <strong>di</strong> Bube (1960).<br />

I motivi <strong>di</strong> fondo, antifascismo e partecipazione alla resistenza, mostrano<br />

un ampliamento <strong>di</strong> argomenti soltanto quantitativo, in quanto il modo della<br />

ricerca è ancora quello del Cassola <strong>di</strong> anteguerra: limitare la rappresentazione<br />

<strong>di</strong> ogni acca<strong>di</strong>mento storico per scoprire nell’intimo dei personaggi i<br />

valori estremi dell’esistenza. La decisione <strong>di</strong> Fausto <strong>di</strong> prendere parte attiva<br />

alla lotta <strong>di</strong> resistenza è un tentativo <strong>di</strong> riempire il vuoto interno lasciatogli<br />

dal <strong>di</strong>stacco <strong>di</strong> Anna (Fausto e Anna); la lotta è un mezzo per esprimere la<br />

progressiva sfiducia <strong>di</strong> chi invano si oppone al regime (Esiliati); la liberazione<br />

è solo il momento che segna il perdersi delle speranze e il sorgere della<br />

opaca realtà (La casa <strong>di</strong> via Vala<strong>di</strong>er).<br />

La vita come è descritta da Cassola appare umile, opaca, immotivata,<br />

monotona, striminzita.<br />

Ore e stagioni, dolore e amore si succedono come un normale fluire esistenziale<br />

mai variato o trasfigurato dagli avvenimenti esterni ai personaggi.<br />

Il paesaggio toscano immerso nella sua serena in<strong>di</strong>fferenza assiste passivo<br />

allo svolgersi <strong>di</strong> esistenze le cui profonde sofferenze si <strong>di</strong>luiscono nella ineliminabile<br />

eterna ripetizione. Quasi in un irreparabile destino, la cui fatale<br />

nascosta presenza rileva con sufficiente evidenza il crudo e inavvertito pessimismo<br />

<strong>di</strong> Cassola. Il poeta Mario Luzi, riferendosi allo sfondo geografico<br />

dell’opera <strong>di</strong> Cassola, afferma: “Per affetto e per organica intelligenza <strong>di</strong><br />

poesia, Cassola ne ha fatto non una provincia, e sia pure la sua provincia,<br />

ma un luogo, anzi il luogo dell’anima”. È evidente che una tale scelta pratica<br />

riduce le trame al necessario e impone uno stile neutro, non partecipe,<br />

che si limita a presentare gli oggetti e le persone quasi con meccanica esposizione.<br />

Tuttavia componendosi la scelta stilistica con la visione poetica,<br />

l’effetto che ne risulta è <strong>di</strong> un tono melanconico e dolente, rassegnato. Più<br />

che il contenuto, della pagina <strong>di</strong> Cassola, rimane nel lettore l’impressione:<br />

la mesta impressione <strong>di</strong> un momento universale dell’esistenza umana.<br />

5. Analisi <strong>di</strong> alcuni romanzi<br />

Questa visione poetica della realtà è stata comprovata da moltissimi<br />

lavori: racconti brevi e lunghi e romanzi. Qui l’analisi si limiterà ad analizzare<br />

soltanto alcuni scritti <strong>di</strong> Cassola scelti tra quelli più rappresentativi<br />

della sua poetica.<br />

–43–


1-Tra i suoi romanzi il più conosciuto è certamente La ragazza <strong>di</strong> Bube<br />

(1960). La vicenda si svolge nella Val d’Elsa, una delle zone toscane pre<strong>di</strong>lette<br />

da Cassola; ed è ambientata all’indomani della Liberazione. Narra<br />

della vicenda <strong>di</strong> una ragazza, Mara Castellucci <strong>di</strong> Montegui<strong>di</strong> che conosce<br />

Arturo Cappellini, detto Bube, un partigiano, compagno <strong>di</strong> Sante, fratellastro<br />

<strong>di</strong> Mara, morto durante la Resistenza. I due iniziano una corrispondenza<br />

epistolare. Bube, purtroppo, si trova implicato in un omici<strong>di</strong>o. Durante<br />

un alterco tra lui, Umberto e Ivan suoi amici a San Donato e un prete,<br />

Bube, visto uccidere Umberto, ha a sua volta ucciso un maresciallo dei carabinieri<br />

che era intervenuto e anche un figlio del milite. Bube, allora, convince<br />

Mara a seguirlo a Volterra. Durante il viaggio incontrano Memmo, un<br />

amico <strong>di</strong> Bube, e Ciolfi, un prete a cui Bube aveva fatto da chierichetto. La<br />

situazione si complica quando, prima, una donna che ha visto i figli uccisi<br />

dai fascisti pretende che Bube <strong>di</strong>a una lezione al prete e, poi, un gruppo <strong>di</strong><br />

giovani antifascisti vorrebbe picchiare il prete. Bube e Memmo decidono <strong>di</strong><br />

salvare don Ciolfi facendolo riparare in una prigione. Bube subito dopo riceve<br />

dal compagno Lidori l’or<strong>di</strong>ne del partito <strong>di</strong> fuggire in Francia. Lui parte,<br />

mentre Mara torna alla sua vita consueta. Il tempo passa senza avere notizie<br />

<strong>di</strong> Bube. Ines, una compaesana le presenta Stefano con cui si fidanza. Dopo<br />

un anno Bube ritorna, sempre per or<strong>di</strong>ne del partito, ma viene arrestato<br />

all’arrivo e condotto a Firenze. Mara va a trovarlo e, durante il colloquio<br />

che ha con lui, si convince <strong>di</strong> amare Bube per sempre e <strong>di</strong> doverlo attendere<br />

per i quattor<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong> prigione che il giovane dovrà scontare.<br />

Sono trascorsi sette anni. Bube è in prigione. Mara lo va a trovare <strong>di</strong><br />

tanto in tanto, fermandosi ospite <strong>di</strong> un secon<strong>di</strong>no, Tonino, e della moglie,<br />

Vilma.<br />

Bube attraversa gli anni del carcere amareggiato: il partito lo ha educato<br />

alla violenza e alla vendetta, ma, quando egli ha avuto bisogno <strong>di</strong> aiuto per<br />

il delitto commesso, il partito non l’ha <strong>di</strong>feso. Si sente tra<strong>di</strong>to.<br />

Il motivo che dà unità alla vicenda non è la con<strong>di</strong>zione politica dell’Italia<br />

del dopoguerra, la storia <strong>di</strong> quegli anni rimane sullo sfondo; è invece,<br />

il sentimento. Nella linea interrotta dell’esistenza si apre casualmente,<br />

e altrettanto improvvisamente si concluderà, un momento <strong>di</strong> vita, soprattutto<br />

interiore <strong>di</strong> due giovani. La realtà è vista come fluente e ricomponentesi<br />

nel sentimento che da quel momento lega la ragazza a Bube.<br />

2-Forse, però, il romanzo migliore è Fausto e Anna (1952). Cassola segue<br />

il maturarsi <strong>di</strong> Fausto e Anna dalla loro giovinezza fino al momento dell’ultimo<br />

definitivo ad<strong>di</strong>o che si cristallizza sullo sfondo della guerra partigiana.<br />

–44–


Scritto 7 nel 1949 e pubblicato nel 1952 il romanzo, ambientato nell’Italia<br />

degli anni Quaranta e <strong>di</strong> decisa ispirazione autobiografica. Nella<br />

prima parte del romanzo i due protagonisti, Fausto e Anna, sono compresenti:<br />

a Volterra, d’estate, Anna conosce Fausto, figlio dell’avvocato Errera,<br />

<strong>di</strong> cui si innamora ricambiata. Il rapporto tra i due giovani è fin dall’inizio<br />

molto tormentato a causa delle idee anticonformiste <strong>di</strong> Fausto, della sua<br />

incapacità <strong>di</strong> abbandonarsi al sentimento e soprattutto della sua adolescenziale<br />

contrad<strong>di</strong>zione: egli è lacerato tra spinte velleitarie e intellettualistiche<br />

e il desiderio <strong>di</strong> una vita semplice, quale gli traspare dal comportamento e<br />

dalle parole <strong>di</strong> Anna. Durante l’inverno Fausto torna a Roma per stu<strong>di</strong>are e<br />

i due ragazzi si scambiano lettere; ma mentre Anna riesce a esprimere il suo<br />

amore, Fausto lo tiene accuratamente celato, all’opposto <strong>di</strong> quanto fa, invece,<br />

con la sua gelosia, manifestata ad Anna in lettere rabbiose e offensive. I loro<br />

rapporti peggiorano rapidamente fino alla rottura.<br />

Da questo momento il racconto si concentra sulle vicende <strong>di</strong> Anna. Trasferitasi<br />

con la famiglia a Grosseto, la giovane comincia a frequentare Miro<br />

e, dopo <strong>di</strong>ciotto mesi <strong>di</strong> fidanzamento, i due giovani si sposano. Ma nel<br />

1943 la guerra sconvolge anche Grosseto e la famiglia <strong>di</strong> Anna sfolla a San<br />

Ginesio: Anna ha ormai una bambina <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci mesi, mentre Miro, richiamato<br />

alle armi da un anno e mezzo, è al <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> Bologna, da dove ogni<br />

tanto va in licenza a far visita alla famiglia. Dal terzo capitolo della seconda<br />

parte, la narrazione si sposta sulle vicende avventurose e tormentate <strong>di</strong><br />

Fausto, il quale, dopo aver conosciuto alcuni partigiani, si sente attratto<br />

dalla causa per cui combattono e decide <strong>di</strong> unirsi a loro. Raggiunto un accampamento<br />

in montagna, egli partecipa a varie imprese ed entra nel partito<br />

d’azione. Durante una sparatoria contro tre auto <strong>di</strong> tedeschi, viene ferito un<br />

compagno. Per salvarlo, si reca con altri partigiani a San Ginesio, dove incontra<br />

<strong>di</strong> nuovo Anna. Durante un colloquio nel quale si aggiornano sulle<br />

proprie vite, i due scoprono <strong>di</strong> amarsi ancora. Tornato all’accampamento,<br />

Fausto vive un episo<strong>di</strong>o che mette a nudo i dubbi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne etico che intanto<br />

aveva cominciato a nutrire sull’esperienza partigiana. È incaricato, infatti,<br />

<strong>di</strong> fungere da traduttore a un soldato inglese che protesta animatamente<br />

contro i partigiani per la sommaria uccisione <strong>di</strong> alcuni prigionieri e minaccia<br />

<strong>di</strong> denunciarli agli Alleati. Nell’occasione, una frase soprattutto, “I am a<br />

sol<strong>di</strong>er, an honourable sol<strong>di</strong>er”, si stampa indelebile nella sua mente, come<br />

una proclamazione <strong>di</strong> quel comportamento onorevole che i soldati, a <strong>di</strong>ffe-<br />

7 Cfr. Luigi De Bellis. (letteratura@tin.it)<br />

–45–


enza dei partigiani, possono vantare. Dopo aver ripetutamente criticato i<br />

meto<strong>di</strong> sbrigativi e cruenti dei partigiani, Fausto si convince, dolorosamente,<br />

che la condotta dei suoi compagni non è ispirata a principi morali<br />

ma unicamente alla violenza ven<strong>di</strong>catrice. La vicenda si conclude con una<br />

definitiva separazione: inviato a San Ginesio per entrare in contatto con gli<br />

Alleati, Fausto va in cerca <strong>di</strong> Anna, ma non la trova; incontra invece la<br />

cugina <strong>di</strong> lei, Nora, la quale lo esorta a non rivedere più Anna per non turbare<br />

la tranquillità della sua vita familiare. Tornata a casa, Anna festeggia la<br />

liberazione con la figlia e con Miro.<br />

Nel romanzo ci sono momenti narrativi belli, ma che sembra non impressionino<br />

mai profondamente il lettore: alcune serene descrizioni della Toscana,<br />

il fluire naturale <strong>di</strong> teorie, dubbi, contrasti, sensazioni ed esperienze <strong>di</strong>verse<br />

nei protagonisti; il ribollire pacato della situazione politica del tempo.<br />

Il carattere <strong>di</strong> Fausto e Anna, ma anche quello <strong>di</strong> alcuni personaggi minori,<br />

è delineato con evidenza attraverso i <strong>di</strong>aloghi, le <strong>di</strong>scussioni, le scelte<br />

e le analisi introspettive. Su tutto, però, domina, al <strong>di</strong>sotto del “velo opaco”,<br />

una realtà <strong>di</strong>versa e ineluttabile. Anna si accorge troppo tar<strong>di</strong> che ama<br />

Fausto e che la realtà fenomenica le nascondeva un destino impreve<strong>di</strong>bile.<br />

Col tempo approfon<strong>di</strong>sce il suo sentimento, ma alla fine è costretta ad accogliere<br />

supinamente il <strong>di</strong>stacco.<br />

3-Una delle capacità più spiccate <strong>di</strong> Cassola è l’abilità <strong>di</strong> descrizione e<br />

<strong>di</strong> introspezione dei caratteri femminili. Tipico a questo proposito, è Monte<br />

Mario (1937). Più che <strong>di</strong> romanzo si dovrebbe parlare <strong>di</strong> un racconto lungo.<br />

L’argomento, infatti, è solo l’occasione per scandagliare l’animo <strong>di</strong> Elena e<br />

delinearne un “carattere”. Il <strong>di</strong>fetto fondamentale della sua psicologia, più<br />

che l’incostanza, è l’incertezza. Elena è destinata a vivere per sempre come<br />

su un’altalena <strong>di</strong> idee e <strong>di</strong> sentimenti, facendo soffrire non solo gli altri, ma<br />

anche se stessa. Accanto ad Elena si sviluppa il carattere <strong>di</strong> Mario, ma quasi<br />

necessariamente in tono minore. Egli subisce le iniziative, le debolezze, le<br />

provocazioni e l’abbandono <strong>di</strong> Elena.<br />

Al termine del romanzo rimane impresso <strong>di</strong>stintamente il personaggio,<br />

ma esso lascia nell’animo del lettore quel senso <strong>di</strong> insod<strong>di</strong>sfazione e <strong>di</strong> incompiuto<br />

che il suo carattere “sospeso” provoca in chi vi partecipa.<br />

4-Anche Un cuore arido (1961) merita <strong>di</strong> essere esaminato più attentamente.<br />

Non solo per l’ampiezza <strong>di</strong> contenuto e <strong>di</strong> struttura, che ne fanno un<br />

vero romanzo, ma anche perché si fa leggere con maggiore attrazione che<br />

gli altri; soprattutto nella prima parte, quando i protagonisti Anna, Bice e gli<br />

amici, sono ancora giovani e pieni <strong>di</strong> speranza.<br />

–46–


Man mano che il velo del tempo cala su <strong>di</strong> loro anche il tono del romanzo<br />

sembra che si adegui, lasciando un sapore <strong>di</strong> melanconia e <strong>di</strong> pessimismo.<br />

Nel romanzo “Anna e Bice sono due sorelle che, rimaste orfane da bambine,<br />

furono cresciute da una zia. Ed insieme a questa, lavorando da sarte,<br />

vivono in un paesetto: Marina, nelle vicinanze <strong>di</strong> Livorno. Personaggio un<br />

po’ bisbetico, ma leale e industrioso, che dovrà presto andare <strong>di</strong> leva, Enrico<br />

è innamorato <strong>di</strong> Anna, e glielo fa rozzamente e insistentemente capire, ma<br />

con poca fortuna. Comincia invece a bazzicare in casa delle ragazze un giovane<br />

soldato: Mario, che si fidanza con Bice. E nelle ore <strong>di</strong> libera uscita,<br />

recandosi a trovarla, familiarizza e simpatizza anche con Anna, la sorella.<br />

Accade che la simpatia <strong>di</strong> Mario per Anna finisce col prevalere, e presto<br />

<strong>di</strong>vampa in amore violento. È una situazione penosa; ma potrebbe esserci<br />

qualche rime<strong>di</strong>o. Per sfortuna, il padre <strong>di</strong> Mario, che da anni si è sistemato<br />

a Chicago, e laggiù ha trovato lavoro anche per il figlio, ora pretende che,<br />

appena possibile, Mario vada a raggiungerlo, ed intanto gli sta facendo<br />

preparare i fogli per il viaggio.<br />

Nell’avvicinarsi del congedo militare e della partenza per Chicago, i<br />

segreti incontri <strong>di</strong> Anna e <strong>di</strong> Mario <strong>di</strong>ventano sempre più ardenti e <strong>di</strong>sperati.<br />

E vinti infine gli onesti scrupoli <strong>di</strong> Mario, ch’è un figliuolo dabbene, Anna<br />

gli si dà deliberatamente. Gli si dà quasi sentisse che, all’infuori che con lui,<br />

ella non potrebbe realizzare nella sua pienezza e verità il proprio destino <strong>di</strong><br />

amore. E non le importa nulla se questo destino fiorirà per lei soltanto<br />

questa volta, ch’è l’ultima ch’essi stanno insieme; lasciandola, per tutto il<br />

resto della sua vita, menomata e sacrificata.<br />

Nell’andare del tempo Anna ha una relazione <strong>di</strong> qualche mese con un<br />

giovane <strong>di</strong> famiglia facoltosa, che poi preferisce fare un matrimonio d’interesse.<br />

Del resto Anna non s’è mai illusa sulla qualità e sull’esito <strong>di</strong> questa<br />

relazione, e non l’ha accettata che “per cancellare il ricordo <strong>di</strong> Mario che<br />

non la lasciava più vivere”. Com’era invitabile, nel meschino ambiente <strong>di</strong><br />

provincia, più o meno le cose si risanno, e già era trapelato <strong>di</strong> quei primi<br />

amori con Mario. Il vecchio, pretendente, Enrico, lunatico quanto laborioso,<br />

torna da fare il soldato; ma rinunciando ad Anna si accosta a Bice, e se la<br />

sposa subito. Un senso <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> sconfitta potrebbe aggravarsi su<br />

Anna fino a schiacciarla, se la coscienza e l’orgoglio d’avere una volta<br />

amato davvero non le valessero a compenso dei <strong>di</strong>singanni.<br />

Delle giovani protagoniste del romanzo a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tempo non una si<br />

è salvata nel suo spirito, più che nella sua realtà fisica, <strong>di</strong> fronte all’inarrestabile<br />

scorrere dell’esistenza.<br />

–47–


Anche i protagonisti maschili, però, subiscono la medesima sorte, ma<br />

con una dose <strong>di</strong> passività e meccanicità minore. Spiegherà ciò Anna, parlando<br />

con Ada: noi ci accontentiamo <strong>di</strong> un amore (esistenza) più ideale, loro<br />

amano (= vivono) pure così, ma devono fare “quello”.<br />

Così Bice finisce per sposare un uomo che non ama; Anna perde il suo<br />

vero amore; Marisa batte una brutta strada; Lina accetta <strong>di</strong> convivere con<br />

l’amante; Ada cede a Luigi.<br />

Di fronte a questa catastrofe esistenziale, che si verifica quasi come<br />

legge assoluta per gli uomini, forse ha ragione Anna quando sostiene che<br />

solo i “luoghi” non tra<strong>di</strong>scono mai, e abbandonatasi infine a questo culto<br />

dei luoghi, rifiuta per sempre qualunque legame con altre persone e riesce a<br />

trovare nella solitu<strong>di</strong>ne un giusto equilibrio.<br />

Questa soluzione è l’essenziale non solo del personaggio Anna ed è,<br />

inoltre, la novità <strong>di</strong> questo romanzo, ma è l’aspetto e l’esperienza fondamentale<br />

<strong>di</strong> vita proposta a tutti gli uomini. L’amore fa soffrire le persone,<br />

non i luoghi. Essi con la loro fedeltà integrano l’esistenza umana, le assicurano<br />

una tranquillità che le relazioni con gli uomini non procurano. Questo,<br />

mi sembra, il messaggio che Cassola ha affidato a Un Cuore arido.<br />

I luoghi sono in Cassola sempre quelli della Toscana. Questa volta sono<br />

Marina, un paesino in riva al mare, in via <strong>di</strong> sviluppo, e Livorno. In Fausto<br />

e Anna erano i paesaggi toscani, teatro della lotta partigiana, Grosseto, Volterra<br />

e San Genesio. Monte Mario fa eccezione: la vicenda è ambientata a<br />

Roma. Appare subito che Cassola la conosce meno bene della Toscana o,<br />

forse, la sente soltanto <strong>di</strong> meno. Ciò però gli permette <strong>di</strong> ridurre ancora <strong>di</strong><br />

più la vicenda all’essenzialità dei sentimenti, secondo i sal<strong>di</strong> criteri della<br />

sua poetica.<br />

È da rilevare particolarmente la esemplarità dell’esistenza e del carattere<br />

<strong>di</strong> Anna. Ella, se si riflette con attenzione, non ha quel cuore arido che il<br />

titolo lascia supporre. Spesso, anzi, ha saputo suscitare confidenza e fiducia.<br />

Ha saputo dare aiuto e far sentire a chi l’avvicinava la sua bontà e profonda<br />

onestà; ma, soprattutto, è una donna che ha saputo amare veramente senza<br />

interesse una volta per tutte. L’ari<strong>di</strong>tà del suo cuore è mera apparenza.<br />

Anna rinunzia ad amare altri uomini per rimanere fedele a quell’unico.<br />

O, forse, scandagliando più a fondo il suo animo, come fa Cassola, il suo<br />

amore più vero non è stato neppure per Mario, ma, ancora una volta, per i<br />

luoghi ove è nata e vissuta. Il motivo? È questo: degli uomini non ci si può<br />

fidare, mentre della natura sì. Così alla fine è <strong>di</strong>ventato un cuore arido sul<br />

serio, ma per necessità, non per elezione.<br />

–48–


Non è solo questo, Anna riesce realmente a trovare in sé la forza <strong>di</strong> inquadrare<br />

tutti i problemi dell’esistenza in una superiore, ma anche naturale,<br />

facile, spontanea visione delle cose.<br />

I protagonisti maschili <strong>di</strong> Cassola, al contrario, sono tutti quasi sempre<br />

<strong>di</strong> secondo piano: meno sicuri e decisi delle donne, eccetto che per l’esercizio<br />

delle capacità sessuali.<br />

5-Ne Il cacciatore, scritto da Cassola nel 1964, i luoghi sono quelli più<br />

cari alla penna <strong>di</strong> Cassola: le terre assolate e boscose che si estendono da<br />

Cecina a Bolgheri. Cambia, piuttosto, il mondo dei personaggi. Sono commercianti,<br />

conta<strong>di</strong>ni e fattori. Lo stesso protagonista, e questa volta si può<br />

dare ad un personaggio maschile il ruolo principale, Alfredo Biantinesi, è<br />

un commerciante. Invero, però, in queste vesti, Alfredo ci sta male e per costrizione.<br />

Da giovane aveva stu<strong>di</strong>ato anche con un certo profitto, ma il<br />

padre l’aveva ritirato dalla scuola perché rimanesse più libero per gli affari.<br />

Ora però, morto il padre, il negozio <strong>di</strong>venta per lui solo un luogo <strong>di</strong> passaggio<br />

obbligatorio come la casa; la sua vita si svolge al <strong>di</strong> fuori: tra i boschi,<br />

le forre, le valli, le colline e il greto dei fiumi; sotto il sole dardeggiante<br />

e le improvvise piogge.<br />

È protagonista al pari <strong>di</strong> Nelly, la ragazza selvaggia e impulsiva, bisognosa<br />

<strong>di</strong> amare e <strong>di</strong> vita all’aria aperta; ora istintiva e ribelle, ora timorosa e<br />

sottomessa, ora coraggiosa e rassegnata. Nonostante il ruolo predominante<br />

che svolge nel romanzo, il carattere <strong>di</strong> Alfredo è <strong>di</strong> un vinto. Forse per il<br />

“vizio al cuore” che lo con<strong>di</strong>ziona e, forse, per la terribile esperienza del padre<br />

morto appunto per collasso car<strong>di</strong>aco a quarantatre anni. Più che per il male<br />

fisico, è un male morale che infiacchisce l’animo <strong>di</strong> Alfredo che appare irresoluto,<br />

in<strong>di</strong>fferente e freddo, <strong>di</strong>samorato ed egoista. Eccetto per una cosa:<br />

la caccia. Solo questa riesce ad interessarlo e a vitalizzarlo, anche se la sua<br />

smania <strong>di</strong> cacciare fino allo stremo del tempo e delle forze, sembra quella dello<br />

scarabeo che egli osserva sulla sabbia risalente inutilmente o l’inutile volo<br />

delle farfalle che mai si posano. Alla fine Nelly, che ne ha avuto un figlio,<br />

supera la crisi e riesce a ricomporre la sua esistenza a fianco <strong>di</strong> Andrea. Lui<br />

però, Alfredo, rimane sempre lo stesso. Gli rimane l’hobby della moto, non<br />

più della caccia, e nel vento della corsa affoga un debole sentimento <strong>di</strong> rimpianto:<br />

quello <strong>di</strong> non aver mai spe<strong>di</strong>to una lettera <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarazione ad Ivana,<br />

un’amica <strong>di</strong> Nelly. Resta, dunque, fino alla fine un uomo scontroso e schivo,<br />

solitario ed egoista che un leggero vizio <strong>di</strong> cuore non riesce a giustificare.<br />

Vinto <strong>di</strong> fronte ad ogni cosa: la paternità negata, la guerra vissuta in<br />

retrovia, il matrimonio rifiutato, gli avvenimenti politici (è il tempo del-<br />

–49–


l’ascesa del Fascismo) trascurati. Sembra, in un primo momento, che solo<br />

nella natura attraverso le solitarie battute <strong>di</strong> caccia ritrovi un sollievo al suo<br />

male <strong>di</strong> vivere, in realtà però non è così. Anche la caccia egli abbandona,<br />

forse per la pesantezza dell’età, ma più probabilmente per una inconscia invincibile<br />

noia <strong>di</strong> vivere. Gli resta alla fine la fuga sulla moto, fuga da tutto,<br />

da Nelly, da Ivana, dal paesaggio maremmano e da suo figlio che, incontrato<br />

per caso, sembra assomigliargli in tutto, anche nella passione per la<br />

caccia. Un altro destino segnato.<br />

6-La rassegnazione e la malinconica accettazione della propria sorte<br />

Cassola le ha sapientemente rappresentate nel Taglio del bosco, pubblicato<br />

nel 1954. Il racconto, 8 sud<strong>di</strong>viso in <strong>di</strong>eci capitoli, è incentrato sulla figura <strong>di</strong><br />

Guglielmo, capo boscaiolo nativo <strong>di</strong> San Dalmazio, un piccolo paese delle<br />

Colline metallifere, nell’imme<strong>di</strong>ato entroterra della Maremma toscana.<br />

Tutta la sua vicenda, che occupa lo spazio <strong>di</strong> alcuni mesi, si svolge nel paesaggio<br />

<strong>di</strong> quella regione, alla fine degli anni Trenta, ma <strong>di</strong> fatto in un’atmosfera<br />

intemporale, fatta <strong>di</strong> brevi conversazioni tra persone semplici, del passare<br />

delle stagioni, <strong>di</strong> pochi affetti fondamentali, <strong>di</strong> lavoro duro e ripetuto<br />

negli anni. La storia comincia in autunno: Guglielmo torna al proprio paese,<br />

me<strong>di</strong>tando sul lavoro appena procuratosi – il taglio <strong>di</strong> un bosco della regione<br />

– e sui guadagni che potrà ricavarne. Lo aspettano le sue due bambine e la<br />

sorella, chiamata ad accu<strong>di</strong>rle alla morte prematura della madre. Vedovo da<br />

tre mesi, il protagonista è taciturno e riservato, né sembra trarre conforto dall’affetto<br />

delle figlie o dalle buone prospettive economiche. L’unico sollievo<br />

gli viene dall’imminente partenza per il bosco, in compagnia dei quattro lavoranti<br />

da lui scelti: l’esperto e silenzioso caposquadra Fiore, il tranquillo<br />

Amedeo, il ventenne Germano e il più anziano Francesco, scelto meno per le<br />

sue energie <strong>di</strong> boscaiolo che per le straor<strong>di</strong>narie doti <strong>di</strong> narratore e intrattenitore,<br />

davvero confortevoli nel lungo periodo <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne e isolamento che<br />

li aspetta.<br />

Dopo un tortuoso cammino, e fatta sosta in una fattoria ultramoderna<br />

che stride con il paesaggio circostante, i cinque uomini prendono a costruire<br />

il capanno che servirà loro da ricovero durante i mesi necessari al taglio del<br />

bosco. Nei giorni che si susseguono tutti uguali, essi vivono la quoti<strong>di</strong>anità<br />

del loro lavoro, del clima autunnale, e poi invernale, favorevole o avverso,<br />

costellando le serate <strong>di</strong> partite a carte, <strong>di</strong> <strong>di</strong>spute sul tabacco e soprattutto<br />

delle storie macabre e fantasiose <strong>di</strong> Francesco, inesauribile nell’intrecciare<br />

8 Cfr. Luigi De Bellis. (letteratura@tin.it)<br />

–50–


superstizione, tra<strong>di</strong>zioni locali e gusto esperto per l’invenzione. Ma Guglielmo,<br />

non appena terminato il lavoro <strong>di</strong>urno, durante le sere inoperose o<br />

i giorni festivi, si sente invadere dal ricordo dei recenti avvenimenti che gli<br />

hanno sottratto la moglie: la malattia <strong>di</strong> lei, la speranza, la per<strong>di</strong>ta. Il giorno<br />

<strong>di</strong> Natale, egli sceglie <strong>di</strong> non tornare al paese, sopraffatto dalla mancanza<br />

<strong>di</strong> una reale motivazione: rimasto solo con l’amaro e taciturno Fiore, sprofonda<br />

in una tetra inattività. Ripreso il lavoro, si troverà ad affrontare i problemi<br />

pratici rappresentati dal tempo inclemente, dalla visita dei montanari,<br />

dalla febbre che lo colpisce, dalla ricerca <strong>di</strong> un carbonaio; tuttavia, specchiandosi<br />

nella serenità <strong>di</strong> Amedeo o negli ingenui programmi del giovane<br />

Germano, gli appare sempre più <strong>di</strong>fficile resistere al carico delle sue pene.<br />

Giunge, infine, con la primavera, il momento della partenza. Guglielmo<br />

rimane accanto al carbonaio, che per tre giorni e tre notti sorveglia la catasta<br />

<strong>di</strong> legna che <strong>di</strong>venta carbone: le malinconiche considerazioni <strong>di</strong> costui, il<br />

ritorno solitario al paese e la prospettiva <strong>di</strong> un’impossibile rassegnazione lo<br />

gettano in uno stato <strong>di</strong> irrime<strong>di</strong>abile <strong>di</strong>sperazione.<br />

6. Considerazioni conclusive<br />

Riflettendo sul protagonismo cassoliano nel suo insieme, sembra giusto<br />

concludere che nessuno dei suoi personaggi è un “riuscito”, uno cioè che<br />

raggiunga il destino per il quale era nato. Tutti sono costretti a forme <strong>di</strong><br />

esistenza e ad esiti vitali suggeriti dalle circostanze. Tutti finiscono per<br />

lasciarsi sottomettere dai fatti o dalla prorompente oggettività e per adattarsi,<br />

quasi per debolezza o assuefazione o incapacità <strong>di</strong> reagire virilmente,<br />

ad una esistenza scialba e monotona.<br />

Tutto è scorrevole e piano, come lo stile stesso dell’autore. È logico che<br />

Fausto lasci per sempre Anna, che Elena torni alla sua esistenza ribelle; che<br />

Bice sopravvviva me<strong>di</strong>ante un matrimonio <strong>di</strong> interesse, che l’altra Anna<br />

maturi nella solitu<strong>di</strong>ne. Ma noi cosa dobbiamo preferire: il dramma che si<br />

svolge nell’intimo dell’uomo quale ce lo ha presentato Cassola o quello che<br />

si rivela nelle vicende a lui esterne? A queste a volte si può sfuggire, ma<br />

come sfuggire a se stessi?<br />

E il lettore?<br />

Anche il lettore, che all’inizio li segue trepidamente, si lascia <strong>di</strong> fatto<br />

irretire da questo ininterrotto fluire delle cose e si ritrova ad accettare quasi<br />

inconsciamente le sorti del personaggi cassoliani.<br />

–51–


Gli sembra <strong>di</strong> trovarsi, leggendo i romanzi che Cassola puntualmente<br />

ogni anno pubblica, <strong>di</strong> fronte ad una galleria <strong>di</strong> quadri tutti sostanzialmente<br />

ripetitivi dello stesso soggetto. A questo punto o li considera stu<strong>di</strong> dello<br />

stesso argomento, un po’ come il Monet per le ninfee, valutandoli come<br />

integrazioni progressive quasi <strong>di</strong> un unico personaggio, femminile, e ammirando<br />

la fedeltà dell’autore alla propria poetica chiusa, minimale e volutamente<br />

astorica oppure smette <strong>di</strong> leggerli per superare quel senso <strong>di</strong> fasti<strong>di</strong>o<br />

che provoca l’assunzione prolungata del medesimo cibo. D’altronde già<br />

quando uscirono, i romanzi <strong>di</strong> Cassola provocarono accese polemiche e si<br />

attirarono l’accusa <strong>di</strong> sfuggire all’impegno letterario e civile, rifugiandosi in<br />

un vuoto lirismo e in un realismo facile, i<strong>di</strong>lliaco, privo <strong>di</strong> conflitti. Non si<br />

possono <strong>di</strong>menticare le parole <strong>di</strong> Calvino che li chiama “Romanzi sbia<strong>di</strong>ti<br />

come l’acqua della rigovernatura dei piatti, in cui nuota l’unto dei sentimenti<br />

ricucinati”.<br />

Ho l’impressione che Cassola stesso abbia avvertito questo pericolo e<br />

negli ultimi anni, mosso certamente e soprattutto da una rinnovata sensibilità<br />

per i gravi problemi attuali, ha rivolto ad altre tematiche e generi <strong>di</strong>versi<br />

la sua attenzione.<br />

A me è capitato <strong>di</strong> fare la seconda scelta. Quando uscì nel 1973 Monte<br />

Mario ricordo che abitavo a Napoli. Lo lessi e mi piacque. Decisi allora <strong>di</strong><br />

passare in una libreria nei pressi <strong>di</strong> Piazza dei Martiri e comprare tutti i<br />

romanzi <strong>di</strong> Cassola in una volta sola. Li lessi nei mesi seguenti. Poi nel 1974<br />

uscì Gisella e nel 1976 L’Antagonista. Fu allora che decisi <strong>di</strong> fermarmi.<br />

Cassola non mi dava più stimoli, mi dava l’impressione della ripetitività;<br />

in più m’infasti<strong>di</strong>va quella puntuale e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> un romanzo annuale, come<br />

se l’ispirazione venisse a tempi prestabiliti, docile alle esigenze <strong>di</strong> mercato.<br />

Nel frattempo avevo messo insieme queste riflessioni personali, che ora<br />

ho qui esposte, dopo averle parzialmente riviste e dalle quali finalmente<br />

mi congedo.<br />

–52–


GIUSEPPE D’AVINO<br />

Il regno <strong>di</strong> Naturalia<br />

e altri racconti<br />

IL REGNO DI NATURALIA<br />

In una regione molto lontana da qui, dove i monti erano ancora coperti<br />

<strong>di</strong> boschi e l’aria era pura e le acque dei fiumi scorrevano sempre limpide<br />

e cristalline tra valli rigogliose e villaggi animati, viveva come nei tempi<br />

antichi un re con una regina, una corte ed una splen<strong>di</strong>da reggia, dove si<br />

potevano dare feste danzanti e ricevere tutti gli ambasciatori del mondo.<br />

Il popolo <strong>di</strong> questo regno viveva felice e tranquillo. Di generazione in<br />

generazione i re si erano trasmessi l’impegno <strong>di</strong> conservare sempre la natura<br />

del paese così come l’avevano trovata quando vi si erano stanziati. Anzi,<br />

s’erano sempre sforzati <strong>di</strong> migliorarla con cura e stu<strong>di</strong> specializzati. I re<br />

erano stati così bravi che ormai da secoli avevano preso il nome <strong>di</strong> Belfiore:<br />

Belfiore I, Belfiore II, III, IV e così giù giù fino all’ultimo Belfiore<br />

LXXXIX. Gli abitanti <strong>di</strong> Naturalia (così si chiamava il regno) trovavano,<br />

però, troppo lungo questo nome per cui preferivano chiamare il loro principe<br />

Naturino.<br />

Naturino cresceva come un alberello, snello e con pochi rametti, ma già<br />

robusto e <strong>di</strong>ritto. Correva veloce nei vasti campi a rotolarsi tra l’erba o si<br />

sporgeva sulla riva dei ruscelli a giocare con ciottoli o si arrampicava sui<br />

rami che si rispecchiavano sulle limpide acque. Altre volte risaliva i dolci<br />

pen<strong>di</strong>i dei colli, nascondendosi tra i pini odorosi, o attraversava i viali alberati<br />

della capitale, fermandosi nei parchi coi bambini e nei giar<strong>di</strong>ni dei suoi<br />

sud<strong>di</strong>ti. Conosceva già moltissimi nomi <strong>di</strong> persone e <strong>di</strong> piante. Il popolo,<br />

che lo amava, al vederlo passare esclamava:<br />

Come è bello il nostro principino,<br />

sembra un fiore,<br />

bello come quelli del suo giar<strong>di</strong>no!<br />

Naturino, infatti, passava molte ore del giorno a coltivare i fiori <strong>di</strong> un<br />

terreno che il re suo padre, seguendo un’antichissima tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> famiglia,<br />

gli aveva concesso alla nascita. Così, poiché tutti nel regno <strong>di</strong> Naturalia,<br />

–53–


dovevano avere un proprio giar<strong>di</strong>no, anche Naturino lo aveva avuto e, <strong>di</strong>venuto<br />

abbastanza forte, lo coltivava da sé.<br />

Tagliava, abbatteva, bruciava, zappava, seminava tutti i giorni un bel<br />

po’. Era <strong>di</strong>ventato tanto bravo che il suo sembrava il giar<strong>di</strong>no più bello del<br />

regno e molti, sentendone parlare, andavano a vederlo anche dalle contrade<br />

più remote.<br />

Un giorno, però, il vecchio padre morì e Naturino <strong>di</strong>venne re e fu occupato<br />

in tanti altri affari. Riceveva ambasciatori e ministri, viaggiava in paesi<br />

lontani dove gli alberi e i fiori non esistevano e al loro posto vedeva torri <strong>di</strong><br />

cemento e nastri interminabili <strong>di</strong> asfalto e gente che andava veloce in tante<br />

scatole mobili colorate come i fiori, ma che fiori non erano.<br />

E nelle città al posto degli alberi c’erano lampioni al neon e tralicci <strong>di</strong><br />

ferro; non c’era nei viali il verde dei giar<strong>di</strong>ni, né si sentiva il profumo dei<br />

fiori, ma si vedevano solo enormi insegne luminose e dappertutto si respirava<br />

un’aria pesante e grigia. In cielo neppure un volo <strong>di</strong> uccelli.<br />

Il peggio era però che re Naturino, quando tornava da questi viaggi,<br />

dava ogni volta or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fare altrettanto e comandava ai suoi ministri <strong>di</strong><br />

impiantare fabbriche e costruire quegli enormi casermoni tetri con pareti<br />

punteggiate da infiniti occhi oscuri.<br />

La gente non era più tanto felice e soprattutto gli anziani si lamentavano:<br />

Naturino, Naturino,<br />

torna, torna<br />

al vecchio tuo giar<strong>di</strong>no!<br />

Gli anni passarono. Il paese <strong>di</strong> Naturalia era molto cambiato.Assomigliava<br />

in tutto a quelle cartoline illustrate che venivano da lontano Alcuni dei vecchi<br />

erano perfino contenti <strong>di</strong> morire prima, <strong>di</strong>cevano che Naturalia era <strong>di</strong>ventata<br />

come tutti gli altri paesi, che il mondo era <strong>di</strong>ventato ovunque lo stesso e<br />

rimpiangevano i tempi del vecchio re, ma <strong>di</strong> nascosto dalle guar<strong>di</strong>e e con un<br />

filo <strong>di</strong> voce, ché Naturino s’era fatto cattivo e permaloso, sussurravano:<br />

Naturino, Naturino,<br />

dì ad<strong>di</strong>o al tuo bel giar<strong>di</strong>no!<br />

Questa volta la voce <strong>di</strong> bocca in bocca giunse fino alle orecchie del re,<br />

il quale chiamò il suo primo ministro e gli domandò:<br />

- Cosa <strong>di</strong>ce il popolo <strong>di</strong> me? Cosa brontolano i miei sud<strong>di</strong>ti?<br />

- Maestà, non oserei...<br />

- Parla, te lo or<strong>di</strong>no!<br />

–54–


E il ministro riportò al re le parole del suo popolo. Il re, vecchio e<br />

stanco, ricordò allora il suo giar<strong>di</strong>no e il tempo felice in cui gli de<strong>di</strong>cava<br />

tante cure.<br />

Volle essere infine accompagnato <strong>di</strong>etro alla reggia, dove si trovava<br />

abbandonato il suo giar<strong>di</strong>no.<br />

Lo trovò che era irriconoscibile: la siepe abbattuta, i sentieri coperti <strong>di</strong><br />

erbacce e là dove c’era un tempo il prato e c’erano i fiori, ora si estendeva<br />

una terra arida e dura che non produceva più niente e gli alberi, sui quali era<br />

tante volte salito a cogliere i frutti, stavano rinsecchiti e fragili con le ra<strong>di</strong>ci<br />

sporgenti alla superficie nella vana ricerca <strong>di</strong> un po’ d’acqua.<br />

Re Naturino si sedette su un tronco caduto. Era triste: intorno a sé scorgeva<br />

solo desolazione. Pensò a quello che il suo regno sarebbe stato <strong>di</strong> lì<br />

a qualche anno senza piante, fiori, erbe e boschi. Si affrettò a cambiare.<br />

Mandò gli aral<strong>di</strong> a cercare in tutto il regno i giar<strong>di</strong>nieri <strong>di</strong> un tempo, ma<br />

erano tutti morti e i sopravvissuti, vecchissimi, non avevano più forze.<br />

Decise <strong>di</strong> far insegnare l’arte delle piante e dei fiori ai più giovani, ma<br />

non trovò chi ne fosse capace.<br />

Riprese allora a scendere in giar<strong>di</strong>no. Lo fece ripulire e seminare. Ogni<br />

cosa dopo un po’ apparve migliorata, ma nessun germoglio spuntava. Il re<br />

per ore sedeva sul tronco macerato ad aspettare. Voleva vedere almeno un<br />

fiore sbocciare, l’ultimo; un fiore che desse vita a tanti altri fiori, proprio<br />

come una volta.<br />

Passarono i giorni. L’inverno era rigido. Naturino si ammalò e giunse il<br />

momento <strong>di</strong> lasciare questa terra. Sentendo che le forze lo abbandonavano,<br />

volle che lo portassero nel suo giar<strong>di</strong>no.<br />

Appoggiato al tronco, Naturino si guardò attorno, ansimando, mentre<br />

la morte gli si avvicinava. Dai suoi occhi una lacrima, l’ultima della vita,<br />

scivolò lungo la guancia e cadde su un seme nascosto tra le ra<strong>di</strong>ci del<br />

tronco.<br />

Passarono altri mesi dopo la morte <strong>di</strong> Naturino. Il giovine figlio si recò<br />

a visitare in un tiepido mattino <strong>di</strong> primavera il terreno che suo padre gli<br />

aveva lasciato. Era deciso a costruirvi sopra, ora che non produceva più<br />

nulla.<br />

Giunto al tronco, si sedette pensando a suo padre. Si commosse al ricordo,<br />

abbassò gli occhi e vide una cosa meravigliosa, tra la polvere e i rami<br />

secchi sparsi per terra un fiorellino variopinto era sbocciato.<br />

Finalmente, pensò, il giar<strong>di</strong>no ritorna a fiorire. Questo lo chiamerò: Fior<br />

<strong>di</strong> Naturino, perché è nato dal pianto <strong>di</strong> mio padre...<br />

–55–


IL PRIMO FIGLIO<br />

Un giorno si presentò alla porta del para<strong>di</strong>so una donna avvolta nell’abito<br />

nero <strong>di</strong> festa col quale l’avevano seppellita: i capelli bianchi, le mani<br />

innervate e con tante rughe sulla fronte, all’estremità degli occhi e sulle<br />

guance.<br />

Bussò una, due volte. Sentiva freddo. La morte l’aveva strappata al suo<br />

letto dopo alcuni mesi <strong>di</strong> malattia. Ma già da tempo ella si sentiva stanca<br />

della sua lunga vita. Così lunga che negli ultimi anni con frequenza s’era<br />

rivolta a Dio con voce sempre più flebile e stentata:<br />

- Perché non mi pren<strong>di</strong>, Signore? Sono vecchia. Che ci sto a fare<br />

ancora su questa terra?<br />

Era passato davvero molto tempo dal giorno in cui era nata. Aveva visto<br />

i suoi capelli <strong>di</strong>venire bianchi, le sue membra farsi deboli e fragili, i suoi<br />

ricor<strong>di</strong> giovanili accumularsi sempre più numerosi, ma anche più lontani e<br />

sbia<strong>di</strong>ti. Impressioni <strong>di</strong> profonde tristezze e <strong>di</strong> intense gioie trascorse.<br />

Finalmente il Signore aveva mandato la morte, sua fedele serva, a prenderla.<br />

Così, seguendola attraverso oceani immensi e catene <strong>di</strong> monti altissimi,<br />

tra valli sconosciute e vaste regioni <strong>di</strong> nebbie impenetrabili, era giunta<br />

alla porta del para<strong>di</strong>so. Ora stava lì. Sola. La morte s’era subito allontanata.<br />

Aveva ancora tanto lavoro da compiere sulla terra.!<br />

Toc...toc...Bussava con insistenza.<br />

- Ma perché non aprono!? Eppure ero attesa. Se laggiù già tutti sapevano<br />

che da tempo ero giunta al traguardo della vita, figuriamoci qui.<br />

Lentamente il grosso portone s’aprì. Apparve un bimbo, così piccolo,<br />

che a stento si notava tra l’erba alta del prato, che si estendeva al <strong>di</strong> là della<br />

soglia.<br />

La donna rimase sbalor<strong>di</strong>ta. Le avevano sempre detto che a custo<strong>di</strong>a<br />

del para<strong>di</strong>so c’era San Pietro, un uomo robusto e barbuto. Invece, guarda<br />

un po’, c’era un bambino. E quello era proprio il para<strong>di</strong>so, non si era<br />

ingannata.<br />

- Dimmi, angioletto, chi sei?<br />

- Venga, signora, venga con me. La porterò io dal padrone <strong>di</strong> casa.<br />

- Vengo... vengo... – intanto la vecchietta entrava – ma quanto tempo<br />

ho atteso fuori.<br />

- È vero, signora. Mi deve perdonare. Io sono piccolo. Le mie gambe<br />

sono lente e fanno poca strada. I miei compagni, però, non sono tutti come<br />

me: ce ne sono <strong>di</strong> alti e forti che corrono e arrivano subito.<br />

–56–


Il bambino intanto aveva preso per mano la donna e le camminava a<br />

fianco, per i campi ver<strong>di</strong> del para<strong>di</strong>so. Si sentivano cori <strong>di</strong> angeli e allegria e<br />

gioia ovunque. C’erano fiori meravigliosi e uccelli variopinti che sulla terra<br />

non s’erano mai visti. Una luce splendente e carezzevole illuminava ogni<br />

cosa. Schiere agili <strong>di</strong> anime andavano a gruppi <strong>di</strong> tre, quattro o più persone.<br />

La vecchietta osservava ogni cosa e tendeva l’orecchio ad ascoltare la<br />

musica celestiale, sfiorando col trepido passo i fiori profumati e le erbe del<br />

prato rigoglioso.<br />

- Perché, – domandò a un certo punto alla sua piccola guida – perché<br />

quelle anime vanno insieme a gruppi?<br />

Il piccolo rispose: – Quelle anime sono intere famiglie che hanno vissuto<br />

felici ed unite sulla terra la loro vita. Spesso arrivano qui prima i genitori,<br />

ma a volte capita un uomo prima della sposa, e perfino un figlio prima<br />

della mamma. Essi continuano a vivere, per l’eternità, insieme e insieme<br />

lodano il buon Dio.<br />

- Ma allora, perché a me sei venuto tu ad aprire? – chiese la vecchia<br />

all’angioletto.<br />

- Perché io sono tuo figlio!<br />

- Mio figlio! Ma io, i figli miei, li ho lasciati tutti sulla terra. Oh,<br />

quanta sofferenza m’hanno dato e quanto lavoro! Mi hanno persino lasciata<br />

morire sola.<br />

- Sì, signora: quelli sono i figli che hai lasciato nascere. Io non sono<br />

mai nato sulla terra. Tu non mi volesti.<br />

- Io? Non volli?<br />

- Non ricor<strong>di</strong>? Fu tanto tempo fa. Eri giovane. Bella. Fu durante un’estate.<br />

Volesti bene a un uomo. Anche lui te ne volle, ma quando ti accorgesti<br />

che stavo per venire io, non mi volesti. Non eri sposata con quell’uomo,<br />

signora.<br />

- Sì, è vero.<br />

- Dicesti che mi o<strong>di</strong>avi. Che non volevi. Non potevi.<br />

- Ma come avrei potuto? Cosa avrebbe detto la gente?<br />

- Lo so. Sentivo tutto, stando vicino al tuo cuore. Io, signora, ti volevo<br />

già bene. Sarei stato contento <strong>di</strong> avere una mamma come te. Mi sembravi<br />

tanto bella!<br />

- Oh piccino, piccino mio...<br />

La donna si coprì il volto con le mani scarne e ripensò a quel sogno <strong>di</strong><br />

tanti anni prima; alla paura, all’ansia, alla vergogna <strong>di</strong> quel momento.<br />

Mentre, adesso, desiderava averlo avuto come figlio. L’antico timore non<br />

–57–


l’angosciava più. Era rimasto abbandonato nel tempo, insieme con molti<br />

altri ricor<strong>di</strong>.<br />

- Ma ora, ora staremo insieme – esclamò con impeto – tu starai con me,<br />

mi chiamerai “mamma”.<br />

- No, signora. Io ho già un’altra mamma.<br />

- Hai un’altra mamma?<br />

- Sì. Devi sapere che quando un bimbo giunge qui, senza mai essere<br />

nato sulla terra, non rimane solo. Il buon Dio chiama una mamma che sulla<br />

terra è morta dando alla luce un bimbo e glielo affida. Da quel momento è<br />

quella la sua mamma.<br />

Avevano ormai attraversato il grande campo fiorito. Già splendeva<br />

vicina la luce <strong>di</strong> Dio.<br />

- Siamo arrivati – <strong>di</strong>sse l’angioletto –. Fra poco il Signore ti giu<strong>di</strong>cherà.<br />

Confida in lui; io ho molto pregato per te. E poi, il tuo castigo è stato <strong>di</strong> non<br />

aver potuto godere della mia vita. Guardala! È scritta qui.<br />

Il bimbo portò la mano al cuore. La donna si sentì stranamente attratta a<br />

guardare in quel punto e vi lesse la nascita del bimbo, la sua ra<strong>di</strong>osa giovinezza,<br />

il bene che avrebbe fatto, le gioie che a lei stessa ne sarebbero derivate.<br />

Fu un istante. La donna si tese verso <strong>di</strong> lui per abbracciarlo, ma il bimbo<br />

corse via, lontano, verso una figura che l’attendeva. Sentì che chiamava:<br />

- Mamma... mamma...<br />

IL CANTO DI ASSUNTINA<br />

Mi sono mosso verso sua madre che mi veniva incontro lentamente nel<br />

corridoio. Erano tanti anni che non la vedevo. L’ultima volta ero andato a<br />

trovarla un<strong>di</strong>ci anni prima. Portavo allora il regalo <strong>di</strong> nozze per il figlio che<br />

era stato mio compagno <strong>di</strong> classe.<br />

Insieme con Aldo avevo frequentato le me<strong>di</strong>e, il ginnasio e il liceo. Il<br />

motivo che ci aveva stretti in una solida amicizia era stata la morte del padre<br />

durante il secondo anno delle me<strong>di</strong>e. Per me fino a quel momento Aldo era<br />

stato uno dei tanti compagni. La notizia era giunta inaspettata a lui e ai suoi.<br />

Riapparve in classe dopo alcuni giorni <strong>di</strong> assenza coi segni <strong>di</strong> lutto.<br />

Disse che il padre, emigrante in Canada, era morto improvvisamente. Alcune<br />

persone pietose l’avevano accompagnato al cimitero e s’erano interessate<br />

a far giungere un telegramma alla moglie. Poche parole che segnavano<br />

la fine <strong>di</strong> una vita <strong>di</strong> lavoro. Come, perché, quando era morto? Il telegramma<br />

–58–


queste notizie non le dava e sono rimaste sempre sospese nell’ignoto. Per<br />

saperne <strong>di</strong> più, infatti, avrebbero dovuto recarsi in Canada e lì interessarsi<br />

anche <strong>di</strong> portare la salma a Napoli. Ma, fatti i conti, risultava un’impresa<br />

impossibile, specialmente dopo che quella benedetta rimessa <strong>di</strong> denaro era<br />

venuta meno.<br />

Così erano rimasti tutti a Napoli a piangere, senza sapersene dare una<br />

spiegazione, la morte del poveretto.<br />

Aldo aveva altri tre fratelli più piccoli <strong>di</strong> lui. Guido che frequentava<br />

la quinta elementare: un ragazzo rossiccio, magro, simpaticissimo. Liliana,<br />

timida e sempre attaccata alla gonna della madre. Bruno, robusto e vivace,<br />

troppo piccolo per comprendere la sventura che li aveva colpiti. La madre<br />

era una donna forte d’animo. Nonostante la <strong>di</strong>sgrazia, era decisa a far continuare<br />

gli stu<strong>di</strong> ai figli.<br />

Non so, né ho mai domandato, neppure ora, come hanno fatto a sopravvivere.<br />

Mi sembra che in casa con loro ci fosse uno zio in pensione. Dal Canada<br />

comunque non giunse nessuna rimessa o liquidazione che potesse aiutarli a<br />

far fronte alle spese.<br />

Con Aldo continuai gli stu<strong>di</strong> fino alla maturità, poi le nostre strade si<br />

separarono: egli continuò per la facoltà <strong>di</strong> agraria ed ora è libero docente.<br />

L’ultima volta che ci vedemmo fu in occasione del suo matrimonio, prima<br />

che io partissi per il Brasile, ove sarei rimasto due anni.<br />

Sposò una ragazza bionda, delicata, con gli occhi ver<strong>di</strong>, intelligente e<br />

colta. Lavorava alla biblioteca dell’università centrale <strong>di</strong> Napoli, sapevano<br />

del mio ritorno e desideravano incontrarmi.<br />

Purtroppo Maria, così si chiamava, si era ammalata quasi subito dopo<br />

il matrimonio ed aveva trascorso un lungo periodo <strong>di</strong> degenza in ospedale. I<br />

momenti <strong>di</strong> ripresa si erano fatti sempre più rari. Figli non ne avevano avuti.<br />

Infine, improvvisa, anche se prevista, giunse alla fine. A metà <strong>di</strong> agosto,<br />

dopo due settimane <strong>di</strong> dolorosa sofferenza, Maria era venuta meno, lasciando<br />

ad Aldo solo i ricor<strong>di</strong>. La casa era ancora piena <strong>di</strong> lei, i mobili che<br />

insieme avevano scelti e sistemati con gusto, i balconi infiorati donde scorgevano<br />

chiaramente, nelle serate estive, un largo tratto <strong>di</strong> costa sorrentina e,<br />

dall’alto, la visione lucente <strong>di</strong> Napoli notturna.<br />

Aldo allora si mise a cercarmi più decisamente fin quando non mi<br />

trovò. Ripercorremmo, come due atleti in corsa sulla pista del tempo, gli<br />

anni che avevamo trascorsi assieme, rileggendone le pagine ad una ad una.<br />

Banchi <strong>di</strong> scuola impolverati dal tempo; volti <strong>di</strong> compagni <strong>di</strong>venuti adulti e<br />

sconosciuti.<br />

–59–


Il <strong>di</strong>scorso tornava però <strong>di</strong> continuo su Maria. Era saggia e prudente.<br />

Sapeva condurre le faccende <strong>di</strong> casa ed il lavoro. Ascoltava e consigliava<br />

con intelligenza. In un album erano <strong>di</strong>sposte in or<strong>di</strong>ne le fotografie <strong>di</strong> una<br />

gita e quelle del matrimonio. In una l’ammirai sorridente, in abito bianco da<br />

sposa, immersa in un celeste immenso panorama <strong>di</strong> cielo terso e <strong>di</strong> azzurro<br />

mare; tra fiori ed edere intrecciate ad una ringhiera <strong>di</strong> ferro. Nell’angolo<br />

faceva capolino il famoso pino <strong>di</strong> Napoli.<br />

Quante altre donne felici avevano posato lì per il fotografo, pensai, tutte<br />

legate a un filo <strong>di</strong>verso del destino. Perché il suo si era spezzato così presto?<br />

Ora Aldo va girovagando per ore lontano da casa sua. Tenta affannosamente<br />

<strong>di</strong> inseguire il corso del tempo nella speranza <strong>di</strong> allontanare rapidamente<br />

il più vivo ricordo <strong>di</strong> lei. Sa però che non potrà <strong>di</strong>menticarla, perché<br />

ce l’ha dentro. L’avrà dentro ancora per molto.<br />

Dopo un po’ il <strong>di</strong>scorso è naturalmente scivolato sui fratelli e sulla<br />

mamma. Abbiamo fissato un incontro. Così dopo qualche giorno ero a casa<br />

loro. Mi trovavo lì. Stavano tutti attorno a me. Li rivedevo con piacere dopo<br />

alcuni anni.<br />

Ricordo ancora com’era la madre, quando l’andai a trovare la prima<br />

volta, nella vecchia casa che abitavano in via Rettifilo. Fu subito dopo la<br />

triste notizia. Stavano all’ultimo piano <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> quegli antichi palazzi napoletani,<br />

proprio <strong>di</strong> fronte all’Università. Bisognava salire gra<strong>di</strong>ni alti e grigi,<br />

per scalinate oscure, ma, quando si arrivava su, appariva improvvisamente<br />

uno spettacolo gran<strong>di</strong>oso e inatteso.<br />

A Napoli mi è capitato già altre volte <strong>di</strong> inoltrarmi nei vicoli, come<br />

quelli dei quartieri spagnoli o <strong>di</strong> Montecalvario. Salire in case poste all’ultimo<br />

piano <strong>di</strong> qualche vecchio e<strong>di</strong>ficio e trovarmi infine <strong>di</strong>nanzi ad un panorama<br />

vastissimo: tetti e terrazze <strong>di</strong> case, cupole <strong>di</strong> chiese secentesche, labirinti<br />

inestricabili e vocianti dei vicoli, vie rumorose e strade tortuose e poi<br />

Spaccanapoli, quell’unica uniforme linea retta che taglia in due il centro<br />

storico della città. Da un lato il Vesuvio addormentato e dall’altro la collina<br />

<strong>di</strong> Posillipo, già quasi ormai completamente spoglia <strong>di</strong> verde e appesantita<br />

dalle opprimenti costruzioni <strong>di</strong> cemento armato.<br />

In casa, sulla credenza della sala da pranzo, c’era la fotografia <strong>di</strong> un<br />

uomo ancora giovane. La fronte larga, i capelli bion<strong>di</strong> <strong>di</strong>visi a sinistra dalla<br />

<strong>di</strong>scriminatura e lo sguardo sorridente che sembrava seguire i figli, allora<br />

giovanissimi, quando si spostavano per la stanza. In cucina, ma non li vi<strong>di</strong>,<br />

si sentivano parlare pacatamente il vecchio zio e la moglie, più anziana <strong>di</strong><br />

lui.<br />

–60–


Ovunque e per tutti c’era lei, la madre. Già alquanto <strong>di</strong>magrita, ma attiva<br />

sempre, chiara e precisa nel modo <strong>di</strong> ragionare ed esprimersi. Mi lasciò<br />

una dolce impressione, soprattutto per la tenera comprensione che mi aveva<br />

mostrato nel sapere che anche mio padre era emigrante e che si trovava nel<br />

Venezuela.<br />

In quel tempo mio padre ci scriveva spesso che provava una struggente<br />

nostalgia della famiglia e che voleva essere consigliato su una decisione da<br />

prendere. Se fosse rimasto lontano avrebbe guadagnato i sol<strong>di</strong> necessari a vivere<br />

e a farci stu<strong>di</strong>are. Se fosse tornato ci sarebbe stato vicino, ma col pericolo<br />

della <strong>di</strong>soccupazione. I tempi del dopoguerra erano ancora duri e la ricostruzione<br />

del paese <strong>di</strong>strutto dai bombardamenti aveva mosso i primi passi.<br />

La mamma <strong>di</strong> Aldo capì subito il problema, perché lo aveva dovuto<br />

affrontare da sola. Nessuno meglio <strong>di</strong> lei poteva dunque consigliarmi.<br />

Secondo lei era bene che tornasse. Con la sua competenza avrebbe trovato<br />

da vivere certamente anche nel nostro paese e, cosa più importante, sarebbe<br />

stato vicino alla famiglia. Era sempre meglio, aggiunse dopo una pausa <strong>di</strong><br />

silenzio, che soffrire lontano e solo, forse, morire. Pensava forse che poteva<br />

fare per me quello che non era riuscita a compiere per i suoi figli e per sé.<br />

E ripeteva con più insistenza <strong>di</strong> scrivere a mio padre che tornasse al più<br />

presto.<br />

Così dunque l’ho rivista. Era molto cambiata. Mi avvicinai a lei, ma non<br />

mi guardò. Continuò a giocare con un panno che aveva in mano, cercandone<br />

<strong>di</strong> fare un pupazzo, forse una bambola.<br />

La chiamai: “Signora Assunta”. Desideravo vivamente risentirla e<br />

riprendere il <strong>di</strong>scorso interrotto molti anni prima. Assicurarla che avevo<br />

scritto a mio padre, come mi aveva suggerito lei, e che era tornato ed era<br />

rimasto in Italia. Che il lavoro era riuscito a trovarlo. Che io e i miei...<br />

Era inutile. Lo capii subito, osservando lo sguardo sperduto dei suoi<br />

occhi. Mi girai verso Aldo: – Non comprende nulla – esclamai.<br />

Poi gli chiesi: – Non mi riconosce? – Non mi riconosceva. Né me, né i<br />

figli, né la casa.<br />

La osservai per tutta la serata, con quel panno in mano che tormentava.<br />

Vedevo un sorriso strano e confuso sulle sue labbra e negli occhi quello<br />

sguardo, vagante lontano. Sembrava una bambina <strong>di</strong> sei, sette mesi. Il suo<br />

cervello aveva compiuto un lungo viaggio a ritroso. Parlava con suoni e<br />

parole incomprensibili e cantava. Sì, cantava, continuamente, con voce<br />

sommessa, una nenia farfugliata, triste e mesta nei toni, come una prefica<br />

superstite d’altri tempi.<br />

–61–


A tavola i figli la misero seduta in un angolo e <strong>di</strong> tanto in tanto l’accarezzavano,<br />

non chiamandola mamma, ma semplicemente Assuntina. Ciò mi<br />

sembrò strano al momento, ma poi me lo sono spiegato in questo modo.<br />

Assuntina era <strong>di</strong>ventata così piccola ed essi, costretti dalla vita, dai dolori<br />

e dalle nuove responsabilità, più che per gli anni, così maturi, che per loro<br />

non era più la mamma, ma una figlia, una piccola che aveva bisogno <strong>di</strong><br />

aiuto continuo. Ora, infatti, pensavano a tutto loro, mentre Assuntina cantava,<br />

come se lo facesse per sé sola o per non farsi sentire. Cantava a modo<br />

suo i motivi <strong>di</strong> vecchie canzoni napoletane: O sole mio. Torna a Sorrento...<br />

Torna, sta’ casa aspetta te... Torna... Torna...<br />

Dopo cena Aldo, Guido, Bruno ed io c’intrattenemmo a parlare intorno<br />

alla tavola, mentre Liliana la metteva a letto con il suo incompiuto bambolotto<br />

<strong>di</strong> stracci. Dalla camera per qualche tempo continuò a venire dolce e<br />

mesto il suo canto come <strong>di</strong> ninna nanna.<br />

Nel fresco della sera, facendo ritorno a casa andavo riflettendo, finché<br />

mi parve <strong>di</strong> avere capito. Assuntina, <strong>di</strong> fronte ai dolori della vita, aveva trovato<br />

un modo estremo <strong>di</strong> reagire e <strong>di</strong> sopportare. Era tornata ai primi anni<br />

dell’infanzia, alle origini della vita. A prima <strong>di</strong> quando aveva dovuto lavorare<br />

per mandare i figli a scuola. A prima della partenza del marito. A prima<br />

ancora. E s’era fermata, come in un’oasi <strong>di</strong> tranquillità, all’età in cui non<br />

poteva più né capire né soffrire. In questo modo aveva perduto col ricordo<br />

delle sofferenze anche quello delle gioie, ma aveva finalmente trovato la<br />

pace tante volte invocata.<br />

Ora, prima <strong>di</strong> addormentarsi, giocava a far la sposa e la madre, cullando<br />

al suono della ninna nanna, la sua piccola bambola <strong>di</strong> pezza, in attesa <strong>di</strong><br />

vivere un’esistenza <strong>di</strong>versa da quella da lei già irrime<strong>di</strong>abilmente vissuta.<br />

Uscendo dalla casa, dalla porta aperta sulle scale, proveniva sempre più<br />

fioco il suo canto: Torna, ’sta casa aspetta te... Torna... Torna...<br />

–62–


ANNA PAOLA BOTTONI<br />

Alcune riflessioni<br />

sulla <strong>di</strong>dattica orientativa 1<br />

Nella Direttiva ministeriale dell’agosto del 1997, si legge che “l’orientamento<br />

costituisce parte integrante dei curricoli <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e, più in generale, del<br />

processo educativo e formativo fin dalla scuola dell’infanzia”.<br />

Da questa affermazione scaturiscono alcune osservazioni che il Progetto<br />

<strong>di</strong> ricerca, La funzione orientativa delle <strong>di</strong>scipline, realizzato dall’IRRSAE<br />

Piemonte alla fine degli anni Novanta, ha evidenziato:<br />

1. L’orientamento non si esaurisce negli anni-ponte, in cui facilita il passaggio<br />

da un ciclo <strong>di</strong> scuola a quello successivo, ma è un processo lungo<br />

e continuo che si inserisce all’interno <strong>di</strong> tutto il percorso formativo.<br />

2. Orientare non significa, quin<strong>di</strong>, solo mettere in grado gli studenti <strong>di</strong><br />

scegliere la scuola successiva o, al termine dell’iter scolastico, lo<br />

sbocco lavorativo più adatto alle proprie capacità e ai propri interessi.<br />

Al contrario assume il senso più impegnativo <strong>di</strong> aiutare i ragazzi a<br />

conoscere se stessi, a capire il mondo che li circonda e la società in<br />

cui vivono, per tracciare in modo intenzionale un proprio percorso <strong>di</strong><br />

vita; ossia come sostiene Pellerey “ad essere in grado <strong>di</strong> elaborare un<br />

progetto <strong>di</strong> sé”.<br />

3. Le attività orientative non devono essere affidate soltanto ad una<br />

figura <strong>di</strong> insegnante-orientatore, che le gestisce in qualità <strong>di</strong> esperto<br />

esterno alla classe, ma devono <strong>di</strong>ventare oggetto <strong>di</strong> lavoro per tutti i<br />

docenti, che le collegano e le integrano con i curricoli <strong>di</strong>sciplinari.<br />

4. Non esistono materie più importanti <strong>di</strong> altre per facilitare l’orientamento.<br />

Tutte le <strong>di</strong>scipline sono in grado <strong>di</strong> fornire agli studenti occasioni<br />

per conoscere meglio se stessi, qualora facciano riferimento ad<br />

un comune processo educativo, in grado <strong>di</strong> far interagire le attitu<strong>di</strong>ni<br />

in<strong>di</strong>viduali con i contenuti <strong>di</strong> ciascuna <strong>di</strong>sciplina, al fine <strong>di</strong> produrre<br />

un appren<strong>di</strong>mento significativo.<br />

1 Il presente lavoro raccoglie e propone alcune riflessioni scaturite dalla lettura dei contributi<br />

dei docenti che hanno partecipato al Progetto dell’IRRSAE Piemonte, La funzione orientativa<br />

delle <strong>di</strong>scipline, a cura <strong>di</strong> Patrizia Faudella, 1999.<br />

–63–


Secondo il documento elaborato dal progetto dell’IRRSAE orientare è:<br />

“dare un senso a ciò che si fa a scuola, fornire la consapevolezza del proprio<br />

appren<strong>di</strong>mento, sviluppare qualità <strong>di</strong>namiche e irrobustire capacità trasversali”.<br />

Si evince pertanto che l’attenzione della scuola all’orientamento degli<br />

allievi non può limitarsi all’offerta <strong>di</strong> informazioni ed esperienze aggiuntive<br />

alle normali attività negli anni ponte (l’ultimo anno della scuola me<strong>di</strong>a <strong>di</strong><br />

primo e <strong>di</strong> secondo grado), ossia quando gli allievi sono obbligati a scegliere<br />

far <strong>di</strong>versi percorsi scolastici. L’orientamento, invece, è auspicabile<br />

che sia parte integrante del processo educativo e formativo all’interno dei<br />

curricoli <strong>di</strong>sciplinari. In altre parole le attività orientative non sono necessariamente<br />

iniziative <strong>di</strong>dattiche alle normali attività <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento specifiche<br />

della scuola, ma <strong>di</strong>ventano oggetto <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> tutti i docenti, all’interno<br />

del quoti<strong>di</strong>ano insegnamento delle <strong>di</strong>scipline <strong>di</strong> propria competenza.<br />

Le attività cosiddette orientative si limitano alla somministrazione <strong>di</strong><br />

qualche questionario e alla successiva lettura dei dati che ne emergono,<br />

esaurendo la loro efficacia in un’azione momentanea che non innesca un<br />

processo continuativo. L’orientamento, al contrario, deve essere considerato<br />

come un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> accompagnamento: l’elaborazione <strong>di</strong> percorsi in<strong>di</strong>viduali<br />

che si prolungano lungo l’intero arco della vita scolastica e, più ancora,<br />

dell’intera esistenza. Si legge, in proposito, nel Progetto Orientamento<br />

del Ministero della Pubblica Istruzione: “Se la scelta <strong>di</strong> un percorso <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o o <strong>di</strong> una professione deve inserirsi nel più ampio percorso <strong>di</strong> vita che<br />

si intende seguire, ne <strong>di</strong>scende che l’orientamento deve configurarsi come<br />

un’azione continua che si inserisce in tutto il processo <strong>di</strong> maturazione della<br />

personalità del soggetto (...). Il concetto <strong>di</strong> orientamento si sovrappone e si<br />

identifica col concetto <strong>di</strong> formazione e (...) si sostanzia nel condurre l’alunno<br />

a maturare e sviluppare armonicamente la capacità, le abilità, le competenze,<br />

ecc., che gli permettono <strong>di</strong> far fronte a circostanze impreviste, <strong>di</strong> riorganizzare<br />

schemi <strong>di</strong> pensiero in funzione <strong>di</strong> circostanze sempre nuove”.<br />

Sottesa al significato <strong>di</strong> queste parole è la considerazione dell’orientamento<br />

non tanto come un’azione <strong>di</strong> guida <strong>di</strong> un soggetto verso una meta (che sia <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o o <strong>di</strong> lavoro), ma è una pratica che mira a fargli acquisire la capacità<br />

<strong>di</strong> compiere delle scelte in uno scenario che gli appare in perenne mutamento,<br />

in un contesto in cui si moltiplicano le opportunità <strong>di</strong> azione, le “opzioni”<br />

<strong>di</strong>sponibili, ma in cui sembrano venir meno i punti <strong>di</strong> riferimento ai<br />

quali ancorarsi per compiere le proprie scelte. Maggiori opportunità <strong>di</strong><br />

scelta non necessariamente favoriscono il rafforzarsi della capacità soggettiva<br />

<strong>di</strong> scegliere: ed è proprio sul potenziamento delle abilità decisionali che<br />

–64–


si esplica la <strong>di</strong>dattica orientativa. Orientare, infatti, non vuol <strong>di</strong>re scegliere<br />

al posto dell’allievo, in<strong>di</strong>rizzandolo prescrittivamente nei momenti istituzionali<br />

<strong>di</strong> snodo, ma aiutarlo a scegliere, ossia ha compiere una valutazione<br />

realistica delle proprie risorse. Non è solo, quin<strong>di</strong>, un problema <strong>di</strong> informazioni:<br />

l’orientamento è, in sostanza, un processo decisionale; implica non<br />

solo conoscenze e abilità tecniche ma, anche, l’uso della <strong>di</strong>screzionalità,<br />

cioè la capacità <strong>di</strong> tollerare l’incertezza per consolidare i criteri in base ai<br />

quali si compie una decisione ponderata.<br />

In primo luogo, si tratta <strong>di</strong> educare alla scelta lungo tutto l’arco scolastico,<br />

attraverso situazioni <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento-insegnamento, in cui l’allievo impari ad<br />

articolare il proprio mondo soggettivo rispetto alle informazioni provenienti<br />

dall’esterno, sviluppi la capacità <strong>di</strong> confrontarsi con la realtà. Ciò implica che<br />

alla <strong>di</strong>mensione informativa, ossia all’erogazione <strong>di</strong> informazioni sulle opzioni<br />

<strong>di</strong>sponibili, e alla <strong>di</strong>mensione consulenziale, cioè alla possibilità <strong>di</strong> effettuare<br />

un bilancio delle competenze e delle attitu<strong>di</strong>ni personali, non vada <strong>di</strong>sgiunta<br />

l’azione formativa <strong>di</strong> educare alla scelta. Pertanto la <strong>di</strong>dattica orientativa,<br />

implicando processi decisionali non può non definirsi <strong>di</strong>dattica orientante. Ciò<br />

comporta una <strong>di</strong>versa lettura delle <strong>di</strong>scipline, come si legge nella già citata<br />

Direttiva Ministeriale n. 487 6/8/1997, in cui viene chiaramente evidenziato il<br />

legame tra orientamento, curricoli e <strong>di</strong>scipline (“Le attività <strong>di</strong>dattiche devono<br />

essere progettate in base ai contenuti e alle caratteristiche epistemologiche<br />

delle <strong>di</strong>scipline, ma anche in base alla prospettiva dell’orientamento, che mira<br />

al potenziamento <strong>di</strong> capacità (progettualità - comunicative - relazionali - <strong>di</strong><br />

gestione <strong>di</strong> situazioni complesse, ecc.) che favoriscono l’appren<strong>di</strong>mento e la<br />

partecipazione negli ambienti sociali e <strong>di</strong> lavoro”).<br />

I “luoghi” dove si colloca la <strong>di</strong>mensione orientativa delle <strong>di</strong>scipline<br />

possono essere in<strong>di</strong>viduati come segue:<br />

1. nella struttura della <strong>di</strong>sciplina. La struttura (principi e idee fondamentali<br />

<strong>di</strong> una <strong>di</strong>sciplina) può essere intesa, a sua volta, in un triplice<br />

senso: a) in senso “sostanziale”, come concetti fondamentali<br />

della <strong>di</strong>sciplina; b) in senso “sintattico”, come insieme <strong>di</strong> procedure,<br />

meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> indagine, <strong>di</strong> scoperta, <strong>di</strong> prova, caratteristici della<br />

<strong>di</strong>sciplina; c) in senso “relazionale”, come sistema <strong>di</strong> rete con le altre<br />

<strong>di</strong>scipline. Il docente deve quin<strong>di</strong> conoscere consapevolmente la<br />

struttura della <strong>di</strong>sciplina e al tempo stesso deve aiutare gli studenti a<br />

rendersene consapevoli;<br />

2. nel modo in cui si “veicola” la <strong>di</strong>sciplina, ossia la modalità con cui<br />

il docente la propone agli alunni;<br />

–65–


3. nel posto e nel ruolo che la <strong>di</strong>sciplina occupa all’interno dell’architettura<br />

dei <strong>di</strong>versi saperi. È necessario riflettere sul sistema <strong>di</strong> relazioni<br />

in cui la <strong>di</strong>sciplina si colloca.<br />

Partendo dalla domanda “A cosa serve ciò che stiamo stu<strong>di</strong>ando?”, la<br />

<strong>di</strong>dattica orientativa si propone <strong>di</strong> rispondere innestando il sistema orientativo<br />

nelle <strong>di</strong>scipline e nei curricoli, favorendo una consapevole e <strong>di</strong>retta<br />

attività <strong>di</strong> informazione, riflessione, “attribuzione <strong>di</strong> senso” a ciò che si<br />

stu<strong>di</strong>a e a ciò che si fa. Da qui scaturisce la necessità <strong>di</strong> elaborare curricoli<br />

in grado <strong>di</strong> tradurre il sapere <strong>di</strong>sciplinare in sapere <strong>di</strong>dattico. Tale ricerca si<br />

svolge in tre operazioni: 1) nell’analizzare le <strong>di</strong>scipline destrutturandole, al<br />

fine <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare una pluralità <strong>di</strong> risorse a <strong>di</strong>sposizione; 2) nel selezionare<br />

l’insieme <strong>di</strong> risorse da fare oggetto <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento; 3) nel costruire moduli<br />

<strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento con una nuova strutturazione delle risorse. Un ruolo<br />

particolarmente efficace hanno quei curricoli che sono preceduti da una<br />

buona accoglienza formativa centrata sulla valorizzazione delle competenze<br />

pregresse e accompagnata da una prima accoglienza finalizzata ad un graduale<br />

accostamento alla struttura delle <strong>di</strong>scipline. Da quanto esposto si evidenzia<br />

che nella scuola non si può non orientare. Si orienta in modo in<strong>di</strong>retto,<br />

involontario, casuale, quando il docente riesce a trasmettere la sua<br />

passione per la <strong>di</strong>sciplina e la rende intelligibile e interessante, ancorché<br />

astrusa (orientamento attraverso l’astrazione), oppure quando il docente<br />

non facilita l’appren<strong>di</strong>mento della sua <strong>di</strong>sciplina, non motivando sufficientemente<br />

gli studenti o <strong>di</strong>stogliendoli dall’imparare con gusto e intelligenza<br />

(orientamento attraverso la repulsione). Un terzo modo <strong>di</strong> orientamento, che<br />

è quello <strong>di</strong>retto e consapevole, si ha quando il docente chiarisce il senso <strong>di</strong><br />

ciò che fa nella sua attività <strong>di</strong>dattica usando consapevolmente le sue competenze<br />

professionali (orientamento attraverso una attività mirata). È solo<br />

questa terza modalità che permette <strong>di</strong> fare un reale orientamento attraverso<br />

le <strong>di</strong>scipline e i curricoli. Gli altri due orientamenti sono spesso casuali e<br />

incontrollati, e possono combinarsi con i messaggi, <strong>di</strong> frequente devianti e<br />

<strong>di</strong>sorientanti, dei mass me<strong>di</strong>a.<br />

Pertanto, la <strong>di</strong>dattica assume valenza orientativa quando, attraverso i<br />

contenuti <strong>di</strong>sciplinari:<br />

1. promuove lo sviluppo <strong>di</strong> attitu<strong>di</strong>ni, curiosità, abilità, conoscenze e<br />

saperi utili a muoversi nei <strong>di</strong>versi contesti <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> relazione (cfr.<br />

saperi <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza, empowerment);<br />

2. riesce a potenziare processi <strong>di</strong> conoscenza e valutazione <strong>di</strong> sé e della<br />

realtà circostante;<br />

–66–


3. sostiene le capacità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare e risolvere problemi;<br />

4. consente <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare le risorse e gli strumenti necessari per svolgere<br />

efficacemente un compito o partecipare ad un’attività;<br />

5. si focalizza sulle modalità per reperire, costruire e usare tali strumenti;<br />

6. insegna a progettare un piano <strong>di</strong> azioni e valutarne gli esiti;<br />

7. permette l’esplorazione guidata <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi contesti;<br />

8. contribuisce a sviluppare competenze psicosociali (comunicare, lavorare<br />

in gruppo ecc.);<br />

9. favorisce lo sviluppo dell’autostima e <strong>di</strong> una realistica immagine <strong>di</strong> sé.<br />

Tra i fattori che contribuiscono a rendere orientativa la <strong>di</strong>dattica <strong>di</strong>sciplinare<br />

si ricordano:<br />

1. l’attenzione per le caratteristiche in<strong>di</strong>viduali (percorsi, tempi, modalità<br />

d’appren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> ciascuno);<br />

2. la progettazione, la scelta e l’uso consapevole <strong>di</strong> situazioni d’appren<strong>di</strong>mento<br />

significative per i soggetti coinvolti;<br />

3. la sollecitazione verso l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> problemi significativi e la<br />

ricerca <strong>di</strong> soluzioni;<br />

4. l’adozione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi sistemi <strong>di</strong> valutazione delle situazioni e delle<br />

attività;<br />

5. la creazione <strong>di</strong> occasioni per trasferire le competenze acquisite in altri<br />

contesti;<br />

6. la riflessione costante sulle azioni intraprese e sugli esiti conseguiti;<br />

7. la valorizzazione dell’errore;<br />

8. l’attenzione alla costruzione <strong>di</strong> strumenti per orientarsi;<br />

Quin<strong>di</strong>, nella scuola che orienta, che considera l’appren<strong>di</strong>mento non come<br />

un affastellarsi <strong>di</strong> informazioni ma come una possibilità offerta allo studente<br />

<strong>di</strong> crescere, <strong>di</strong> conoscere e <strong>di</strong> conoscersi per progettare più consapevolmente<br />

le linee guida del proprio futuro, è implicito che tutte le <strong>di</strong>scipline debbano<br />

concorrere.<br />

Ogni <strong>di</strong>sciplina, pur mantenendo la peculiarità e la specificità dei propri<br />

saperi, può in<strong>di</strong>viduare obiettivi <strong>di</strong> carattere orientativo con<strong>di</strong>visibili con le<br />

altre <strong>di</strong>scipline e realizzabili attraverso l’uso <strong>di</strong> metodologie comuni. Presentiamo<br />

alcune caratteristiche proprie della metodologia orientativa:<br />

• progettuale, cioè intenzionale, partecipata, adottata con il <strong>di</strong>retto<br />

coinvolgimento del soggetto e con una forte determinazione della<br />

sua volontà;<br />

• operativa, quin<strong>di</strong> laboratoriale, concreta, ricca <strong>di</strong> risvolti pratici,<br />

vivificata da una “<strong>di</strong>dattica attiva”;<br />

–67–


• realistica, dunque rispondente a un bisogno, a una sollecitazione, a<br />

uno stimolo della realtà, perché desunta dal contesto ambientale;<br />

• pragmatica, tesa per questo a produrre un risultato, a mo<strong>di</strong>ficare una<br />

porzione <strong>di</strong> realtà, a realizzare un “prodotto” (e non solo un “processo”),<br />

a fornire un esito funzionale, perseguito con determinazione<br />

e coerenza;<br />

• spen<strong>di</strong>bile, attinente cioè al quoti<strong>di</strong>ano, al vissuto, all’esperienza, e<br />

non solo riferibile a un sapere teorico, avulso da ogni possibile contestualizzazione;<br />

• complessa, capace pertanto <strong>di</strong> produrre abilità e competenze molteplici,<br />

e <strong>di</strong> attivare i vari aspetti della persona;<br />

• trasversale, oltre che pluri<strong>di</strong>sciplinare, portatrice <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>menti<br />

anche metodologici, strategici, metacognitivi;<br />

• intesa a sollecitare la riflessione sul sé, generando così stimoli, motivazioni,<br />

estensioni dell’esperienza personale, collegamenti, spunti <strong>di</strong><br />

autovalutazione, assunzioni <strong>di</strong> responsabilità;<br />

• in grado <strong>di</strong> introdurre elementi <strong>di</strong> ‘cultura del lavoro’ e aspetti della<br />

‘cultura d’impresa’, ossia <strong>di</strong> favorire la conoscenza e l’accostamento<br />

alle <strong>di</strong>namiche del mondo lavorativo, incrementando la <strong>di</strong>mensione<br />

del lavoro <strong>di</strong> gruppo.<br />

La <strong>di</strong>dattica orientativa si propone quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> reinterpretare i curricoli<br />

scolastici secondo un’ottica orientativa, funzionale e organica alle azioni<br />

<strong>di</strong> orientamento vero e proprio. Gli obiettivi fondamentali che gli alunni<br />

dovrebbero raggiungere attraverso la <strong>di</strong>dattica orientativa/orientante sono:<br />

attraversare le <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>scipline per scoprire <strong>di</strong> ciascuna la peculiare<br />

visuale del mondo reale, imparare i saperi, le procedure, i meto<strong>di</strong> messi a<br />

<strong>di</strong>sposizione da ciascuna <strong>di</strong>sciplina in modo stabile e consapevole, in connessione<br />

con un’imme<strong>di</strong>ata spen<strong>di</strong>bilità nel mondo reale per capire e agire.<br />

Il documento dell’IRRSAE, a cui finora si è fatto continuamente riferimento,<br />

propone, dunque, per raggiungere questi obiettivi, <strong>di</strong> rispondere alla domanda<br />

“In che cosa e come la mia <strong>di</strong>sciplina può <strong>di</strong>ventare orientativa?”. Gli insegnanti<br />

che hanno aderito al progetto, hanno cercato <strong>di</strong> costruire una piattaforma<br />

comune, costituita da punti <strong>di</strong> riferimento in<strong>di</strong>viduati come linee guida<br />

alla luce delle quali rileggere la propria <strong>di</strong>sciplina. Essi hanno finalizzato la<br />

loro ricerca a rendere l’appren<strong>di</strong>mento curricolare un’acquisizione significativa<br />

e a trasformare le esercitazioni, applicative e delle conoscenze apprese in<br />

esperienze <strong>di</strong> arricchimento e maturazione in<strong>di</strong>viduale. Fondamentale è,<br />

–68–


quin<strong>di</strong>, salvaguardare i nuclei conoscitivi essenziali che ogni <strong>di</strong>sciplina riconosce<br />

come fondanti; accanto a questa operazione è necessario, però, ridefinire<br />

la “mappa dei saperi”, ponendo attenzione alla loro spen<strong>di</strong>bilità sociale.<br />

La scuola si pone, quin<strong>di</strong>, il compito <strong>di</strong> colmare il <strong>di</strong>vario che esiste tra la<br />

cultura propria <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>sciplina e la cultura dell’allievo, della quale peraltro,<br />

egli è spesso portatore inconsapevole. È quin<strong>di</strong> in<strong>di</strong>spensabile partire dall’allievo,<br />

creando le con<strong>di</strong>zioni perché sia possibile un’interazione tra il soggetto<br />

che apprende, la <strong>di</strong>sciplina oggetto <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento e il contesto dove avviene<br />

questo incontro. All’insegnante spetta, quin<strong>di</strong>, la funzione del me<strong>di</strong>atore,<br />

che costituisce un ponte tra le caratteristiche dello studente, a cui garantisce<br />

il riconoscimento della sua specifica in<strong>di</strong>vidualità e le caratteristiche<br />

della <strong>di</strong>sciplina, a cui assicura il rigore nella trasmissione dei suoi contenuti<br />

e del suo metodo <strong>di</strong> indagine. Apprendere risulta, quin<strong>di</strong>, nella <strong>di</strong>dattica<br />

orientativa una complessa operazione al centro della quale vi è l’allievo che<br />

elabora e costruisce la propria cultura, acquisendo la capacità <strong>di</strong> prendere<br />

decisioni autonome, vale a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> orientarsi da solo, imparando a conoscere<br />

le proprie risorse, i propri limiti, le proprie <strong>di</strong>fficoltà, le proprie modalità<br />

<strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento e i propri stili cognitivi (è importante, infatti, che ogni insegnante<br />

solleciti processi <strong>di</strong> metacognizione nel proprio campo d’indagine).<br />

Nella ricerca – LSFOL “Maturare per orientarsi” –, l’orientamento<br />

formativo viene definito come “un processo continuo, volto a sostenere la<br />

maturazione personale e la formazione dell’in<strong>di</strong>viduo a saper gestire con<br />

consapevolezza (capacità riflessiva), con autonomia (capacità <strong>di</strong> autodefinizione:<br />

definizione <strong>di</strong> sé in or<strong>di</strong>ne alle decisioni e alle situazioni) e responsabilità<br />

(<strong>di</strong> sé verso gli altri) le proprie scelte”.<br />

L’obiettivo è quello <strong>di</strong> favorire la crescita della persona, promuovendone<br />

il potenziamento <strong>di</strong> abilità e “meta-competenze” (anzitutto cognitive e<br />

riflessive) necessarie per l’attivazione <strong>di</strong> processi <strong>di</strong> scelta autonomi, e per<br />

relazionarsi positivamente con la realtà esterna.<br />

L’orientamento formativo possiede infatti una “duplice natura”, in<br />

quanto azione finalizzata da un lato a sostenere lo sviluppo della persona<br />

(e per questo capace <strong>di</strong> “riportare” il soggetto a se stesso) e, dall’altro, a<br />

promuovere il suo essere sociale, il suo essere in relazione (e per questo<br />

tesa all’apertura del soggetto al confronto con l’“altro da sé”).<br />

La costruzione dell’identità implica tanto un processo <strong>di</strong> “identificazione”<br />

quanto uno <strong>di</strong> “in<strong>di</strong>viduazione”: mentre tramite il primo ci riconosciamo<br />

uguali ad altri, e dunque ci scopriamo in grado <strong>di</strong> identificarci in un<br />

“noi”, sviluppando il senso <strong>di</strong> appartenenza a una collettività definita, me-<br />

–69–


<strong>di</strong>ante il secondo ci riferiamo a ciò che ci <strong>di</strong>stingue dagli altri, rendendoci<br />

unici. La costruzione dell’identità è il risultato <strong>di</strong> un processo sociale che si<br />

sviluppa nell’interazione.<br />

Di qui il riferimento alla duplice natura dell’orientamento formativo cui<br />

prima si accennava: l’obiettivo <strong>di</strong> favorire l’autoconoscenza, accrescere la<br />

padronanza e promuovere lo sviluppo delle risorse metacognitive, in vista<br />

della maturazione personale, cognitiva e decisionale del soggetto, non può<br />

essere <strong>di</strong>sgiunto dall’obiettivo <strong>di</strong> spingere il soggetto a riconoscere il suo<br />

essere in relazione costante con il contesto esterno.<br />

Seguendo la riflessione presentata nella ricerca LSFOL, possono essere<br />

in<strong>di</strong>viduate quattro aree <strong>di</strong> metacompetenze (abilità, conoscenze, risorse):<br />

1) area del sé; 2) area delle risorse cognitive/adattive; 3) area socio-relazionale;<br />

4) area civica. Esse consentono <strong>di</strong> aiutare il soggetto nella sua maturazione<br />

personale, a partire dalla sua vocazione relazionale e sociale.<br />

Ciò significa che l’orientamento formativo non è chiamato a operare solo<br />

affinché il soggetto giunga ad acquisire una chiara conoscenza <strong>di</strong> sé, delle sue<br />

risorse personali, delle sue aspettative.<br />

Si mira, infatti, ad un coinvolgimento attivo dell’in<strong>di</strong>viduo, spinto ad<br />

assumere in proprio, senza deleghe all’orientatore, il processo decisionale. Si<br />

offrono all’alunno strumenti più che risposte preconfezionate, sostenendolo<br />

nella ricerca autonoma, piuttosto che guidarlo verso una meta in<strong>di</strong>viduata,<br />

spingendolo, però, anche a tener conto <strong>di</strong> tutti i fattori socio-culturali e ambientali<br />

in cui matura la sua identità e si definisce la progettualità in<strong>di</strong>viduale.<br />

–70–


MARIO CARINI<br />

Uno strumento <strong>di</strong> approccio allo stu<strong>di</strong>o della storia:<br />

il “questionario-intervista”<br />

1. Il “questionario-intervista”. I primi giorni dell’anno scolastico palesano<br />

al docente, impegnato a presentare il programma <strong>di</strong> storia nella prima<br />

classe della scuola secondaria, la necessità <strong>di</strong> accostare gli allievi allo stu<strong>di</strong>o<br />

della materia. Naturalmente i manuali in uso per il biennio provvedono ad<br />

introdurre lo stu<strong>di</strong>o delle civiltà antiche, premettendo alla trattazione vera e<br />

propria un breve <strong>di</strong>scorso sul significato della storia, sulla funzione e i compiti<br />

dello storico, sulle <strong>di</strong>scipline ausiliarie della storia, sulla classificazione<br />

delle fonti (documentarie e non documentarie) <strong>di</strong> cui si serve lo storico per<br />

la ricostruzione del passato.<br />

A mio avviso, quella che potrebbe forse riuscire una arida elencazione<br />

<strong>di</strong> nozioni, può invece <strong>di</strong>ventare occasione <strong>di</strong> stimolante novità, e fornire al<br />

contempo la possibilità <strong>di</strong> scoprire qualcosa <strong>di</strong> assolutamente nuovo. Riferisco<br />

in questo mio lavoro <strong>di</strong> una esperienza che ho svolto, con l’ausilio dei<br />

miei studenti, in una classe <strong>di</strong> quarto ginnasio. Iniziando lo svolgimento del<br />

programma, ho anzitutto attirato l’attenzione degli studenti sul valore della<br />

testimonianza orale, argomento che appartiene alle fonti della storia. Lo<br />

spunto ci è stato dato dal celebre passo tuci<strong>di</strong>deo sul metodo seguito dallo<br />

storico greco (1,22) per comporre la narrazione della guerra del Peloponneso<br />

(431-411 a.C.). È con questo passo che alcuni manuali aprono l’esposizione<br />

della materia, per esemplificare i principi che guidano, in generale, gli<br />

storici nell’impegnativo lavoro <strong>di</strong> ricerca sulle fonti. Tuci<strong>di</strong>de, com’è noto,<br />

ricorda in questo famoso passo che, nel ricostruire le vicende della guerra<br />

del Peloponneso, non ha ritenuto opportuno raccontare i fatti informandosi<br />

dal primo che capitava, ma ha seguito questi criteri: 1) ha raccontato i fatti a<br />

cui è stato personalmente presente (testimonianza <strong>di</strong>retta); 2) ha raccontato i<br />

N.B.: Ho ritenuto <strong>di</strong> inserire il presente lavoro, che pur ha coinvolto gli studenti della mia<br />

classe, nella sezione docenti invece che in quella <strong>di</strong>dattica, perché l’apporto degli studenti si è<br />

limitato esclusivamente alla mera trascrizione delle risposte rilasciate dagli intervistati, negli appositi<br />

spazi del questionario da me preparato e <strong>di</strong>stribuito. Desidero, pertanto, esprimere il mio ringraziamento<br />

a tutte le nonne e i nonni degli alunni della classe quarta ginnasiale, che, cortesemente<br />

rispondendo al questionario-intervista, hanno collaborato alla riuscita dell’iniziativa.<br />

–71–


fatti a cui non è stato personalmente presente informandosi con la maggior<br />

esattezza possibile (testimonianza in<strong>di</strong>retta). I principi a cui si è attenuto lo<br />

storico sono stati, perciò, l’α , υτοψι´α e l’α , κρι´βεια, ossia l’osservazione <strong>di</strong>retta<br />

e, in mancanza, la scrupolosità rigorosa nel vagliare, attraverso i necessari<br />

riscontri, l’atten<strong>di</strong>bilità delle testimonianze in<strong>di</strong>rette. 1 Ancor oggi questi<br />

principi permangono pressoché immutati, come linee guida della ricerca<br />

storica: pensiamo soprattutto alla rigorosa scrupolosità che ogni storico ha<br />

il dovere <strong>di</strong> osservare nella raccolta delle fonti orali, tenuto naturalmente<br />

conto dell’enorme progresso ottenuto con l’informatizzazione degli archivi e<br />

con la creazione delle banche dati. Inoltre le trasmissioni televisive in <strong>di</strong>retta<br />

e la <strong>di</strong>ffusione delle informazioni in tempo reale rendono ognuno <strong>di</strong> noi<br />

testimone pressoché <strong>di</strong>retto degli avvenimenti <strong>di</strong> cronaca, che il decorso del<br />

tempo consegna alla storia (si pensi, ad esempio, alla <strong>di</strong>ffusione planetaria,<br />

praticamente in tempo reale, delle immagini dell’attentato dell’un<strong>di</strong>ci settembre<br />

2001 alle torri del World Trade Center). Invece <strong>di</strong> limitarmi alla spiegazione<br />

del brano <strong>di</strong> Tuci<strong>di</strong>de, all’inizio del nostro corso <strong>di</strong> storia ho voluto<br />

far vivere una esperienza <strong>di</strong> tipo “tuci<strong>di</strong>deo” ai miei allievi, ponendomi<br />

l’obiettivo <strong>di</strong> rilevare, per mezzo <strong>di</strong> essa, il valore della testimonianza orale.<br />

Per far ciò, ho anzitutto richiamato all’attenzione degli studenti il concetto<br />

<strong>di</strong> testimonianza orale e la <strong>di</strong>stinzione tra testimonianza <strong>di</strong>retta e in<strong>di</strong>retta (si<br />

tratta <strong>di</strong> concetti che soltanto a prima vista possono apparire naturalmente<br />

ovvi). Un noto manuale <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto processuale penale, quello del Cordero, al<br />

riguardo fornisce una limpida definizione <strong>di</strong> testimonianza <strong>di</strong>retta: 2 «Le<br />

testimonianze sono racconti in prima persona (...) I racconti <strong>di</strong>ventano testimonianza<br />

quando l’autore afferma che le cose narrate siano accadute,<br />

avendole da lui percepite: immagini, suoni, odori, sapori, impressioni tattili;<br />

o rievoca atti suoi; percezioni vissute o movimenti compiuti nella veglia<br />

psicofisicamente normale; non testimonia, in senso tecnico, chi racconti<br />

scene oniriche, deliri, allucinazioni». 3 È testimone <strong>di</strong>retto, quin<strong>di</strong>, chi narra<br />

1 Sulla novità della metodologia tuci<strong>di</strong>dea (che però si mostrerebbe alquanto deludente<br />

rispetto ai fatti narrati, secondo il Finley, intr. a Tuci<strong>di</strong>de, La guerra del Peloponneso, trad. <strong>di</strong><br />

Franco Ferrari, vol. I, Rizzoli, Milano 1985, p. 8), che si <strong>di</strong>stanzia dalla storiografia <strong>di</strong> Erodoto per<br />

la critica delle testimonianze e l’eliminazione <strong>di</strong> ogni elemento leggendario, vd. Emilio Gabba,<br />

La storiografia, in AA.VV., Da Omero agli Alessandrini, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1988,<br />

pp. 178-180. L’adesione <strong>di</strong> Tuci<strong>di</strong>de al metodo e al linguaggio ippocratico è analizzata da Luciano<br />

Canfora, Tuci<strong>di</strong>de, E<strong>di</strong>zioni Stu<strong>di</strong>o Tesi, Pordenone 1991, p. 30-34.<br />

2 Vd. Franco Cordero, Procedura penale, Giuffré, Milano 1995 3 , pp. 602-603.<br />

3 Per testimonianze in senso tecnico l’autore si riferisce alle testimonianze processualmente<br />

acquisibili.<br />

–72–


ciò che ha visto effettivamente (N narra x asserendo <strong>di</strong> averlo visto personalmente),<br />

in<strong>di</strong>retto chi narra ciò che ha appreso da altri (N narra x asserendo<br />

<strong>di</strong> averlo appreso da P). Naturalmente sorge la questione della veri<strong>di</strong>cità<br />

<strong>di</strong> quanto riferito dal testimone <strong>di</strong>retto o in<strong>di</strong>retto. Ammonisce il Cordero,<br />

in proposito, su quanto siano rischiose le ricostruzioni storiografiche<br />

compiute sulla base delle sole narrazioni <strong>di</strong> testimoni, specialmente quando<br />

la fonte sia una sola. È facile imbattersi in testimonianze frutto <strong>di</strong> menzogna,<br />

equivoco o errore. Quando poi le testimonianze sono date in buona fede,<br />

il decorso del tempo provvede inevitabilmente a deformare i ricor<strong>di</strong>: 4 è<br />

rarissima la testimonianza, per così <strong>di</strong>re, “fotografica”, <strong>di</strong> un soggetto che<br />

ricor<strong>di</strong> per filo e per segno i particolari più minuti <strong>di</strong> ciò che ha visto. Anche<br />

chi ha avuto un’esperienza con un forte impatto visivo, <strong>di</strong> quelle che più<br />

profondamente si imprimono nella memoria, <strong>di</strong>fficilmente potrà evitare,<br />

dopo qualche tempo, <strong>di</strong> confondere, deformare od obliterare i ricor<strong>di</strong>. Soprattutto<br />

allorché il contenuto del ricordo è sgradevole, la rimozione operata<br />

dalla psiche, come naturale misura <strong>di</strong> igiene mentale, provvedere a cancellare<br />

ciò che il soggetto ha percepito. Oppure può accadere il caso contrario:<br />

un ricordo gratificante viene abbellito, migliorato, ad<strong>di</strong>rittura mitizzato,<br />

aggiungendovi dettagli suggestivi, frutto della fantasia che opera una sorta<br />

<strong>di</strong> “cristallizzazione” dell’oggetto del ricordo, specie se esso è particolarmente<br />

gradevole. 5 In un nostro precedente lavoro, sui “miti” creati da pseudostorici<br />

e giornalisti cacciatori <strong>di</strong> scoop a proposito del nazismo, abbiamo<br />

ricordato la <strong>di</strong>fficile ricerca compiuta da un grande storico moderno, che<br />

potremmo definire un epigono <strong>di</strong> Tuci<strong>di</strong>de, sir Hugh Trevor-Roper, nel determinare<br />

con esattezza la sorte <strong>di</strong> Adolf Hitler dopo la caduta <strong>di</strong> Berlino nel<br />

maggio 1945. 6 È noto che al ra<strong>di</strong>omessaggio letto la sera del 1° maggio<br />

1945 dal successore designato, il grande ammiraglio Karl Dönitz, annunciante<br />

che Hitler era caduto combattendo a Berlino alla testa delle sue<br />

4 Vd. in proposito Cesare Musatti, Elementi <strong>di</strong> psicologia della testimonianza, Rizzoli, Milano<br />

1991 (I ed. 1931), pp. 182-193; sui meccanismi della memoria e sull’influenza che vi ha l’emotività<br />

vd. Bruno Geraci, Comunic@re, Casa e<strong>di</strong>trice G. D’Anna, Messina-Firenze 2003, pp. 41-47.<br />

5 Il Cordero ricorda in proposito le “cristallizzazioni” dell’oggetto d’amore, quali teorizzate<br />

da Stendhal nel trattato Dell’amore, cap. II, con l’esempio del rametto gettato nelle miniere<br />

<strong>di</strong> sale <strong>di</strong> Salisburgo, che si ricopre in breve tempo <strong>di</strong> bellissime formazioni cristalline («Quel<br />

che chiamo cristallizzazione, è l’operazione dello spirito che trae da tutto ciò che si presenta la<br />

scoperta <strong>di</strong> nuove perfezioni nell’oggetto amato», trad. <strong>di</strong> Maddalena Bertelà, Garzanti, Milano<br />

1982 3 , p. 8).<br />

6 Vd. Mitologie sul nazismo, in «Miscellanea <strong>di</strong> saggi e ricerche», <strong>Liceo</strong> Classico<br />

“<strong>Orazio</strong>”, n. 2, anno scolastico 2004-<strong>2005</strong>, pp. 40-44.<br />

–73–


truppe, non aveva fatto riscontro il ritrovamento del corpo del Führer, che<br />

pareva essersi volatilizzato nel nulla. Inviato dagli alleati a Berlino per<br />

cercare <strong>di</strong> chiarire la fine <strong>di</strong> Hitler e soprattutto sfatare la <strong>di</strong>ceria, alimentata<br />

da Stalin, <strong>di</strong> una sua ipotetica fuga da Berlino, Trevor-Roper si imbattè in<br />

una schiera <strong>di</strong> presunti testimoni, in buona e cattiva fede, che davano Hitler<br />

o morto per morti <strong>di</strong>verse o vivo e vegeto nei luoghi più <strong>di</strong>sparati della<br />

Germania e anche fuori <strong>di</strong> essa. Con un duro e tenacemente scrupoloso<br />

lavoro <strong>di</strong> ricerca il giovane storico inglese riuscì a sgombrare il campo dalle<br />

menzogne e dagli errori, assodando quella che resta a tutt’oggi l’unica verità<br />

accettata dagli storici (pur con qualche riserva su certi particolari), ossia il<br />

suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Hitler nel bunker della Cancelleria, il 30 aprile 1945, per veleno<br />

e colpo <strong>di</strong> pistola. 7<br />

Il <strong>di</strong>scorso sulla testimonianza orale chiama in causa quello, più delicato,<br />

sul rapporto tra storia e memoria. Come ha osservato <strong>di</strong> recente in un suo<br />

articolo il prof. Scotto <strong>di</strong> Luzio, «stu<strong>di</strong>are il passato e ricordare sono operazioni<br />

<strong>di</strong>fferenti che non vanno confuse. La memoria è strettamente connessa<br />

all’identità. La storia è una presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dal <strong>di</strong>scorso identitario. La<br />

storia critica le identità in quanto ne fa oggetto <strong>di</strong> conoscenza. Negli ultimi<br />

anni si è insistito molto sul rapporto tra storia e memoria. Più complicato<br />

<strong>di</strong>venta specificare la natura <strong>di</strong> questo rapporto. Diverse sono le ragioni<br />

del successo del tema della memoria. Non ultima è che la fine del Novecento<br />

ha assistito alla lenta scomparsa dei testimoni degli eventi della<br />

prima metà del secolo. Salvare la memoria ha voluto <strong>di</strong>re, soprattutto, raccogliere<br />

la testimonianza delle vittime della Shoah e più in generale della<br />

generazione maturata tra le due guerre mon<strong>di</strong>ali». 8 Proprio la memoria dei<br />

fatti relativi alla seconda guerra mon<strong>di</strong>ale è quella che più si è impressa<br />

nella mente delle generazioni che l’hanno vissuta, e che oggi, dal punto <strong>di</strong><br />

vista anagrafico, corrispondono a quelle degli attuali nonni.<br />

Vi è una memoria collettiva del secondo conflitto mon<strong>di</strong>ale, come<br />

punto centrale della storia del Novecento, che oggi si affievolisce perché,<br />

per il decorso del tempo, vanno scomparendo coloro che ne sono portatori.<br />

È questa memoria collettiva, composta dai tanti ricor<strong>di</strong> dei singoli, che deve<br />

essere, ma non sempre lo è, preservata e tramandata nella forma della testi-<br />

7 Frutto della ricerca fu un’opera, uscita nel 1947, che è un classico della storiografia moderna<br />

(Hugh Trevor-Roper, Gli ultimi giorni <strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Celestino Terzi, Rizzoli, Milano 1999<br />

[rist. della VI ed. 1987]).<br />

8 Adolfo Scotto Di Luzio, Il sapere della <strong>di</strong>stanza, in «Nuova Secondaria», n. 1, 15 settembre<br />

2006, p. 56.<br />

–74–


monianza orale, affinché si stabilisca un rapporto solidale tra le generazioni.<br />

Potrei banalmente ripetere che chi ha visto gli orrori della guerra, <strong>di</strong>venuto<br />

una sorta <strong>di</strong> “documento vivente”, ha il dovere <strong>di</strong> testimoniarli alle nuove<br />

generazioni. Ciò che si può ottenere non necessariamente nel solo ambito <strong>di</strong><br />

solenni celebrazioni, ma anche, più modestamente, organizzando in classe<br />

un lavoro <strong>di</strong> ricerca con i propri studenti e limitandone l’ambito a quello<br />

strettamente familiare.<br />

Mi è sembrato, quin<strong>di</strong>, interessante e suggestivo coinvolgere gli studenti<br />

in una ricerca sulla testimonianza orale, scegliendo l’ambito familiare<br />

per i soggetti da intervistare, a mezzo <strong>di</strong> un apposito questionario da me<br />

preparato. Ho perciò incaricato gli studenti <strong>di</strong> sottoporre il questionario ai<br />

nonni, che avrebbero dovuto riferire a proposito degli eventi storici <strong>di</strong> cui<br />

fossero stati per caso testimoni. Do, quin<strong>di</strong>, qualche chiarimento sul lavoro.<br />

Per quanto riguarda lo strumento prescelto per raccogliere le testimonianze,<br />

ho preferito lavorare con il questionario più che con l’intervista vera e propria.<br />

Anche l’intervista sarebbe potuta andare bene quale strumento <strong>di</strong> raccolta<br />

delle testimonianze orali, anzi <strong>di</strong>ciamo pure che sarebbe stata la forma<br />

più adatta, ma avrebbe richiesto un lavoro più complesso che, al principio<br />

dell’anno e senza bene conoscere la classe, sarebbe stato forse prematuro<br />

pre<strong>di</strong>sporre. Dunque le testimonianze orali qui raccolte non sono state ottenute<br />

me<strong>di</strong>ante il consueto mezzo dell’intervista vera e propria. È evidente<br />

che non si tratta <strong>di</strong> interviste, perché queste, com’è noto, hanno specifiche<br />

caratteristiche. Secondo la definizione <strong>di</strong> un noto manuale scolastico <strong>di</strong> educazione<br />

alla scrittura, quello <strong>di</strong> Susanna Conti e Dario Corno (Manuale <strong>di</strong><br />

educazione alla scrittura, La Nuova Italia, Firenze 2001), l’intervista è «un<br />

testo scritto che riporta o riassume le risposte date da qualcuno che riveste<br />

un certo ruolo (o che è in possesso <strong>di</strong> determinate informazioni) a chi gli ha<br />

posto alcune domande». 9 La modalità dell’intervista si basa sull’incontro tra<br />

intervistatore e intervistato (lo suggerisce l’etimologia stessa della parola,<br />

adattamento dal fran. entrevue e dall’ingl. interview, a significare una serie<br />

<strong>di</strong> domande tra due persone che parlano a vista tra, inter, <strong>di</strong> loro), 10 incontro<br />

che nel nostro caso non v’è stato, anche per il tempo ridotto che avevo a<br />

<strong>di</strong>sposizione. Inoltre, per quanto attiene ai soggetti da intervistare, questi o<br />

9 Vd. Susanna Conti - Dario Corno, Manuale <strong>di</strong> educazione alla scrittura, La Nuova Italia,<br />

Firenze 2001, rist., p. 158.<br />

10 Vd. Manlio Cortellazzo - Paolo Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana,<br />

Zanichelli, Bologna 2002 ² , rist., p. 804.<br />

–75–


svolgono un certo ruolo, istituzionale o pubblico (sono, cioè, personaggi<br />

famosi), o sono in possesso <strong>di</strong> determinate informazioni (che l’intervistatore<br />

si attende <strong>di</strong> ricevere). Né l’una né, presumo, l’altra con<strong>di</strong>zione ricorrevano<br />

nelle persone che ho prescelto come soggetti da intervistare, ossia i nonni e<br />

le nonne degli studenti. Non conoscendo gli studenti neppure potevo conoscere<br />

i loro nonni, e nemmeno potevo prevedere in anticipo che tipo <strong>di</strong><br />

informazioni avrebbero saputo darmi in merito ai quesiti posti.<br />

Però il questionario da me utilizzato non va considerato come un questionario<br />

puro e semplice. Il questionario, infatti, citando ancora la definizione<br />

<strong>di</strong> quel manuale scolastico, «è costituito da una serie <strong>di</strong> domande scritte che<br />

cercano <strong>di</strong> “sondare” l’opinione e l’atteggiamento delle persone su un determinato<br />

argomento che, <strong>di</strong> solito, ha importanza sociale». 11 Il comune questionario<br />

serve quin<strong>di</strong> a verificare determinate ipotesi <strong>di</strong> lavoro (il questionario<br />

è <strong>di</strong> per sé uno strumento <strong>di</strong> “ricerca”, secondo l’etimologia della parola,<br />

dal lat. quaestio), è in genere a risposta chiusa ed è somministrato a un preciso<br />

campione sociale. Anche in questo caso non sono ricorse le con<strong>di</strong>zioni<br />

suesposte. Non avevo ipotesi specifiche da verificare, salvo l’interesse e un<br />

po’ la curiosità <strong>di</strong> conoscere le esperienze dei nonni, né avevo prescelto uno<br />

specifico gruppo <strong>di</strong> persone come campione sociale, se non quello che il caso<br />

aveva pre<strong>di</strong>sposto ad essere parenti dei miei alunni. Inoltre le domande erano<br />

tutte a risposta aperta, per dar modo agli intervistati <strong>di</strong> esprimersi con la più<br />

ampia libertà possibile, ricordando le loro esperienze. Quin<strong>di</strong> lo strumento che<br />

ho costruito per questo lavoro potrei definirlo un “questionario-intervista”,<br />

dato che presenta caratteristiche dell’uno e dell’altro mezzo <strong>di</strong> ricerca, pur<br />

non appartenendo specificamente né all’uno né all’altro tipo.<br />

Questa è stata, dunque, l’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> lavoro: gli studenti sarebbero dovuti<br />

andare alla ricerca <strong>di</strong> testimonianze storiche nei loro stessi ambiti<br />

familiari e compilare il “questionario-intervista”, trascrivendo negli appositi<br />

spazi le risposte dei nonni intervistati. Ho perciò formulato il questionario-intervista<br />

e prescritto agli studenti <strong>di</strong> intervistare i rispettivi nonni, sottoponendo<br />

le domande, ascoltando e trascrivendo le risposte. 12 Si comprende<br />

11 Susanna Conti - Dario Corno, Manuale, cit., p. 161.<br />

12 Sulle regole per costruire le interviste “fatte in casa” vd. Stefano Brugnolo - Giulio<br />

Mozzi, Ricettario <strong>di</strong> scrittura creativa, Zanichelli, Bologna 2003², pp. 35-36. Un prontuario <strong>di</strong><br />

regole sulle interviste per aspiranti giornalisti è in David Randall, Il giornalista quasi perfetto,<br />

trad. <strong>di</strong> Bruna Tortorella e Bruno Giovagnoli, E<strong>di</strong>tori Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 88-107; in<strong>di</strong>cazioni<br />

<strong>di</strong>dattiche sull’intervista in Il quoti<strong>di</strong>ano in classe, a cura dell’Osservatorio Permanente<br />

Giovani-E<strong>di</strong>tori, La Nuova Italia, Firenze 2003³, pp. 108-112.<br />

–76–


<strong>di</strong> per sé la scelta <strong>di</strong> far svolgere questa ricerca in ambito familiare, giacché<br />

intervistare persone estranee avrebbe potuto presentare qualche non lieve<br />

<strong>di</strong>fficoltà: il nonno era invece, per familiarità e <strong>di</strong>sponibilità, più alla portata<br />

degli allievi. Il nonno, infatti, è depositario della memoria familiare, conosce<br />

le vicende familiari (ma non erano queste quelle che mi interessavano), inoltre<br />

le generazioni attuali <strong>di</strong> nonni sono quelle che ancora hanno ricor<strong>di</strong> visivi <strong>di</strong><br />

eventi come la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, sia pur vissuta da bambini (mi riferisco<br />

alle generazioni nate fino al 1940, giacché è <strong>di</strong>fficile, per quelle nate<br />

dopo, che un bimbo <strong>di</strong> due o tre anni possa conservare il ricordo <strong>di</strong> ciò che gli<br />

accade intorno, a meno che non sia dolorosamente traumatico, e specialmente<br />

comprendere le vicende <strong>di</strong> un evento storico come una guerra mon<strong>di</strong>ale). Così,<br />

con un lavoro relativamente poco faticoso, gli studenti hanno potuto raccogliere<br />

una cospicua serie <strong>di</strong> testimonianze, alcune delle quali davvero interessanti<br />

sul piano storico, 13 tratte dal bagaglio della memoria personale, che i<br />

nonni hanno generosamente messo a <strong>di</strong>sposizione dei nipoti.<br />

Il questionario, <strong>di</strong>stribuito agli studenti della mia classe (una prima del<br />

biennio) e ritirato a settembre, nei primi giorni dell’anno scolastico, era così<br />

strutturato (non abbiamo inserito tra le domande gli spazi riservati alle risposte,<br />

che peraltro ogni docente nel ricopiare il testo può pre<strong>di</strong>sporre a piacere):<br />

ALUNNO: ________________________ CLASSE: ___ DATA: __________<br />

QUESTIONARIO-INTERVISTA: LE VOCI DELLA STORIA<br />

Risponde il Sig. ____________________, nonno dell’alunno ____________________, della classe IV A.<br />

1. In<strong>di</strong>chi un evento storico del quale è stato testimone <strong>di</strong>retto:<br />

_______________________________________________________________________________________<br />

2. Provi a rievocarlo brevemente, ricordando le impressioni e sensazioni provate quel giorno <strong>di</strong> fronte all’accaduto:<br />

_______________________________________________________________________________________<br />

3. In<strong>di</strong>chi un evento storico del quale è stato testimone in<strong>di</strong>retto:<br />

_______________________________________________________________________________________<br />

4. Come ha avuto notizia <strong>di</strong> quell’evento? Dalla stampa (e<strong>di</strong>zioni straor<strong>di</strong>narie <strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>ani), dai telegiornali, dalla<br />

ra<strong>di</strong>o o dal racconto <strong>di</strong> qualcuno?<br />

_______________________________________________________________________________________<br />

5. Ricorda quali impressioni ha provato conoscendo l’accaduto?<br />

_______________________________________________________________________________________<br />

6. Che ricor<strong>di</strong> ha della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale?<br />

_______________________________________________________________________________________<br />

–77–


Naturalmente il lavoro non ha la pretesa <strong>di</strong> essere una ricostruzione<br />

storica condotta sulle fonti orali, data la sua provvisoria limitatezza e l’ambito<br />

strettamente <strong>di</strong>dattico in cui la ricerca è stata compiuta. Esistono ottimi<br />

lavori, ben più ampi e condotti con criteri assolutamente scientifici, tra i<br />

quali segnalo L’or<strong>di</strong>ne è già stato eseguito <strong>di</strong> Alessandro Portelli, Donzelli<br />

E<strong>di</strong>tore, Roma <strong>2005</strong>³, che ricostruisce, attraverso una minuta e amplissima<br />

raccolta <strong>di</strong> testimonianze orali (una narrazione corale <strong>di</strong> duecento interviste<br />

e cinque generazioni), l’episo<strong>di</strong>o dell’attentato <strong>di</strong> via Rasella e del conseguente<br />

massacro delle Fosse Ardeatine (vicenda su cui, peraltro, vertono<br />

alcune risposte dei nonni intervistati). È un’indagine magistralmente condotta<br />

dall’autore, che è riuscito a ricostruire in modo efficace ed emotivamente<br />

coinvolgente, interrogando personalmente i parenti e i <strong>di</strong>scendenti<br />

delle vittime delle Ardeatine, il clima dei terribili giorni dell’occupazione<br />

nazista <strong>di</strong> Roma e la memoria lasciata nella popolazione da quel terribile<br />

massacro. 14<br />

2. Le risposte al “questionario-intervista”. L’analisi delle risposte ha permesso<br />

<strong>di</strong> acquisire elementi <strong>di</strong> notevole interesse. In questo lavoro, per ragioni<br />

<strong>di</strong> spazio, abbiamo preso in considerazione le risposte alla prima domanda<br />

(In<strong>di</strong>chi un evento storico del quale è stato testimone <strong>di</strong>retto). Presentiamo<br />

nella seguente tabella le risposte date al questionario. Nella colonna <strong>di</strong> sinistra<br />

abbiamo riportato il nome dell’alunno/a che ha intervitato il nonno o la nonna,<br />

nella colonna <strong>di</strong> destra l’evento storico <strong>di</strong> cui questi ultimi sono stati, a loro<br />

<strong>di</strong>re (naturalmente prestiamo fede alle <strong>di</strong>chiarazioni rese), testimoni <strong>di</strong>retti.<br />

Per ragioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>screzionalità non abbiamo in<strong>di</strong>cato il cognome degli alunni né<br />

quello dei loro nonni o nonne.<br />

13 Ripetiamo, con Scipione Guarracino - Dario Ragazzini, che la <strong>di</strong>stinzione che veramente<br />

conta non è quella tra fonti scritte e fonti non scritte, ma piuttosto il grado maggiore o minore <strong>di</strong><br />

aderenza all’evento, il rapporto più o meno stretto tra la fonte (in questo caso la testimonianza) e<br />

il fatto del passato (Scipione Guarracino - Dario Ragazzini, Storia e insegnamento della storia,<br />

Feltrinelli, Milano 1983³, p. 79). Da un confronto con gli autori citati nelle note si vede come, pressoché<br />

puntualmente, le risposte degli intervistati ricalchino i resoconti delle vicende <strong>di</strong> guerra,<br />

aggiungendovi magari ulteriori particolari.<br />

14 È particolarmente importante l’introduzione dell’opera (pp. 15-21), nella quale il Portelli<br />

spiega il metodo usato nel reperimento, nel trattamento e nella raccolta delle fonti orali.<br />

–78–


Nonno/a dell’alunno/a: Evento storico riferito e da lui/lei <strong>di</strong>rettamente osservato:<br />

1 Barbara Prigionia in un campo <strong>di</strong> concentramento<br />

2 Giorgia Bombardamento del quartiere S. Lorenzo a Roma<br />

3 Matteo Nessun evento riferito<br />

4 Marta La seconda guerra mon<strong>di</strong>ale<br />

5 Rebecca Momento <strong>di</strong> passaggio dalla monarchia alla repubblica (2 giugno 1946)<br />

6 Clau<strong>di</strong>a Liberazione <strong>di</strong> Roma (4 giugno 1944)<br />

7 Ludovica Liberazione <strong>di</strong> Roma (4 giugno 1944)<br />

8 Sara Bombardamento <strong>di</strong> Civitavecchia del 1941/1942<br />

9 Giulia Ricovero dei militari feriti alla scuola me<strong>di</strong>a “Don Bosco”<br />

10 Francesca Nessun evento riferito<br />

11 Lorenzo Razzia compiuta dai soldati tedeschi<br />

12 Giulia Ritirata dell’esercito tedesco<br />

13 Francesca Rastrellamento <strong>di</strong> via Rasella<br />

14 Salvatore Seconda guerra mon<strong>di</strong>ale<br />

15 Flaminia Ingresso degli americani a Roma<br />

16 Elisa Rastrellamento dopo l’attentato <strong>di</strong> via Rasella<br />

17 Caterina Bombardamento <strong>di</strong> Varsavia<br />

18 Martina Morte <strong>di</strong> John Kennedy<br />

19 Francesca Dichiarazione <strong>di</strong> guerra <strong>di</strong> Mussolini da Palazzo Venezia (10 giugno 1940)<br />

20 Michela L’adunata delle “Piccole italiane”<br />

21 Maria Vittoria Bombardamento <strong>di</strong> Fossato <strong>di</strong> Vico<br />

22 Giulia Bombardamento <strong>di</strong> Roma del 19 luglio 1943. Tentata cattura dello Stato Maggiore<br />

del Regio Esercito Italiano a Monterotondo, il 9 settembre 1943 15<br />

23 Giulia L’ecci<strong>di</strong>o delle Fosse Ardeatine<br />

24 Benedetta Passaggio del fronte nell’agosto 1944<br />

25 Martina Bombardamento <strong>di</strong> Roma il 19 luglio 1944<br />

26 Camilla Bombardamento <strong>di</strong> Siena, città-ospedale<br />

27 Camilla Bombardamento del quartiere San Lorenzo a Roma il 19 luglio 1944<br />

28 Eugenia Lo sbarco degli alleati in Italia<br />

29 Benedetta La deportazione <strong>di</strong> alcuni ebrei<br />

30 Elena Lo sbarco degli angloamericani ad Anzio il 22 gennaio 1944<br />

Anzitutto, com’è agevole notare dalla tabella, sui 30 nonni intervistati<br />

ben 28 sono stati testimoni <strong>di</strong>retti <strong>di</strong> eventi storici (precisamente 15 nonne<br />

e 13 nonni), ossia hanno avuto l’opportunità <strong>di</strong> osservare <strong>di</strong>rettamente fatti<br />

che sono entrati nei libri <strong>di</strong> storia (con percentuale del 93,3%). Delle 28<br />

15 Queste due testimonianze sono state date dal signor Giovanni G., amico della famiglia<br />

<strong>di</strong> Giulia N., in quanto i nonni dell’alunna non hanno assistito <strong>di</strong>rettamente ad eventi storici.<br />

–79–


isposte date, 25 hanno riguardato eventi relativi alla seconda guerra mon<strong>di</strong>ale<br />

(con percentuale dell’83,3%): è questo, dunque, l’evento storico che<br />

in massima parte ha tragicamente segnato le generazioni italiane della<br />

prima metà del Novecento e che ancora segna indelebilmente la memoria<br />

degli anziani. Venendo poi al dettaglio, si nota che 9 risposte (delle 25 relative<br />

alla seconda guerra mon<strong>di</strong>ale) riguardano eventi avvenuti a Roma,<br />

mentre 2 riguardano eventi avvenuti nel Lazio, in località comunque non<br />

lontane dalla capitale (Anzio e Civitavecchia, <strong>di</strong>stanti rispettivamente km<br />

61 e 72 da Roma). Gli eventi avvenuti a Roma, ricordati dai nonni, sono<br />

stati l’attentato <strong>di</strong> via Rasella e l’ecci<strong>di</strong>o delle Fosse Ardeatine che ne fu la<br />

tragica conseguenza (3 risposte), il bombardamento <strong>di</strong> Roma del 19 luglio<br />

1943 (4 risposte), l’ingresso degli angloamericani in Roma liberata il 4<br />

giugno 1944 (3 risposte). Gli eventi accaduti nelle vicinanze <strong>di</strong> Roma,<br />

sempre connessi alla seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, sono stati il bombardamento<br />

<strong>di</strong> Civitavecchia 16 e lo sbarco degli angloamericani ad Anzio il 22<br />

gennaio 1944.<br />

Passiamo a esaminare la qualità delle risposte. Alcune sono risultate, pur<br />

nell’esiguità dello spazio concesso dal questionario, ricche <strong>di</strong> dettagli e particolari,<br />

con vere e proprie note <strong>di</strong> colore che hanno vivacizzato quanto narrato<br />

brevemente. Si tratta, in molti casi, <strong>di</strong> frammenti biografici, composti da<br />

fotogrammi isolati, quasi unità <strong>di</strong> piccole biografie portatili;in altri <strong>di</strong> autentici<br />

squarci narrativi, <strong>di</strong> microracconti, brevi sequenze create da un recupero della<br />

memoria ancora ben vivo e, <strong>di</strong>rei, talvolta impressionante per la luci<strong>di</strong>tà e<br />

la drammaticità delle rievocazioni. Vi traspare ancora quell’emozione che, intensamente<br />

provata in età giovanile, ha saputo corroborare il ricordo sottraendolo<br />

alla devastazione del tempo, a conferma del fatto che i ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> guerra<br />

sono spesso indelebili. Ma viene qui a proposito anche quanto osserva il<br />

Portelli nell’introduzione del suo saggio L’or<strong>di</strong>ne è già stato eseguito, ossia<br />

che le fonti orali non sono mai anonime e impersonali: «per quanto il racconto<br />

e la memoria possano contenere materiali con<strong>di</strong>visi con altri, a ricordare e<br />

16 Nella sua risposta l’intervistato in<strong>di</strong>ca il bombardamento che avrebbe subito la città nel<br />

1941/42. In realtà Civitavecchia subì un primo bombardamento il 14 maggio 1943 e un secondo<br />

il 30 agosto 1943. Entrambi rovinosissimi (il primo causò oltre 400 morti e almeno 300 feriti<br />

gravi), furono poi seguiti da numerose altre incursioni dal 4 ottobre 1943 fino al 22 maggio 1944:<br />

sui bombardamenti <strong>di</strong> Civitavecchia vd. Carlo De Polis, La via crucis <strong>di</strong> Civitavecchia, in Il Lazio<br />

in guerra 1943-1944. Testimonianze <strong>di</strong>rette della guerra vissuta dalla popolazione della regione<br />

(“Lunario Romano” 1996), a cura <strong>di</strong> Armando Ravaglioli, Newton & Compton e<strong>di</strong>tori - Gruppo<br />

culturale <strong>di</strong> Roma e del Lazio, Roma 1997, pp. 309-325.<br />

–80–


accontare sono sempre singoli in<strong>di</strong>vidui, che si assumono <strong>di</strong> volta in volta la<br />

responsabilità e l’impegno <strong>di</strong> quello che ricordano e <strong>di</strong>cono». 17 In molte <strong>di</strong><br />

queste risposte il ricordo si fa testimonianza, la testimonianza <strong>di</strong> chi ha dovuto<br />

fare esperienza della morte in giovanissima età e ad essa è fortunosamente<br />

scampato. Tutte le persone intervistate, <strong>di</strong>rei con pochissime eccezioni, hanno<br />

sentito questo dovere <strong>di</strong> ricordare. Aggiungerei anche che tutte le risposte<br />

convergono nel descrivere alle giovani generazioni gli orrori della guerra e<br />

sono ispirate da uno spirito <strong>di</strong> denuncia della “matta bestialitate” con cui, in<br />

guerra, gli uomini si uccidono tra loro. Va ricordato che, a <strong>di</strong>fferenza della<br />

prima guerra mon<strong>di</strong>ale, che riservò l’esperienza bellica ai soldati nelle trincee<br />

e a coloro che abitavano nelle imme<strong>di</strong>ate retrovie del fronte, la seconda, condotta<br />

con mezzi tecnologici enormemente più avanzati, non risparmiò nessun<br />

appartenente alle nazioni coinvolte, né chi era impegnato al fronte né chi<br />

restava nelle città. La seconda guerra mon<strong>di</strong>ale fu una esperienza globale,<br />

vissuta collettivamente da tutti gli strati della società. Va fatta, in proposito,<br />

un’altra considerazione: non promana da queste risposte un semplice messaggio<br />

irenico, <strong>di</strong> superficiale pacifismo, perché gli intervistati, che allora erano<br />

molto giovani, hanno realmente sperimentato tutto ciò che comporta la guerra,<br />

ossia lo stravolgimento della vita quoti<strong>di</strong>ana, la fame, le privazioni, la paura,<br />

le devastazioni, i bombardamenti, le uccisioni, il <strong>di</strong>sfarsi delle famiglie e dei<br />

patrimoni, il venir meno d’ogni sentimento <strong>di</strong> pietà e umanità, e soprattutto il<br />

sentirsi sovrastati dal senso della precarietà, dell’incertezza dell’esistenza,<br />

che avvolge tanto i singoli quanto la comunità preda degli eventi bellici, sommergendoli<br />

in una passiva, rassegnata attesa della fine. Alcune risposte, poi,<br />

alludono ad eventi tragici vissuti in prima persona, che si sono impressi come<br />

stigmi nella memoria, soprattutto in quella <strong>di</strong> chi ha inutilmente cercato <strong>di</strong><br />

dare un senso al proprio dolore.<br />

Di seguito riportiamo un campionario delle risposte (fedelmente trascritte<br />

dai questionari, salvo qualche lieve mo<strong>di</strong>fica formale), sud<strong>di</strong>videndole<br />

per argomenti. Spicca, anzitutto, nella varietà degli eventi ricordati,<br />

il ricordo dei bombardamenti, motivo emblematico <strong>di</strong> una guerra lunga,<br />

devastante e feroce, che non risparmiò la popolazione civile. Com’è noto<br />

anche l’Italia dovette subire operazioni <strong>di</strong> bombardamento da parte dell’aviazione<br />

alleata. Le missioni si intensificarono nel periodo 1943-1944<br />

e tra esse ebbe grande clamore nel mondo quella che portò i bombar<strong>di</strong>eri<br />

a violare il cielo della capitale nell’estate del 1943, non tanto per l’entità<br />

17 Alessandro Portelli, L’or<strong>di</strong>ne è già stato eseguito, Donzelli E<strong>di</strong>tore, Roma <strong>2005</strong>³, p. 15.<br />

–81–


dei danni (non particolarmente gravi rispetto a quelli subiti nel corso del<br />

conflitto da altre città, come Coventry o Dresda), quanto per il valore simbolico<br />

che essa assunse: le bombe cadute a Roma il 19 luglio 1943, insieme<br />

con l’invasione della Sicilia, testimoniavano una volta <strong>di</strong> più che la<br />

facile passeggiata promessa dal Duce, con i seimila morti che, a suo <strong>di</strong>re,<br />

gli sarebbero occorsi per sedersi da vincitore al tavolo della pace, si era<br />

rivelata una tragica illusione e che il regime fascista, dopo la per<strong>di</strong>ta delle<br />

colonie e l’invasione della Sicilia, era ormai in piena crisi (crisi <strong>di</strong>venuta<br />

istituzionale con la votazione, da parte degli stessi gerarchi fascisti riuniti<br />

nel Gran Consiglio la notte tra il 24 e il 25 luglio, dell’Or<strong>di</strong>ne del giorno<br />

Gran<strong>di</strong>, che sfiduciava <strong>di</strong> fatto il Duce chiedendogli <strong>di</strong> restituire i poteri<br />

militari al re). 18<br />

Riporteremo <strong>di</strong> seguito le risposte dei nonni al questionario-intervista e<br />

aggiungeremo, nelle note, brani <strong>di</strong> autori famosi a ricordo degli eventi citati<br />

(senza, ovviamente, alcuna idea <strong>di</strong> confrontare questi con quelle). Il lettore<br />

potrà dunque giu<strong>di</strong>care agevolmente se e quanto le risposte date corrispondano<br />

o si <strong>di</strong>fferenzino da quelle più famose testimonianze.<br />

3. Testimonianze sul bombardamento <strong>di</strong> Roma (risposte alla domanda<br />

n. 1 del “questionario-intervista”). Il 19 luglio 1943, mentre Mussolini si<br />

trovava a convegno con Hitler a Villa Gaggia presso Feltre, 320 fortezze<br />

volanti americane (“Liberator”) sganciarono in quattro incursioni tra le ore<br />

11,10 e le 14 più <strong>di</strong> 680 tonnellate <strong>di</strong> bombe, provocando quasi 1500 morti e<br />

18 Tra le testimonianze del progressivo ma inarrestabile sfaldarsi del regime e, insieme, del<br />

Paese nel 1943, scegliamo un brano del pittore e poeta Ardengo Soffici, il cui <strong>di</strong>ario documenta<br />

la crisi del fascismo vista dal suo interno. Scrive emblematicamente il Soffici l’8 aprile 1943, a<br />

testimonianza <strong>di</strong> come i miti della patria, della lotta e della vittoria fossero crollati nella coscienza<br />

dei giovani: «Nel corso della nostra conversazione il Prefetto ci ha raccontato qualcosa che<br />

concorda con quanto scrivevo l’altro giorno. Le autorità fasciste mandavano giovani fascisti a<br />

scriver sui muri frasi patriottiche e <strong>di</strong> entusiasmo guerresco. La mattina dopo si trovavano scritte<br />

sovversive inneggianti ai nemici e al bolscevismo. Il Prefetto ha fatto eseguire indagini, appostamenti<br />

eccetera. Si è così riusciti a sorprendere una <strong>di</strong>ecina <strong>di</strong> scrittori «sovversivi» notturni;<br />

ma si è poi scoperto ch’essi non erano altro che giovani fascisti, incaricati come si è detto dalle<br />

autorità fasciste <strong>di</strong> scrivere le prime frasi. Cosa che sembra mostruosa, ma che è invece naturalissima.<br />

Una menzogna come quella <strong>di</strong> certo fascismo non può generare che menzogne, tra<strong>di</strong>menti<br />

eccetera. Codesti giovani, testimoni della bassezza <strong>di</strong> certi rappresentanti <strong>di</strong> un’idea sban<strong>di</strong>erata,<br />

ma costantemente tra<strong>di</strong>ta nella pratica, vivono nel <strong>di</strong>sgusto, nella rivolta morale, e si<br />

sfogano come possono: si ven<strong>di</strong>cano in quel modo. La loro non è l’espressione <strong>di</strong> un’idea, <strong>di</strong> una<br />

convinzione politica. È una protesta» (Ardengo Soffici, Sull’orlo dell’abisso. Diario 1939-1943,<br />

Luni E<strong>di</strong>trice, Milano 2000, p. 123).<br />

–82–


gravissime <strong>di</strong>struzioni soprattutto al quartiere San Lorenzo. 19 Tale episo<strong>di</strong>o,<br />

forse più della per<strong>di</strong>ta delle colonie africane, dette agli italiani l’accorata sensazione<br />

della <strong>di</strong>sfatta imminente. Le testimonianze del bombardamento <strong>di</strong><br />

Roma, rese dagli intervistati, convergono nel <strong>di</strong>segnare il medesimo quadro<br />

a tinte drammatiche e nel trasmettere ancora quella sensazione <strong>di</strong> terrore e <strong>di</strong><br />

sorpresa che dovettero provare i romani ghermiti dalla minaccia dall’alto. 20<br />

Citiamo la risposta della signora Grazia Maria M., nonna dell’alunna Giorgia<br />

(risposta n. 2): «Quel giorno mi trovai in prossimità della piazza <strong>di</strong> San Giovanni,<br />

quando sentii il rumore <strong>di</strong> una flotta <strong>di</strong> aeroplani e poco dopo il frastuono<br />

delle bombe che esplodevano. Provai tanta paura e nella confusione<br />

generale decisi <strong>di</strong> rifugiarmi nella chiesa. Da lì vi<strong>di</strong> il fumo dell’esplosione<br />

proveniente dalla zona ferroviaria <strong>di</strong> San Lorenzo». Aggiungiamo le testimonianze<br />

più dettagliate della signora Luciana S., nonna dell’alunna Camilla<br />

19 Sul bombardamento <strong>di</strong> Roma vd. Augusto Pompeo, Il bombardamento su Roma del<br />

19 luglio 1943 nelle carte dell’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Roma, in «Rivista Storica del Lazio», n. 12,<br />

2000, pp. 135-179; vd. anche la recente testimonianza <strong>di</strong> Adriano Ossicini, in Pietro M. Trivelli,<br />

«Sotto quelle bombe morì anche il fascismo», in «Il Messaggero», 20 luglio 2003. Testimonianze<br />

orali sul bombardamento <strong>di</strong> Roma sono raccolte in Alessandro Portelli, L’or<strong>di</strong>ne è già stato<br />

eseguito, cit., pp. 113-119. In generale sulle missioni <strong>di</strong> bombardamento che sconvolsero le città<br />

italiane durante l’estate del 1943, vd. Giorgio Bonacina, Le bombe dell’Apocalisse, Fratelli Fabbri<br />

E<strong>di</strong>tori, Milano 1973 (con gravi giu<strong>di</strong>zi sul Bomber Command della RAF e sul suo comandante<br />

sir Arthur Harris per la scelta <strong>di</strong> coinvolgere programmaticamente nei bombardamenti le popolazioni<br />

civili, ma ancor più sul teorico dei bombardamenti apocalittici, che per ironia della sorte<br />

fu un generale italiano, Giulio Douhet, vd. pp. 92-93); sulla rimozione operata dalla storiografia<br />

“resistenziale” a proposito dei tragici bombardamenti alleati sull’Italia (che pure causarono 70.000<br />

vittime) vd. Dino Messina, Il grande silenzio sulle «piccole Dresda» d’Italia, in «Corriere della<br />

Sera», 17 luglio <strong>2005</strong>.<br />

20 La reazione dei romani al bombardamento, in generale, fu <strong>di</strong> rassegnata, civile compostezza,<br />

come si legge nel <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> un testimone <strong>di</strong>retto, il ministro fascista Giuseppe Bottai, al<br />

19 luglio 1943: «Faccio un giro: Policlinico, Università, San Lorenzo, Porta Maggiore. Danni<br />

gravi, ma purtroppo solo iniziali. La reazione della gente, per ora, è tipicamente “romanesca”:<br />

<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata, ma con bonomia, tra brontoli e parolacce, ma ancor sorridente». (in Giuseppe<br />

Bottai, Diario 1935-1944, a cura <strong>di</strong> Giordano Bruno Guerri, Rizzoli, Milano 1989, pp. 400-<br />

401). Più articolata, ma sostanzialmente coincidente, l’ammirata descrizione della popolazione<br />

romana in Paolo Monelli, Roma 1943, Mondadori, Milano 1979 (I ed. 1948), p. 68: «Vedemmo<br />

questi romani, che ci erano parsi brulicanti e clamorosi nei poveri mercati, per le vie gremite,<br />

queruli e litigiosi nelle file, nei tranvai stipati, dovunque li ammucchiasse la squallida miseria<br />

quoti<strong>di</strong>ana, subire le offese mortali con una fierezza malinconica e austera; li vedemmo frugare<br />

fra le case <strong>di</strong>strutte, cercare i famigliari scomparsi, caricarsi in capo le poche masserizie salvate<br />

dalla rovina, andare per le vie invase dal polverone soffocante, picchiate dal sole, far sosta<br />

alle fontane, all’ombra delle mura con atteggiamenti misurati e solenni; non si vedeva un viso<br />

stravolto, non si u<strong>di</strong>vano imprecazioni né lamenti, non brillavano lacrime. Paziente <strong>di</strong>gnità<br />

della gente nostra, che la sventura rivela; coscienza della sua nobiltà, della sua umanità».<br />

–83–


(risposta n. 27), e del signor Armando P., nonno dell’alunna Martina (risposta<br />

n. 25). Riferisce la prima: «Erano le 11,00 del mattino <strong>di</strong> una giornata<br />

<strong>di</strong> luglio, mi trovavo su una vettura del tram. Improvvisamente suonò la sirena<br />

<strong>di</strong> allarme aereo. Mentre scendevo correndo verso un rifugio antiaereo<br />

iniziarono a cadere le bombe con esplosioni violentissime. Mi rifugiai in via<br />

Carlo Alberto ed attesi la fine dell’attacco che durò due ore». La signora riferisce<br />

anche, come appreso in<strong>di</strong>rettamente, della visita <strong>di</strong> papa Pio XII alle<br />

zone sinistrate, accompagnato dall’allora sottosegretario <strong>di</strong> Stato mons. Giovanni<br />

Battista Montini, il futuro Paolo VI. Il racconto del secondo testimone<br />

presenta anche risvolti decisamente macabri, ma frequenti in tempo <strong>di</strong><br />

guerra: «Avevo <strong>di</strong>ciotto anni e lavoravo nell’officina costruzioni meccaniche<br />

e aeronautiche presso via Tiburtina. Mentre ritornavo a casa, non c’erano<br />

mezzi <strong>di</strong>sponibili per l’accaduto e quin<strong>di</strong> ho attraversato tutta la strada a<br />

pie<strong>di</strong> assistendo a varie scene. Incontrai papa Pio XII, che andava a confortare<br />

i sinistrati, i feriti e i moribon<strong>di</strong> che erano intrappolati nel caos. I bombardamenti<br />

colpirono anche il cimitero del Verano, e nell’attraversare il<br />

rione <strong>di</strong> San Lorenzo vi<strong>di</strong> cadaveri accasciati sul marciapiede, tombe scoperchiate<br />

ed ogni cosa <strong>di</strong>strutta.» Una articolata narrazione del bombardamento<br />

ci viene dal signor Giovanni G., amico della famiglia dell’alunna<br />

Giulia (risposta n. 22): 21 «Numerosi aerei, nella tarda mattina del 19 luglio,<br />

si avventarono sulla città <strong>di</strong> Roma. Il rumore dei motori degli aerei era cupo<br />

e assordante. Per la prima volta fui costretto ad entrare in un rifugio antiaereo<br />

che mio padre aveva pre<strong>di</strong>sposto nel giar<strong>di</strong>no; il rifugio era occupato<br />

da molte donne e bambini che, con gli occhi sbarrati dalla paura, pregavano<br />

a voce alta. Successivamente il fracasso provocato dagli scoppi delle<br />

bombe, ci confuse e ci stordì, interrompendo le preghiere. Il bombardamento<br />

colpì il quartiere <strong>di</strong> San Lorenzo, il cimitero del Verano e l’attuale aeroporto<br />

dell’Urbe che all’epoca era a<strong>di</strong>bito ad aeroporto militare per aerosiluranti e<br />

antiquati aerei da caccia. Un grande polverone affogò i luoghi colpiti dal<br />

bombardamento e, nella serata, il bagliore degli incen<strong>di</strong> dell’aeroporto e<br />

dello scalo-merci <strong>di</strong> San Lorenzo tinse il cielo <strong>di</strong> rosso. Avevo, nell’occasione,<br />

preso coscienza della inutilità e bestialità della guerra». La testimonianza<br />

del signor Giovanni G. ricorda uno dei luoghi emblematici della<br />

guerra nelle città, ossia il rifugio antiaereo, consistente in appositi locali sotterranei,<br />

scantinati e talvolta ricoveri <strong>di</strong> fortuna che in breve <strong>di</strong>vennero una<br />

21 Il signor Giovanni G. è stato intervistato al posto dei nonni, troppo giovani, a loro detta,<br />

per aver assistito a eventi storici.<br />

–84–


seconda, temporanea ma necessaria, abitazione: qui si affollava un’umanità<br />

che, nel silenzio infranto dai fragori delle bombe, sperimentava il quoti<strong>di</strong>ano<br />

sconvolgimento dei giorni e delle notti, allorché il segnale <strong>di</strong> preallarme costringeva<br />

a interrompere ogni occupazione e correre al rifugio. 22<br />

4. Testimonianze su via Rasella e sull’ecci<strong>di</strong>o delle Fosse Ardeatine<br />

(risposte alla domanda n. 1). Com’è noto Roma fu teatro, il 24 marzo 1944,<br />

durante i tragici mesi dell’occupazione nazista, 23 del feroce ecci<strong>di</strong>o delle<br />

Fosse Ardeatine, ossia la strage <strong>di</strong> 335 italiani voluta da Hitler quale rappresaglia<br />

per l’attentato <strong>di</strong> via Rasella compiuto il giorno prima, in cui avevano<br />

trovato la morte 33 soldati tedeschi. 24 Anche tra i nonni intervistati non<br />

22 Un vivido quadro dell’ambiente che si creava nel rifugio antiaereo ci è dato da Gianfranco<br />

Venè, in un brano che <strong>di</strong> seguito riportiamo: «La necessità <strong>di</strong> doversi mostrare a degli sconosciuti<br />

dopo essere stati sorpresi dalla sirena in camera da letto afflisse con nuovi timori il senso <strong>di</strong> pudore<br />

piccoloborghese perché ci si accorse che a mantenere il decoro non bastava più l’abito quoti<strong>di</strong>ano<br />

sotto il quale nascondere la biancheria rammendata. Il cappotto infilato sul pigiama rivelava la<br />

povertà <strong>di</strong> chi non aveva mai posseduto una vestaglia da camera; le vestaglie <strong>di</strong> panno che le mogli<br />

avevano portato in casa tutti i giorni fino dal matrimonio per risparmiare il guardaroba buono,<br />

indossate sotto il soprabito dal cui orlo spuntavano fino al malleolo, rivelavano l’usura. I ragazzini,<br />

rintronati, venivano spinti al rifugio avvolti nelle coperte, le ragazze negli scialli <strong>di</strong> lana: il<br />

ricovero pareva una corsia d’ospedale povero dove ciascuno era costretto a mostrare indumenti<br />

riservati all’intimità famigliare. I vecchi si addormentavano sulle panche, russavano a bocca<br />

aperta, farfugliavano; il sonno in pubblico li rendeva spudoratamente decrepiti; benché la luce fosse<br />

scarsissima, le signore preferivano zone oscure per non essere osservate nel viso stravolto dalla<br />

stanchezza e dall’incuria. Stagnavano nei rifugi notturni gli odori in<strong>di</strong>screti <strong>di</strong> un’umanità raccogliticcia,<br />

sra<strong>di</strong>cata dalle abitu<strong>di</strong>ni più elementari alle quali sembrava non dovesse tornare mai<br />

più. Ci ritornava invece, dopo una o due ore, nella provvisoria ebbrezza del cessato allarme:<br />

riconquistava i letti <strong>di</strong>ventati fred<strong>di</strong> nel gelo delle stanze le cui finestre erano state lasciate spalancate<br />

per risparmiare i vetri dagli urti dell’aria scossa dalle esplosioni, respirava il bruciaticcio<br />

degli incen<strong>di</strong> nei quartieri colpiti, guardava l’orologio, calcolava quanto mancasse allo squillo<br />

della sveglia. I ragazzini si consolavano perché l’allarme prima della mezzanotte dava <strong>di</strong>ritto a<br />

un’ora <strong>di</strong> scuola in meno, due ore in meno se la sirena aveva suonato oltre la mezzanotte» (Gianfranco<br />

Venè, Coprifuoco.Vita quoti<strong>di</strong>ana degli italiani nella guerra civile, Mondadori, Milano 1989,<br />

pp. 41-42).<br />

23 Si veda per una veritiera ed efficace cronaca dei tragici momenti dell’occupazione tedesca<br />

(con ampi riferimenti ai mesi precedenti, al 25 luglio, al governo <strong>di</strong> Badoglio e all’armistizio)<br />

Paolo Monelli, Roma 1943, cit..<br />

24 L’attentato alla colonna <strong>di</strong> soldati altoatesini transitante per via Rasella fu ideato da Giorgio<br />

Amendola (il Bentivegna attribuisce, però, la paternità dell’azione a Mario Fiorentini, vd. Rosario<br />

Bentivegna, Achtung Ban<strong>di</strong>ten!, Mursia, Milano 1983 3 , p. 152), rappresentante del PCI nella giunta<br />

militare del CLN, esecutori materiali furono i membri del GAP <strong>di</strong> Roma, al comando <strong>di</strong> Carlo<br />

Salinari: Rosario Bentivegna, Carla Capponi, Franco Calamandrei, Mario Fiorentini, Franco Ferri,<br />

Raul Falcioni, Francesco Curreli, Silvio Serra, Fernando Vitaliano, Pasquale Balsamo, Guglielmo<br />

Blasi (quest’ultimo, passato ai fascisti, contribuirà poi all’arresto dei suoi compagni). La bomba,<br />

–85–


nascosta in un bidone per l’immon<strong>di</strong>zia, fu fatta esplodere a via Rasella alle ore 15,45 del 23 marzo<br />

1944 (la data fu scelta in quanto anniversario della fondazione dei Fasci <strong>di</strong> combattimento) al<br />

passaggio <strong>di</strong> una colonna <strong>di</strong> soldati tedeschi, una compagnia <strong>di</strong> 156 uomini del III battaglione del<br />

reggimento <strong>di</strong> polizia SS Bozen, provenienti dalla provincia <strong>di</strong> Bolzano. Il giorno dopo i tedeschi<br />

fucilarono per rappresaglia 335 italiani alle Cave Ardeatine (Hitler avrebbe voluto fucilare da trenta<br />

a cinquanta italiani per ogni tedesco ucciso, ma Kesselring, il comandante del fronte italiano,<br />

riuscì a fissare a <strong>di</strong>eci il numero degli ostaggi). L’elenco delle vittime fu compilato da Kappler (270<br />

prigionieri, a cui aggiunse altri 10) e dal questore <strong>di</strong> Roma Pietro Caruso (50), che ne ebbe l’autorizzazione<br />

dal ministro dell’interno della RSI Buffarini-Gui<strong>di</strong> (ma alla fine furono fucilate 5 vittime<br />

in più delle 330 preventivate). Alle Ardeatine trovarono la morte, fra gli altri, patrioti come il<br />

colonnello Giuseppe Cordero Lanza <strong>di</strong> Montezemolo e gli intellettuali Pilo Alberelli e Gioacchino<br />

Gesmundo. Sull’attentato <strong>di</strong> via Rasella si è sviluppata un’imponente pubblicistica a seguito delle<br />

infuocate polemiche (non ancora placate pur trascorsi ormai sessant’anni dai fatti) sorte attorno all’operato<br />

del gruppo <strong>di</strong> gappisti romani ideatori ed esecutori dell’operazione. Per una prima informazione<br />

vd.: Paolo Monelli, Roma 1943, cit., pp. 302-304; Max Polo, Via Rasella 1944: uomini e<br />

no, in I gran<strong>di</strong> enigmi degli anni terribili, vol. III, E<strong>di</strong>tions de Crémille, Ginevra 1970, pp. 11-60;<br />

Silvio Bertol<strong>di</strong>, Rappresaglia a Roma, in «Storia Illustrata», n.196, marzo 1974, pp. 108-115;<br />

Giuseppe Mayda, Le Fosse Ardeatine, in Enzo Biagi, La Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Una storia<br />

<strong>di</strong> uomini, vol. V Le due Italie, Gruppo E<strong>di</strong>toriale Fabbri, Milano 1983, rist., pp. 1753-1770; Santi<br />

Corvaja, Ardeatine il dramma ora per ora, in «Storia illustrata», n. 317, aprile 1984, pp. 43-58;<br />

Robert Katz, Morte a Roma.Il massacro delle Fosse Ardeatine, trad. <strong>di</strong> Enrica Labò, E<strong>di</strong>tori<br />

Riuniti, Roma 1996 5 ; Marisa Musu - Ennio Polito, Roma ribelle. La Resistenza nella capitale 1943-<br />

1944, Teti E<strong>di</strong>tore, Milano 1999, pp. 158-169; Giacomo Sanna, Ecci<strong>di</strong>o delle Fosse Ardeatine, in<br />

Memoria e giustizia. Stragi, crimini <strong>di</strong> guerra, processi - Italia 1943-1945, suppl. a «L’Unità»,<br />

Nuova Iniziativa E<strong>di</strong>toriale, Roma 2003, pp. 67-73. Una ricerca molto ampia e dettagliata, condotta<br />

su un grande numero <strong>di</strong> testimonianze orali ricavate dai parenti delle vittime, è quella <strong>di</strong><br />

Alessandro Portelli, L’or<strong>di</strong>ne è già stato eseguito, Donzelli E<strong>di</strong>tore, Roma <strong>2005</strong> 3 . Contiene una<br />

ancor oggi impressionante documentazione il saggio del prof. Attilio Ascarelli, che procedette all’esame<br />

necroscopico delle salme dei martiri (Attilio Ascarelli, Le Fosse Ardeatine, A.N.F.I.M.,<br />

Roma 1974 2 ). Per quanto riguarda le menzogne accumulatesi sull’episo<strong>di</strong>o, è certo che, nei giorni<br />

precedenti l’attentato, non era stato emesso dai tedeschi alcun bando per minacciare la rappresaglia<br />

sui civili <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci a uno nel caso <strong>di</strong> attacchi alle truppe occupanti né i tedeschi, dopo l’attentato,<br />

posero la consegna dei responsabili come con<strong>di</strong>zione per evitare la rappresaglia stessa. La notizia<br />

dell’azione <strong>di</strong> via Rasella e della rappresaglia fu data, quando il massacro delle Fosse Ardeatine era<br />

già avvenuto, con un comunicato dell’Agenzia Stefani il 25 marzo 1944 (si può leggere in Enzo<br />

Piscitelli (a cura <strong>di</strong>), I ban<strong>di</strong> tedeschi e fascisti, in Quaderni della Resistenza laziale, n. 4, Regione<br />

Lazio, Roma 1976, p. 193), che testualmente riportiamo: «Nel pomeriggio del 23 marzo 1944,<br />

elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio <strong>di</strong> bombe contro una colonna tedesca <strong>di</strong><br />

Polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata, 32 uomini della polizia tedesca<br />

sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti-badogliani. Sono<br />

ancora in atto le indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad<br />

incitamento anglo-americano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l’attività <strong>di</strong> questi ban<strong>di</strong>ti<br />

scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata.<br />

Il Comando tedesco, perciò, ha or<strong>di</strong>nato che per ogni tedesco assassinato, <strong>di</strong>eci criminali<br />

comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest’or<strong>di</strong>ne è già stato eseguito». Storici e giornalisti <strong>di</strong><br />

destra riprovano naturalmente l’attentato, mettendo in luce la presunta responsabilità morale degli<br />

attentatori e al contempo la sostanziale inutilità strategica dell’azione <strong>di</strong> via Rasella. Già ebbe a<br />

spartire la responsabilità della rappresaglia tra i tedeschi e gli attentatori Attilio Tamaro, in Due<br />

anni <strong>di</strong> storia 1943-1945, vol.II, Tosi e<strong>di</strong>tore, Roma 1949, pp. 536-537, anticipando i motivi del-<br />

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la polemica svolta da parte fascista e, in generale, da destra contro gli artefici dell’attentato. Accusò<br />

gli attentatori <strong>di</strong> viltà Bruno Spampanato, che peraltro era stato <strong>di</strong>rettore del «Messaggero» <strong>di</strong> Roma<br />

durante l’occupazione nazista, nel suo Contromemoriale, vol. III, C.E.N., Roma 1974, p. 687.<br />

Da parte loro Indro Montanelli e Mario Cervi, in un volume della Storia d’Italia, pongono l’accento<br />

sulle ragioni politiche e sull’inutilità sostanziale dell’attentato (vd. Indro Montanelli - Mario<br />

Cervi, L’Italia della guerra civile, E<strong>di</strong>zione CDE, su lic. Rizzoli, Milano 1986, p. 201-202: «...i<br />

gappisti non potevano pensare che la strage, progettata ed eseguita mentre si negoziava per proclamare<br />

Roma città aperta, e rivolta contro un reparto non impegnato nei combattimenti, restasse<br />

senza conseguenze per gli sventurati, ebrei e non ebrei, che erano in mani naziste e fasciste. Sul<br />

piano militare, l’azione avrebbe potuto avere un significato, sia pure simbolico – era chiaro che<br />

Roma sarebbe stata liberata entro breve termine – solo se si fosse collegata a una insurrezione citta<strong>di</strong>na.<br />

Roma non prese le armi, né allora né quando le truppe alleate furono a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> pochi<br />

chilometri (...). I morti delle Ardeatine erano stati sacrificati alla ragione politica, al proposito <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrare, per fini appunto politici, che i tedeschi se ne andavano non soltanto perché incalzati<br />

dagli angloamericani, ma perché scacciati dalla popolazione. Questo scopo fallì.»). Lo storico<br />

Renzo De Felice, nella sua monumentale biografia <strong>di</strong> Mussolini, in Mussolini l’alleato, vol. II La<br />

guerra civile (1943-1945), Einau<strong>di</strong>, Torino 1998, pp. 150-151, rileva che l’attentato <strong>di</strong> via Rasella<br />

mostra la scarsa influenza del CLN sui GAP, i quali avrebbero deciso in assoluta autonomia<br />

quell’azione. Ricalca il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Montanelli anche Bruno Vespa, rilevando l’inutilità dell’attentato<br />

compiuto quando gli alleati stavano per sfondare i fronti <strong>di</strong> Cassino e <strong>di</strong> Anzio (vd. Bruno<br />

Vespa, Vincitori e vinti, Rai Eri-Mondadori, Milano <strong>2005</strong>, pp. 242-245; v’è da osservare che nella<br />

sua precedente Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi, RAI-Mondadori, Milano 2004, p. 21, il<br />

famoso giornalista e conduttore televisivo aveva fatto cenno <strong>di</strong> un «avvertimento [scil. agli attentatori<br />

<strong>di</strong> via Rasella perché si consegnassero] scritto sui manifesti fatti affiggere dal comando<br />

tedesco»: manifesti che invece non vi furono affatto, perché la rappresaglia fu organizzata il giorno<br />

dopo l’attentato e in segreto dai tedeschi, a cui non interessava tanto ricercare gli autori quanto<br />

spargere il terrore tra i romani con l’enormità e la ferocia della vendetta). La ricostruzione <strong>di</strong> Bruno<br />

Vespa ha suscitato la risentita risposta <strong>di</strong> Rosario Bentivegna, il principale protagonista <strong>di</strong> quell’azione:<br />

ne è nato un nutrito scambio epistolare, aspramente ma civilmente polemico, raccolto e<br />

pubblicato in Rosario Bentivegna, Via Rasella la storia mistificata, carteggio con Bruno Vespa,<br />

Manifestolibri, Roma 2006 (vd. l’intr. <strong>di</strong> Sergio Luzzatto, assai intransigente verso le presunte<br />

manchevolezze della ricostruzione storica del giornalista, pp. 7-18; vd. anche l’intervento <strong>di</strong> Alessandro<br />

Portelli, Rappresaglie da talk show, in «Il Manifesto», 25 aprile 2006). Ovviamente è del<br />

tutto <strong>di</strong>verso il giu<strong>di</strong>zio degli storici <strong>di</strong> sinistra, che, condannando l’inumana rappresaglia delle<br />

Fosse Ardeatine, giustificano l’azione <strong>di</strong> via Rasella nel quadro della lotta all’occupazione nazista.<br />

Nella Storia della Resistenza italiana <strong>di</strong> Roberto Battaglia (Einau<strong>di</strong>, Torino 1974 3 [I ed. 1953],<br />

p. 262) l’attentato <strong>di</strong> via Rasella è definito «una vera e propria operazione <strong>di</strong> guerra stu<strong>di</strong>ata e<br />

preor<strong>di</strong>nata in ogni minimo particolare». Pur riconoscendo le proprie responsabilità, quale membro<br />

del CLN e comandante delle Brigate Garibal<strong>di</strong>, <strong>di</strong>fese il fatto <strong>di</strong> via Rasella come azione <strong>di</strong><br />

guerra Giorgio Amendola, che ne fu il principale ispiratore (vd. Giorgio Amendola, Lettere a<br />

Milano.Ricor<strong>di</strong> e documenti 1939-1945, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1974, rist., pp. 294-299): per il<br />

<strong>di</strong>rigente comunista gli attentatori avevano comunque il dovere <strong>di</strong> non presentarsi ai tedeschi,<br />

perché erano da considerarsi combattenti in lotta contro l’occupante. Analoga riflessione svolge<br />

Giorgio Bocca, per il quale «la Resistenza cesserebbe <strong>di</strong> essere tale all’atto stesso in cui cedesse<br />

al ricatto del terrore, in cui accettasse il principio che ogni autore <strong>di</strong> un atto resistenziale ha il<br />

dovere morale <strong>di</strong> presentarsi all’occupante oppressore per evitare la rappresaglia» (Giorgio<br />

Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Mondadori, Milano 2006, rist., p. 292; ci sembra inatten<strong>di</strong>bile<br />

il grottesco particolare, riferito dal Bocca, che il ministro Buffarini avrebbe ricevuto il<br />

questore Caruso mentre faceva il bagno nella vasca [p. 290]: in realtà Buffarini, quando si pre-<br />

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manca chi si è trovato <strong>di</strong>rettamente coinvolto in questo terribile episo<strong>di</strong>o, a<br />

vario titolo. Com’è noto dalle ricostruzioni degli storici, dopo l’esplosione<br />

della bomba posta nel carretto della spazzatura dal Bentivegna (che agiva<br />

quale membro dei GAP), 25 accorsero sul luogo i soldati tedeschi e le autorità,<br />

tra cui il comandante militare della piazza <strong>di</strong> Roma, generale Kurt<br />

sentò Caruso a chiedergli l’autorizzazione alla consegna dei prigionieri ai tedeschi, stava facendo<br />

colazione a letto [vd. P. Monelli, Roma 1943, cit., p. 303; R. Katz, cit., p. 112]: l’urgenza e la<br />

drammaticità della situazione evidentemente non permisero il rispetto delle forme istituzionali, ma<br />

non oltre un certo punto). Per la verità l’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> via Rasella provocò forti <strong>di</strong>scussioni in seno<br />

alla giunta militare del CLN, come ammette anche lo storico Paolo Spriano (Paolo Spriano, Storia<br />

del Partito comunista italiano, vol. VIII La Resistenza. Togliatti e il partito nuovo, Einau<strong>di</strong>-L’Unità,<br />

Torino 1990, rist., p. 304; vd. la ricostruzione delle posizioni in seno al CLN, in Robert Katz, cit.,<br />

pp. 171-172). Ha poi <strong>di</strong> recente ancora <strong>di</strong>feso orgogliosamente l’azione <strong>di</strong> via Rasella colui che<br />

accese l’or<strong>di</strong>gno esplosivo nascosto nel carretto della spazzatura, ossia Rosario Bentivegna (vd.<br />

Rosario Bentivegna, Achtung Ban<strong>di</strong>ten!, cit.; e ancora Rosario Bentivegna - Cesare De Simone,<br />

Operazione via Rasella.Verità e menzogne, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1996, ove gli autori smentiscono<br />

punto per punto falsità e mistificazioni accumulatesi per decenni sull’episo<strong>di</strong>o; vd. anche la lettera<br />

<strong>di</strong> Bentivegna a Indro Montanelli e la risposta <strong>di</strong> quest’ultimo, nel «Corriere della Sera» del 26<br />

marzo 1998 [ristampata in Indro Montanelli, Le stanze, BUR-Corriere della Sera, Milano 2002,<br />

pp. 63-64], nonché l’intervista a Bentivegna <strong>di</strong> Dino Messina, Il romanzo <strong>di</strong> via Rasella. Le ragioni<br />

dei «Ban<strong>di</strong>ten», in «Corriere della Sera», 23 febbraio 2004; e, ancora, la polemica lettera <strong>di</strong> Bentivegna<br />

all’on. Maurizio Gasparri <strong>di</strong> AN, in «Corriere della Sera», 30 maggio 2006). Ma lo storico<br />

Aurelio Lepre, pubblicando le intercettazioni telefoniche effettuate a Roma nel marzo 1944 dalla<br />

polizia della RSI, ha mostrato che molti romani <strong>di</strong>sapprovarono l’attentato, attribuendo ai gappisti<br />

la volontà <strong>di</strong> peggiorare la già <strong>di</strong>fficile situazione (vd. Aurelio Lepre, Via Rasella. Leggenda e realtà<br />

della Resistenza a Roma, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 55-78). Su Carla Capponi, che con Rosario<br />

Bentivegna prese parte all’attentato e per la sua attività partigiana ottenne la medaglia d’oro al<br />

valor militare (Bentivegna quella d’argento), vd. il profilo <strong>di</strong> Paolo Granzotto, Carla Capponi, in<br />

Italiane (pubblicazione del Dipartimento per le Pari Opportunità), a cura <strong>di</strong> Eugenia Roccella e<br />

Lucetta Scaraffia, vol. III, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2004, pp. 53-56. Conclu<strong>di</strong>amo<br />

questa nota, che non pretende affatto <strong>di</strong> esaurire le <strong>di</strong>scussioni su via Rasella e le Fosse<br />

Ardeatine né <strong>di</strong> esprimere una valutazione su quell’episo<strong>di</strong>o, con le domande poste nella postfazione<br />

del volume <strong>di</strong> Bentivegna, Operazione via Rasella, cit., p. 135, domande che rimangono, a nostro<br />

avviso, ancora aperte: «(...) è giusto coinvolgere in un’azione <strong>di</strong> guerriglia ignari citta<strong>di</strong>ni, estranei<br />

a ogni parte in lotta, esponendoli al rischio quasi certo <strong>di</strong> una cieca e feroce rappresaglia? Su<br />

chi deve gravare il peso della morte degli innocenti: su chi ha agito provocando la rappresaglia o<br />

su chi la esegue contro ogni legge umana, contro ogni principio morale?» Il Bentivegna, però, ha<br />

affermato che, se, da parte tedesca, si fosse minacciata una rappresaglia <strong>di</strong> tale enormità quale fu<br />

quella messa in opera alle Ardeatine (ma, dobbiamo ripeterlo, i tedeschi agirono in tutta segretezza,<br />

e prima della strage non apparve alcun manifesto che esigeva la consegna degli autori dell’attentato),<br />

probabilmente lui e i suoi compagni si sarebbero consegnati per evitare quel massacro<br />

(R. Bentivegna, Achtung Ban<strong>di</strong>ten!, cit., p. 169).<br />

25 I Gruppi <strong>di</strong> Azione Patriottica (GAP), che lottavano contro l’occupazione nazista, erano<br />

i reparti d’assalto delle Brigate Garibal<strong>di</strong>, prevalentemente composte da aderenti o seguaci del<br />

PCI. Organizzatore dei GAP fu Antonello Trombadori, a cui subentrarono, dopo il suo arresto,<br />

Alfio Marchini e poi Carlo Salinari, il futuro storico della letteratura italiana.<br />

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Mältzer, il quale pochi istanti prima si trovava a banchettare all’hotel Excelsior<br />

<strong>di</strong> via Veneto. Mältzer, fuori <strong>di</strong> sé per l’ira e, per giunta, inebriato da<br />

abbondanti libagioni, avrebbe voluto far saltare in aria tutti gli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> via<br />

Rasella, ma fu per fortuna calmato da Kappler, dal colonnello Dollmann e<br />

dal console tedesco Möllhausen. 26 In compenso or<strong>di</strong>nò l’arresto degli abitanti<br />

<strong>di</strong> via Rasella e <strong>di</strong> tutti quelli che si trovavano a passare <strong>di</strong> là. I tedeschi<br />

fermarono circa 400 persone. Restano <strong>di</strong> quel rastrellamento le immagini<br />

fotografiche scattate da anonimi militari e rintracciabili in una pubblicazione<br />

non recentissima e oggi <strong>di</strong>fficilmente reperibile (Benedetto Pafi -<br />

Bruno Benvenuti, Roma in guerra. Immagini ine<strong>di</strong>te settembre 1943 -<br />

giugno 1944, E<strong>di</strong>zioni Oberon, Roma 1985, pp. 159-164): si tratta <strong>di</strong> se<strong>di</strong>ci<br />

fotografie, molte delle quali ine<strong>di</strong>te, che mostrano le scene imme<strong>di</strong>atamente<br />

successive all’attentato. Vi si vedono la via Rasella devastata dalla terribile<br />

esplosione, col selciato <strong>di</strong>ssestato, i corpi dei militari tedeschi a terra coperti<br />

da un lenzuolo, i soldati con i fucili puntati verso i piani alti dei palazzi,<br />

gruppi <strong>di</strong> civili messi al muro dai soldati per via Rasella, via Quattro Fontane<br />

e lungo la cancellata <strong>di</strong> palazzo Barberini. Il nonno (anonimo) dell’alunna<br />

Francesca (risposta n. 13) si è trovato ad assistere al rastrellamento<br />

che, subito dopo l’attentato, i tedeschi operarono in via Rasella. Le sue parole<br />

possono fungere da commento a quelle terribili immagini: «Ho un ricordo<br />

molto vago, ma sicuramente è stata una brutta esperienza essere testimone<br />

<strong>di</strong> questo evento, stavo lì a guardare quelle persone che venivano<br />

strappate via dalle loro case, alcuni dai propri familiari. In quel momento<br />

le mie sensazioni erano: paura, inadeguatezza e tristezza per la sorte <strong>di</strong><br />

quelle persone che sarebbero state in seguito portate nei campi <strong>di</strong> lavoro.»<br />

Un altro testimone del rastrellamento seguito all’attentato <strong>di</strong> via Rasella è il<br />

signor Edoardo I., nonno dell’alunna Elisa (risposta n. 16), il quale allora<br />

aveva solo nove anni. Così ricorda il fatto: «Erano le otto del mattino, non<br />

ricordo precisamente il giorno. Stavo andando a scuola con mia sorella,<br />

eravamo a corso Sempione e ho visto i tedeschi arrestare do<strong>di</strong>ci ragazzi,<br />

parte ebrei e parte appartenenti allora all’estrema sinistra. Ho avuto<br />

paura, ho preso mia sorella per mano e ho iniziato a correre.» Di notevole<br />

interesse è la testimonianza del signor Giulio P., nonno dell’alunna Giulia<br />

(risposta n. 23). Egli fungeva allora da interprete (non è chiaro se abitualmente<br />

o soltanto per quella occasione) presso i tedeschi e assistette personalmente<br />

a momenti dell’ecci<strong>di</strong>o delle Fosse Ardeatine, come narra:<br />

26 La scena è efficacemente descritta in Robert Katz, cit., pp. 70-75.<br />

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«Ricordo che i tedeschi ammazzarono gli italiani per ven<strong>di</strong>carsi delle morti<br />

dei loro compatrioti. I tedeschi mi avevano chiamato come traduttore per<br />

l’italiano e arrivato alle Fosse Ardeatine, vi<strong>di</strong> che i tedeschi avevano<br />

appena ucciso cinque italiani perché erano andati a rubare sui corpi dei<br />

martiri. Di quella giornata ricordo la gente massacrata e la paura <strong>di</strong> fare la<br />

loro stessa fine anche per motivi <strong>di</strong>versi.» Forse il signor Giulio P. poté<br />

vedere la scena dell’ecci<strong>di</strong>o prima che i genieri tedeschi facessero saltare con<br />

la <strong>di</strong>namite le gallerie che portavano al luogo dell’esecuzione, all’interno<br />

delle Cave. La sua risposta, comunque, contiene una chiara definizione<br />

della rappresaglia delle Ardeatine (...ammazzarono gli italiani per ven<strong>di</strong>carsi<br />

delle morti dei loro compatrioti), che nient’altro fu se non una feroce<br />

vendetta in spregio a qualsiasi norma <strong>di</strong> umanità, e allusivamente rievoca il<br />

clima <strong>di</strong> paura in cui la citta<strong>di</strong>nanza romana era piombata. 27<br />

5. Testimonianze sulla liberazione <strong>di</strong> Roma (risposte alla domanda n. 1).<br />

Il 4 giugno 1944 le truppe alleate, al comando del generale Mark Wayne<br />

Clark, entravano trionfalmente in Roma liberata, nel tripu<strong>di</strong>o della popolazione<br />

romana che usciva da mesi <strong>di</strong> sofferenze e terrore. 28 Anche nelle<br />

27 La migliore documentazione sul clima <strong>di</strong> paura che si viveva a Roma durante i mesi dell’occupazione<br />

nazista è data dalla raccolta a cura <strong>di</strong> Enzo Piscitelli, I ban<strong>di</strong> tedeschi e fascisti, cit.,<br />

pp. 73-232. I 177 ban<strong>di</strong> ivi raccolti (appelli, decreti, or<strong>di</strong>nanze, comunicati stampa) emessi dal 10<br />

settembre 1943 al 30 maggio 1944, dalle autorità civili e militari tedesche e fasciste, mostrano il<br />

progressivo inasprimento delle <strong>di</strong>sposizioni (come, ad esempio, il <strong>di</strong>vieto assoluto <strong>di</strong> circolazione<br />

delle biciclette, del 29 <strong>di</strong>cembre 1943, e l’estensione del coprifuoco dalle ore 17 alle ore 6, del<br />

26 gennaio 1944) e delle sanzioni a carico dei trasgressori, con il frequente ricorso alla minaccia<br />

della pena <strong>di</strong> morte. Tra l’altro, dalla lettura dei testi si nota che prima dell’attentato <strong>di</strong> via Rasella<br />

(23 marzo) non era stato emesso alcun bando con la minaccia <strong>di</strong> una eventuale rappresaglia sui<br />

civili nel caso <strong>di</strong> attacchi alle forze <strong>di</strong> occupazione. Invece, nel caso dell’uccisione <strong>di</strong> un militare<br />

tedesco, avvenuta qualche giorno prima (il 10 marzo) a piazza dei Mirti, la Questura aveva promesso<br />

un premio <strong>di</strong> 50.000 lire a chi fosse stato in grado <strong>di</strong> fornire informazioni utili all’identificazione<br />

dei responsabili (vd. il bando n. 138, Premio promesso per l’identificazione dell’autore<br />

<strong>di</strong> un attentato, pp. 189-190).<br />

28 Anche la memorialistica sulla liberazione <strong>di</strong> Roma è molto nutrita. La città riservò in<br />

quei giorni alle truppe alleate accoglienze entusiastiche, soprattutto da parte delle donne, come<br />

ricorda Curzio Malaparte (allora al seguito delle truppe americane come ufficiale <strong>di</strong> collegamento),<br />

in La pelle, Garzanti, Milano 1967 (I ed. 1949), p. 286: «Un’immensa folla scendeva<br />

contro <strong>di</strong> noi, urlando, per la Via dell’Impero. Erano donne, in gran parte, e parevano muovessero<br />

all’assalto della nostra colonna. Scendevan <strong>di</strong> corsa, <strong>di</strong>scinte, scarmigliate, deliranti, agitando<br />

le braccia, ridendo, piangendo, gridando: in un attimo fummo circondati, assaliti, soverchiati,<br />

e la colonna sparì sotto un groviglio inestricabile <strong>di</strong> gambe e <strong>di</strong> braccia, sotto una foresta<br />

<strong>di</strong> capelli neri, sotto una tenera montagna <strong>di</strong> seni flori<strong>di</strong>, <strong>di</strong> bocche carnose, <strong>di</strong> spalle<br />

bianche. («Come al solito,» <strong>di</strong>sse il giorno dopo, nella sua pre<strong>di</strong>ca, il giovane curato della<br />

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isposte dei nonni il ricordo degli alleati è sempre associato a sentimenti <strong>di</strong><br />

gioia e gratitu<strong>di</strong>ne per la liberazione. Si coglie ancora il desiderio <strong>di</strong> mitizzazione<br />

<strong>di</strong> quell’evento, che significò, per i romani almeno, la fine della<br />

guerra, dei lutti e delle sofferenze, insieme con la rimozione del fatto che<br />

proprio gli angloamericani liberatori si erano resi responsabili <strong>di</strong> feroci<br />

bombardamenti, con migliaia <strong>di</strong> vittime e la <strong>di</strong>struzione anche <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici<br />

civili e religiosi, nell’estate del 1943 su Roma, Milano, Torino e Genova.<br />

Gli americani non apparivano più come i negri razziatori e stupratori <strong>di</strong>pinti<br />

da Boccasile nei manifesti della propaganda fascista, ma come i benefici e<br />

generosi liberatori pronti a soccorrere una popolazione stremata e ben <strong>di</strong>versi<br />

dalle marziali e terrorizzanti truppe <strong>di</strong> Hitler.<br />

Prima della liberazione <strong>di</strong> Roma, vi era stato il prologo dello sbarco alleato<br />

ad Anzio il 22 gennaio 1944, che riempì <strong>di</strong> speranza i romani, anche se<br />

Chiesa <strong>di</strong> Santa Caterina, in Corso d’Italia,«come al solito la propaganda fascista mentiva, quando<br />

annunziava che l’esercito americano, se fosse entrato in Roma, avrebbe assalito le nostre donne:<br />

sono le nostre donne che hanno assalito, e sconfitto, l’esercito americano»). E lo strepito dei<br />

motori e dei cingoli si spense nell’urlo <strong>di</strong> quella folla impazzita <strong>di</strong> gioia». Emblematica testimonianza<br />

<strong>di</strong> una donna intellettuale, è quella <strong>di</strong> Maria Antonietta Macciocchi, in Duemila anni <strong>di</strong> felicità.<br />

Diario <strong>di</strong> un’eretica, Il Saggiatore, Milano 2000, p. 97: «Gli americani arrivarono a Roma<br />

il 5 giugno. Provenivano, le prime colonne, dalla via Appia, dalla via Ardeatina, attraversando<br />

la conca verde, <strong>di</strong>sseminata <strong>di</strong> sepolcri e cipressi, avanzando sulle più antiche pietre del mondo.<br />

Doppiarono il Colosseo, piazza Venezia, e passando davanti al balcone <strong>di</strong> Mussolini facevano tutti<br />

il segno V con le <strong>di</strong>ta, Vittoria, Vittoria. “Mussolini go home” scrissero lungo la balconata del<br />

Duce. “Viva gli americani! Viva la libertà!” Una folla <strong>di</strong> donne, <strong>di</strong> uomini, corsero incontro ai GM.<br />

Con mia sorella andai anch’io verso <strong>di</strong> loro, e infine li incrociammo tra la fontana <strong>di</strong> Trevi e largo<br />

Chigi. Erano alti, bion<strong>di</strong>, puliti, in <strong>di</strong>vise cachi estive. Ci gettavano sigarette e scatole <strong>di</strong> carne<br />

e <strong>di</strong> piselli, gomma americana e tutto quel che stava stivato nella loro jeep. “Viva i liberatori!”<br />

gridava Roma, da Trastevere all’Esquilino; le ragazze li abbracciavano. Qualcuna saliva<br />

con loro sulle jeep». Si vedano anche: Vincenzo Mantovani, La liberazione <strong>di</strong> Roma, in Enzo<br />

Biagi, La Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Una storia <strong>di</strong> uomini, vol. VI La controffensiva alleata, cit.,<br />

pp. 1849-1872; Cesare De Carlo, «Così entrai per primo in Roma al comando della fanteria USA»<br />

(intervista al generale Edward Thomas, il primo degli alleati ad entrare in Roma), in «Il Tempo»,<br />

2 giugno 1994; Luigi Ceccarelli, Roma alleata (1944-1945), Ren<strong>di</strong>na E<strong>di</strong>tori, Roma 2002 (rievocazione<br />

del clima vissuto nella capitale durante l’amministrazione alleata); Emilio Gentile, Donne<br />

all’assalto, in «Il Sole-24 Ore», 30 maggio 2004; Marco Innocenti, Al gran ballo della pace, ibid.;<br />

Ennio Caretto (intervista all’economista e premio Nobel Robert Solow, che fu tra i primissimi<br />

soldati americani a raggiungere Roma), «Accolto con un pasto e un letto e mi sentii anch’io<br />

italiano», in «Corriere della Sera», 30 maggio 2004; Nello Ajello, Roma il giorno più bello, in «La<br />

Repubblica», 4 giugno 2004. Ma gli alleati che risalivano la penisola liberando progressivamente<br />

le città italiane, dovettero fare i conti, specie nel sud, con un’opposizione armata <strong>di</strong> gruppi neofascisti,<br />

guidati da agenti della RSI: vd. sul fenomeno Mirko Altimari, La “resistenza” fascista<br />

contro gli angloamericani, in «Rnotes», n. 18, ottobre 2004, pp. 42-44; Giuseppe Parlato, Fascisti<br />

senza Mussolini, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 37-74.<br />

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l’avanzata verso la capitale fu rallentata dall’accanita resistenza dei tedeschi<br />

e fino al crollo del fronte a Cassino. Così il signor Livio T., nonno dell’alunna<br />

Elena (risposta n. 30), ricorda lo sbarco degli angloamericani ad Anzio, ove<br />

costituirono una testa <strong>di</strong> ponte che resistette ai tedeschi per quattro mesi, per<br />

poi ricongiungersi con le truppe alleate in marcia verso Roma: «Mi trovavo<br />

in una casetta sul litorale laziale, dove ero sfollato con la mia famiglia. La<br />

mattina del 22 gennaio 1944 sono stato testimone <strong>di</strong> un evento storico fondamentale.<br />

Dal cielo e dal mare gli americani arrivavano per liberare Roma.<br />

Io e la mia famiglia avevamo l’impressione <strong>di</strong> sognare, dopo un primo momento<br />

<strong>di</strong> sorpresa mille emozioni hanno preso i nostri cuori: gioia, sorpresa,<br />

gratitu<strong>di</strong>ne.» Gioia e gratitu<strong>di</strong>ne che si moltiplicarono allora in un unanime<br />

sentimento collettivo e appaiono ancor oggi evidenti nei racconti <strong>di</strong> chi assistette<br />

al trionfale ingresso delle truppe angloamericane a Roma il 4 giugno<br />

1944, come sembra testimoniare il racconto della signora Silvana R., nonna<br />

dell’alunna Clau<strong>di</strong>a (risposta n. 6): «Ero piccola, avevo mi pare sei anni, e<br />

ricordo che questi soldati americani con numerosi camion e camionette<br />

entrarono in una strada vicino a viale Manzoni; mi trovavo lì sulle spalle <strong>di</strong><br />

mio padre e ho potuto vedere che “i nostri liberatori” (sic) camminavano<br />

lentamente vicino a me lanciando dolci, cioccolate e pane bianco, cosa che<br />

rese tutti molto felici perché in quel periodo si doveva sopportare la fame». 29<br />

Altre testimonianze si leggono nelle interviste ai signori Angelo F., nonno<br />

dell’alunna Flaminia (risposta n. 15), e Virgilio C., nonno dell’alunna Ludovica<br />

(risposta n. 7). Nel ricordo gli americani, che per equipaggiamento e<br />

mezzi bellici appaiono un esercito enormemente più potente degli avversari,<br />

sono mitizzati come pacifici e benefici <strong>di</strong>spensatori <strong>di</strong> leccornie, pronti ad<br />

aiutare generosamente la popolazione affamata. Il primo <strong>di</strong>ce: «Mi ricordo le<br />

jeep americane passare per via Nomentana e i soldati lanciare caramelle<br />

Charms e chewing gum mentre noi ragazzini pieni <strong>di</strong> gioia le raccoglievamo,<br />

sperando che quel brutto periodo <strong>di</strong> fame passasse presto». 30 Più articolata è<br />

la risposta del signor Virgilio C.: «Io abitavo con la mia famiglia nella zona<br />

29 Dico sembra, perché le virgolette, come ho letto nel testo consegnatomi da Clau<strong>di</strong>a,<br />

potrebbero dare una strana connotazione ironica alla menzione dei nostri liberatori.<br />

30 Come si vede, ricorre spesso il ricordo della fame, inesorabile compagna della stragrande<br />

maggioranza <strong>di</strong> coloro che vissero la terribile esperienza della guerra. Ha ricostruito le<br />

<strong>di</strong>fficili con<strong>di</strong>zioni della popolazione italiana durante i mesi dal 1943 al 1945, nello sfondo delle<br />

vicende relative al processo <strong>di</strong> Verona (conclusosi, com’è noto, con la condanna a morte dei<br />

membri del Gran Consiglio firmatari dell’or<strong>di</strong>ne del giorno Gran<strong>di</strong>, tra cui Galeazzo Ciano, che<br />

era il genero del Duce), Gian Franco Venè, in Coprifuoco.Vita quoti<strong>di</strong>ana degli italiani nella<br />

guerra civile, cit..<br />

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<strong>di</strong> via Nazionale. Il clima era per tutti <strong>di</strong> grande fiducia, tanto che ebbi dai<br />

miei genitori il permesso <strong>di</strong> fare un giro in città per vedere volti nuovi e provare<br />

nuove sensazioni, <strong>di</strong>verse da quelle del periodo precedente dominato<br />

dalla paura. Via Nazionale era percorsa dalle jeep ver<strong>di</strong> degli alleati, dai<br />

camion massicci e dai carri armati. A bordo dei mezzi trovavano posto anche<br />

i romani: uomini, bambini, ragazzi e ragazze. Un americano mi fece salire su<br />

un carro armato e mi ricordo che arrivai fino a San Pietro appena in tempo<br />

per vedere il papa».<br />

6. Testimonianze su altri eventi bellici e ricor<strong>di</strong> del Ventennio (risposte<br />

alla domanda n. 1). Una preziosa testimonianza sui fatti dell’8 settembre<br />

1943 (il giorno dell’armistizio e della fuga del re a Pescara) ci viene dal<br />

signor Giovanni G., amico della famiglia dell’alunna Giulia (risposta n. 22):<br />

essa riguarda la sorte dello Stato Maggiore del Regio Esercito, acquartierato<br />

allora a Palazzo Orsini, a Monterotondo. I generali italiani per poco non<br />

corsero il rischio <strong>di</strong> essere fatti prigionieri dai paracadutisti tedeschi lanciatisi<br />

sulla citta<strong>di</strong>na alle porte <strong>di</strong> Roma. 31 Trascriviamo il ricordo del signor<br />

Giovanni, con l’auspicio che esso possa interessare chi eventualmente si<br />

troverà a leggere queste pagine: sono parole che rappresentano con vivida<br />

efficacia il drammatico quadro <strong>di</strong> una rischiosa esperienza <strong>di</strong>retta, ma che<br />

danno anche l’idea <strong>di</strong> una Italia <strong>di</strong>sfatta, sul piano morale prima che su<br />

quello militare: 32 «La sera dell’8 settembre 1943 i soldati italiani <strong>di</strong> stanza<br />

in Monterotondo festeggiarono per tutte le vie del paese dopo l’annuncio<br />

31 Il giorno 9 settembre, verso le ore 8,30 furono lanciate sei compagnie <strong>di</strong> paracadutisti<br />

tedeschi, per un totale <strong>di</strong> circa 500 uomini, su Monterotondo, ov’era acquartierato lo Stato Maggiore<br />

del Regio Esercito. Il piano era stato concepito dal generale Kurt Student, che voleva rapire<br />

l’intero alto comando italiano. I tedeschi incontrarono una forte resistenza da parte dei nostri soldati<br />

e soltanto a sera poterono impadronirsi <strong>di</strong> palazzo Orsini, sede dello Stato Maggiore, trovandolo<br />

vuoto degli ufficiali italiani. Vd. in proposito Ettore Musco, La verità sull’8 settembre 1943,<br />

Garzanti, Milano 1976 (I ed. 1965), p. 129.<br />

32 Amplissima, com’è noto, è la memorialistica sull’8 settembre. L’impressionante quadro<br />

dello sfacelo morale e materiale <strong>di</strong> un Paese intero allo sbando, <strong>di</strong>mentico della sua <strong>di</strong>gnità e<br />

preda <strong>di</strong> un’incosciente allegria collettiva per l’illusione della pace, è stato riassunto con toni<br />

grotteschi da Curzio Malaparte, in La pelle, cit., p. 58: «Tutti noi, ufficiali e soldati, facevamo a<br />

gara a chi buttava più «eroicamente» le armi e le ban<strong>di</strong>ere nel fango, ai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> tutti, vincitori<br />

e vinti, amici e nemici, perfino ai pie<strong>di</strong> dei passanti, perfino ai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> coloro che, non sapendo<br />

<strong>di</strong> che si trattasse, si fermavano a guardarci meravigliati. Buttavamo ridendo le nostre armi e<br />

le nostre ban<strong>di</strong>ere nel fango, subito correvamo a raccoglierle per ricominciare da capo. «Viva<br />

l’Italia!» gridava la folla entusiasta, la bonaria, ridente, rumorosa, allegra folla italiana. Tutti,<br />

uomini, donne, bambini, parevano ubriachi <strong>di</strong> gioia, tutti battevan le mani gridando «bis!<br />

bravi! bis!», e noi stanchi, sudati, trafelati, gli occhi scintillanti <strong>di</strong> virile orgoglio, il viso illumi-<br />

–93–


dell’avvenuta firma dell’armistizio con il quale si poneva termine alle operazioni<br />

belliche contro le forze armate angloamericane che avevano invaso<br />

la Sicilia. I soldati italiani festeggiarono quella che ritenevano la fine della<br />

guerra e il loro prossimo ritorno presso i loro cari. Nella notte compresa tra<br />

l’8 e il 9 settembre, lo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano abbandonò<br />

ignominiosamente Monterotondo e i soldati italiani, lasciandoli senza <strong>di</strong>rettive<br />

e senza istruzioni sul da farsi salvo che reagire all’aggressione da qualsiasi<br />

parte essa provenisse. La mattina del 9 settembre, verso le ore 8,30, apparvero<br />

grosse formazioni <strong>di</strong> aerei tedeschi che, sorvolando Monterotondo,<br />

iniziarono il mitragliamento e il lancio <strong>di</strong> truppe aviotrasportate, che dovevano<br />

provvedere alla cattura dello Stato Maggiore dell’esercito italiano, che<br />

nel frattempo si era <strong>di</strong>leguato. Ricordo con nitidezza che un grosso trimotore<br />

nato <strong>di</strong> patriottica fierezza, buttavamo eroicamente le armi e le ban<strong>di</strong>ere ai pie<strong>di</strong> dei vincitori e<br />

dei vinti, e subito correvamo a raccoglierle per buttarle nuovamente nel fango. Gli stessi soldati<br />

alleati, gli inglesi, gli americani, i russi, i francesi, i polacchi, battevan le mani, ci gettavano in<br />

viso manciate <strong>di</strong> caramelle, gridando: «bravi! bis! viva l’Italia!» E noi buttavamo sghignazzando<br />

le armi e le ban<strong>di</strong>ere nel fango, e subito correvamo a raccoglierle per ricominciare da capo».<br />

«Tutto ormai era in fuga o allo sfascio, dalla Monarchia e dal governo fino al più periferico battaglione,<br />

sotto la durezza delle intimazioni alleate e della minaccia <strong>di</strong> rappresaglia germanica»,<br />

commenta il poeta Mario Luzi, in 8 settembre: i giorni dell’armistizio, in «Nuova Antologia», n.<br />

2188, 1993, p. 276. Menzioniamo anche, tra le più significative, la testimonianza del grande giurista<br />

e scrittore Salvatore Satta, con le sue cupe e accorate riflessioni sulla repentina scomparsa del<br />

senso dello Stato e sulla “morte della Patria” (si leggano, ad esempio, le sconvolgenti scene dei<br />

saccheggi nelle caserme abbandonate dopo l’8 settembre, in De profun<strong>di</strong>s, Adelphi e<strong>di</strong>zioni, Milano<br />

2003 3 , pp. 174-189), sviluppate poi in un famoso e <strong>di</strong>scusso saggio dallo storico e politologo<br />

Ernesto Galli della Loggia (per il quale la Resistenza non sarebbe stata sufficiente a fondare una<br />

identità nazionale), La morte della patria, Laterza, Roma-Bari 1996 2 (cfr. però, in risposta a della<br />

Loggia, l’intervista allo storico Pier Giorgio Zumino <strong>di</strong> Nello Ajello, La patria non è morta, in<br />

«La Repubblica», 17 <strong>di</strong>cembre 2003). Ancor oggi, a confermare le tesi <strong>di</strong> Galli della Loggia, v’è<br />

da rilevare che gli storici si <strong>di</strong>vidono tra chi considera l’8 settembre una trage<strong>di</strong>a nazionale e chi,<br />

invece, il primo momento della lotta <strong>di</strong> liberazione nazionale. Sull’8 settembre e i retroscena dell’armistizio:<br />

Enzo Santarelli, Storia del fascismo, vol. III, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1973 2 , pp. 306-312<br />

(dà rilievo alla lotta antifascista e contro l’occupante tedesco, che si organizzò a livello popolare<br />

proprio nei giorni della <strong>di</strong>ssoluzione dello stato unitario); Mario Cervi (a cura <strong>di</strong>), L’8 settembre<br />

(«I documenti terribili», n. 11), Mondadori, Milano 1973; Paolo Pavolini, 1943 La caduta del<br />

fascismo, vol. I (Badoglio & C. strateghi della <strong>di</strong>sfatta) e vol. II (La fuga dei Savoia), Fratelli<br />

Fabbri E<strong>di</strong>tori, Milano 1973; Ettore Musco, La verità sull’8 settembre 1943, cit.; Indro Montanelli<br />

- Mario Cervi, L’Italia della <strong>di</strong>sfatta, E<strong>di</strong>zione CDE, su lic. Rizzoli, Milano 1982, pp. 397-432 (con<br />

giu<strong>di</strong>zi severissimi sul comportamento del re e dell’alto comando, estesi anche alla truppa e, in<br />

generale, agli italiani); Gianfranco Romanello, L’8 settembre e La fuga del re, in Enzo Biagi,<br />

La Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Una storia <strong>di</strong> uomini, vol. IV El-Alamein e l’8 settembre, cit.,<br />

pp. 1369-1392 e 1393-1416; Nicola Tranfaglia, Badoglio o la comme<strong>di</strong>a degli inganni, in «La<br />

Repubblica», 7 settembre 1983; Arrigo Petacco, Fu il caso o la rabbia, e i ragazzi del ’43 si<br />

<strong>di</strong>visero in buoni e cattivi, in «Corriere della Sera», 2 settembre 2003.<br />

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tedesco, per la precisione uno Junkers 88, in<strong>di</strong>rizzò una raffica <strong>di</strong> mitragliatrice<br />

contro me e altri ragazzini, che, radunati nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> casa mia, ci<br />

sbracciavamo per salutare gli aerei e i suoi occupanti, che credevamo tornassero<br />

a casa loro. I segni delle raffiche <strong>di</strong> mitragliatrice sono restati, muti<br />

testimoni, sulla facciata <strong>di</strong> casa mia, fino all’anno 1986, nel corso del quale<br />

le mie sorelle hanno provveduto al restauro della palazzina paterna. Fortunatamente<br />

nessuno riportò ferite o danni per il mitragliamento».<br />

Il racconto del signor Giovanni sembra inchiodare alle sue responsabilità<br />

i vertici delle nostre Forze Armate che, assieme al re, presero la via <strong>di</strong> Pescara,<br />

abbandonando Roma senza lasciare praticamente <strong>di</strong>sposizioni alle truppe ivi<br />

rimaste, salvo quella, ovvia, <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi se attaccate. È noto che il comportamento<br />

del re e dei suoi generali ha fornito materia <strong>di</strong> aspre polemiche tra gli<br />

storici e anche tra gli stessi protagonisti <strong>di</strong> quei giorni, non certamente tra i<br />

più esaltanti nella storia della nostra nazione, giacché quel precipitoso trasferimento<br />

strategico a Pescara e il frettoloso imbarco per Brin<strong>di</strong>si finirono troppo<br />

per somigliare a una fuga.<br />

I militari feriti emergono dalla memoria della signora Velia S., nonna dell’alunna<br />

Giulia (risposta n. 9), come vittime sacrificali <strong>di</strong> una guerra «che<br />

nessuno meritava»: «Ricordo con interesse quando dalla scuola me<strong>di</strong>a “Don<br />

Bosco” che allora frequentavo, vi<strong>di</strong> uscire dei militari che avevano combattuto<br />

durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, che erano stati accolti dalla scuola<br />

per essere ricoverati».<br />

Alcune risposte alla domanda n. 1 ricordano i bombardamenti in località<br />

<strong>di</strong>verse da Roma. Il signor Ivo T., nonno dell’alunna Sara (risposta n. 8),<br />

ricorda il bombardamento aereo, avvenuto a sua detta nel maggio 1941/42,<br />

della città <strong>di</strong> Civitavecchia: «In un pomeriggio pieno <strong>di</strong> sole il cielo apparve<br />

macchiato dalla presenza <strong>di</strong> numerosi aerei. Dopo un comprensibile momento<br />

<strong>di</strong> curiosità e stupore generale, gli aerei lasciarono cadere un gran numero <strong>di</strong><br />

bombe sulla città. Esplosioni, urla <strong>di</strong>sperate e un fuggifuggi generale fecero<br />

seguito, perché grande e forte fu lo spavento sofferto. Scene strazianti apparvero<br />

al mio sguardo che, sebbene il tempo sia trascorso, rimangono sempre<br />

ben presenti nella mia memoria. Paura, <strong>di</strong>sperazione, terrore... tutto in pochi<br />

minuti e ancora oggi una domanda: perché?». È la stessa domanda sulla mancanza<br />

<strong>di</strong> senso della guerra, che ritorna nelle risposte <strong>di</strong> molti intervistati. La<br />

signora Elisa R., nonna dell’alunna Camilla (risposta n. 26), rievoca il bombardamento<br />

<strong>di</strong> Siena, che allora era stata <strong>di</strong>chiarata città-ospedale. Anche queste<br />

sono parole che, a rileggerle, suscitano ancora vivissima emozione per<br />

l’imme<strong>di</strong>atezza del ricordo: «Mi trovavo per la strada,quando suonòl’allarme.<br />

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Cerco <strong>di</strong> raggiungere il rifugio più vicino, non faccio in tempo perché gli aerei<br />

erano già sulla città, mi butto per terra in tempo per vedere le bombe cadere.<br />

Sono impaurita, stor<strong>di</strong>ta, ho la sensazione <strong>di</strong> morire. Riesco ad alzarmi quando<br />

sento gli apparecchi andarsene». Un bombardamento avvenuto fuori d’Italia,<br />

ma tra i più terribili del conflitto per la gravità delle devastazioni e l’altissimo<br />

numero delle vittime causate, è quello <strong>di</strong> Varsavia, ricordato dalla signora<br />

Helena P., nonna dell’alunnaCaterina (risposta n. 17), che vide gli aerei tedeschi<br />

sorvolare la sua casa <strong>di</strong> campagna: «Avevo un<strong>di</strong>ci anni. La mamma mi <strong>di</strong>sse <strong>di</strong><br />

andare a raccogliere un po’<strong>di</strong> patate perché a causa della guerra mancavano<br />

le provviste. Sentii il rumore <strong>di</strong> tanti aerei in avvicinamento. Per la paura mi<br />

nascosi in un cespuglio. Era una cosa molto impressionante. Erano <strong>di</strong>retti a<br />

Varsavia, <strong>di</strong>stante 100 km da casa mia». Va ricordato che la nazione polacca<br />

fu tra quelle che più ebbero a soffrire nella seconda guerra mon<strong>di</strong>ale: smembrata<br />

in due parti dal patto Ribbentrop-Molotov dell’agosto 1939, la Polonia<br />

conobbe la durissima occupazione tedesca (<strong>di</strong>venendo un Protettorato del<br />

Reich e sede dei tristemente famosi campi <strong>di</strong> sterminio come Auchwitz, Treblinka,<br />

Belzec, Majdanek, Sobibor, Chelmo) e poi nel 1945 la liberazione ad<br />

opera delle armate sovietiche, che sostituirono al dominio nazista la <strong>di</strong>ttatura<br />

comunista. Le poche parole raccolte nell’intervista alla nonna <strong>di</strong> Caterina (che<br />

però non chiarisce a quale bombardamento si riferisca), ci sembrano evocare<br />

<strong>di</strong>rettamente la terribile sorte del popolo polacco e della capitale Varsavia,<br />

<strong>di</strong>strutta dalle truppe tedesche nel 1944.<br />

Altre risposte risultano, invece, piuttosto generiche e approssimative, nonostante<br />

contengano spunti memorabili <strong>di</strong> grande interesse. Il signor Carmine<br />

A., nonno dell’alunna Barbara (risposta n. 1), riferisce <strong>di</strong> esser stato prigioniero<br />

in un non meglio precisato campo <strong>di</strong> concentramento, ma null’altro aggiunge:<br />

non il nome del campo (presumibilmente un lager tedesco) né un qualsiasi<br />

episo<strong>di</strong>o o particolare, sia pur minimo, caratterizzante la sua prigionia. Forse,<br />

come talvolta avviene nella psiche dei reduci, il ricordo delle sofferenze subite,<br />

talora insopportabile, è stato obliterato nel sollievo della rimozione. 33<br />

Altri drammatici momenti <strong>di</strong> sofferenza sono stati la fuga forzata dalla<br />

città, il rifugio sui monti e la lotta <strong>di</strong> liberazione durante la Resistenza, condotta<br />

dai partigiani assieme alle truppe angloamericane. La signora Silvana P.,<br />

33 Come avviene, per citare un famoso esempio letterario, al protagonista del racconto <strong>di</strong><br />

Giorgio Bassani, il Geo Josz <strong>di</strong> Una lapide in via Mazzini (1956, in Il romanzo <strong>di</strong> Ferrara, libro<br />

primo - Dentro le mura), il quale rimuove, chiudendosi in un doloroso solipsismo, la terribile<br />

esperienza del lager, da cui ritorna, unico superstite dei centottantatré ebrei <strong>di</strong> Ferrara deportati in<br />

Germania.<br />

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nonna dell’alunna Marta (risposta n. 4) riferisce, in proposito, non un episo<strong>di</strong>o<br />

in particolare, piuttosto un collage <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong> che si sovrappongono. Alla<br />

domanda Che ricor<strong>di</strong> ha della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale?, così la signora<br />

risponde (la narrazione, trascritta dalla nipote, è in terza persona): «Mia nonna<br />

ha trascorso l’infanzia nel suo paese nativo <strong>di</strong> nome Sigillo ai pie<strong>di</strong> dell’Appennino<br />

Umbro-Marchigiano. Nel 1944 (periodo della Resistenza) anche quei<br />

paesi furono teatro <strong>di</strong> battaglia tra alleati e tedeschi, per questo molti connazionali<br />

combattevano a fianco degli americani. Mia nonna fu testimone <strong>di</strong><br />

questi combattimenti nel momento in cui trovò rifugio sui monti, dove visse<br />

per un lungo periodo in capanne fredde e <strong>di</strong>sagiate. Aveva appena 12 anni ed<br />

era molto spaventata, infatti quel periodo non potrà più scordarlo e inoltre<br />

non riuscirà a <strong>di</strong>menticare gli atroci soprusi e i morti, tra cui giovani partigiani<br />

che lottarono a fianco degli alleati per la libertà».<br />

Altre risposte contengono ricor<strong>di</strong> d’infanzia, un’infanzia vissuta, come del<br />

resto la vissero tutti i giovani italiani nelle scuole durante la ventennale <strong>di</strong>ttatura,<br />

tra i riti <strong>di</strong> regime e sotto le insegne dei labari e dei gagliardetti fascisti.<br />

La signora Anna Maria M., nonna dell’alunna Michela (risposta n. 20), ricorda,<br />

della sua esperienza <strong>di</strong> piccola scolara durante il Ventennio, 34 l’adunata delle<br />

Piccole italiane, con il tipico rituale fascista: «Il primo giorno <strong>di</strong> scuola andavamo<br />

sempre il 6 ottobre con la <strong>di</strong>visa fascista e ognuno <strong>di</strong> noi doveva fare il<br />

giuramento al Duce: “In nome <strong>di</strong> Dio e dell’Italia giuro <strong>di</strong> eseguire gli or<strong>di</strong>ni<br />

del Duce con tutte le mie forze e se necessario col mio sangue». Le parole<br />

della signora Anna Maria M. attestano come tutto l’apparato educativo fosse<br />

posto, fin dai primissimi anni <strong>di</strong> scuola, al servizio dell’obiettivo <strong>di</strong> esaltare le<br />

opere del regime e la figura del Duce, alimentando un culto della personalità<br />

che presentava Mussolini con tratti superumani. 35 Il capo del fascismo, con le<br />

34 Le organizzazioni femminili, inquadrate nell’Opera Nazionale Balilla, comprendevano, le<br />

Figlie della Lupa (dai sei agli otto anni) e, in simmetria con i balilla e gli avanguar<strong>di</strong>sti, le Piccole<br />

italiane (dagli otto ai quattor<strong>di</strong>ci anni) e le Giovani italiane (dai quattor<strong>di</strong>ci ai <strong>di</strong>ciotto anni). Sulle<br />

Piccole italiane vd. la voce Piccole italiane e Giovani italiane <strong>di</strong> Antonio Gibelli, in Dizionario<br />

del fascismo, a cura <strong>di</strong> Victoria De Grazia e Sergio Luzzatto, vol. II, ed. per Panorama, su lic.<br />

Einau<strong>di</strong>, Milano 2006, pp. 372-373.<br />

35 «Il Duce ha sempre ragione» fu il motto inventato dal giornalista Leo Longanesi: esso <strong>di</strong>venne<br />

uno tra gli slogan più funzionali per la costruzione <strong>di</strong> una immagine mitizzata <strong>di</strong> Mussolini.<br />

L’esaltazione del Duce, grazie anche alle pittoresche iniziative del segretario del Pnf Starace,<br />

<strong>di</strong>venne uno dei motivi dominanti della propaganda nel Ventennio fascista, sicché molti storici<br />

<strong>di</strong>stinguono tra fascismo, ossia movimento rivoluzionario, e mussolinismo, quale ideologico<br />

culto della personalità presentante risvolti abnormi e grotteschi. Sulle cerimonie fasciste e i simboli<br />

del regime, esaltanti il culto del capo, vd. la voce Rituali <strong>di</strong> David I.Kertzer, in Dizionario<br />

del fascismo, cit., pp. 521-526.<br />

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sue propagandate doti <strong>di</strong> gagliar<strong>di</strong>a fisica, iperattivismo lavorativo, austero<br />

tenore <strong>di</strong> vita e infallibile genialità, doveva essere il modello per le generazioni<br />

<strong>di</strong> giovani italiani allevati dal regime e al Duce questi avrebbero dovuto legarsi<br />

per la vita e per la morte con giuramenti come quello ricordato dall’intervistata.<br />

36 Si farebbe una troppo facile ironia ripetendo le parole <strong>di</strong> molti storici, 37<br />

ossia che la forza <strong>di</strong> questo e consimili giuramenti si vide in occasione della<br />

deposizione <strong>di</strong> Mussolini e del suo arresto a Villa Savoia, allorché la reazione<br />

dei fascisti al colpo <strong>di</strong> stato, anche <strong>di</strong> quelli fedeli al Duce, fu del tutto inesistente<br />

(mentre il fascismo si squagliava come neve al sole, i gerarchi si preoccupavano<br />

soltanto <strong>di</strong> mettersi in salvo, nei conventi o in Germania: è però<br />

anche vero che avevano ragione <strong>di</strong> temere per la loro incolumità fisica). 38<br />

Osserviamo, piuttosto, che giuramenti come questi, aggiunti agli slogan del<br />

marciare e non marcire, del credere, obbe<strong>di</strong>re e combattere, servirono a mandare<br />

al massacro le incolpevoli generazioni dei giovani italiani, indottrinati<br />

nelle scuole <strong>di</strong> regime.<br />

36 Sul rapporto tra fascismo e giovani generazioni vd. Silvio Bertol<strong>di</strong>, La chiamavamo Patria,<br />

Rizzoli, Milano 1989, pp. 19-20 e 57-58 (ma l’ossequio ai gerarchi non escludeva talvolta irridenti<br />

beffe, come quella che gli universitari dell’ateneo padovano giocarono a Starace, <strong>di</strong> cui Bertol<strong>di</strong> alle<br />

pp. 69-70). La creazione, l’affermazione e il crollo del mito del Duce sono analizzati, con l’ausilio<br />

<strong>di</strong> una ricca documentazione, in Dino Bion<strong>di</strong>, La fabbrica del Duce, Vallecchi, Firenze 1967.<br />

37 Naturalmente <strong>di</strong>ciamo ciò senza alcun intento polemico (che sarebbe fuori luogo) verso<br />

la risposta dell’intervistata, testimone inconsapevole dell’indottrinamento a cui il regime<br />

fascista sottopose generazioni <strong>di</strong> italiani, preparandoli alla trage<strong>di</strong>a della guerra. Sull’Opera<br />

Nazionale Balilla, la più importante delle organizzazioni del regime preposte all’educazione<br />

degli italiani, vd, la voce Opera nazionale balilla (Onb) <strong>di</strong> Antonio Gibelli, in Dizionario del<br />

fascismo, cit., pp. 267-271.<br />

38 A parte il suici<strong>di</strong>o del presidente dell’Agenzia <strong>di</strong> stampa fascista «Stefani», Manlio Morgagni,<br />

come ricorda Indro Montanelli, non vi furono gesti <strong>di</strong> reazione da parte fascista alla notizia<br />

della caduta del Duce. Che il fascismo «si fosse <strong>di</strong>ssolto come neve al sole», fu il letterale<br />

rimprovero che Hitler rivolse a Mussolini nel colloquio del 14 settembre 1943, secondo la testimonianza<br />

<strong>di</strong> Filippo Anfuso, ambasciatore a Berlino della RSI, ragguagliato in proposito dal<br />

Duce stesso (vd. Filippo Anfuso, Da Palazzo Venezia al lago <strong>di</strong> Garda (1936-1945), E<strong>di</strong>zioni<br />

Settimo Sigillo, Roma 1996 4 [rist. III ed. Cappelli, Bologna 1957], p. 326; la citazione è ripresa<br />

in Frederick W. Deakin, La brutale amicizia, trad. <strong>di</strong> Renzo De Felice, Francesco Golzio e<br />

Ornella Francisci, vol. II, Einau<strong>di</strong>, Torino 1990 [I ed. 1962], p. 743, in Montanelli-Cervi, L’Italia<br />

della guerra civile, cit., p. 55, in Richard Collier, Duce! Duce! Ascesa e caduta <strong>di</strong> Benito Mussolini,<br />

trad. <strong>di</strong> Maria Teresa Vasta, Mursia, Milano 1973 4 , p. 323, in Giorgio Bocca, La repubblica<br />

<strong>di</strong> Mussolini, Mondadori, Milano 1995 [I ed. 1994], p. 23, e in numerosi altri autori). Ha<br />

lasciato pagine dense <strong>di</strong> toni macchiettistici e <strong>di</strong> velenoso sarcasmo, a proposito della fuga dei<br />

fascisti all’indomani del 25 luglio, Eugen Dollmann, in Roma nazista, trad. <strong>di</strong> Italo Zingarelli,<br />

Rizzoli, Milano 2002 (I ed. 1948): emblematico quanto afferma Dollmann, che durante la<br />

guerra fu colonnello delle SS, interprete e consigliere d’ambasciata a Roma, e testimone ben<br />

introdotto negli ambienti mondani della capitale, a p. 139: «I voli in massa si susseguirono. Non<br />

–98–


7. Ricor<strong>di</strong> della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale (risposte alla domanda n. 6).<br />

La domanda n. 6 (Che ricor<strong>di</strong> ha della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale?), lungi dall’essere<br />

una mera ripetizione della n. 1, ha spinto gli intervistati a rievocare in<br />

brevissimi squarci della memoria, immagini <strong>di</strong> scene, figure e luoghi che si<br />

sono impresse indelebilmente nella mente. Cominciamo dai luoghi, testimoni<br />

<strong>di</strong> dolorosi <strong>di</strong>stacchi e <strong>di</strong> gioiosi ricongiungimenti. I ricor<strong>di</strong> del signor Virgilio<br />

C. (risposta n. 7) sono legati alla stazione Ostiense: un mattino, assieme<br />

alla madre e alle tre sorelle, vi salutò il padre in partenza sul treno per il<br />

fronte occidentale (la Francia), un altro giorno, nell’estate del 1943, vi vide,<br />

fra le rovine causate dal bombardamento del 19 luglio, un vagone posto in<br />

posizione verticale per gli scoppi delle bombe. A via Conca d’Oro il signor<br />

Edoardo I. ricorda <strong>di</strong> aver visto un combattimento aereo tra un aereo tedesco<br />

e uno americano, con la drammatica conclusione («vi<strong>di</strong> l’aereo tedesco colpito<br />

cadere a terra»). 39 Un luogo ben vivo alla memoria dei romani è la prigione<br />

<strong>di</strong> via Tasso, allora sede del comando della polizia SS <strong>di</strong> Roma, <strong>di</strong>retto<br />

uno voleva raggiungere la <strong>di</strong>visione “M”, o prendere il largo per organizzare la resistenza, tutti<br />

volevano unicamente ed esclusivamente fuggire in Germania (...) Ma insomma, dove s’erano<br />

ficcati i bal<strong>di</strong> moschettieri con i berretti <strong>di</strong> pelliccia immancabili a fianco del duce in tutte le<br />

solenni cerimonie, guar<strong>di</strong>ani che ognuno avrebbe creduto pronti a morire? All’ambasciata <strong>di</strong><br />

Germania, ridotta ad agenzia <strong>di</strong> viaggi, la notte del 25 luglio non se ne vide uno.». Poco cre<strong>di</strong>bile,<br />

però, è il particolare della moglie dell’ambasciatore tedesco, signora von Mackensen, che<br />

avrebbe messo a <strong>di</strong>sposizione dei gerarchi fuggiaschi, rifugiati a Villa Wolkonsky, il proprio<br />

guardaroba (così Silvio Bertol<strong>di</strong>, Salò.Vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, Rizzoli,<br />

Milano 1976 3 , p. 15). Sulla mancata reazione dei fascisti all’arresto <strong>di</strong> Mussolini e, in generale,<br />

sul 25 luglio numerose sono state le <strong>di</strong>scussioni e le illazioni degli storici, ma l’abbondante memorialistica<br />

da esso ispirata non ha chiarito tutti i retroscena: la tesi più accre<strong>di</strong>tata resta quella<br />

esposta, fra gli altri, da Paolo Monelli, secondo il quale Mussolini giunse completamente impreparato<br />

all’appuntamento del Gran Consiglio (Paolo Monelli, Mussolini piccolo borghese,<br />

Garzanti, Milano 1968 6 , pp. 243-244), a meno che non sia da credere che egli stesso abbia<br />

orchestrato la sua uscita <strong>di</strong> scena (come si lascia supporre da Ruggero Zangran<strong>di</strong>, Mussolini,<br />

Libero - Le Lettere, Moncalieri 2006, pp. 86-91) o abbia ad<strong>di</strong>rittura ceduto, assieme al re, a un<br />

segreto ricatto <strong>di</strong> Hitler che avrebbe imposto l’estromissione del Duce, per evitare un accordo <strong>di</strong><br />

pace con Stalin fortemente auspicato dal capo del fascismo (è la versione, alquanto fantasiosa,<br />

per la verità, e non supportata da prove, <strong>di</strong> Fulvio e Gianfranco Bellini, Storia segreta del 25<br />

luglio ’43, Mursia, Milano 1993, pp. 114-115 e 131-135). Ma rileva da ultimo Giuseppe Parlato<br />

(Fascisti senza Mussolini, cit., p. 16) che all’inerzia sostanziale degli apparati del regime contribuì<br />

anche il senso <strong>di</strong> legalismo, <strong>di</strong> lealtà e obbe<strong>di</strong>enza verso la <strong>di</strong>nastia sabauda, a cui Mussolini<br />

aveva abituato i fascisti: l’ampia ricerca <strong>di</strong> quest’ultimo autore pone peraltro in rilievo come<br />

dal 25 luglio e ancor più dall’8 settembre sia sorto il fenomeno del neofascismo, concretatosi<br />

nell’esperienza della RSI e proseguito nel partito che, fondato nell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra, si<br />

ispirava a quegli ideali, ossia il MSI.<br />

39 Forse sarebbe stato più opportuno ampliare la menzione del fatto e inserirla come<br />

risposta alla domanda n. 1, in quanto testimonianza <strong>di</strong>retta.<br />

–99–


dal colonnello Herbert Kappler, l’organizzatore della strage delle Fosse<br />

Ardeatine. La prigione <strong>di</strong> via Tasso, oggi sede del Museo Storico della<br />

Liberazione, fu teatro <strong>di</strong> torture e terribili efferatezze ai danni dei patrioti ivi<br />

detenuti. 40 La signora Grazia Maria M. (risposta n. 2) ricorda «i prigionieri<br />

<strong>di</strong> via Tasso che incatenati venivano trascinati dai tedeschi ai lavori<br />

pesanti». Vengono ricordati anche luoghi fuori Roma. La signora Elide M.<br />

(risposta n. 5) ricorda Nettuno, luogo <strong>di</strong> alterne vicende belliche (dopo lo<br />

40 Nella palazzina <strong>di</strong> via Tasso al n. 145 aveva sede la Deutschen Sicherheitspolizei und des<br />

S.D., <strong>di</strong>retta dal colonnello Herbert Kappler, con cui gareggiava per ferocia e spietatezza nella<br />

repressione del movimento partigiano, la banda <strong>di</strong>retta da Pietro Koch, ubicata nella pensione<br />

Oltremare e poi nella pensione Jaccarino in via Romagna. Si legga cosa scrive sulla prigione <strong>di</strong><br />

via Tasso uno storico come Attilio Tamaro, non certamente sospettabile <strong>di</strong> simpatie per la sinistra:<br />

«Nella sede in via Tasso passarono quanti furono arrestati dal corpo <strong>di</strong> polizia germanico S.S., che<br />

doveva assicurare quella parte della zona <strong>di</strong> operazioni, che ormai comprendeva Roma, dalle<br />

spie, dai partigiani, dai loro favoreggiatori e dai prigionieri evasi. Kappler, che vi dominava,<br />

<strong>di</strong>sistimava Mussolini e i fascisti: non aveva quin<strong>di</strong> interesse per le congiure che li concernevano<br />

e interveniva solo dove si cospirava contro la Germania, o meglio, dove pensava che quelle attività<br />

clandestine avessero rapporti coi partigiani. Ripagava d’o<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzo l’avversione degli<br />

italiani ed era un militare rigido, che obbe<strong>di</strong>va fedelmente e ciecamente. Generali, <strong>di</strong>plomatici,<br />

popolani erano, se nemici, tutti eguali nella sua <strong>di</strong>sistima ed erano, si narrava, tutti trattati col<br />

bastone, con lo staffile, con la mazzafrusta, coi pugni, con le guanciate, coi tratti <strong>di</strong> corda, con la<br />

rottura delle costole o dei denti» (Attilio Tamaro, Due anni <strong>di</strong> storia 1943-1945, vol. II, Tosi e<strong>di</strong>tore,<br />

Roma 1949, pp. 531-532). Queste e altre torture e sevizie furono naturalmente comprovate<br />

dall’istruttoria processuale, svolta nel dopoguerra, a carico del Kappler e dei suoi subor<strong>di</strong>nati: vd.<br />

in proposito Processo Kappler, a cura <strong>di</strong> Wla<strong>di</strong>miro Settimelli, prima e seconda parte, suppl. a<br />

«L’Unità», 27 e 30 aprile 1994. Il processo a Kappler si svolse a Roma, nel Tribunale Militare a<br />

via della Lungara, dal 3 maggio al 20 luglio 1948 e si concluse con la condanna all’ergastolo del<br />

colonnello tedesco (il quale però non terminò i suoi giorni in carcere: fuggito misteriosamente dall’ospedale<br />

militare del Celio ov’era ricoverato per una grave malattia, il 15 agosto 1977, morì in<br />

Germania alcuni mesi dopo). La relazione sulle atrocità <strong>di</strong> via Tasso, della Commissione Alleata<br />

<strong>di</strong> Controllo (Allied Control Commission), è sommariamente riportata in Marisa Musu - Ennio Polito,<br />

Roma ribelle, cit., pp. 322-326. Sulle vicende del carcere <strong>di</strong> via Tasso nel periodo 1943-1944,<br />

vd.: Arrigo Pala<strong>di</strong>ni, Via Tasso carcere nazista, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma<br />

1994 2 (l’autore stesso, membro del Corpo Italiano <strong>di</strong> Liberazione e collegato al CLN, vi soffrì la<br />

detenzione e le torture); Massimiliano Griner, Via Tasso, 145, in Memoria e giustizia, cit., pp. 74-<br />

78. Testimonianze sulle torture inflitte ai prigionieri <strong>di</strong> via Tasso si leggono in Alessandro Portelli,<br />

L’or<strong>di</strong>ne è già stato eseguito, cit., pp. 178-180. Il periodo <strong>di</strong> detenzione nel carcere <strong>di</strong> via Tasso,<br />

le umiliazioni, le privazioni e le torture sofferte, sono state rievocate da Guglielmo Petroni nel<br />

suo Il mondo è una prigione (Sansoni, Firenze 1985, su lic. Rizzoli, I ed. 1945; su Pietroni vd. Antonio<br />

Debenedetti, Lo scrittore schivo che seppe resistere alle torture delle SS, in «Corriere della<br />

Sera», 27 <strong>di</strong>cembre 2003). Sulla Resistenza a Roma: Marisa Musu - Ennio Polito, Roma ribelle.<br />

La Resistenza nella capitale 1943-1944, cit.; Clau<strong>di</strong>o Pavone, Liberazione, atto primo, in «Il Sole-24<br />

Ore», 30 maggio 2004. Testimonianze letterarie e documenti storici sul periodo 1943-1945<br />

possono leggersi nell’antologia modulare curata da Rosa Castellano e Alberta Martini, Italia 1943-<br />

1945 pagine letterarie e documenti storici, E<strong>di</strong>zioni Il Capitello, Torino 1998, rist.<br />

– 100 –


sbarco <strong>di</strong> Anzio Nettuno fu presa e perduta più volte dagli alleati): 41 «Durante<br />

questa guerra mi ricordo che gli Angloamericani sbarcarono a Nettuno e che<br />

molto silenziosamente la mattina dopo li abbiamo trovati nel nostro paese,<br />

quasi nelle nostre abitazioni. Fummo costretti, dopo un mese, a lasciare casa,<br />

quando i tedeschi occuparono Nettuno».<br />

La signora Silvana R. (risposta n. 6) ricorda della sua infanzia il tempo<br />

trascorso nei rifugi sotterranei («ciò che più mi è rimasto impresso è che<br />

in quel periodo noi ragazzini non andavamo a scuola e stavamo molte ore<br />

nei rifugi sotterranei, dove invece i nostri genitori ci raggiungevano solo<br />

quando suonava l’allarme che segnava l’arrivo dei cacciabombar<strong>di</strong>eri»).<br />

Anche le violenze dei soldati hanno segnato la memoria dei nonni. Il<br />

signor Angelo F. (risposta n. 15) ricorda la prepotenza dell’occupante tedesco:<br />

«Mi trovavo sempre in via Nomentana, nei pressi della mia abitazione,<br />

quando vi<strong>di</strong> il mio vicino <strong>di</strong> casa minacciato con una pistola da un soldato<br />

tedesco che lo obbligò a trasportare sulle spalle il suo pesante carico fino<br />

alla stazione Termini dove avrebbe dovuto prendere il treno per ritornare in<br />

Germania». Il signor Edoardo I. (risposta n. 16) ricorda anch’egli la paura<br />

che incutevano i tedeschi («Ero solo un bambino, e la guerra l’ho vissuta<br />

meno, ho ricor<strong>di</strong> molto vaghi, ma ricordo soltanto che avevo molta paura<br />

quando vedevo i tedeschi»), così come la signora Grazia Maria M. (risposta<br />

n. 2: «...la figura dei militari tedeschi <strong>di</strong> cui avevo molta paura») e la signora<br />

Helena P. (risposta n. 17: «Quando i tedeschi venivano in campagna<br />

gli uomini, le donne e i bambini scappavano nella foresta»). Quest’ultima,<br />

nella medesima risposta, ricorda anche le violenze inferte alla popolazione<br />

polacca dai soldati russi («Si <strong>di</strong>ceva che i russi fossero nostri amici, invece<br />

quando sono passati, sono rimaste violentate numerose donne e uccise tante<br />

persone. Una volta sono venuti a dormire a casa nostra. La mattina tutta la<br />

famiglia rischiò <strong>di</strong> essere fucilata per una stupida ragione: uno <strong>di</strong> loro non<br />

riusciva a trovare i guanti»). Sono risposte, queste, che ci ripresentano una<br />

delle conseguenze più gravi che portò la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale nel non<br />

sempre facile rapporto tra elemento militare e civile, ossia gli abusi e le violenze<br />

che le truppe <strong>di</strong> ogni colore perpetrarono ai danni delle inermi popolazioni.<br />

Soprattutto i tedeschi, allorché l’esito della guerra era ormai compro-<br />

41 Sullo sbarco <strong>di</strong> Anzio vd. Vincenzo Mantovani, Lo sbarco <strong>di</strong> Anzio, in Enzo Biagi, La<br />

Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Una storia <strong>di</strong> uomini, vol. VI La controffensiva alleata, cit., pp. 1801-<br />

1821; G.A. Sheperd, La campagna d’Italia 1943-1945, trad. <strong>di</strong> Carlo Emanuele Gallotti, Garzanti,<br />

Milano 1975, pp. 243-272 (rileva le carenze e gli errori dell’alto comando alleato, come l’insufficiente<br />

copertura aerea durante lo sbarco).<br />

– 101 –


messo, si scatenarono in razzie e rappresaglie, culminanti in stragi feroci, ai<br />

danni delle popolazioni <strong>di</strong> paesi e villaggi dell’Italia settentrionale. Ma<br />

anche i russi commisero saccheggi e violenze d’ogni genere alla fine della<br />

guerra, dapprima nella Prussia orientale e poi nella Germania occupata. E<br />

vanno ricordate anche le violenze che commisero nei paesi del Sannio e del<br />

Frusinate i reggimenti <strong>di</strong> marocchini, al seguito degli alleati, guidati dal generale<br />

Juin, che papa Pio XII non volle ricevere quando Roma fu liberata. 42<br />

8. Progetto per un recupero della memoria. In questo ultimo paragrafo<br />

vorrei suggerire una proposta <strong>di</strong> lavoro ai docenti. L’idea sarebbe quella <strong>di</strong> realizzare<br />

un progetto <strong>di</strong> recupero della memoria, con la collaborazione dei familiari<br />

degli studenti, segnatamente i nonni: una raccolta <strong>di</strong> interviste da conservare<br />

in un archivio au<strong>di</strong>ovisivo, <strong>di</strong> testimonianze <strong>di</strong>rette su eventi storici avvenuti<br />

in Italia nel Novecento. Sarebbe certamente suggestivo sentire i ricor<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> eventi storici dalla viva voce dei nonni degli studenti: si potrebbe anche<br />

realizzare un DVD con le interviste inframmezzate da spezzoni <strong>di</strong> filmati<br />

d’epoca, telegiornali, documentari, foto <strong>di</strong> prime pagine <strong>di</strong> giornali, ban<strong>di</strong> delle<br />

autorità militari e manifesti, tutti i documenti che possono restituire il clima<br />

dell’epoca. Questo lavoro avrebbe molteplici ricadute positive: si otterrebbe<br />

anzitutto, con poca spesa, una notevole documentazione <strong>di</strong> testimonianze <strong>di</strong>rette<br />

su eventi storici, sarebbe poi un modo per far interessare, e forse appassionare,<br />

gli studenti alla metodologia della ricerca storica. Infine un’iniziativa<br />

del genere potrebbe valorizzare i nonni degli alunni (tirati in ballo, in genere,<br />

e sia detto senza polemica, soltanto per fornire comode giustificazioni d’ogni<br />

sorta), recuperandone il patrimonio della memoria e facendoli sentire anch’essi<br />

membri <strong>di</strong> questa nostra grande comunità dalle molteplici componenti.<br />

Infine, un’ultima considerazione: viviamo in una società che privilegia<br />

il presente, l’effimero, il precario ad ogni livello, professionale e anche esistenziale.<br />

La memoria del passato è, forse, l’ere<strong>di</strong>tà più importante lasciata<br />

alle nuove generazioni da chi ha già percorso o sta terminando <strong>di</strong> percorrere<br />

il <strong>di</strong>fficile cammino della vita. Non sprechiamo i ricor<strong>di</strong> e le testimonianze<br />

<strong>di</strong> chi è nato prima <strong>di</strong> noi, non lasciamo che l’incuria <strong>di</strong>strugga per sempre<br />

quelli che possono <strong>di</strong>ventare punti fermi <strong>di</strong> nuove esistenze e occasioni <strong>di</strong><br />

stimolo all’impegno civile.<br />

42 Tali episo<strong>di</strong> ispirarono, com’è noto, il romanzo <strong>di</strong> Alberto Moravia La ciociara (1957),<br />

che nella storia delle avventure <strong>di</strong> due donne, madre e figlia, nel basso Lazio tra il 1943 e il 1944<br />

denuncia la violenza profanatoria della guerra.<br />

– 102 –


Concludo con un ricordo personale: avevo un nonno e uno zio materni,<br />

che conobbero entrambi la travagliata esperienza dell’ultima guerra. L’uno<br />

fu prigioniero degli inglesi in Kenya per cinque anni, l’altro scampò miracolosamente,<br />

con pochissimi altri, all’ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Cefalonia, dopo aver visto<br />

fucilare dai tedeschi tutti i suoi compagni d’armi. Avrebbero avuto molto da<br />

<strong>di</strong>rmi e rimpiango <strong>di</strong> non aver potuto fissare sulla carta i loro ricor<strong>di</strong>, anche<br />

se per ragioni non del tutto <strong>di</strong>pendenti dalla mia volontà. Se non un atto <strong>di</strong><br />

riparazione, vorrei che questo mio lavoro fosse un affettuoso tributo alla<br />

loro memoria.<br />

– 103 –


MARCO PESCETELLI<br />

Scritto sull’acqua<br />

Riflessioni teoriche sul restauro del film<br />

Se i colori nell’opera Nightwatch <strong>di</strong> Rembrandt o in Mona Lisa<br />

<strong>di</strong> Da Vinci sbia<strong>di</strong>ssero altrettanto velocemente come quelli<br />

dei film, né i governi né il pubblico dubiterebbero del bisogno<br />

<strong>di</strong> restaurarli, senza preoccuparsi degli eventuali costi.<br />

Ghislaine Jeanson 1<br />

Ancora oggi una persona è considerata ‘<strong>di</strong> cultura’ anche se, pur conoscendo<br />

Dante, Michelangelo e Mozart, non ha mai visto un film <strong>di</strong> Fellini,<br />

Eizenstein o Kurosawa. Così il linguaggio cinematografico e la cultura artistica<br />

ad esso collegata rimangono relegati lontano dai banchi <strong>di</strong> scuola e<br />

guardata con sussiego in contesti accademici.<br />

Non stupisce perciò che sia andato perduto circa l’85% della produzione<br />

mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> film muti e il 50% <strong>di</strong> quelli prodotti fino agli anni Cinquanta (i<br />

film realizzati fino al febbraio 1951 su supporto in nitrato <strong>di</strong> cellulosa sono<br />

stati messi al bando per la loro infiammabilità e quin<strong>di</strong> non più proiettabili).<br />

La stessa sorte, incre<strong>di</strong>bilmente, toccherà prima o poi a tutto il patrimonio<br />

cinematografico. I film sono la forma d’arte forse più fragile mai esistita.<br />

L’emulsione sensibile su cui sono registrate le immagini è una semplice<br />

gelatina animale che va incontro ad una sicura e inevitabile decomposizione;<br />

questa può solo essere rallentata. La plastica che fa da supporto è destinata<br />

anch’essa a <strong>di</strong>ssolversi. Alle soglie dell’epoca <strong>di</strong>gitale, le immagini analogiche<br />

rischiano <strong>di</strong> perdere colore e scomparire per sempre.<br />

Questo breve saggio vuol essere un contributo alla riflessione sul cosiddetto<br />

restauro cinematografico, che affronta il problema della salvaguar<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong> un patrimonio artistico in rapido deca<strong>di</strong>mento.<br />

Il cinema è una testimonianza unica della cultura del XX secolo, ma<br />

paradossalmente, rischia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare invisibile.<br />

1 Ghislaine Jeanson, ‘Film Archives in Europe’, in Restauro, conservazione e <strong>di</strong>struzione dei<br />

film, ed. da Luisa Comencini e Matteo Pavesi (Milano: E<strong>di</strong>trice il Castoro, 2001), pp. 32-52 (p. 43).<br />

– 104 –


____ ____ ____<br />

Per chiarire il concetto <strong>di</strong> restauro dei film dobbiamo determinare cosa<br />

significhino i termini ‘film’ e ‘restauro’.<br />

‘Restauro’ è un termine che troppo spesso è stato usato in modo improprio,<br />

anche in campi <strong>di</strong>versi da quello artistico (es. giar<strong>di</strong>ni e paesaggi). Se<br />

consideriamo il termine da un punto <strong>di</strong> vista storico, dobbiamo <strong>di</strong>re che è<br />

piuttosto moderno: è stato infatti usato dalla seconda metà del XVIII sec.,<br />

durante l’Illuminismo, quando nacque l’estetica.<br />

Principalmente ‘restauro’ in<strong>di</strong>ca l’azione <strong>di</strong> ridare all’opera d’arte la<br />

stessa ‘apparenza’ che l’autore/gli autori intendevano avesse originariamente,<br />

in modo da lasciarla come ere<strong>di</strong>tà culturale alle future generazioni.<br />

Perciò l’obiettivo del restauro è quello <strong>di</strong> restaurare un’opera che è andata<br />

incontro a delle mo<strong>di</strong>ficazioni, cioè che è arrivata fino a noi in una versione<br />

‘corrotta’, sia nella sua forma narrativa che figurativa. 2<br />

Cesare Bran<strong>di</strong>, nella sua teoria del restauro, <strong>di</strong>chiara che “si restaura<br />

solo la materia dell’opera d’arte”. 3 Perciò è fondamentale conoscere qual è<br />

l’oggetto del restauro e quali sono le sue caratteristiche. Bran<strong>di</strong>, fondatore<br />

dell’Istituto del Restauro a Roma nel 1939, stabilì che la materia <strong>di</strong> ogni<br />

opera d’arte consiste <strong>di</strong> due elementi: l’aspetto e la struttura. Il primo in<strong>di</strong>ca<br />

l’‘apparenza’, l’immagine che l’opera d’arte trasmette al pubblico, il<br />

secondo in<strong>di</strong>ca il mezzo che sostiene l’immagine. Se ad esempio consideriamo<br />

un <strong>di</strong>pinto, ci troviamo davanti ad una immagine, ovvero la figura<br />

che noi ve<strong>di</strong>amo (l’aspetto), e il supporto, una tela, un pezzo <strong>di</strong> intonaco o<br />

una tavola <strong>di</strong> legno, su cui la figura è stata <strong>di</strong>pinta (la struttura). È chiaro<br />

che l’aspetto ha più importanza della struttura, ma quest’ultima non è da<br />

sottovalutare, perché ha una influenza sull’aspetto; basti pensare alla sua<br />

consistenza, colore, densità, trasparenza).<br />

Se noi consideriamo un film, da una parte l’aspetto può essere definito<br />

sia come immagine proiettata sullo schermo, sia come ‘testo’, intendendo<br />

con questo termine un organismo in cui tutte le parti (fotogrammi, inquadrature,<br />

scene, colonna sonora) sono strettamente collegate tra loro; mentre la<br />

struttura sarà sia il supporto <strong>di</strong> plastica che l’emulsione fotografica su cui<br />

sono registrate le immagini.<br />

2 Nicola Mazzanti, ‘Note a pie’ pagina (per un glossario del restauro cinematografico)’, in<br />

Ibid., p. 17.<br />

3 Cesare Bran<strong>di</strong>, Teoria del restauro, III ed. (Torino: Einau<strong>di</strong>, 2000), (I ed. 1963), p. 7.<br />

– 105 –


Questo concetto è molto importante per il restauro dei film perché la<br />

struttura <strong>di</strong> un film proiettato è altamente fisico e può influenzare l’aspetto<br />

più che in altre opere d’arte. In questo caso, infatti, la struttura ha delle caratteristiche<br />

tecnologiche che non possono essere ignorate in favore dell’aspetto<br />

o del testo narrativo. Nel caso del film c’è una <strong>di</strong>stanza, o ad<strong>di</strong>rittura<br />

una separazione tra la struttura (l’oggetto film che deve essere proiettato) e<br />

l’aspetto (il film effettivamente proiettato sullo schermo) più grande che in<br />

altri tipi <strong>di</strong> opere d’arte.<br />

Per definire in cosa consista il restauro dei film e trovare delle in<strong>di</strong>cazioni<br />

utili in qualche altra <strong>di</strong>sciplina, Nicola Mazzanti paragona il film al<br />

libro. Egli sostiene infatti che ‘il testo/film’ ha un contenuto “formale” decisamente<br />

più rilevante <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> un libro, e che ovviamente <strong>di</strong>verse sono le<br />

modalità <strong>di</strong> fruizione e <strong>di</strong> funzionamento dell’esperienza cinematografica.<br />

Banalmente, la variante testuale (nota a pie’ pagina, parentesi quadra, ecc.)<br />

in ambito cinematografico non potrà darsi – a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto avviene<br />

in campo letterario – pena non l’arricchimento della struttura narrativa, ma<br />

la sua frammentazione e quin<strong>di</strong> il suo completo annullamento’. 4<br />

È importante perciò sottolineare che il film, come oggetto <strong>di</strong> restauro,<br />

ha caratteristiche molto <strong>di</strong>verse da altri tipi <strong>di</strong> opere d’arte (es. <strong>di</strong>pinti o<br />

opere letterarie). Un film è rappresentato da una pellicola lunga migliaia <strong>di</strong><br />

metri che contiene migliaia e migliaia <strong>di</strong> immagini. La struttura del film è<br />

un supporto <strong>di</strong> plastica unito da un collante ad una emulsione, un materiale<br />

organico con particelle <strong>di</strong> argento in sospensione. Ma l’aspetto del film in<br />

realtà non è l’emulsione e nemmeno i rulli <strong>di</strong> pellicola conservati nelle scatole<br />

<strong>di</strong> latta. L’aspetto <strong>di</strong> un film è ciò che viene proiettato sullo schermo,<br />

un testo che scorre <strong>di</strong>nanzi al pubblico, strettamente collegato al tempo <strong>di</strong><br />

fruizione.<br />

Val la pena <strong>di</strong> notare che il film proiettato sullo schermo è una stampa<br />

positiva, ottenuta da un altro film, una matrice chiamata negativo. Per vedere<br />

un film che è andato incontro a deca<strong>di</strong>mento fisico-chimico, è necessario<br />

duplicarlo su un altro supporto. Le tecniche <strong>di</strong> duplicazione possono<br />

variare a seconda del materiale che noi abbiamo a <strong>di</strong>sposizione (es. una<br />

stampa positiva o un negativo, originale o non), ma implicheranno comunque<br />

<strong>di</strong>fferenti passaggi nella fase <strong>di</strong> stampa e l’uso <strong>di</strong> materiali <strong>di</strong>versi<br />

rispetto all’originale (es. pellicola pancromatica invece che ortocromatica)<br />

4 Nicola Mazzanti, ‘Note a pie’ pagina (per un glossario del restauro cinematografico)’, in<br />

Ibid., p. 15.<br />

– 106 –


che potrebbero cambiare le caratteristiche fotografiche degli originali (es. il<br />

contrasto e la definizione delle immagini). Inoltre i <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> supporto<br />

attuali (es. il poliestere invece del nitrato <strong>di</strong> cellulosa) possono influenzare<br />

la trasparenza delle immagini e, dunque, anche l’aspetto.<br />

Ciò è vero anche quando an<strong>di</strong>amo a considerare il contenuto dell’argento<br />

nella emulsione e il sistema <strong>di</strong> proiezione. Oggi non solo la quantità e<br />

la <strong>di</strong>sposizione dei grani d’argento nell’emulsione è <strong>di</strong>fferente dai film in<br />

nitrato, ma le nuove pellicole hanno un <strong>di</strong>verso spettro <strong>di</strong> assorbimento, i<br />

proiettori sono forniti <strong>di</strong> motori elettrici che stabilizzano la velocità <strong>di</strong><br />

proiezione, e <strong>di</strong> lampade Xenon che producono una luce bluastra <strong>di</strong>versa da<br />

quella delle lampade ad arco voltaico <strong>di</strong> una volta. 5 Inoltre gli schermi moderni<br />

riflettono la luce in modo <strong>di</strong>verso (sono forati per permettere il passaggio<br />

del suono dagli altoparlanti collocati <strong>di</strong>etro al pubblico in sala) e<br />

sono <strong>di</strong> formato <strong>di</strong>fferente rispetto al passato. A ciò aggiungiamo pure che il<br />

fumo creava una sorta <strong>di</strong> filtro bluastro nelle proiezioni <strong>di</strong> una volta, che<br />

oggi, con le leggi antifumo sulla sicurezza dei locali, non esiste più.<br />

In conclusione: oggi l’esperienza estetica della visione <strong>di</strong> un film in sala<br />

è piuttosto <strong>di</strong>versa rispetto al passato.<br />

____ ____ ____<br />

1) Per identificare l’oggetto del restauro dei film bisogna prima <strong>di</strong> tutto<br />

considerare il fatto che – a <strong>di</strong>fferenza della maggior parte delle opere d’arte –<br />

i film sono prodotti per essere riprodotti in centinaia e centinaia <strong>di</strong> copie<br />

(non solo dal negativo, ma anche da stampe positive e materiali interme<strong>di</strong><br />

come gli internegativi e gli interpositivi) da sfruttare commercialmente. Se<br />

consideriamo un <strong>di</strong>pinto, invece, questo sarà da considerare un’opera unica.<br />

Se un gruppo <strong>di</strong> restauratori si occupa del suo restauro, interverrà <strong>di</strong>rettamente<br />

su <strong>di</strong> esso, proprio sul <strong>di</strong>pinto che poi verrà presumibilmente<br />

mostrato al pubblico in un museo o in una mostra. In breve, il <strong>di</strong>pinto è un<br />

oggetto unico; se ce n’è un altro identico con lo stesso titolo e aspetto, esso<br />

sarà presumibilmente un falso o una imitazione o una riproduzione tecnica.<br />

Questo tipo <strong>di</strong> opera d’arte non può essere riprodotto senza perdere la sua<br />

autenticità.<br />

Questo è ciò che Walter Benjamin definiva l’aura <strong>di</strong> un’opera d’arte: la<br />

sua caratteristica ontologica <strong>di</strong> essere ‘hic et nunc’, senza possibilità <strong>di</strong> es-<br />

5 Jeanson, ‘Film Archives in Europe’, p. 50.<br />

– 107 –


sere ubiquitaria. 6 Benjamin classificò i film come opere d’arte riproducibili;<br />

la loro riproducibilità lo portò a <strong>di</strong>chiarare che l’aura dell’opera d’arte era<br />

stata <strong>di</strong>strutta, rendendo l’arte più vicina ad un pubblico <strong>di</strong> massa e, in definitiva,<br />

più democratica.<br />

È interessante notare che Benjamin sviluppò questa riflessione proprio<br />

nel periodo in cui la tecnologia produttiva cinematografica andava incontro<br />

ad una standar<strong>di</strong>zzazione e le <strong>di</strong>fferenze tra le stampe <strong>di</strong>minuivano progressivamente.<br />

In effetti nel 1926 Eastman aveva introdotto la prima pellicola che permetteva<br />

<strong>di</strong> duplicare il negativo senza gran<strong>di</strong> per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> qualità fotografica.<br />

Questo serviva essenzialmente a produrre le copie da esportare in paesi stranieri<br />

e ad evitare <strong>di</strong> dover girare più volte le stesse scene per le <strong>di</strong>verse copie<br />

da stampare o <strong>di</strong> girare con più macchine da presa contemporaneamente.<br />

Allo stesso tempo le tecniche <strong>di</strong> colorazione artigianale dei film (<strong>di</strong>pinti a<br />

mano fotogramma per fotogramma, imbibiti e/o virati) <strong>di</strong>ventavano sempre<br />

meno richieste e furono rimpiazzate.<br />

2) Un film può essere visto sia come un oggetto (la pellicola stampata o<br />

negativa), sia come un testo (<strong>di</strong> cui esistono versioni ed e<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>fferenti,<br />

pur con lo stesso titolo). In ogni caso è da considerarsi anche come documento<br />

storico, e come tale andrebbe conservato senza bisogno <strong>di</strong> definire se<br />

sia o meno un’opera d’arte. Infatti un film è un testimone non solo del suo<br />

tempo (per esempio gli abiti, le costruzioni, i mezzi <strong>di</strong> trasporto immortalati<br />

al <strong>di</strong> fuori degli stu<strong>di</strong> cinematografici), ma anche dell’opera d’arte che essa<br />

rappresenta 7 e della storia del cinema. 8 Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni valutazione estetica,<br />

i componenti fisici <strong>di</strong> un film (il negativo, l’internegativo e tutti i materiali<br />

interme<strong>di</strong> <strong>di</strong> lavorazione, e le stampe finali) possono essere utili per la ricostruzione<br />

dei film.<br />

3) I film sono opere collettive, create da molti autori <strong>di</strong>versi: lo sceneggiatore,<br />

il regista, il compositore delle musiche, il <strong>di</strong>rettore della fotografia,<br />

il montatore, e via <strong>di</strong>cendo. Ogni contributo artistico è parte <strong>di</strong> un lavoro<br />

organico e dovrebbe essere conservato, in<strong>di</strong>pendentemente dal giu<strong>di</strong>zio del<br />

6 Walter Benjamin, ‘L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica’, (Torino:<br />

Einau<strong>di</strong>, 1966), (I ed. 1936), pp. 22-23.<br />

7 Paolo Cherchi Usai parla a tale proposito <strong>di</strong> “storia interna” della copia; ogni copia infatti<br />

è andata incontro nel corso degli anni a mo<strong>di</strong>ficazioni che la rendono unica. Cfr. Paolo Cherchi<br />

Usai, ‘Una passione infiammabile: guida allo stu<strong>di</strong>o del cinema muto’, Torino, UTET, 1991.<br />

8 Ian Christie, ‘Mystery Men: Two Challenges to Film History’, Film Stu<strong>di</strong>es, 1 (Spring<br />

1999), pp. 78-80<br />

– 108 –


valore estetico che si possa esprimere oggi, e suscettibile <strong>di</strong> cambiamento nel<br />

corso del tempo.<br />

4) Infine i film sono opere identificate da un titolo, ma questi non necessariamente<br />

corrispondono ad una copia specifica o ad una versione che<br />

può essere visionata oggi. Questo è vero in particolare per i film cosiddetti<br />

muti; se ad esempio consideriamo Intolerance <strong>di</strong>retto da Griffith, la prima<br />

e<strong>di</strong>zione (‘e<strong>di</strong>tio princeps’) proiettata al Liberty Theatre of New York il 5<br />

settembre 1916 non esiste più: Griffith stesso tagliò e rimontò numerose<br />

volte quella prima e<strong>di</strong>zione da quella prima proiezione.<br />

In breve: un film è un’opera complessa. Da una parte può considerarsi<br />

un oggetto formato da parti <strong>di</strong>fferenti (negativo e positivo, costituiti entrambi<br />

da un supporto, una emulsione e un collante che li unisce), che ha bisogno<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> tecnologie per essere visto (sviluppo, stampa e proiezione),<br />

ma dall’altra è anche un testo che può esistere in molte versioni <strong>di</strong>fferenti, ed<br />

infine è da considerarsi anche come un documento storico.<br />

____ ____ ____<br />

Le caratteristiche dei film come opera d’arte possono essere utili per<br />

definire teoricamente cosa significhi ‘restauro dei film’ e quali <strong>di</strong>scipline<br />

possano risultare utili come punto <strong>di</strong> riferimento per questa attività. Se ripren<strong>di</strong>amo<br />

la definizione <strong>di</strong> restauro <strong>di</strong> un’opera d’arte (la ricostruzione<br />

della sua unità estetica e materiale, la sua funzionalità e apparenza) possiamo<br />

assumere che il restauro dei film ha due obiettivi.<br />

Il primo è quello <strong>di</strong> rendere il film visibile (e u<strong>di</strong>bile) attraverso un lavoro<br />

<strong>di</strong> riparazione dell’oggetto film (i singoli fotogrammi e le perforazioni)<br />

che permetta <strong>di</strong> passare la pellicola nelle macchine sviluppatrici,<br />

stampatrici, ecc. In secondo luogo <strong>di</strong> duplicarlo, trasferendolo da un supporto<br />

ad un altro; questo permetterà <strong>di</strong> ottenere una nuova copia proiettabile<br />

senza problemi <strong>di</strong> restringimento fisico o <strong>di</strong> decomposizione chimica, o il<br />

cui supporto al nitrato, ban<strong>di</strong>to cinquant’anni fa, renda impossibile la lavorazione<br />

e la visione del film. Questo obiettivo possiamo definirlo museologico,<br />

e in questo caso può essere preso a modello il restauro delle opere<br />

d’arte tra<strong>di</strong>zionali, come i <strong>di</strong>pinti.<br />

Il secondo obiettivo è quello <strong>di</strong> ricostruire il film/testo, preservando<br />

tutti i materiali relativi all’opera (<strong>di</strong>verse versioni ed e<strong>di</strong>zioni, documenti,<br />

sceneggiature, macchinari del tempo con cui il film fu prodotto) che possa<br />

no risultare utili allo scopo. Questo obiettivo potrebbe essere definito invece<br />

– 109 –


come obiettivo d’archivio o cinetecario. 9 In questo caso le <strong>di</strong>scipline <strong>di</strong> riferimento<br />

potrebbero essere invece la filologia e la co<strong>di</strong>cologia. 10<br />

Purtroppo i due obiettivi, quello museologico e il cinetecario, possono<br />

essere in conflitto tra loro. La proiezione, infatti, esporrà la copia restaurata<br />

al rischio <strong>di</strong> danni; e lo stesso varrebbe per quell’attrezzatura d’epoca che<br />

dovrebbe essere utilizzata per rendere l’aspetto del film come era stato<br />

fruito dal pubblico nel tempo in cui fu prodotto. ‘Una cineteca potrebbe<br />

sacrificare la stampa e l’attrezzatura nel nome dell’obiettivo museologico, o<br />

mettere tutto sotto chiave, ma allora nessuno vedrebbe mai più il film nel<br />

modo in cui fu effettivamente visto’. 11<br />

9 Mark-Paul Meyer, Work in progress: ethics of film restoration and new technologies, p. 1,<br />

http://evora.omega.it/~demos/faol/Digital/MPMeyerok.pdf.ftml (Accesso: 30/5/2004).<br />

10 Quest’ultima è una nuova <strong>di</strong>sciplina, affine alla filologia, <strong>di</strong> cui si considera una branca,<br />

che stu<strong>di</strong>a l’oggetto fisico su cui l’opera è registrata.<br />

11 Meyer, Work in progress, p. 3.<br />

– 110 –


Dal momento che il film, soprattutto del periodo del muto, si presenta in<br />

versioni ed e<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>fferenti, il problema più importante che i restauratori si<br />

trovano ad affrontare è quello <strong>di</strong> stabilire quale versione <strong>di</strong> ogni singolo film<br />

bisogna restaurare. Per la produzione <strong>di</strong> un film muto, per esempio, Paolo<br />

Cherchi Usai 12 ipotizza una sorta <strong>di</strong> stemma (ve<strong>di</strong> Figura a p. 110).<br />

Vale la pena ricordare che durante l’epoca del muto, i film erano girati<br />

molto spesso con più macchine da presa allo stesso tempo, e a volte ad<strong>di</strong>rittura<br />

interamente girati da capo. Questa caratteristica produttiva trova ragion<br />

d’essere nella mancanza <strong>di</strong> materiale <strong>di</strong> duplicazione, che fu introdotto solamente<br />

dal 1926. Per questo motivo, per avere più <strong>di</strong> un negativo da cui era<br />

possibile ottenere solo un numero limitato <strong>di</strong> copie positive, era abbastanza<br />

comune creare versioni <strong>di</strong>fferenti dello stesso film. Read e Meyer riportano<br />

un caso interessante e piuttosto curioso, quello <strong>di</strong> Rescued by Rover, <strong>di</strong>retto<br />

da Cecil Hepworth nel 1905. 13 Le copie furono vendute <strong>di</strong>rettamente ai cinema,<br />

come era d’uso all’epoca. A causa del grande successo e dell’usura<br />

del negativo, usato per produrre le copie del film, il regista fu costretto a girare<br />

<strong>di</strong> nuovo il film in una seconda e<strong>di</strong>zione, e infine in una terza e<strong>di</strong>zione.<br />

È allora possibile notare che la giovanissima attrice protagonista che recita<br />

la parte della protagonista (una bambina salvata da un cane) è cresciuta notevolmente<br />

<strong>di</strong> versione in versione. In questo caso il restauratore deve decidere<br />

su quale delle tre versioni deve lavorare, dal momento che non è possibile<br />

utilizzare i <strong>di</strong>versi materiali delle tre versioni per ricostituire ‘il film’.<br />

Se il restauratore lo facesse, creerebbe un ‘patchwork’, un film che non è<br />

mai esistito.<br />

Come conseguenza <strong>di</strong> ciò, il concetto <strong>di</strong> versione ‘originale’ <strong>di</strong>venta<br />

<strong>di</strong>fficile da definire. Questo è particolarmente vero per i film muti, spesso<br />

girati con <strong>di</strong>verse macchine da presa e poi montati in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti per<br />

essere esportati sui mercati esteri. Perciò non è sufficiente <strong>di</strong>re che un restauratore<br />

deve restaurare la versione ‘originale’, dal momento che il concetto <strong>di</strong><br />

‘originale’ è forse improprio in questo ambito. Anche una versione censurata,<br />

infatti, potrebbe essere considerata una versione ‘originale’, se quella è la<br />

versione che fu vista dal pubblico.<br />

12 Questa figura è una versione da me semplificata della figura 1 in Cherchi Usai, Silent Cinema,<br />

p. 46; anche in Paolo Cherchi Usai, ‘La cineteca <strong>di</strong> Babele’ in Storia del cinema mon<strong>di</strong>ale:<br />

teorie, strumenti, memorie, 5 voll. ed. Gian Piero Brunetta, (Torino: Einau<strong>di</strong>, 2001), vol. V, pp. 965-<br />

1067, (p. 986).<br />

13 Restoration of Motion Picture Film, eds Paul Read and Mark-Paul Meyer per il Gamma<br />

Group, (London: Butterworth-Heinemann, 2000), p. 71.<br />

– 111 –


È evidente che il restauratore deve affrontare questo problema <strong>di</strong> etica<br />

professionale prima <strong>di</strong> cominciare il lavoro. Read e Meyer, 14 ispirati dall’articolo<br />

<strong>di</strong> Bowser, 15 elencano alcuni principi del restauro dei film.<br />

Il restauratore può restaurare il film:<br />

1. esattamente come lo ha ricevuto;<br />

2. come fu visto dal pubblico;<br />

3. come fu visto dal pubblico in un periodo successivo alla prima visione;<br />

4. come fu concepito dai suoi realizzatori;<br />

5. come il pubblico <strong>di</strong> oggi si aspetta <strong>di</strong> vederlo;<br />

6. secondo una nuova versione rivista da un artista contemporaneo;<br />

7. secondo una nuova versione da sfruttare a livello commerciale.<br />

Seguendo quanto abbiamo riportato a proposito del restauro delle opere<br />

d’arte tra<strong>di</strong>zionali, co<strong>di</strong>ficato dalla teoria <strong>di</strong> Bran<strong>di</strong>, il termine restauro non<br />

si può applicare agli ultimi due casi. È sufficiente considerare ciò che<br />

Giorgio Moroder fece nel 1984 con Metropolis, basato sullo stesso film <strong>di</strong>retto<br />

da Fritz Lang nel 1927, o la rie<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Star Wars (1977) <strong>di</strong> Gorge<br />

Lucas.<br />

Per tornare al termine ‘originale’, se consideriamo le regole <strong>di</strong> catalogazione<br />

della FIAF (Federazione Internazionale degli Archivi dei Film),<br />

non troviamo una definizione, ma la prima visione sembra essere quella più<br />

vicina alla definizione <strong>di</strong> ‘originale’. Più <strong>di</strong> recente si è andato affermando<br />

un nuovo concetto, un termine alternativo a quello <strong>di</strong> ‘originale’: la versione<br />

‘autentica’ 16 che può essere meglio definita come una versione criticamente<br />

data e definita: 17 in altre parole una versione che è esistita in<br />

qualche forma in passato e che può essere ricostruita e replicata nel modo<br />

più preciso possibile. Per questo motivo Mazzanti e Farinelli sostengono<br />

che è da respingere un lavoro <strong>di</strong> restauro come quello completato <strong>di</strong> recente<br />

sul film Touch of Evil <strong>di</strong>retto da Orson Welles nel 1958. Il restauro si è ba-<br />

14 Idem.<br />

15 Eileen Bowser, ‘Some Principles of Film Restoration’, anche tradotto in italiano in Griffithiana,<br />

11, nos. 38-39 (Oct. 1990), 170-173.<br />

16 Il termine ‘autenticità’ è presentata in modo critico da Paolo Cherchi Usai, ‘La cineteca<br />

<strong>di</strong> Babele’, in Storia del cinema mon<strong>di</strong>ale, vol. V, pp. 965-1067, (p. 1034).<br />

17 (‘Cre<strong>di</strong>amo pertanto che sia almeno d’obbligo [...] trattenersi dall’utilizzare il termine<br />

“originale” e più modestamente appigliarsi al concetto <strong>di</strong> “versione criticamente data e definita”’),<br />

citato da Nicola Mazzanti e Gianluca Farinelli, ‘Il restauro: metodo e tecnica’ in Storia<br />

del cinema mon<strong>di</strong>ale: teoria, strumenti, memorie, vol. V, pp. 1119-1174 (p. 1152).<br />

– 112 –


sato sulla corrispondenza <strong>di</strong> Welles con la produzione, in cui c’è la richiesta<br />

da parte del regista <strong>di</strong> alcune mo<strong>di</strong>fiche <strong>di</strong> montaggio ed e<strong>di</strong>zione. Tuttavia,<br />

sebbene sia possibile ricostruire questa versione attraverso i documenti,<br />

essa non è mai esistita, nessuno la vide al cinema e non sappiamo se poi<br />

Welles avrebbe richiesto altre successive mo<strong>di</strong>fiche, dopo aver visionato il<br />

film rimontato.<br />

In conclusione, il concetto <strong>di</strong> ‘autentico’ può essere molto utile nel definire<br />

una teoria del restauro dei film.<br />

____ ____ ____<br />

Un altro punto da mettere a fuoco è senz’altro l’importanza <strong>di</strong> una<br />

adeguata documentazione delle decisioni e delle azioni intraprese dai restauratori<br />

nel corso del loro lavoro. Essa infatti risponde a un principio ormai co<strong>di</strong>ficato<br />

nella teoria del restauro, quello della reversibilità. Nulla dei materiali<br />

originali dovrebbe essere alterato in modo che il restauro non possa essere intrapreso<br />

<strong>di</strong> nuovo. ‘Reversibilità’ significa ‘ripetibilità’. 18 Ecco perché è così<br />

importante che i futuri ricercatori e restauratori abbiano accesso alle stesse<br />

fonti. Grazie a questa documentazione e alla conservazione dei materiali originali,<br />

saranno possibili in futuro nuovi e più sofisticati restauri. In seguito al<br />

lavoro filologico, mirante a decidere cosa debba essere ricostruito, i restauratori<br />

debbono confrontarsi con i <strong>di</strong>versi materiali del film, con il manifesto proposito<br />

<strong>di</strong> ricostruire il film come testo. Senza approfon<strong>di</strong>re troppo gli aspetti<br />

tecnici, si può <strong>di</strong>re che dopo aver raccolto, esaminato e selezionato in modo<br />

critico i materiali a <strong>di</strong>sposizione, il restauro del film consista nel pulire, riparare<br />

e copiare i film, non solo per vederli, ma anche per preservarli.<br />

Senza dubbio la duplicazione del materiale fotografico è il cuore del<br />

restauro dei film; ma duplicare implica sempre una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> informazioni<br />

e crea sempre una lacuna. Si è stabilito che questa per<strong>di</strong>ta si aggiri intorno<br />

al 15% nel passaggio da una generazione all’altra. Certo questa percentuale<br />

è da considerarsi anche più alta se consideriamo alcune pratiche assolutamente<br />

erronee: per esempio la duplicazione <strong>di</strong> film muti in bianco e nero,<br />

sebbene essi fossero, tutti o in parte, colorati. Questo oggi viene considerato<br />

comunemente un errore, ma per decenni molte cineteche hanno duplicato i<br />

film muti in bianco e nero, prendendo nota dei colori su documenti cartacei,<br />

e <strong>di</strong>struggendo le stampe originali dopo la duplicazione. Secondo Desmet e<br />

18 Restoration, eds Read and Meyer, p. 71.<br />

– 113 –


Read il restauro <strong>di</strong> film colorati monocromi, fino agli anni Sessanta fu portato<br />

avanti esclusivamente attraverso convenzionali stampe in bianco e<br />

nero, mentre i colori venivano registrati a parte su materiale cartaceo.<br />

Sembra poi che questi materiali, conservati nelle scatole <strong>di</strong> latta insieme ai<br />

rulli dei film, siano stati successivamente <strong>di</strong>strutti per evitare che l’aci<strong>di</strong>tà<br />

della carta accelerasse il processo <strong>di</strong> decadenza fisico-chimico della pellicola.<br />

Il risultato è che non è più possibile restaurare quei film, recuperandone<br />

il colore. Fortunatamente oggi le cineteche restaurano questi film a colori,<br />

anche se devono affrontare lo spinoso problema del cambiamento ra<strong>di</strong>cale<br />

delle tecnologie.<br />

Se pren<strong>di</strong>amo in esame, infatti, i film colorati del periodo del muto, bisogna<br />

ammettere che oggi è impossibile riprodurre quelle tinte esattamente<br />

come erano in origine. Oggigiorno nessuno colora più i film a mano o con<br />

tecniche artigianali e dagli esiti ineguali, come l’imbibizione o il viraggio,<br />

che erano invece comuni un centinaio <strong>di</strong> anni fa. Le pellicole <strong>di</strong> oggi sono<br />

multistrato ed hanno caratteristiche completamente <strong>di</strong>verse. Sono state inventate<br />

tecniche <strong>di</strong>verse per riprodurre quei colori in modo sod<strong>di</strong>sfacente: il<br />

metodo Desmet per esempio, invece dell’internegativo a colori. Tuttavia<br />

anche la tecnologia è molto <strong>di</strong>versa, come i materiali. Perciò il risultato del<br />

restauro non può che essere una approssimazione.<br />

Certo altri tentativi sono stati fatti per riprodurre la stessa tecnologia <strong>di</strong><br />

allora, in modo da duplicare i colori del muto nel modo più preciso possibile,<br />

ma la celluloide, la pellicola al nitrato utilizzata fino al febbraio del 1951, non<br />

è più in uso da mezzo secolo. Così la trasparenza del supporto (oggi triacetato<br />

o poliestere) è leggermente <strong>di</strong>fferente. Inoltre la quantità <strong>di</strong> grani d’argento<br />

presente nella emulsione è molto <strong>di</strong>versa, così l’area del fotogramma e i formati<br />

sono <strong>di</strong>versi, i proiettori e gli schermi sono <strong>di</strong>versi, e ad<strong>di</strong>rittura i cinema.<br />

È dunque la stessa esperienza estetica ad essere <strong>di</strong>versa.<br />

Questi esempi <strong>di</strong>mostrano che il restauro dei film non può invertire il<br />

corso del tempo. Bisogna invece accettare il fatto che il restauro dei film è una<br />

traduzione. Più precisamente ‘il restauro dei film crea sempre una lacuna, una<br />

<strong>di</strong>fferenza tra l’originale e il duplicato’. 19<br />

Una volta che si è accettato che il restauro dei film è una simulazione<br />

dell’immagine e del suono originale, si apre la porta alle nuove tecnologie.<br />

La <strong>di</strong>scussione su questo argomento è ancora molto accesa ed è possibile<br />

ricondurla a tre punti <strong>di</strong> vista:<br />

19 Idem, p. 75.<br />

– 114 –


1. Ogni stampa è un oggetto unico, con le sue proprie caratteristiche<br />

fisiche ed estetiche, e dovrebbe essere trattato come tale, cioè <strong>di</strong>stinguendolo<br />

dalle altre stampe con lo stesso titolo.<br />

2. Se non è possibile fare qualcosa esattamente nello stesso modo, è<br />

possibile ricreare qualcosa che abbia lo stesso effetto dell’opera originale.<br />

3. Il film non è <strong>di</strong>strutto fin quando tutte le stampe non siano state<br />

<strong>di</strong>strutte, incluso il negativo o master. Anzi, tutte le stampe possono<br />

essere <strong>di</strong>strutte e il film sopravviverà lo stesso se sopravviverà un<br />

DVD del film o la raccolta <strong>di</strong> foto <strong>di</strong> tutti i suoi fotogrammi.<br />

Questa <strong>di</strong>scussione è strettamente connessa ad altri problemi tecnici:<br />

l’uso della tecnologia <strong>di</strong>gitale, per esempio. I restauratori e i cinetecari<br />

hanno a che fare con questo problema, che ha molte implicazioni etiche e<br />

tecniche. A parte il problema dei costi e del tempo, il trasferimento <strong>di</strong> informazioni<br />

(immagini e suoni) da un mezzo analogico (la pellicola) ad una<br />

altro <strong>di</strong>gitale (un hard <strong>di</strong>sk) richiede un nuovo sistema <strong>di</strong> raccolta <strong>di</strong> informazioni,<br />

registrazione e memorizzazione. Sembra che il cinema abbandoni<br />

per la prima volta la sua sfera <strong>di</strong> azione. ‘La <strong>di</strong>gitalizzazione trasforma una<br />

continua variazione in una serie <strong>di</strong> dati intermittenti. Oltretutto l’alterazione<br />

delle immagini e del suono fatta durante la duplicazione non può poi essere<br />

analizzata in modo razionale e cambiata. Ce lo hanno insegnato i primi filtri<br />

software per rimuovere graffi e polvere dalla superficie dei film. Purtroppo<br />

a volte alcuni elementi che appaiono in un solo fotogramma, come un<br />

fiocco <strong>di</strong> neve, il riflesso <strong>di</strong> un gioiello, o un lampo, ma anche immagini <strong>di</strong><br />

uccelli nel cielo, sono letti dal computer come grani <strong>di</strong> polvere ed eliminati.<br />

Una moderna leggenda metropolitana vuole che ‘tutti i <strong>di</strong>amanti nella<br />

miniera de Biancaneve e i sette nani siano stati cancellati durante un tentativo<br />

<strong>di</strong> restauro’. 20<br />

A ciò bisogna aggiungere che non ci sono test atti a stabilire la durata<br />

dei supporti <strong>di</strong>gitali, mentre la tecnologia dell’hardware e del software sta<br />

cambiando continuamente e molto in fretta. Questo potrebbe costituire un<br />

grave problema per la conservazione e salvaguar<strong>di</strong>a dei film. Per ovviare al<br />

problema dell’instabilità del supporto <strong>di</strong>gitale, una possibile soluzione potrebbe<br />

essere quella della continua migrazione <strong>di</strong> dati: cioè trasferire ciclicamente<br />

tutti i dati su un nuovo supporto.<br />

20 Giovanna Fossati, ‘From Grains to Pixels: Digital Technology and the Film Archive’ in,<br />

Restauro, pp. 110-42 (p. 135).<br />

– 115 –


Per riassumere, la promessa <strong>di</strong> eternità sembra ancora lontana dall’essere<br />

sod<strong>di</strong>sfatta. La tecnologia <strong>di</strong>gitale può però essere molto utile per eliminare<br />

alcuni <strong>di</strong>fetti dei materiali originali (per esempio l’instabilità dell’immagine<br />

sullo schermo, l’illluminazione intermittente), ma è ancora in<br />

<strong>di</strong>scussione se questo tipo <strong>di</strong> interventi si possa davvero chiamare restauro.<br />

Paolo Cherchi Usai si chiede infatti: il miglioramento delle immagini rispetto<br />

agli originali può davvero definirsi come restauro? Il fatto che una<br />

delle proprietà ontologiche del film sia quella <strong>di</strong> essere riprodotto in molte<br />

copie, sembra teoricamente giustificare il restauro dei film come un’arte<br />

della duplicazione. È chiaro che richiede specifiche competenze (tecnica,<br />

storica, filologica e artistica) per stabilire innanzitutto quale versione <strong>di</strong> un<br />

dato film debba essere restaurato, e con quale tecnologia. Dopo aver verificato<br />

e vagliato tutti i dati e i materiali <strong>di</strong>sponibili, alla fine è importante registrare<br />

la documentazione del restauro (non solo le azioni e gli interventi<br />

intrapresi, ma anche le motivazioni <strong>di</strong>etro ogni decisione presa), proprio per<br />

rispondere alla richiesta <strong>di</strong> reversibilità in ulteriori interventi che possano<br />

essere realizzati in futuro.<br />

____ ____ ____<br />

In conclusione, in questo saggio abbiamo cercato <strong>di</strong> definire il restauro<br />

dei film, arrivando a definirlo come una pratica che mira a ricostituire una<br />

versione autentica <strong>di</strong> un testo <strong>di</strong> cui esistono numerose varianti, e che si<br />

basa su un certo numero <strong>di</strong> teorie e meto<strong>di</strong> che risalgono da una parte alla<br />

filologia e co<strong>di</strong>cologia (la <strong>di</strong>sciplina per la ricostruzione <strong>di</strong> un testo letterario),<br />

e dall’altra al restauro delle opere d’arte tra<strong>di</strong>zionali (la <strong>di</strong>sciplina per<br />

il restauro dell’entità materiale <strong>di</strong> un’opera d’arte).<br />

È fondamentale che sia la teoria, sia i meto<strong>di</strong> del restauro dei film siano<br />

elaborati e con<strong>di</strong>visi da chi lavora nelle cineteche e dai restauratori. Ciò è<br />

particolarmente vero, soprattutto se consideriamo le possibilità delle nuove<br />

tecnologie, come la scannerizzazione e la preservazione <strong>di</strong>gitale.<br />

– 116 –


ANNA MARIA ROBUSTELLI<br />

Le sorelle <strong>di</strong> Shakespeare<br />

Questa ricerca nasce da alcune idee sviluppate nello svolgimento del<br />

programma <strong>di</strong> letteratura inglese nella classe IV E del <strong>Liceo</strong> Linguistico<br />

nell’anno scolastico <strong>2005</strong>-06 per evidenziare alcuni apporti femminili<br />

alla storia <strong>di</strong> questa letteratura nei secoli XVI, XVII e XVIII, che le più<br />

quotate antologie della Scuola Me<strong>di</strong>a Superiore continuano a sottovalutare<br />

o a ignorare. La ricerca si situa nell’ambito <strong>di</strong> un progetto volto a<br />

valorizzare le pari opportunità che, sin dall’inizio dell’anno scolastico<br />

2004-<strong>2005</strong>, ha visto una collaborazione con la Prof.ssa Marilena Fotia,<br />

attiva in classi del <strong>Liceo</strong> Classico.<br />

È noto come Virginia Woolf ipotizzasse nel suo famoso saggio Una<br />

Stanza Tutta per Sé la possibilità che una donna dell’età elisabettiana<br />

avrebbe potuto avere <strong>di</strong> scrivere, per rispondere alle provocatorie affermazioni<br />

<strong>di</strong> “quel vecchio signore [...] (credo che fosse un vescovo)”, il quale<br />

aveva <strong>di</strong>chiarato che “era impossibile immaginare una donna, passata, presente<br />

o futura, il cui genio si potesse paragonare a quello <strong>di</strong> Shakespeare”. 1<br />

Passa poi ad immaginare quale avrebbe potuto essere l’esistenza <strong>di</strong> una possibile<br />

sorella <strong>di</strong> Shakespeare dotata della stessa vivacità del famoso poeta e<br />

drammaturgo. Questa rappresentazione fittizia è conosciuta: la sorella <strong>di</strong><br />

Shakespeare non avrebbe ricevuto nessun tipo <strong>di</strong> istruzione istituzionalizzata,<br />

avrebbe imparato a leggere in un modo o nell’altro e qualche volta<br />

avrebbe potuto prendere un libro in casa e leggere un po’, ma poi i genitori<br />

l’avrebbero ricondotta alle usuali incombenze femminili. L’avrebbero poi<br />

promessa al figlio <strong>di</strong> un mercante, una volta raggiunta la pubertà, cosa che<br />

“Ju<strong>di</strong>th” – tale era il nome fittizio datole dalla Woolf – non avrebbe voluto.<br />

Usando il bastone e la carota il padre avrebbe tentato <strong>di</strong> convincerla. La<br />

ragazza sarebbe scappata a Londra – si sentiva attratta dal teatro – ma gli<br />

attori e gli impresari a cui avesse chiesto <strong>di</strong> partecipare a quel tipo <strong>di</strong> vita,<br />

le avrebbero riso in faccia. Un attore l’avrebbe poi presa con sé e messa<br />

incinta e Ju<strong>di</strong>th avrebbe finito con il suicidarsi.<br />

1 Virginia Woolf, Una Stanza Tutta per Sé, Il Saggiatore, Milano, 1963.<br />

– 117 –


La scrittrice inglese si chiede in questa opera e nel saggio Donne e<br />

Scrittura 2 perché non esista “continuità nella produzione letteraria femminile<br />

prima del Settecento”. Nota che la “letteratura elisabettiana è esclusivamente<br />

maschile”. Al tempo stesso sente prioritario cominciare ad indagare<br />

sulla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vita della donna me<strong>di</strong>a e, per cominciare a capire<br />

questo, pone alcune domande:<br />

• Quanti figli aveva una donna dell’età elisabettiana?<br />

• Disponeva <strong>di</strong> denaro suo?<br />

• Aveva una stanza per sé?<br />

• Usufruiva <strong>di</strong> aiuto nell’allevare i figli?<br />

• Aveva della servitù?<br />

• Doveva sbrigare parte delle faccende domestiche?<br />

La sua risposta è che perché una donna potesse scrivere sarebbero state<br />

necessarie queste con<strong>di</strong>zioni:<br />

� Avere una stanza tutta per sé<br />

� Essere istruita<br />

� Avere immaginazione, a <strong>di</strong>spetto della società in cui viveva<br />

� Ricevere incoraggiamento<br />

� Avere una grande autostima<br />

� Avere un red<strong>di</strong>to<br />

Un altro punto introdotto con molta incisività da V. Woolf è la constatazione<br />

che le donne in letteratura, fino al Settecento sono state un’esclusiva<br />

creazione dell’uomo. Quello su cui ci invita a riflettere questa protagonista<br />

della letteratura del primo Novecento è che da Chaucer a Yeats, da Petrarca a<br />

Montale le donne rappresentate in letteratura, e più specificamente in poesia,<br />

sono rappresentazioni <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> vista maschili, il che implica due considerazioni<br />

fondamentali: l’immagine della donna proposta al lettore e alla società<br />

è stata suggerita dall’uomo e, secondariamente, la donna si vede riflessa in<br />

uno specchio attraverso gli occhi <strong>di</strong> un altro genere, in breve, non conosce se<br />

stessa e non trasmette alle altre donne quello che veramente vive e sente.<br />

Sappiamo che nel Me<strong>di</strong>oevo le donne si vedevano qualificate un po’<br />

sbrigativamente in vari trattati come “buone” e “cattive, sono state angelicate<br />

a cominciare dalla tra<strong>di</strong>zione ducententesca e con Petrarca e i petrarcheschi<br />

hanno alimentato nel poeta loro fattore la passione per l’amore e la poesia.<br />

2 Virginia Woolf, Le Donne e la Scrittura, La Tartaruga e<strong>di</strong>zioni, Milano, 1981.<br />

– 118 –


Nel percorso dell’anno passato, nella classe menzionata, si è analizzato<br />

il sonetto <strong>di</strong> Shakespeare alla ‘dark lady’ che comincia con le parole My<br />

mistress’eyes are nothing like the sun, in cui il famoso autore elisabettiano<br />

offre un quadro antipetrarchesco della donna amata nel senso che, paradossalmente,<br />

questa donna viene presentata esaltandone gli attributi negativi.<br />

Ma, pur rappresentando uno scarto con la tra<strong>di</strong>zione petrarchesca, il ritratto<br />

dell’amante è sempre unilaterale. Le cose non cambiano con un’altra famosa<br />

poesia analizzata nello stesso anno scolastico, To his Coy Mistress <strong>di</strong> Andrew<br />

Marvell, noto poeta secentesco. Questi versi <strong>di</strong> una rara sensualità, che invitano<br />

garbatamente la donna, con un’argomentazione che ricalca i passaggi<br />

del sillogismo, a fare l’amore con il poeta, sono un’esemplificazione del<br />

tema del carpe <strong>di</strong>em: dal momento che la vita è breve e la morte incalza, è<br />

bene non rinviare il go<strong>di</strong>mento dell’amore con eccessive ritrosie. Ma che<br />

cosa sappiamo <strong>di</strong> quello che sentivano la dama “brutta” <strong>di</strong> Shakespeare o la<br />

timida amante <strong>di</strong> Marvell? Anche se, l’anno scorso, avessimo avuto il tempo<br />

<strong>di</strong> leggere una delle meravigliose poesie <strong>di</strong> un altro grande poeta secentesco,<br />

John Donne, de<strong>di</strong>cate alla moglie Ann More, non ne avremmo saputo <strong>di</strong> più<br />

su questa donna. Ogni poeta, come è ovvio, indugia sui propri sentimenti:<br />

I wonder by my troth, what thou, and I<br />

Did, till we lov’d. 3<br />

Ma che cosa faceva nel frattempo la moglie <strong>di</strong> John Donne? Era andata<br />

a preparare la colazione? Faceva il bucato? Era occupata ad accu<strong>di</strong>re uno<br />

dei suoi numerosi figli?<br />

Nel corso della ricerca fatta con la classe IV E è stato chiesto agli studenti<br />

<strong>di</strong> riflettere su questo punto, traendo ispirazione da una poesia della poeta ceca<br />

del Novecento Wislawa Szymborska, che vive in prima persona il problema <strong>di</strong><br />

non essere considerata nella sua autenticità dall’uomo a cui si rivolge:<br />

Accanto a un bicchiere <strong>di</strong> vino<br />

Con uno sguardo mi ha reso più bella<br />

e io questa bellezza l’ho fatta mia.<br />

Felice, ho inghiottito una stella.<br />

3 John Donne, The Good-Morrow, in Selected poems, a cura <strong>di</strong> Giorgio Melchiori, Adriatica<br />

E<strong>di</strong>trice, Bari, 1962. “Mi chiedo, in fede mia, che cosa tu ed io/facevamo prima <strong>di</strong> incontrarci?...”.<br />

Trad. ital. <strong>di</strong> Anna Maria Robustelli.<br />

– 119 –


Ho lasciato che mi immaginasse<br />

a somiglianza del mio riflesso<br />

nei suoi occhi. Io ballo, io ballo<br />

nel battito <strong>di</strong> ali improvvise.<br />

Il tavolo è tavolo, il vino è vino<br />

nel bicchiere che è un bicchiere<br />

e sta lì dritto sul tavolo.<br />

Io invece sono immaginaria,<br />

incre<strong>di</strong>bilmente immaginaria,<br />

immaginaria fino al midollo.<br />

Gli parlo <strong>di</strong> tutto ciò che vuole:<br />

delle formiche morenti d’amore<br />

sotto la costellazione del soffione.<br />

Gli giuro che una rosa bianca,<br />

se viene spruzzata <strong>di</strong> vino, canta.<br />

Mi metto a ridere, inclino il capo<br />

con prudenza, come per controllare<br />

un’invenzione. E ballo, ballo<br />

nella pelle stupita, nell’abbraccio<br />

che mi crea.<br />

Eva dalla costola, Venere dall’onda,<br />

Minerva dalla testa <strong>di</strong> Giove<br />

erano più reali.<br />

Quando lui non mi guarda,<br />

cerco la mia immagine<br />

sul muro. E vedo solo<br />

un chiodo, senza il quadro. 4<br />

ed ecco come alcuni studenti hanno commentato questa poesia:<br />

4 Wislawa Szymborska, Sale, Scheiwiller, Milano, 2006.<br />

– 120 –


The woman isn’t satisfied, because she feels just an image, non-existent.<br />

She says that everything exists: the table, the wine, the glass. Also women<br />

like Eva, Venus or Minerva are more real than her [...]. Without her man she<br />

can’t imagine herself. She doesn’t know who she is, she knows just what<br />

her man says. It is the man that creates her.<br />

Gianmarco Conti 5<br />

* * *<br />

She is complaining about the lack of personality and real being in front<br />

of her man; she feels without anything inside herself, because all about her<br />

soul lives just in reflections of her in his eyes. She is nothing more than a<br />

nail without the picture [...].<br />

Giulio Cupini 6<br />

* * *<br />

In her poem Wislawa Szymborska isn’t satisfied, because for centuries<br />

man has always imagined woman, he has always decided what woman has<br />

to be and do, so that she hasn’t got a personality any more; she feels like a<br />

shadow, because she can live only in relation with him.<br />

Martina Di Venere 7<br />

* * *<br />

This moving poem is about a woman <strong>di</strong>ssatisfied with her life; she lives<br />

like a doll and she’s the doll of her man, who wants to see only a body<br />

willing to do anything; in this hypocritical life she’s not able to see herself,<br />

not even in a mirror.<br />

Clau<strong>di</strong>a Lai 8<br />

* * *<br />

5 La donna non è sod<strong>di</strong>sfatta, perché si sente solo un’immagine, sente <strong>di</strong> non esistere. Lei <strong>di</strong>ce<br />

che tutto esiste: il tavolo, il vino, il bicchiere. Anche donne come Eva, Venere o Minerva sono più<br />

reali <strong>di</strong> lei [...]. Senza il suo uomo lei non sa immaginarsi: Non sa chi è, sa solo ciò che il suo uomo<br />

le <strong>di</strong>ce. È l’uomo che la crea.<br />

6 [Lei] si lamenta del fatto che le manca una vera personalità davanti all’uomo; si sente<br />

vuota dentro <strong>di</strong> sé, perché tutto quello che riguarda la sua anima vive solo nei riflessi <strong>di</strong> lei negli<br />

occhi <strong>di</strong> lui. Lei non è niente <strong>di</strong> più <strong>di</strong> un chiodo senza il quadro [...].<br />

7 Nella sua poesia Wislawa Szymborska non è sod<strong>di</strong>sfatta, perché per secoli l’uomo ha<br />

sempre immaginato la donna, ha sempre deciso che cosa la donna deve essere e fare, cosicché<br />

lei non ha più una personalità; si sente come un’ombra, perché può vivere solo in rapporto a lui.<br />

8 Questa poesia commovente riguarda una donna insod<strong>di</strong>sfatta della sua vita; vive come una<br />

bambola ed è la bambola del suo uomo, che vuole vedere solo un corpo <strong>di</strong>sposto a fare qualsiasi<br />

cosa; in questa vita ipocrita non è in grado <strong>di</strong> vedere se stessa, nemmeno in uno specchio.<br />

– 121 –


The woman speaking is complaining about her beauty, her existence.<br />

She hasn’t an independent life. She is forced to consider her life as something<br />

imagined by man. She doesn’t know who she is. She hasn’t a real<br />

image of herself, but only a feeble reflection.<br />

Simona Petrungaro 9<br />

* * *<br />

[...] she isn’t satisfied because of the con<strong>di</strong>tion of subor<strong>di</strong>nation of<br />

women to men that cause a sort of lack of conscience in women’s mind.<br />

Women can’t develop their own personalities. They have to behave and<br />

appear in the way that men want.<br />

Valerio Romamazzo 10<br />

* * *<br />

This woman doesn’t know who she is, because she knows only the<br />

way her man imagines her. The con<strong>di</strong>tion of this woman is still similar psychologically<br />

to women’s con<strong>di</strong>tion in the 16 th century. Women have always<br />

been represented by man and so they are the result of man’s thought.<br />

Valerio Spallitta 11<br />

* * *<br />

[...] the woman figure appears as something that man writes about.<br />

In particular in this short poem, it’s clear that she knows herself only<br />

through the attributes that a man gives her. She feels like a product of man’s<br />

imagination.<br />

Eleonora Toiati 12<br />

9 La donna che parla si lamenta della sua bellezza, della sua esistenza. Non ha una vita<br />

in<strong>di</strong>pendente. È costretta a considerare la sua vita come qualcosa immaginata dall’uomo. Non sa<br />

chi è. Non ha una vera immagine <strong>di</strong> se stessa, ma solo un debole riflesso.<br />

10 [...] lei non è sod<strong>di</strong>sfatta della con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione delle donne nei confronti<br />

degli uomini che provoca una sorta <strong>di</strong> assenza della percezione <strong>di</strong> sé nella mente delle donne.<br />

Le donne non possono sviluppare le loro personalità. Si devono comportare e apparire come le<br />

vogliono gli uomini.<br />

11 Questa donna non sa chi è, perché sa solo come la immagina il suo uomo. La con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> questa donna è ancora simile psicologicamente alla con<strong>di</strong>zione delle donne nel XVI secolo. Le<br />

donne sono sempre state rappresentate dall’uomo e perciò sono il risultato del pensiero dell’uomo.<br />

12 [...] la figura della donna appare come qualcosa <strong>di</strong> cui scrive l’uomo, In particolare in<br />

questa breve poesia è chiaro che lei conosce se stessa solo attraverso gli attributi che un uomo le<br />

conferisce. Si sente il prodotto dell’immaginazione dell’uomo.<br />

– 122 –


V. Woolf ci fa notare, inoltre, che esisteva una <strong>di</strong>varicazione tra la rappresentazione<br />

delle donne nelle opere letterarie scritte dagli uomini e la loro<br />

vita reale. Queste donne apparivano più in<strong>di</strong>pendenti e libere <strong>di</strong> quanto non<br />

fossero in realtà. Ancora una volta erano donne “idealizzate”.<br />

Se il percorso letterario alternativo nella classe IV E si fosse limitato a<br />

rivivere la situazione <strong>di</strong> emarginazione delle donne del Cinquecento, che<br />

impe<strong>di</strong>va loro <strong>di</strong> emergere nella scrittura e nelle altre arti, sarebbe stato rilevante,<br />

ma la parte più singolare <strong>di</strong> questa ricerca è stata scoprire che ci sono<br />

state, nonostante tutto, donne che si sono <strong>di</strong>stinte “culturalmente” in quel<br />

secolo. I Women’s Stu<strong>di</strong>es si sono sviluppati dall’epoca <strong>di</strong> V. Woolf, che sentiva<br />

lei stessa <strong>di</strong> essere emarginata persino dai suoi amici per ciò che andava<br />

<strong>di</strong>cendo, e sono state effettuate scoperte interessanti.<br />

Colpisce, a livello simbolico, che nel Cinquecento in Inghilterra abbia<br />

governato una donna, Elisabetta I. Si era consumato uno scisma con la<br />

Chiesa <strong>di</strong> Roma per avere un monarca <strong>di</strong> sesso maschile, come richiedevano<br />

le regole della successione, ma alla fine l’unico figlio <strong>di</strong> Enrico VIII,<br />

Edoardo VI, non regnò che per un breve periodo. Fu merito <strong>di</strong> una donna<br />

ricordata sommariamente come l’ultima moglie <strong>di</strong> Enrico VIII, Katherine<br />

Parr, aver svolto funzioni <strong>di</strong> consigliera segreta del re ormai malato e debole e<br />

<strong>di</strong> aver seguito con sollecitu<strong>di</strong>ne l’educazione dei tre figli <strong>di</strong> Enrico, Edward,<br />

Mary e Elizabeth, tentando <strong>di</strong> ricostruire quella che <strong>di</strong> fatto era una famiglia.<br />

Ella dovette esercitare queste funzioni con estrema cautela perché come<br />

donna e come convinta protestante era invisa ai consiglieri più potenti della<br />

corte del secondo monarca Tudor.<br />

Ilaria Geronzi ha trovato su Internet queste parole <strong>di</strong> K. Parr, che risalgono<br />

a un periodo in cui Enrico VIII era già morto:<br />

They curse and ban my words everyday and all their thoughts be set to do me harm.<br />

I am so vexed that I am utterly weary. [Katherine Parr nel 1554 a proposito dei<br />

tentativi cattolici <strong>di</strong> scre<strong>di</strong>tarla] 13<br />

L’esponente più prestigiosa del circolo protestante che si era formato<br />

intorno a questa regina durante il regno <strong>di</strong> Enrico VIII fu Anna Askew, una<br />

donna del Lincolshire <strong>di</strong> nobile estrazione sociale, che era stata costretta a<br />

sposare il papista Thomas Kyme in giovanissima età per sostituire la sorella<br />

morta poco prima del matrimonio. Per le notevoli <strong>di</strong>fferenze religiose il ma-<br />

13 Male<strong>di</strong>cono e vietano le mie parole tutti i giorni e tutti i loro pensieri mirano a danneggiarmi.<br />

Sono così irritata da essere completamente stanca.<br />

– 123 –


ito, pur riconoscendo che lei era una delle donne più devote che avesse mai<br />

conosciuto e dopo aver fatto due figli con lei, la scacciò <strong>di</strong> casa e Anne si<br />

recò a Londra, riuscendo a <strong>di</strong>ventare dama <strong>di</strong> compagnia <strong>di</strong> Katherine Parr,<br />

che poi convertì alla sua concezione religiosa. Fervente luterana, entrò imme<strong>di</strong>atamente<br />

in sospetto presso la corte <strong>di</strong> Enrico. L’Inquisizione la perseguitò,<br />

ma lei non aderì ai Sei Articoli 14 e, anche dopo la prigione e la tortura<br />

alla ruota, inflittale perché confessasse i nomi dei nobili che avevano le sue<br />

stesse idee e perché ritrattasse le sue idee religiose, non rivelò nessun nome,<br />

né venne meno alle sue convinzioni in questo campo. Fu quin<strong>di</strong> messa al<br />

rogo nel luglio 1546 e fu una <strong>di</strong> quelle martiri religiose ad essere ricordate<br />

da John Bale, un prete che viveva in esilio in Germania nelle Examinacyones,<br />

<strong>di</strong>ari da lei scritti mentre era in prigione. 15<br />

Come mette bene in evidenza Giuliana Iannàccaro, che ha pubblicato un<br />

libro su questa martire protestante insieme a Emanuele Ronchetti, 16 l’originalità<br />

<strong>di</strong> questa donna consiste nella sua capacità <strong>di</strong> contrapporsi alle domande<br />

degli inquisitori con citazioni e argomentazioni tratte dalla Bibbia,<br />

per mezzo <strong>di</strong> una parola orale usata in un contesto ristretto, quello dell’interrogatorio,<br />

e trascritto poi in <strong>di</strong>ari (le Examinacyons) che furono pubblicati<br />

dopo la sua morte e tramandati nel tempo. Con molta chiarezza la stu<strong>di</strong>osa<br />

afferma nella sua postfazione:<br />

Le donne (ma non solo loro) non potevano parlare in pubblico e, a parte qualche<br />

eccezione prontamente arginata, non lo facevano [...]. E allora Anne Askew scrive<br />

perché non può parlare. Ma anche scrivere, a metà del se<strong>di</strong>cesimo secolo, doveva<br />

essere tutt’altro che facile: a parte rare eccezioni, il fatto che una donna prendesse<br />

la penna in mano era considerato sinonimo <strong>di</strong> vergogna. Se esprimendo la propria<br />

opinione in pubblico veniva tacciata <strong>di</strong> indecenza, a maggior ragione <strong>di</strong>vulgando<br />

un testo scritto, che passava <strong>di</strong> mano in mano e la esponeva allo sguardo del mondo,<br />

si sottoponeva all’onta della notorietà. 17<br />

14 I Sei Articoli, pubblicati nel 1539, durante il regno <strong>di</strong> Enrico VIII sono <strong>di</strong> fatto ispirati ad<br />

una fede che è ancora cattolica a livello teologico, in quanto confermano la vali<strong>di</strong>tà del dogma della<br />

transustanziazione, il celibato per i preti e la confessione.<br />

15 The first examinacyone of Anne Askewe (1546) e the Lattre examinacyone of Anne<br />

Askewe (1547) furono pubblicati poco dopo la sua morte da John Bale, un protestante che<br />

viveva in esilio a Cleves, in Germania. Questi libri <strong>di</strong>vennero molto popolari in Inghilterra e<br />

all’estero e influenzarono anche molti scritti protestanti più tar<strong>di</strong>, incluso Actes and Monuments<br />

<strong>di</strong> John Foxe.<br />

16 Emanuele Ronchetti e Giuliana Iannàccaro (a cura <strong>di</strong>) Parole <strong>di</strong> Fuoco. La vita e il martirio<br />

<strong>di</strong> Anna Askew. Sellerio e<strong>di</strong>tore, Palermo, 2002.<br />

17 Emanuele Ronchetti e Giuliana Iannàccaro, op. cit,. pp. 124-25.<br />

– 124 –


Questi, infine, sono i primi versi <strong>di</strong> una ballata, forse scritta da Anne<br />

Askew, che rimase popolare per gran parte del XVIII secolo, trovata dalla<br />

studentessa Giada Tortoriello nella lingua originale:<br />

I am a woman poor and blind<br />

and little knowledge remains in me,<br />

Long have I sought, but fain would I find,<br />

what herb in my garden were best to be<br />

A Garden which is unknown,<br />

which God of his goodness gave to me,<br />

I mean my body, wherein I should have sown<br />

the seed of Christ’s true verity. 18<br />

Anche in questo modo la sua parola, intesa come insegnamento destinato<br />

a durare, fu tramandata nei secoli.<br />

Nel corso <strong>di</strong> questa ricerca non si è potuto fare a meno <strong>di</strong> rivolgere lo<br />

sguardo alla figura della regina Elisabetta I, che si impone nella seconda<br />

metà del Cinquecento in maniera – come si accennava sopra – del tutto inaspettata<br />

nella <strong>di</strong>scendenza <strong>di</strong>nastica.<br />

Un altro studente della classe IV E, Gianmarco Conti, ha reperito dei<br />

materiali interessanti riguardanti la sua figura <strong>di</strong> regina che imposta il suo<br />

potere su principi maschili e femminili.<br />

In breve non si sposa per non essere sottoposta all’autorità <strong>di</strong> un marito<br />

e, conseguentemente, rinuncia alla maternità: in questo modo è come se<br />

acquisisse degli attributi maschili attraverso i quali le è più facile esercitare<br />

il potere.<br />

Al tempo stesso anche qualità femminili trovano lo spazio per essere<br />

esaltate, basti vedere questa citazione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso del 1566:<br />

18 Povera donna sono, e cieca<br />

Ben poca saggezza mi resta vicino<br />

A lungo ho cercato, e ancora non trovo<br />

Le erbe migliori per il mio giar<strong>di</strong>no.<br />

Posseggo un giar<strong>di</strong>no sconosciuto<br />

Che Id<strong>di</strong>o mi donò nella Sua bontà:<br />

È questo mio corpo, e vi avrei seminato<br />

Il seme <strong>di</strong> Cristo, la Sua verità.<br />

[...]<br />

(traduzione <strong>di</strong> Giuliana Iannàccaro, op. cit.)<br />

– 125 –


Da parte mia non mi preoccupo della morte, poiché tutti gli uomini sono mortali e<br />

sebbene io sia donna, pure ho altrettanto coraggio, necessario per la mia posizione,<br />

quanto ne ebbe mio padre. Io sono la vostra regina consacrata. Non verrò mai<br />

costretta a fare nulla con la violenza. Ringrazio Dio <strong>di</strong> essere dotata <strong>di</strong> qualità tali<br />

che, se venissi scacciata dal regno, in sottoveste, sarei in grado <strong>di</strong> vivere in qualunque<br />

luogo della cristianità.<br />

Questa appropriazione <strong>di</strong> autorità maschile mettendo in evidenza doti<br />

femminili può essere osservata anche nell’analisi <strong>di</strong> alcuni ritratti commissionati<br />

dalla regina con l’evidente scopo <strong>di</strong> comunicare un messaggio “politico”.<br />

Per esempio nel Ritratto dell’Arcobaleno – sempre trovato da G. Conti<br />

–, attribuito a Marcus Gheeraerts o Isaac Oliver (1600), possono essere rintracciati<br />

<strong>di</strong>versi simboli che esaltano il modo <strong>di</strong> governare della regina che<br />

vengono espressi attraverso la giovinezza e bellezza della sovrana (in realtà<br />

ormai settantenne) e la sontuosità dei suoi vestiti e gioielli.<br />

____ ____ ____<br />

Ritorniamo alle parole <strong>di</strong> V. Woolf sulla storia delle donne nella letteratura<br />

con la <strong>di</strong>sanima <strong>di</strong> un’altra grande scrittrice del Seicento, Aphra Behn,<br />

che come Anna Askew ci piace considerare una “sorella <strong>di</strong> Shakespeare”, cioè<br />

una donna che ha osato scrivere in tempi estremamente ostili alle rappresentanti<br />

<strong>di</strong> questo genere. Questa insigne autrice, nata probabilmente nel 1640<br />

e morta nel 1689, è stata messa a confronto con Daniel Defoe nel corso del<br />

programma <strong>2005</strong>-2006. La Woolf afferma con indubbio orgoglio:<br />

E tutte le donne insieme dovrebbero cospargere <strong>di</strong> fiori la tomba <strong>di</strong> Aphra Behn<br />

[...] poiché fu lei a guadagnarci il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> pensare ciò che ci pare. È lei quella<br />

donna ombrosa e amorosa – che mi permette <strong>di</strong> <strong>di</strong>rvi questa sera, senza troppo<br />

fantasticare: potete guadagnare cinquecento sterline l’anno con la sola vostra intelligenza.<br />

19<br />

La Behn è generalmente considerata la prima scrittrice professionista,<br />

cioè la prima ad aver guadagnato dei sol<strong>di</strong> scrivendo. Apparteneva alla<br />

classe me<strong>di</strong>a e probabilmente, dopo essere rimasta vedova (si pensa che suo<br />

marito fosse un mercante olandese), ebbe contatti con la corte <strong>di</strong> Carlo II,<br />

che la usò come spia ad Anversa. Poiché non venne pagata per questo<br />

lavoro e rischiava <strong>di</strong> finire nella prigione per debiti, cercò <strong>di</strong> guadagnare i<br />

19 Virginia Woolf, Una Stanza Tutta per Sé, op. cit., pp. 73-74.<br />

– 126 –


sol<strong>di</strong> che le erano necessari scrivendo. La sua fu una vasta produzione principalmente<br />

<strong>di</strong> comme<strong>di</strong>e, scritte nello stile leggero e licenzioso del teatro<br />

della Restaurazione.<br />

Nel 1663 scrisse anche un romanzo, Oroonoko, or the History of the<br />

Royal Slave, che presenta molti punti originali. Sembra che avesse fatto un<br />

viaggio nel Surinam, una colonia nelle In<strong>di</strong>e occidentali, quando era giovane<br />

e che in questa opera volesse tradurre le sue esperienze <strong>di</strong>rette. Ed è a<br />

questo punto che si fanno interessanti scoperte: viene a cadere uno dei miti<br />

più ra<strong>di</strong>cati della storia della letteratura inglese. Defoe non fu il “padre”<br />

del romanzo inglese ma – come sovente accade per ogni nuovo genere – si<br />

inserì in una tra<strong>di</strong>zione già esistente, <strong>di</strong> cui Aphra Behn è stata un’insigne<br />

rappresentante e da cui lui me<strong>di</strong>ò molti tratti. Prima <strong>di</strong> lui una serie <strong>di</strong><br />

donne, tra le quali Aphra Behn è il nome più noto, delinearono questo<br />

nuovo genere letterario e crearono un pubblico <strong>di</strong> novel readers, venendo<br />

incontro alle esigenze culturali della borghesia dell’epoca che, ovviamente,<br />

si sentiva meglio rappresentata nel romanzo che nella comme<strong>di</strong>a della Restaurazione<br />

<strong>di</strong> ispirazione francese. Nel romanzo, <strong>di</strong> cui ci siamo occupati<br />

con la classe, la Behn, sebbene influenzata dal teatro dell’età augustea, sviluppò<br />

però motivi e stilemi del tutto originali. Per esempio <strong>di</strong>ede forma a<br />

una voce narrativa che suggeriva vicinanza con il lettore poiché si rivolgeva<br />

a lui con espressioni tratte dalla conversazione e sosteneva <strong>di</strong> aver<br />

raccontato la storia <strong>di</strong> Oroonoko più volte oralmente. Il narratore è partecipe<br />

della storia, ma <strong>di</strong>spiega una certa ambiguità nei confronti del protagonista,<br />

un africano <strong>di</strong> stirpe reale, reso schiavo dagli inglesi: da una parte,<br />

ben consapevole degli oltraggi inflitti a questa persona, <strong>di</strong>chiara che farà <strong>di</strong><br />

tutto per aiutarlo, dall’altra, <strong>di</strong> fatto, pur non identificandosi mai con i colonizzatori,<br />

non farà niente per salvarlo. Per i motivi esposti la Behn ha anticipato<br />

il narratore omnisciente del Settecento e Ottocento e ha raccontato<br />

la storia in prima persona – come testimone degli eventi – non <strong>di</strong>versamente<br />

da quanto succede in Robinson Crusoe. Altre caratteristiche che la<br />

configurano come un’anticipatrice sono che <strong>di</strong>chiara che sta scrivendo una<br />

“storia vera”, affermazione che verrà più tar<strong>di</strong> riba<strong>di</strong>ta da D. Defoe nel suo<br />

primo romanzo, nel 1719. Inoltre, come il suo illustre collega nella storia<br />

della fiction, la scrittrice <strong>di</strong>mostra una grande attenzione ai dettagli realistici<br />

collegati con il paesaggio e i personaggi <strong>di</strong> Oroonoko, concedendo<br />

molto allo spazio in cui si svolge la storia e collocandola in un tempo definito,<br />

che è quello dei trasferimenti forzati dei neri dall’Africa alle Americhe<br />

compiuti dagli inglesi. Altra caratteristica che ne fece una narratrice<br />

– 127 –


<strong>di</strong>battuta è che il protagonista della sua storia è un principe africano <strong>di</strong> rara<br />

bellezza, cultura e qualità etiche. Per il fatto che i suoi tratti somatici assomigliano<br />

più a quelli europei che a quelli della sua razza d’origine e che<br />

conosce l’inglese e il francese potremmo pensare che Aphra Behn fosse un<br />

po’ fuori della realtà, ma alcuni commentatori hanno fatto notare che attraverso<br />

questi espe<strong>di</strong>enti la scrittrice riuscì a far immedesimare il lettore inglese<br />

più facilmente nel genere <strong>di</strong> soprusi che il personaggio <strong>di</strong> Oroonoko<br />

subisce nel corso della narrazione.<br />

Eppure, a <strong>di</strong>spetto dei meriti risaputi o sottaciuti <strong>di</strong> questa coraggiosa<br />

donna dell’età della Restaurazione, la sua reputazione non fu molto buona<br />

sia in vita che dopo morta: fu apertamente accusata <strong>di</strong> essersi attribuita cose<br />

scritte da altri, <strong>di</strong> essere stata aiutata da uomini quando scriveva le sue<br />

opere e fu criticata aspramente per aver parlato della sessualità degli uomini<br />

e delle donne nei suoi drammi – argomenti del tutto comuni tra gli scrittori<br />

maschili dell’epoca – peraltro <strong>di</strong> successo.<br />

Come ricorda Ruth Nestvold nel saggio pubblicato su Internet ‘Aphra<br />

Behn and the Beginning of a Female Narrative Voice’ “la sesta e<strong>di</strong>zione<br />

della Norton Anthology of English Literature, pubblicata nel 1990, non<br />

contiene ancora una sola opera della Behn e [...] i due pesanti volumi della<br />

Norton Anthology sono l’incarnazione fisica del canone letterario in<br />

inglese”. Nella sua epoca poi fu considerata alla stregua <strong>di</strong> una prostituta,<br />

<strong>di</strong> una donna cioè che vendeva se stessa, nel suo caso scrivendo. Sebbene<br />

fosse stata sepolta a Westminster, come tutti i più gran<strong>di</strong> scrittori inglesi<br />

si ritrova questo epitaffio sulla lapide: “Questa è una prova che neppure<br />

l’Ingegno è una <strong>di</strong>fesa sufficiente contro la Mortalità”. Montague Summers,<br />

che scrisse una Memoir of Mrs Behn nel 1914 ricorda il giu<strong>di</strong>zio<br />

impietoso con cui un critico vittoriano, un certo Dr Doran, definì questa<br />

scrittrice:<br />

She was a mere harlot, who danced through uncleanness and dared them [the male<br />

dramatists] to follow. 20<br />

ma è costretto poco dopo ad ammettere:<br />

...she was never dull.<br />

20 Montague Summers, Memoir of Mrs.Behn, 1914. Saggio reperibile su Internet. Nella prima<br />

citazione riportata da questo biografo si afferma: “Fu una pura e semplice puttana che sguazzò<br />

nella sporcizia e osò seguire le loro orme [dei drammaturghi maschili]”; nella seconda: “[...] non<br />

fu mai monotona”.<br />

– 128 –


Concludendo il profilo biografico della scrittrice il Summers le rende<br />

comunque onore, anticipando l’apprezzamento che le verrà da Virginia<br />

Woolf:<br />

In truth, Aphra Behn’s life was not one of mere pleasure, but a hard struggle<br />

against overwhelming adversity, a continual round of work. We cannot but admire<br />

the courage of this lonely woman, who, poor and friendless, was the first in<br />

England to turn to the pen for a livelihood, and not only won herself bread but no<br />

mean position in the world of her day and English literature of all time. 21<br />

____ ____ ____<br />

La terza scrittrice che è stata presa in considerazione nel programma<br />

dell’anno scorso e che non è generalmente inserita nelle antologie letterarie<br />

più <strong>di</strong>ffuse è Lady Mary Wortley Montague (1689-1762). Di nobili origini,<br />

come Anne Askew, perse la madre da bambina e, quantunque sembri che<br />

il padre fosse fiero della sua bellezza e del suo ingegno, non per questo la<br />

incoraggiò sulla strada <strong>di</strong> una educazione raffinata ma, fortunatamente, ci<br />

furono dei parenti e degli amici che lo fecero. Da adolescente stabilì un’amicizia<br />

intima con Edward Wortley Montague attraverso uno scambio <strong>di</strong><br />

lettere e più tar<strong>di</strong>, all’età <strong>di</strong> ventiquattro anni, fuggì con lui lontano dalla<br />

casa paterna, dove il suo illustre genitore le aveva combinato un matrimonio<br />

da lei rifiutato. I primi anni li passò in campagna. Nel frattempo suo<br />

marito, a Londra, avanzò nella carriera politica, finché fu nominato ambasciatore<br />

a Costantinopoli. Lady Mary lo accompagnò e dalle sue Turkish<br />

Embassy Letters noi ricaviamo una miniera <strong>di</strong> osservazioni vivaci <strong>di</strong> quel<br />

mondo lontano e chiuso. Prima <strong>di</strong> tutto imparò la pratica dell’inoculazione<br />

del vaiolo e, per prevenire questa malattia, fece vaccinare i suoi figli e la<br />

<strong>di</strong>ffuse una volta tornata in Inghilterra. Lei stessa ne era stata vittima e<br />

aveva perduto il fratello in seguito a questa patologia. Introdusse questa<br />

pratica tra la nobiltà, pur scontrandosi con molti pregiu<strong>di</strong>zi, ma fu più tar<strong>di</strong><br />

Edward Jenner ad essere ritenuto l’inventore del vaccino contro il vaiolo<br />

(nel 1796 aveva inviato un articolo alla Royal Society a Londra, che ne<br />

rifiutò la pubblicazione). Jenner pubblicò l’articolo a sue spese e già nel<br />

21 In verità, la vita <strong>di</strong> Aphra Behn non fu una vita <strong>di</strong> puro piacere, ma una dura lotta contro<br />

<strong>di</strong>fficoltà enormi, un lavoro incessante. Non possiamo fare a meno <strong>di</strong> ammirare il coraggio <strong>di</strong> questa<br />

donna sola, che, povera e senza amici, fu la prima in Inghilterra a guadagnarsi da vivere con<br />

la penna, e non solo si procurò il pane ma una posizione non da poco nella società del suo tempo<br />

e nella letteratura inglese <strong>di</strong> tutti i tempi.<br />

– 129 –


1805 Napoleone fece vaccinare le sue truppe e più tar<strong>di</strong> la popolazione<br />

francese.<br />

Oltre alla sagace intuizione scientifica la nobildonna inglese fu capace<br />

<strong>di</strong> penetrare il mondo sconosciuto dell’impero ottomano con un’apertura<br />

mentale che era rara per quei tempi. Come donna potè entrare nei bagni<br />

turchi femminili <strong>di</strong> Sofia che ci descrive in una lettera famosa:<br />

...there were four fountains of cold water in this room, falling first into marble<br />

basins, and then running on the floor in little channels made for that purpose,<br />

which carried the streams into the next room, something less than this, with the<br />

same sort of marble sofas [...] I was in my travelling habit, which is a ri<strong>di</strong>ng dress,<br />

and certainly appeared very extraor<strong>di</strong>nary to them [the women]. Yet there was not<br />

one of them that showed the least surprise or impertinent curiosity, but received<br />

me with all the obliging civility possible. I know no European court where the<br />

la<strong>di</strong>es would have behaved themselves in so polite a manner to a stranger. I believe,<br />

in the whole, there were two hundred women, and yet none of those <strong>di</strong>sdainful<br />

smiles or satirical whispers that never fail in our assemblies when anybody appears<br />

that is not dressed exactly in fashion. 22<br />

Lady Mary conclude <strong>di</strong>cendo che questa era “the women’s coffee<br />

house”. Apprezza incon<strong>di</strong>zionatamente l’accoglienza offerta da queste<br />

donne in modo così spontaneo e la naturalezza con cui godono il benessere<br />

del bagno turco. Questo spazio tipicamente orientale viene <strong>di</strong>pinto come un<br />

luogo dove le persone non sono giu<strong>di</strong>cate da come appaiono e viene messo<br />

a confronto con l’ipocrisia della società da cui lei proviene.<br />

È stata un’altra studentessa <strong>di</strong> questa classe, Chiara Ninni, a scoprire su<br />

Internet l’osservazione <strong>di</strong> un certo John Carswell che collega la visione che<br />

Lady Montague ebbe della Turchia del tempo con certi quadri del grande<br />

pittore francese Ingres:<br />

22 C’erano quattro fontane <strong>di</strong> acqua fredda in questa stanza, che si riversavano prima in bacinelle<br />

<strong>di</strong> marmo, e poi scorrevano sul pavimento in piccoli canali creati per quello scopo, che portavano<br />

i rivoli nella stanza vicino, un po’ più piccola <strong>di</strong> questa, con lo stesso tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>vani <strong>di</strong> marmo,<br />

[...] Ero vestita con il mio abito da viaggio, che è un vestito per andare a cavallo, e certamente<br />

doveva apparire loro molto bizzarro. Eppure non ci fu nemmeno una <strong>di</strong> loro che mostrasse la più<br />

piccola sorpresa o curiosità impertinente, ma mi accolsero con la massima gentilezza possibile Non<br />

conosco nessuna corte europea dove le signore si sarebbero comportate in un modo così garbato<br />

con un’estranea. Complessivamente, credo che ci fossero duecento donne, e ciononostante non fui<br />

oggetto <strong>di</strong> nessuno <strong>di</strong> quei sorrisi sprezzanti o <strong>di</strong> quei bisbigli ironici che non mancano mai nelle<br />

nostre riunioni quando appare qualcuno che non sia vestito proprio alla moda.<br />

Lady Mary Wortley Montagu, Turkish Embassy Letter, e<strong>di</strong>ted by Malcom Jack, Pickering<br />

& Chatto., University of Giorgia Press, 1993.<br />

– 130 –


When the intrepid Lady Mary Montague travelled with her husband’s embassy to<br />

Turkey in 1716, she recorded the minutiae of life on the road in her ‘new world’.<br />

Witty, insatiably curious and remarkably open-minded, her innocent observations<br />

inspired Ingres, a century later, to paint some of the greatest erotic masterpieces<br />

of the Romantic Movement. 23<br />

Questo autore ha scritto un articolo letto al Windsor Festival del 1995 e<br />

successivamente all’Islamic Art Circle <strong>di</strong> Londra, dal titolo ‘What Did Ingres<br />

Learn From Lady Mary?’ in cui vengono messi a confronto la descrizione<br />

dai bagni turchi <strong>di</strong> Sofia, fatta dalla scrittrice inglese con il <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Ingres<br />

Le Bain Turc che porta la data del 1863. Nel famoso tondo del pittore francese<br />

è presente una sensualità, un ammiccamento erotico che certamente non<br />

erano propri del pur stupefatto realismo della gentildonna inglese.<br />

Lady Mary ebbe anche uno scambio <strong>di</strong> lettere con Alexander Pope, che<br />

ne era rimasto infatuato, ma sembra che questo atteggiamento da parte del<br />

famoso poeta settecentesco si trasformasse in ostilità aperta dopo che una<br />

<strong>di</strong>chiarazione d’amore del celebre letterato fu apertamente derisa dalla scrittrice.<br />

Pope la attaccò nella Dunciad e in altri versi, forte del suo prestigio<br />

come affermato poeta satirico.<br />

Nel 1739 Lady Mary lasciò il marito, pur mantenendo con lui una fitta<br />

corrispondenza e proseguì i suoi vagabondaggi per la Francia e l’Italia.<br />

Molti anni dopo, colpita da una grave malattia della pelle che le provocò<br />

sofferenze acute l’autrice delle Turkish Embassy Letters tornò in Inghilterra,<br />

su richiesta della figlia, contessa <strong>di</strong> Bute, il cui marito era allora Primo Ministro<br />

e <strong>di</strong> lì a poco morì.<br />

È significativo notare come il suo <strong>di</strong>ario, conservato in un primo tempo<br />

dalla figlia, fu in seguito bruciato con la motivazione che descriveva fatti<br />

che avrebbero potuto produrre scandalo e influire negativamente sulla vita<br />

pubblica della sua famiglia.<br />

Possiamo riflettere su quanti tabù Lady Mary abbia spezzato nella sua<br />

vita avventurosa e sul fatto che, pur essendo una nobile, non poté godere<br />

dello stesso potere e degli stessi privilegi, in campo culturale, dei più noti<br />

scrittori del suo periodo.<br />

23 Quando l’intrepida Lady Mary Wortley Montagu viaggiò con l’ambasciata <strong>di</strong> suo marito<br />

in Turchia nel 1716, registrò i minimi particolari della vita sulla strada nel suo “nuovo mondo”.<br />

Arguta, insaziabilmente curiosa e notevolmente aperta, le sue innocenti osservazioni indussero<br />

Ingres, un secolo dopo, a <strong>di</strong>pingere alcuni dei più gran<strong>di</strong> capolavori erotici del Movimento<br />

Romantico.<br />

– 131 –


Questa ennesima “sorella <strong>di</strong> Shakespeare” scrisse anche poesie, fra cui<br />

vorrei segnalarne una, che è stato possibile leggere e analizzare nella classe<br />

in questione, perché si <strong>di</strong>stingue per la sua straor<strong>di</strong>naria modernità nel delineare<br />

i rapporti tra i due sessi:<br />

The Lover: A Ballad<br />

To Mr Congreve<br />

At length, by so much importuny press’d,<br />

Take, Congreve, at once the inside of my breast.<br />

This stupid in<strong>di</strong>ff’rence so oft you blame,<br />

Is not owing to nature, to fear, or to shame:<br />

I am not as cold as a virgin in lead,<br />

Nor are Sunday’s sermons so strong in my head:<br />

I know but too well how time flies along,<br />

That we live but few years, and yet fewer are young.<br />

But I hate to be cheated, and never will buy<br />

Long years of repentance for moments of joy.<br />

Oh! Was there a man (but where shall I find<br />

Good sense and good-nature so equally join’d?)<br />

Would value his pleasure, contribute to mine;<br />

Not meanly would boast, nor lewdly design;<br />

Not over severe, yet not stupidly vain,<br />

For I would have the power, though not give the pain.<br />

No pedant, yet learned; no rake-helly gay,<br />

Or laughing, because he has nothing to say;<br />

To all my wholly sex obliging and free,<br />

Yet never be fond of any but me;<br />

In public preserve the decorum that’s just,<br />

And show in his eyes he is true to his trust!<br />

Then rarely approach, and respectfully bow,<br />

But not fulsomely pert, nor yet foppishly low.<br />

But when the long hours of public are past,<br />

And we meet with champagne and a chicken at last,<br />

May every fond pleasure that moment endear;<br />

– 132 –


Be banish’d afar both <strong>di</strong>scretion and fear!<br />

Forgetting or scorning the airs of the crowd,<br />

He may cease to be formal, and I to be proud,<br />

Till lost in the joy, we confess that we live,<br />

And he may be rude, and yet I may forgive.<br />

And that my delight may be solidly fix’d,<br />

Let the friend and the lover be handsomely mix’d;<br />

In whose tender bosom my soul may confide,<br />

Whose kindness can soothe me, whose counsel can guide.<br />

From such a dear lover as I here describe,<br />

No danger should fright me, no millions should bribe;<br />

But till this astonishing creature I know,<br />

As I long have liv’d chaste, I will keep myself so.<br />

I never will share with the wanton coquette,<br />

Or be caught by a vain affectation of wit.<br />

The toasters and songsters may try all their art,<br />

But never shall enter the pass of my heart.<br />

I loathe the lewd rake, the dress’d fopling despise: –<br />

Before such pursuers the nice virgin flies;<br />

And as Ovid has sweetly in parable told,<br />

We harden like trees, and like rivers grow old. 24<br />

24 L’Amante: una Ballata<br />

Infine, incalzata da tanta insistenza,<br />

Pren<strong>di</strong> Congreve, subito la parte interiore del mio petto;<br />

Questa stupida in<strong>di</strong>fferenza che tu così spesso mi rimproveri<br />

Non è dovuta alla natura, alla paura, o alla vergogna;<br />

non sono fredda come una Vergine <strong>di</strong> piombo,<br />

Né la pre<strong>di</strong>ca domenicale mi si imprime tanto nella testa;<br />

Lo so fin troppo bene come il tempo vola,<br />

Che non viviamo che pochi anni e che quelli delle gioventù sono ancora <strong>di</strong> meno.<br />

Ma detesto essere presa in giro, e non comprerò mai<br />

Lunghi anni <strong>di</strong> pentimento in cambio <strong>di</strong> momenti <strong>di</strong> gioia.<br />

Oh ci fosse un uomo (ma dove trovo<br />

Buon senso e una natura buona così intimamente fusi?)<br />

Che considerasse il suo piacere, contribuisse al mio,<br />

Non si vantasse stupidamente, né avesse intenti lascivi,<br />

Non troppo rigido, né stupidamente vanesio,<br />

Poiché io avrei sempre il potere <strong>di</strong> non dare dolore.<br />

– 133 –


Queste parole sembrano pronunciate da una coy mistress 25 che ha imparato<br />

a rispondere agli inviti del proprio amante, chiarendo le proprie esigenze,<br />

che sono poi esigenze <strong>di</strong> comprensione reciproca, <strong>di</strong> comunicazione<br />

per il benessere dei rapporti tra le persone che si amano. La donna che le<br />

pronuncia non è più così timida, ha fatto esperienze, ha imparato a gestire la<br />

propria vita con maggiore autonomia. Ha imparato a parlare e a parlare in<br />

pubblico, poiché la scrittura serve a comunicare.<br />

24 Non pedante ma colto, né gaio come un libertino,<br />

Né che ridesse perché non ha niente da <strong>di</strong>re,<br />

Verso tutto il mio sesso gentile e libero,<br />

Che nessuna amasse tuttavia se non me;<br />

Che in pubblico conservasse il decoro che è giusto,<br />

E mostrasse nello sguardo che è fedele,<br />

E che raramente poi si accostasse e rispettosamente si inchinasse,<br />

Né troppo impertinente, né esageratamente umile.<br />

Ma quando le lunghe ore pubbliche siano passate<br />

E noi alla fine ci incontrassimo con champagne e pollo,<br />

Possa ogni amoroso piacere rendere cara quell’ora,<br />

Ed essere ban<strong>di</strong>ti lontano sia la <strong>di</strong>screzione che la paura,<br />

Dimenticando o <strong>di</strong>sprezzando le arie della folla,<br />

Possa egli cessare <strong>di</strong> essere formale ed io <strong>di</strong> essere altera,<br />

Finché perduti nella gioia ci confessassimo vivi,<br />

E possa egli essere rude, eppure io perdonarlo.<br />

E affinché il mio piacere possa basarsi su qualcosa <strong>di</strong> solido,<br />

Che l’amico e l’amante si mescolino meravigliosamente,<br />

Nel suo tenero grembo la mia anima potrebbe confidare,<br />

E possa la sua gentilezza addolcirmi e il suo consiglio guidarmi.<br />

Da un affettuoso amante come quello che qui descrivo<br />

Nessun pericolo dovrebbe spaventarmi, né milioni dovrebbero corrompermi;<br />

Ma finché non incontrerò questa creatura stupefacente,<br />

per quanto tempo ho vissuto casta, così mi manterrò.<br />

E con la sventata civetta non avrò mai niente in comune,<br />

Né sarò presa da una vana affettazione <strong>di</strong> ingegno.<br />

Possano i cantanti e i festaioli provare tutte le loro arti<br />

Ma mai entreranno nel passo del mio cuore.<br />

O<strong>di</strong>o il libertino lascivo, <strong>di</strong>sprezzo il damerino agghindato:<br />

Davanti a questi corteggiatori la bella vergine fugge;<br />

E come ha detto Ovi<strong>di</strong>o in parabola con dolcezza,<br />

Ci induriamo come alberi, e come fiumi siamo fred<strong>di</strong>.<br />

(Traduzione <strong>di</strong> Anna Maria Robustelli)<br />

25 “timida amante”. Il riferimento è alla poesia To his coy mistress <strong>di</strong> Andrew Marvell,<br />

citata nella prima parte <strong>di</strong> questo lavoro.<br />

– 134 –


Questa potenziale “sorella <strong>di</strong> Shakespeare” si è servita dell’istruzione,<br />

della cultura, ha infranto convenzioni e <strong>di</strong>vieti, ha viaggiato, si è accostata<br />

ad altre culture e ne ha colto i lati positivi, ha messo in dubbio quello che la<br />

società in cui viveva le aveva consegnato come definitivo. Per questo è stata<br />

osteggiata quando proponeva l’inoculazione, è stata <strong>di</strong>leggiata nei versi <strong>di</strong><br />

Pope, è stata occultata dalla sua stessa figlia che non approvava la sincerità<br />

dei <strong>di</strong>ari che lei aveva scritto, in breve non ha goduto degli stessi privilegi<br />

<strong>di</strong> cui godevano gli uomini della sua classe sociale. Questa “sorella”del<br />

grande drammaturgo inglese ora può vivere, anche se non è detto che il<br />

mondo in cui si è trovata a vivere l’abbia amata molto. Lei, come Aphra<br />

Behn, come Anne Askew, ha scritto qualcosa e ha fatto emergere la propria<br />

immagine alla superficie della storia, insieme a Katherine Parr e alla regina<br />

Elisabetta I, che non si era sposata, pur essendo una donna. Tutte, ognuna a<br />

suo modo, hanno tracciato delle strade per le donne che sarebbero venute<br />

dopo <strong>di</strong> loro, hanno <strong>di</strong>mostrato che si poteva essere donne e scrivere – sì,<br />

certo, scrivere come il grande Shakespeare – hanno “parlato” e ora è più<br />

<strong>di</strong>fficile per “quel vecchio signore”, evocato dalla garbata ironia <strong>di</strong> V.<br />

Woolf, o per chiunque altro, <strong>di</strong>chiarare che è “impossibile immaginare una<br />

donna [...] il cui genio si potesse paragonare a quello <strong>di</strong> Shakespeare.<br />

I risultati <strong>di</strong> questa ricerca, come è stato già accennato, sono il frutto <strong>di</strong><br />

una collaborazione sentita tra l’insegnante e gli studenti della classe IV E<br />

nell’anno scolastico <strong>2005</strong>-06. Da entrambe le parti si sono fatte interessanti<br />

scoperte e ampio è stato il <strong>di</strong>battito sui risultati <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o che<br />

ha fatto parte integrante del programma curricolare. Non tutto il materiale<br />

reperito ha trovato spazio in questa pubblicazione: per esempio non<br />

è stato possibile dare visibilità al materiale iconico trovato dagli studenti<br />

su Internet, che avrebbe arricchito la presentazione dei risultati finali.<br />

D’altra parte la docente non ha potuto neanche segnalare tutti gli apporti<br />

degli studenti, perché alcuni sono intervenuti più <strong>di</strong>ffusamente nel<br />

<strong>di</strong>battito orale e altri si sono espressi più compiutamente nello scritto.<br />

A tutti, <strong>di</strong> cui <strong>di</strong> seguito elencherò i nomi, va il mio ringraziamento per<br />

l’esperienza innovativa con<strong>di</strong>visa.<br />

Gli studenti della classe IV E: Gianmarco Conti, Giulio Cupini, Martina<br />

Di Venere, Ilaria Geronzi, Roberta Grimal<strong>di</strong>, Clau<strong>di</strong>a Lai, Chiara Ninni,<br />

Simona Petrungaro, Valerio Romanizzo, Federico Sciortino, Federico<br />

Severo, Valerio Spalletta, Sara Stival, Eleonora Toiati, Giada Tortoriello.<br />

– 135 –


Sezione <strong>di</strong>dattica<br />

(collaborazioni degli studenti)


LICIA FIERRO<br />

Introduzione al lavoro<br />

sulla Costituzione<br />

“Non si deve pensare che la Costituente sia nata dall’idea geniale <strong>di</strong><br />

questo o <strong>di</strong> quel politico. In quella realtà storica non poteva non esserci. Si<br />

usciva da un periodo, quello fascista, che aveva letteralmente calpestato la<br />

Carta dei <strong>di</strong>ritti fino ad allora esistente”. Così, Oscar Luigi Scalfaro nell’incipit<br />

de La mia Costituzione a cura <strong>di</strong> G. Dell’Aquila. La maggior parte dei<br />

popoli, in epoche <strong>di</strong>verse della storia hanno espresso la propria civiltà nel<br />

sistema <strong>di</strong> leggi che sono riusciti a darsi. Già Isocrate non si stanca <strong>di</strong> chiamare<br />

la Costituzione vera “mente” della città; Aristotele ne parla come “vita”<br />

dello stato e Demostene afferma che le leggi <strong>di</strong> una città sono il suo “carattere”.<br />

Sulle <strong>di</strong>spute antiche circa la forma migliore <strong>di</strong> Costituzione, viene<br />

subito in mente il terzo libro delle storie <strong>di</strong> Erodoto dove si confrontano le<br />

tesi <strong>di</strong> Otane, Megabizio e Dario ed emergono tutti gli elementi a favore <strong>di</strong><br />

quell’isonomia che nel quinto secolo a.C. doveva significare uguaglianza<br />

<strong>di</strong>nanzi alla legge e “parità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni per tutti”. E la fede in questa forma<br />

<strong>di</strong> governo, fu rafforzata in Atene dalla vittoria sui Persiani. Eschilo, nella<br />

trage<strong>di</strong>a “I Persiani”, rappresentata nella capitale dell’Ellade nel 472 a.C.,<br />

pone sulle labbra dei condottieri greci a Salamina parole bellissime circa il -<br />

significato <strong>di</strong> quella che già da molti è avvertita come una seconda liberazione<br />

della Grecia, giacché i suoi figli hanno combattuto per preservare la terra,<br />

il luogo dove sono sepolti i padri, hanno versato il sangue per mantenersi<br />

liberi e per vivere in una città governata dalle leggi. Solo i Tebani sono stati<br />

assenti, non hanno partecipato allo sforzo comune e ancora mezzo secolo dopo<br />

la vittoria sui Persiani si <strong>di</strong>fendono dall’accusa <strong>di</strong> “biasimo” adducendo<br />

come giustificazione il fatto che non avevano “nomoi”! Nel corso dei secoli<br />

gli uomini hanno trovato varie forme per garantire i <strong>di</strong>ritti fondamentali, ma<br />

la prima costituzione scritta dei tempi moderni è stata quella federale degli<br />

Stati Uniti d’America, approvata nel 1787, entrata in vigore nel 1789 e ra<strong>di</strong>cata<br />

nelle costituzioni <strong>di</strong> cui si erano in precedenza dotate alcune delle ex<br />

colonie americane dopo l’inizio della rivoluzione contro l’Inghilterra. Non è<br />

possibile percorrere il lungo cammino delle costituzioni liberali dell’Ottocento,<br />

ma val la pena <strong>di</strong> ricordare che nel linguaggio storico-politico il<br />

– 139 –


termine “costituzione” ha due significati. Il primo ha valore descrittivo e<br />

riguarda le modalità con cui si è formato ed è stato elaborato un or<strong>di</strong>namento<br />

giuri<strong>di</strong>co; il secondo ha valore prescrittivi perché in<strong>di</strong>ca come deve essere<br />

effettivamente realizzato l’or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co <strong>di</strong> uno stato. Circa i “tipi”<br />

<strong>di</strong> costituzione, esse si <strong>di</strong>stinguono da un lato per il meccanismo formale<br />

stabilito per la loro mo<strong>di</strong>ficazione e dall’altro per il contenuto delle loro<br />

prescrizioni in tema <strong>di</strong> forma dello stato, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti civili e politici dei citta<strong>di</strong>ni,<br />

<strong>di</strong> contenuti economico-sociali. La nostra è una costituzione “rigida” e<br />

dunque le sue mo<strong>di</strong>ficazioni richiedono procedure <strong>di</strong>verse rispetto a quelle<br />

necessarie per la formazione delle leggi or<strong>di</strong>narie. Questo non significa eternità<br />

del testo, ma la sua revisione è affidata alle Camere e può essere sottoposta<br />

a referendum popolare confermativo, salvo che in caso <strong>di</strong> approvazione<br />

delle leggi costituzionali da parte <strong>di</strong> ciascuna delle due Camere con la maggioranza<br />

<strong>di</strong> due terzi. La breve e sicuramente inadeguata precisazione è<br />

con<strong>di</strong>zione per comprendere il lavoro che gli alunni della prima e della II B<br />

hanno svolto durante l’anno scolastico in corso. Abbiamo ritenuto che fosse<br />

davvero in<strong>di</strong>spensabile, nel tempo che ci troviamo a vivere, un approfon<strong>di</strong>mento<br />

del testo che il presidente Ciampi ha definito con felice espressione la<br />

“Bibbia civile del popolo italiano” a sessant’anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dal referendum<br />

del 2 giugno 1946 che decretò la nascita dell’Italia repubblicana e aprì la<br />

strada all’Assemblea Costituente. La sezione romana della FNISM (Federazione<br />

Nazionale degli Insegnanti), in collaborazione con l’Archivio Centrale<br />

dello Stato, la <strong>di</strong>rezione generale degli Archivi e l’IMES, ha proposto alle<br />

scuole un progetto dal titolo: “La Costituzione repubblicana, il patrimonio<br />

degli italiani”. Prima <strong>di</strong> attivare gli alunni, la sottoscritta ha partecipato ad<br />

un convegno <strong>di</strong> formazione molto utile per una definizione più netta dei<br />

contenuti e per in<strong>di</strong>viduare un percorso che, all’interno del progetto, fosse<br />

veramente praticabile da parte degli studenti. Per entrare nel <strong>di</strong>battito che a<br />

partire dagli anni novanta, nel quadro delle profonde trasformazioni del<br />

sistema politico italiano, ha imposto l’esigenza <strong>di</strong> avviare un processo <strong>di</strong><br />

revisione complessiva della Costituzione del ’48, ci è sembrato giusto conoscere<br />

un po’ più da vicino almeno i principi e l’ispirazione del testo che gli<br />

italiani hanno poi <strong>di</strong>feso da molti stravolgimenti nell’ultimo referendum.<br />

La prima liceale si è impegnata a stu<strong>di</strong>are alcuni aspetti della cultura<br />

liberale che nel nostro paese ha espresso una ricca e complessa articolazione<br />

al suo interno. Senza pretendere <strong>di</strong> fornirne un compen<strong>di</strong>o, gli studenti hanno<br />

preso in considerazione il contributo che essa ha fornito all’anima laica della<br />

Costituzione e alla <strong>di</strong>fesa della libertà civile e politica dell’in<strong>di</strong>viduo. Il<br />

– 140 –


personaggio <strong>di</strong> “riferimento” è stato Enrico De Nicola, emblema <strong>di</strong> una concezione<br />

della politica intesa come autentico servizio finalizzato all’interesse<br />

<strong>di</strong> tutta la collettività. I ragazzi hanno costruito una bibliografia ed hanno<br />

fatto ricerche in<strong>di</strong>viduali e collettive nella biblioteca <strong>di</strong> Storia Moderna e<br />

Contemporanea <strong>di</strong> via Castani. Hanno, poi, lavorato <strong>di</strong>visi in piccoli gruppi<br />

ed i risultati dell’indagine sono stati via via analizzati e verificati dall’insegnante.<br />

La classe, inoltre, ha partecipato ad un Convegno presso l’Archivio<br />

Centrale dello Stato che ha visto la partecipazione <strong>di</strong> eminenti costituzionalisti<br />

come L. Elia e G. Ferrara. A scuola il professor L. Lanfranchi ha tenuto<br />

una conferenza con pregnante valore pedagogico che gli alunni hanno rielaborato<br />

e che rappresenta una sorta <strong>di</strong> compimento del lavoro <strong>di</strong> ricerca.<br />

Ugualmente rilevante è stato il contributo del professor Achille De Nitto che,<br />

da stu<strong>di</strong>oso della Costituzione, ha affrontato in una lezione-<strong>di</strong>battito i temi<br />

più scottanti relativi alle possibilità <strong>di</strong> riforme costituzionali e allo status<br />

attuale della questione.<br />

La seconda liceale ha scelto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are il contributo della “sinistra” alla<br />

stesura del testo costituzionale, con particolare riferimento alla figura <strong>di</strong><br />

Palmiro Togliatti e al <strong>di</strong>battito sull’art. 7, circa i rapporti tra stato e chiesa. Gli<br />

alunni, prima <strong>di</strong> entrare nel vivo dell’argomento, hanno analizzato il clima<br />

del dopoguerra in Italia e l’inse<strong>di</strong>amento dell’Assemblea Costituente. Già<br />

dalla prima “visita” alla Biblioteca <strong>di</strong> Storia Moderna e Contemporanea, i<br />

ragazzi hanno deciso <strong>di</strong> voler esaminare il complesso delle forze politiche,<br />

ovvero i partiti che in Italia rinascono dopo la conclusione del Fascismo e<br />

della guerra, come tappa obbligata per “riconoscere” le varie anime della<br />

sinistra e la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> trovare un orientamento unitario nel momento più<br />

<strong>di</strong>fficile in cui, attraverso la Costituzione, veniva sancita la vera nascita dell’Italia<br />

repubblicana. Gli studenti si sono appassionati ed hanno cercato dati<br />

e curiosità, interessandosi anche a molti protagonisti del <strong>di</strong>battito nella Costituente<br />

e fornendone piccole biografie. Sulla figura e l’opera <strong>di</strong> Togliatti<br />

hanno, poi, concentrato l’attenzione e lo stu<strong>di</strong>o avvalendosi <strong>di</strong> ampia documentazione.<br />

La classe ha partecipato al Convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> presso l’Archivio<br />

Centrale dello Stato, cui si è già fatto riferimento e alle due lezioni-<strong>di</strong>battito,<br />

pure menzionate in questa breve sintesi <strong>di</strong> un lavoro che ci ha tutti coinvolti<br />

e <strong>di</strong> cui va il merito ai ragazzi e a tutti i loro insegnanti che li hanno sostenuti<br />

e incoraggiati con assoluta <strong>di</strong>sponibilità.<br />

– 141 –<br />

Licia Fierro<br />

Coor<strong>di</strong>natrice del Progetto


LICEO CLASSICO ORAZIO ROMA<br />

La tra<strong>di</strong>zione del liberalismo italiano<br />

e la sua influenza sulla Costituzione italiana:<br />

Enrico De Nicola<br />

(anno scolastico <strong>2005</strong>-2006)<br />

CLASSE I B<br />

Coor<strong>di</strong>natrice: Prof.ssa Licia Fierro<br />

SOMMARIO:<br />

CAPITOLO I, Biografia <strong>di</strong> Enrico De Nicola; L’Italia dopo il fascismo.<br />

CAPITOLO II, Enrico De Nicola e il pensiero liberale.<br />

Conferenza del prof. Lucio Lanfranchi.<br />

CAPITOLO I<br />

BIOGRAFIA DI ENRICO DE NICOLA<br />

Nacque a Napoli, il 9 novembre 1877. Compì giovanissimo i suoi stu<strong>di</strong><br />

al liceo “A. Genovesi”. Il suo primo impegno fu nel settore giornalistico:<br />

nel 1895, appena <strong>di</strong>ciottenne, <strong>di</strong>ventò redattore per la rubrica quoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong><br />

vita giu<strong>di</strong>ziaria del “Don Marzio”. Laureatosi in Giurisprudenza, si de<strong>di</strong>cò<br />

alla professione forense <strong>di</strong>ventando nel corso degli anni uno dei maggiori<br />

avvocati penalisti italiani. In un tempo in cui era assai facile passare dall’avvocatura<br />

alla politica, De Nicola fu presto spinto a partecipare alla vita<br />

pubblica. Nel marzo del 1907 fu il primo degli eletti della lista clericomoderata,<br />

che conseguiva la maggioranza nel rinnovo dell’amministrazione<br />

comunale <strong>di</strong> Napoli. Venne eletto Deputato al Parlamento nel 1909, nel<br />

1913, nel 1919, nel 1921 e nel 1924. Ma, nel 1924 non prestò il giuramento<br />

richiesto per essere ammesso alle funzioni e, quin<strong>di</strong>, non partecipò mai all’attività<br />

parlamentare. Fece parte della maggioranza giolittiana, in modo silenzioso,<br />

se si guarda ai gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>battiti parlamentari, e tuttavia si fece apprezzare<br />

nel lavoro come presidente <strong>di</strong> commissione, relatore e commissario<br />

su vari temi. Nominato sottosegretario <strong>di</strong> Stato per le Colonie nel<br />

– 142 –


1913-1914 (IV Governo Giolitti) e Sottosegretario <strong>di</strong> Stato per il Tesoro nel<br />

1919 (Governo Orlando), ricoprì poi l’ufficio <strong>di</strong> Presidente della Giunta<br />

delle elezioni (1919-1920). Fu eletto Presidente della Camera dei Deputati<br />

il 26 giugno 1920. La Camera era ormai <strong>di</strong>fferente dalle precedenti, infatti i<br />

partiti politici <strong>di</strong> massa, socialisti e popolari, detenevano la maggioranza a<br />

causa della nuova legge elettorale proporzionale approvata dal governo<br />

Nitti. De Nicola, ricoprendo la carica <strong>di</strong> Presidente della Camera dei Deputati,<br />

creò e garantì un patto <strong>di</strong> pacificazione tra fascisti e socialisti fino al<br />

1924, anno del delitto Matteotti. La presidenza <strong>di</strong> De Nicola durante la<br />

XXV legislatura ebbe grande rilevanza per la profonda riforma dei regolamenti<br />

parlamentari che avvenne sotto la sua guida: la riforma fu volta a<br />

consentire un <strong>di</strong>battito più or<strong>di</strong>nato in Assemblea e ad adattare la struttura<br />

della Camera alla nuova realtà rappresentata dal sistema proporzionale e dai<br />

partiti organizzati. Rilevanza ancora maggiore ebbero le riforme sulla struttura<br />

degli organi interni della Camera, in particolare i gruppi parlamentari e<br />

le Commissioni legislative permanenti. Durante il fascismo, rimase comunque<br />

prigioniero della logica comune anche ad altri esponenti della democrazia<br />

liberale, <strong>di</strong> fiancheggiatore neutrale, perdendo molti dei consensi<br />

iniziali. Tergiversò a lungo prima <strong>di</strong> aderire alla lista nazionale <strong>di</strong> cui infine<br />

fu capolista per il collegio <strong>di</strong> Napoli e, alla vigilia delle elezioni, il 3-4<br />

aprile 1924, con una lettera a “II Mattino”, annunciò il suo ritiro dalla competizione,<br />

senza negare solidarietà alla Lista, ma con un’irrevocabile uscita<br />

<strong>di</strong> scena. Eletto comunque deputato, non prestò giuramento, tenendosi lontano<br />

dagli eventi che portarono alla definitiva stabilizzazione del regime<br />

fascista, ritirandosi dalla vita politica attiva e de<strong>di</strong>candosi esclusivamente<br />

all’esercizio della professione forense. Nominato Senatore del Regno nel<br />

1929, non prese mai parte ai lavori dell’Assemblea. Dopo la caduta del<br />

fascismo, tornò a far sentire la sua voce con un articolo su II Mattino del<br />

25 agosto 1943 intitolato “Parlamento e Governo” dove esprimeva la sua<br />

preferenza per il sistema elettorale uninominale, al fine <strong>di</strong> favorire maggioranze<br />

stabili e garantire la soli<strong>di</strong>tà dei Ministeri; riprese ad occuparsi <strong>di</strong> politica<br />

e fu autore del compromesso con cui venne istituita la Luogotenenza.<br />

Venne nominato componente della Consulta Nazionale ed in seguito eletto<br />

Capo provvisorio dello Stato il 28 giugno 1946 (al primo scrutinio con 396<br />

voti su 501). La sua elezione fu il frutto <strong>di</strong> un lavoro “<strong>di</strong>plomatico”, mirato<br />

ad ottenere un Presidente che riscuotesse il maggior consenso possibile tra la<br />

popolazione, perché il passaggio istituzionale fosse moderatamente traumatico.<br />

IL Capo provvisorio doveva sod<strong>di</strong>sfare determinate esigenze: doveva<br />

– 143 –


essere meri<strong>di</strong>onale, per compensare la provenienza settentrionale della<br />

maggioranza dei leader politici e doveva essere un elemento non sgra<strong>di</strong>to<br />

all’ancora vasta componente monarchica. Nella seduta del 28 giugno 1946<br />

l’Assemblea Costituente procedette alla nomina del Capo provvisorio dello<br />

Stato a norma dell’articolo 2 del decreto legislativo luogotenenziale del<br />

16 marzo 1946, n. 98. L’elezione si svolse con votazione a scrutinio segreto,<br />

a maggioranza dei tre quinti dei membri dell’Assemblea (573). Quando<br />

venne fatto il nome <strong>di</strong> De Nicola, si accertò subito il consenso comunista e<br />

si verificò la convergenza <strong>di</strong> tutte le maggiori forze politiche.<br />

Il 1° luglio 1946 ebbe luogo il suo inse<strong>di</strong>amento come Capo provvisorio<br />

dello Stato.<br />

De Nicola, giunto <strong>di</strong>scretamente sulla sua auto privata a Roma per assumere<br />

la carica, rifiutò lo stipen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci milioni <strong>di</strong> lire previsto per il<br />

Capo dello Stato. Nel suo primo messaggio all’Assemblea, manifestò l’auspicio<br />

<strong>di</strong> una conciliazione più ampia, per adempiere l’opera <strong>di</strong> ricostruzione,<br />

ed egli stesso si pose come garante al <strong>di</strong> fuori e al dì sopra delle parti.<br />

Il 25 giugno 1947 il Presidente Enrico De Nicola rassegnò le <strong>di</strong>missioni adducendo<br />

a motivo <strong>di</strong> tale decisione le precarie con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute.<br />

Molti, in realtà, attribuiscono il motivo della scelta alla sua proverbiale<br />

modestia: noto, infatti, per una prudenza ai limiti dell’indecisione, De Nicola<br />

viveva sentimenti contrastanti ed era morso da profon<strong>di</strong> dubbi che rendevano<br />

impossibile conoscere il suo volere definitivo. Giulio Andreotti,<br />

ricordando sorridendo alcuni aspetti della sofferenza morale <strong>di</strong> quest’uomo,<br />

raccontava <strong>di</strong> avergli scritto ironicamente: “Eccellenza, decida <strong>di</strong> decidere<br />

se accetta <strong>di</strong> accettare”. Le sue <strong>di</strong>missioni non furono con<strong>di</strong>vise dal mondo<br />

politico, tanto che il 26 giugno l’Assemblea Costituente lo elesse nuovamente<br />

Capo provvisorio dello Stato, con 405 voti su 431 votanti. Nello<br />

stesso anno, Enrico De Nicola fu impegnato ad evitare una frattura tra<br />

democristiani e socialcomunisti e, sempre nel 1947, entrò a far parte della<br />

commissione ristretta incaricata dall’Assemblea Costituente <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>sporre<br />

un progetto <strong>di</strong> Costituzione.<br />

Una volta ultimato, il lungo progetto venne presentato, <strong>di</strong>viso in parti,<br />

sezioni e titoli ad un’Aula che lo <strong>di</strong>scusse dal 4 Marzo al 20 Dicembre 1947<br />

fino ad approvarne il testo definitivo il 22 <strong>di</strong>cembre. La Costituzione, giu<strong>di</strong>cata<br />

il frutto più importante della lotta antifascista, fu promulgata il 27<br />

<strong>di</strong>cembre da Enrico De Nicola ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Essa rappresenta<br />

l’incontro tra le tra<strong>di</strong>zioni cattolico-democratica, socialista-marxista<br />

e democratico-liberale ampiamente rappresentate nella Costituente.<br />

– 144 –


A norma delle <strong>di</strong>sposizioni finali e transitorie del nuovo testo costituzionale,<br />

l’on. De Nicola assunse il titolo <strong>di</strong> Presidente della Repubblica il<br />

1° gennaio 1948 e conservò la carica fino alle elezioni del 18 aprile 1948,<br />

data in cui la maggioranza centrista degasperiana elesse alla Presidenza<br />

della Repubblica il liberale Luigi Einau<strong>di</strong>. Quale ex Presidente della Repubblica,<br />

Enrico De Nicola venne nominato senatore a vita.<br />

Fu eletto Presidente del Senato della Repubblica il 28 aprile 1951, ma si<br />

<strong>di</strong>mise dalla carica il 24 giugno 1952, in occasione delle votazioni per la legge<br />

elettorale sul ed. “premio <strong>di</strong> maggioranza”, altrimenti detta “legge truffa”.<br />

Tale legge, che prevedeva un premio alla lista che avesse raggiunto la<br />

maggioranza assoluta (50% + 1) dei consensi, era stata pensata per favorire i<br />

partiti della coalizione <strong>di</strong> centro che aveva governato l’Italia nella legislatura<br />

precedente (DC, PLI, PSLI, PSDI, PRI). La durissima opposizione delle<br />

sinistre e <strong>di</strong> numerosi intellettuali progressisti, non riuscì ad impe<strong>di</strong>re l’approvazione<br />

della legge che, tuttavia, non trovò applicazione perché, nelle<br />

elezioni del giugno 1953, il blocco governativo mancò, seppure <strong>di</strong> poco, il<br />

quorum richiesto. Il 3 <strong>di</strong>cembre 1955, Enrico De Nicola fu nominato giu<strong>di</strong>ce<br />

della “nuova” Corte Costituzionale dal Presidente della Repubblica, Giovanni<br />

Gronchi, e prestò giuramento il 15 <strong>di</strong>cembre dello stesso anno.<br />

Il 23 gennaio successivo, alla prima riunione del Collegio, viene eletto<br />

proprio lui alla Presidenza della Corte, ma abbandonerà la carica l’anno<br />

successivo, il 26 marzo 1957, in forte polemica verso il governo che accusava<br />

<strong>di</strong> opposizione ed intralcio nell’opera <strong>di</strong> democratizzazione e <strong>di</strong> pulizia<br />

dalle norme fasciste del nostro or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co.<br />

Morì il 1° ottobre 1959; secondo il giu<strong>di</strong>zio unanime <strong>di</strong> amici ed avversari,<br />

Enrico De Nicola fu galantuomo commendevole per onestà e umiltà<br />

<strong>di</strong> comportamento.<br />

L’ITALIA DOPO IL FASCISMO<br />

Le conseguenze economiche della guerra e i problemi dell’or<strong>di</strong>ne pubblico<br />

L’Italia, liberata e riunificata, nella primavera del ’45 dall’avanzata<br />

degli alleati e dalle insurrezioni dei partigiani, si trovò ad affrontare i problemi<br />

e le incognite <strong>di</strong> un <strong>di</strong>fficilissimo dopoguerra.<br />

L’economia era in gravissime con<strong>di</strong>zioni: gli stabilimenti industriali si<br />

erano in buona parte salvati, ma la produzione era scesa a meno <strong>di</strong> un terzo<br />

<strong>di</strong> quella dell’anteguerra.<br />

– 145 –


Per quanto riguardava l’agricoltura, la produzione era <strong>di</strong>minuita del<br />

60% rispetto al ‘38.<br />

L’inflazione era elevatissima: i prezzi al consumo erano cresciuti <strong>di</strong> 18<br />

volte in sei anni polverizzando i risparmi e ri<strong>di</strong>mensionando i salari reali.<br />

Il sistema dei trasporti era in buona parte <strong>di</strong>sarticolato: le strade erano interrotte,<br />

le ferrovie inutilizzabili e i ponti <strong>di</strong>strutti. Erano gravi anche i danni<br />

subiti dall’e<strong>di</strong>lizia abitativa: circa 3 milioni <strong>di</strong> abitazioni erano state <strong>di</strong>strutte<br />

o severamente danneggiate. I moltissimi rimasti senza casa erano costretti a<br />

coabitazioni forzate o cercavano rifugio nelle scuole e in altri e<strong>di</strong>fici pubblici,<br />

trasformati in dormitori per gli sfollati.<br />

La fame, la mancanza <strong>di</strong> alloggi e l’elevata <strong>di</strong>soccupazione, contribuivano<br />

a rendere precaria la situazione dell’or<strong>di</strong>ne pubblico. Ma la minaccia<br />

più grave nel Mezzogiorno e nelle isole, veniva dalla malavita comune, in<br />

buona parte legata al contrabbando e alla borsa nera (commercio clandestino<br />

<strong>di</strong> generi razionati). In Sicilia, si assisteva a una ripresa del fenomeno<br />

mafioso, favorita anche dal comportamento delle autorità militari americane<br />

che non avevano esitato a servirsi <strong>di</strong> noti esponenti della malavita italoamericana<br />

per stabilire contatti con la popolazione.<br />

Negli anni dell’occupazione alleata, si era sviluppato in Sicilia un movimento<br />

in<strong>di</strong>pendentista, legato agli agrari ed alla vecchia <strong>di</strong>rigenza pre-fascista<br />

e con<strong>di</strong>zionato da una forte presenza mafiosa.<br />

Il movimento fu affrontato con energia e stroncato dai governi postliberazione.<br />

Alcuni dei suoi sostenitori che non si erano arresi, <strong>di</strong>edero vita<br />

ad alcuni fra i più gravi episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>tismo del dopoguerra. Fenomeni<br />

come questi erano solo i segni più evidenti della <strong>di</strong>sgregazione morale, oltre<br />

che politica, che la guerra aveva causato.<br />

Le vicende seguite dall’armistizio avevano causato una profonda frattura<br />

fra Nord e Sud.<br />

Da una parte vi era l’occupazione alleata, la continuità istituzionale<br />

sotto il segno della Monarchia e la sostanziale tenuta dei vecchi equilibri<br />

sociali. Dall’altra, invece, l’occupazione tedesca, la guerra civile, un’insurrezione<br />

popolare in cui la lotta <strong>di</strong> liberazione nazionale si intrecciava alle<br />

istanze <strong>di</strong> rinnovamento in campo politico e sociale.<br />

Le nuove con<strong>di</strong>zioni della lotta politica e i partiti emergenti<br />

Il ritorno alla <strong>di</strong>alettica democratica si era accompagnato a un’impetuosa<br />

crescita della partecipazione politica: gli iscritti ai partiti più forti si<br />

– 146 –


misuravano ormai in centinaia <strong>di</strong> migliaia. In particolare il partito socialista,<br />

grazie al suo leader Pietro Nanni, iniziava ad assumere un ruolo da protagonista.<br />

Il partito comunista traeva nuova forza e cre<strong>di</strong>bilità proprio dal contributo<br />

offerto alla lotta antifascista su questo fondava i suoi titoli <strong>di</strong> legittimità<br />

per presentarsi come forza nazionale e <strong>di</strong> governo.<br />

Il “Partito nuovo”, che Togliatti aveva cercato <strong>di</strong> costruire, era un autentico<br />

partito <strong>di</strong> massa, che tendeva ad allargare l’area dei suoi consensi al <strong>di</strong><br />

là della tra<strong>di</strong>zionale base operaia, verso i conta<strong>di</strong>ni, i ceti me<strong>di</strong> e gli intellettuali,<br />

ma soprattutto mostrava <strong>di</strong> volersi inserire attivamente nelle istituzioni<br />

democratico-parlamentari.<br />

Un altro partito presente sulla scena politica italiana era la Democrazia<br />

Cristiana.<br />

Anche il gruppo <strong>di</strong>rigente, a cominciare dal segretario Alcide De<br />

Gasperi, veniva in buona parte da quel partito. Rispetto al partito popolare,<br />

la Democrazia Cristiana godeva <strong>di</strong> un più esplicito e massiccio appoggio da<br />

parte della Chiesa, che faceva della Democrazia cristiana il principale perno<br />

del fronte moderato.<br />

Il Partito Liberale, che raccoglieva gran parte della classe <strong>di</strong>rigente prefascista,<br />

poteva contare su una serie <strong>di</strong> adesioni illustri, come quella <strong>di</strong><br />

Luigi Einau<strong>di</strong> e <strong>di</strong> Benedetto Croce, oltre che sul sostegno della grande<br />

industria e dei proprietari terrieri.<br />

Il Partito Repubblicano, che era inserito tra i partiti laici, si <strong>di</strong>stingueva<br />

per l’intransigenza sulla questione istituzionale.<br />

Quanto alla destra vera e propria, era ancora forte nel Mezzogiorno e<br />

continuava ad esserlo sempre <strong>di</strong> più con l’accentuarsi delle insofferenze nei<br />

confronti del nuovo assetto politico.<br />

Il primo governo dell’Italia liberata, basato sulla coalizione dei partiti<br />

del CLN, fu presieduto da Ferruccio Parri capo, partigiano ed esponente del<br />

Partito d’Azione.<br />

Egli prese una serie <strong>di</strong> provve<strong>di</strong>menti volti a colpire con forti tasse le<br />

gran<strong>di</strong> imprese ed in modo da far riprendere le piccole e me<strong>di</strong>e aziende. In<br />

questo modo, però, Parri suscitò l’opposizione delle forze moderate, che<br />

determinarono la caduta del governo.<br />

Nel novembre del ’45, la guida dell’esecutivo passò al democristiano<br />

De Gasperi.<br />

L’avvento <strong>di</strong> De Gasperi segnò una svolta moderata nella politica italiana<br />

e la fine delle prospettive <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cale rinnovamento sociale.<br />

– 147 –


Il referendum istituzionale e la vittoria della Repubblica<br />

Il governo aveva fissato al 2 giugno 1946 la data per le elezioni dell’assemblea<br />

costituente (le prime elezioni in cui avevano <strong>di</strong>ritto a votare anche<br />

le donne).<br />

I citta<strong>di</strong>ni dovevano inoltre decidere, me<strong>di</strong>ante un referendum, se mantenere<br />

la Monarchia o fare dell’Italia una Repubblica. Quando mancavano<br />

poche settimane al voto il re Vittorio Emanuele III tentò <strong>di</strong> risollevare le<br />

sorti della <strong>di</strong>nastia Sabauda, ab<strong>di</strong>cando in favore del figlio Umberto II.<br />

Nelle votazioni del 2 giugno, tuttavia, si affermò la Repubblica con<br />

un margine abbastanza netto: 12.700.000 voti per la Repubblica contro<br />

10.700.000 voti favorevoli alla Monarchia. Umberto II partì per l’esilio in<br />

Portogallo il 13 giugno.<br />

Nelle elezioni per la costituente, la DC si affermò come primo partito<br />

col 35,2% dei voti. Nel complesso i risultati mostravano che gli elettori italiani<br />

avevano definitivamente voltato pagina rispetto all’esperienza fascista.<br />

Fu questo il periodo in cui l’Italia definì il suo assetto istituzionale:<br />

riorganizzò la propria economia e si <strong>di</strong>ede un equilibrio politico destinato a<br />

resistere per molti anni.<br />

Democristiani, socialisti e comunisti continuarono a governare insieme<br />

e si accordarono sull’elezione del primo e provvisorio Presidente della Repubblica,<br />

il giurista liberale Enrico De Nicola.<br />

CAPITOLO II<br />

ENRICO DE NICOLA E IL PENSIERO LIBERALE<br />

Enrico De Nicola appartiene al Partito Liberale Italiano. Questa formazione<br />

nasce nel 1943 ad opera <strong>di</strong> Benedetto Croce, il quale ne è stato anche<br />

il primo segretario, sebbene fin dal 1861 era esistito un soggetto politico<br />

che si autodefiniva “liberale”.<br />

Il Partito Liberale Italiano partecipa, seppur non in prima linea, sia alla<br />

Resistenza partigiana sia ai governi <strong>di</strong> unità nazionale guidati da Ivanoe<br />

Bonomi e Ferruccio Parri. In questo periodo, oltre a De Nicola, anche un<br />

altro autorevole esponente <strong>di</strong> questo partito viene eletto presidente della<br />

Repubblica: Luigi Einau<strong>di</strong>, nel 1948.<br />

Nel referendum per la scelta tra Repubblica e Monarchia, il PLI si<br />

schiera per la Monarchia.<br />

– 148 –


Il PLI non ha mai ricoperto una funzione <strong>di</strong> grande rilevanza nel panorama<br />

politico italiano, non raggiungendo la quota del 10% dei voti, ma ha<br />

sempre avuto un grande prestigio intellettuale, svolgendo il ruolo <strong>di</strong> pungolo<br />

liberale verso tutti i partiti democratici, specialmente sui temi dell’economia.<br />

Più che la rilevanza <strong>di</strong> “partito” ci preme, dunque, sottolineare la<br />

pregnanza culturale dell’ideologia <strong>di</strong> fondo alla quale si ispirarono e si ispirano<br />

movimenti politici. Il liberalismo, infatti, per <strong>di</strong>rla con Croce, è una<br />

concezione-meta politica, una visione generale della realtà e poco si presta<br />

ad essere “imbrigliata” in un’organizzazione partitica. Ha fatto parte della<br />

cultura liberale, sia pure quella più laica e europea, il più elegante e prestigioso<br />

settimanale apparso in Italia, Il Mondo, che a partire dal 1949 rappresenta<br />

un punto <strong>di</strong> riferimento per i “laici” italiani.<br />

Questo partito si è ispirato alla filosofia del liberalismo, la quale trae le<br />

sue origini dalle dottrine <strong>di</strong> alcuni pensatori, tra cui, ad esempio, l’inglese<br />

John Locke. I termini liberalismo e liberale sono utilizzati sia nel linguaggio<br />

comune, dove sono sinonimi <strong>di</strong> magnanimità e larghezza <strong>di</strong> vedute, che nella<br />

teoria politica, nella quale, verso l’inizio del XIX secolo, cominciano a <strong>di</strong>ventare<br />

l’equivalente <strong>di</strong> concetti come “essere favorevole al riconoscimento<br />

delle libertà in<strong>di</strong>viduali e politiche”. Storicamente, dunque, il liberalismo<br />

nasce come ideale che si affianca all’azione della borghesia, nel momento<br />

in cui essa combatte contro l’assolutismo monarchico, ma anche contro l’aristocrazia,<br />

e ciò porta alla costituzione dello Stato liberale. Il liberalismo è,<br />

insieme con la democrazia e il socialismo, la dottrina che ha più influenzato<br />

la concezione moderna dello stato. Ad ogni modo, ciò che contrad<strong>di</strong>stingue<br />

questa filosofia è la credenza nell’esistenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti fondamentali inviolabili<br />

facenti capo all’in<strong>di</strong>viduo, all’eguaglianza dei citta<strong>di</strong>ni davanti alla legge, e<br />

alla limitazione dei poteri dello stato. Ad esempio, il risvolto del liberalismo<br />

in materia religiosa è il laicismo e la separazione tra stato e Chiesa. Ciò è<br />

riscontrabile nelle celeberrime parole <strong>di</strong> Cavour: “Libera Chiesa in libero<br />

Stato”. Ma il liberalismo è laico anche perché chiede allo Stato <strong>di</strong> non interferire<br />

nelle scelte morali in<strong>di</strong>viduali. Così afferma, ad esempio, il filosofo<br />

Immanuel Kant “Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo<br />

(come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può<br />

ricercare la felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi<br />

pregiu<strong>di</strong>zio alla libertà degli altri <strong>di</strong> tendere allo stesso scopo”.<br />

Il liberalismo classico è in definitiva una dottrina dei limiti del potere<br />

politico. Il problema <strong>di</strong> chi debba avere questo potere nelle proprie mani è<br />

invece l’oggetto della riflessione della democrazia: questa richiede che il<br />

– 149 –


potere politico sia fatto derivare dal popolo e che esso lo eserciti <strong>di</strong>rettamente<br />

o attraverso rappresentanti eletti, ma non si preoccupa <strong>di</strong> evitare la<br />

concentrazione del potere né <strong>di</strong> tutelare le minoranze. Allo stesso modo,<br />

nello Stato Liberale dell’800 un’ampia fetta della popolazione è esclusa dal<br />

potere politico e dal <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> eleggere i suoi rappresentanti. Con la trasformazione<br />

degli Stati liberali in Stati democratici la <strong>di</strong>stinzione è andata sfumando.<br />

Le democrazie moderne sono anche dette liberaldemocrazie perché<br />

combinano il principio della sovranità popolare con la tutela dei <strong>di</strong>ritti liberali<br />

e con la <strong>di</strong>visione dei poteri prevista da Montesquieu (potere legislativo,<br />

esecutivo e giu<strong>di</strong>ziario).<br />

A questo proposito bisogna specificare che il liberalismo è stato spesso<br />

considerato, insieme alla democrazia moderna, una filiazione dell’Illuminismo,<br />

<strong>di</strong> cui con<strong>di</strong>vide gli ideali <strong>di</strong> tolleranza, libertà ed eguaglianza, la<br />

contestazione dei privilegi dell’aristocrazia e del clero e dell’origine <strong>di</strong>vina<br />

del potere del sovrano. Immanuel Kant, per esempio, esprime il suo credo<br />

liberale parlando <strong>di</strong> libertà, uguaglianza e in<strong>di</strong>pendenza come dei principi<br />

che devono reggere uno Stato civile.<br />

John Locke coniò, come abbiamo visto, l’espressione che riassume la<br />

concezione liberale classica dei <strong>di</strong>ritti in<strong>di</strong>viduali: vita, libertà, proprietà.<br />

I <strong>di</strong>ritti liberali per eccellenza sono quelli che oggi vengono chiamati <strong>di</strong>ritti<br />

civili: tra essi ci sono la libertà <strong>di</strong> parola, <strong>di</strong> religione, l’habeas corpus, il<br />

<strong>di</strong>ritto a un equo processo e a non subire punizioni crudeli o degradanti. La<br />

libertà <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo incontra un limite nella libertà <strong>di</strong> un altro in<strong>di</strong>viduo<br />

ma non può essere ristretta in nome <strong>di</strong> valori morali o religiosi in ciò che<br />

riguarda la sfera privata dell’in<strong>di</strong>viduo. A questi <strong>di</strong>ritti si aggiungono le garanzie<br />

a tutela della proprietà privata, riassunte nel detto inglese no taxation<br />

without representation (solo le assemblee legislative hanno il <strong>di</strong>ritto a tassare<br />

i sud<strong>di</strong>ti).<br />

Quin<strong>di</strong> un altro punto irrinunciabile del liberalismo è lo Stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto:<br />

la legge emanata dalle assemblee legislative è l’unica deputata a stabilire<br />

i limiti della libertà in<strong>di</strong>viduale. Per John Locke, David Hume, Adam Smith<br />

e Immanuel Kant le caratteristiche che le leggi dovevano avere per poter<br />

essere rispettose della libertà erano: l’essere norme generali applicabili a<br />

tutti, in un numero indefinito <strong>di</strong> circostanze future; l’essere norme atte a<br />

circoscrivere la sfera protetta dell’azione in<strong>di</strong>viduale, assumendo con ciò il<br />

carattere <strong>di</strong> <strong>di</strong>vieti piuttosto che <strong>di</strong> prescrizioni; l’essere norme inseparabili<br />

dall’istituto della proprietà in<strong>di</strong>viduale. Si sviluppa dunque la consuetu<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong> fissare in un documento solenne questi <strong>di</strong>ritti: le Carte dei <strong>di</strong>ritti dei nuovi<br />

– 150 –


Stati americani in<strong>di</strong>pendenti e i primi emendamenti alla Costituzione degli<br />

Stati Uniti d’America sono gli antenati degli elenchi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti previsti dalle<br />

Costituzioni ottocentesche e da quelle attuali.<br />

A partire dalla seconda metà del XIX secolo, proprio quando sembra<br />

aver trionfato, il liberalismo comincia ad essere oggetto <strong>di</strong> sferzanti critiche.<br />

Gli attacchi sono <strong>di</strong> segno <strong>di</strong>verso ma in genere partono da due assunti: il<br />

liberalismo avrebbe una concezione parziale della libertà e dell’eguaglianza<br />

e una visione astratta e non storica dell’in<strong>di</strong>viduo.<br />

Continua poi a mantenere una certa ostilità verso il liberalismo, anche se<br />

in maniera via via più sfumata, la Chiesa Cattolica. Anche quando accettano<br />

le regole del sistema liberale i primi partiti cattolici, che nascono all’inizio<br />

del XX secolo, si fanno portatori <strong>di</strong> una visione del mondo molto <strong>di</strong>fferente.<br />

Essi contrappongono all’in<strong>di</strong>vidualismo liberale la visione <strong>di</strong> una società<br />

articolata in “corpi interme<strong>di</strong>” e rapporti solidaristici.<br />

Non si può sottacere la funzione e il ruolo che nella cultura liberale ha<br />

svolto Benedetto Croce, il quale, oltre ad aver rielaborato l’idealismo nelle<br />

prospettive degli stu<strong>di</strong> storici, ha assunto, con particolare chiarezza, posizioni<br />

molto nette sia durante, sia nell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra. Non è questo<br />

il luogo per “riassumere” il suo pensiero filosofico, ma è necessario richiamarne<br />

alcune caratteristiche essenziali. L’elaborazione <strong>di</strong> un primo sistema<br />

filosofico vero e proprio risale al decennio iniziale del ’900, <strong>di</strong> in<strong>di</strong>rizzo<br />

idealistico e articolato in quattro parti: l’estetica, la logica, l’economia e<br />

l’etica. L’estetica è centrata sulla riven<strong>di</strong>cazione della totale autonomia dell’arte<br />

rispetto a qualsiasi altra attività umana. L’arte è immagine, sintesi a<br />

priori fra un contenuto <strong>di</strong> carattere sentimentale e una forma <strong>di</strong> carattere<br />

intuitivo e perciò “intuizione lirica”. Poiché è assolutamente <strong>di</strong>sinteressata e<br />

autosufficiente, l’intuizione artistica fa tutt’uno con la propria “espressione”:<br />

da qui l’identificazione dell’estetica con una sorta <strong>di</strong> “linguistica<br />

generale”. La logica indaga i concetti puri, o veramente universali, in opposizione<br />

ai concetti fittizi, propri delle scienze. Dunque le quattro forme<br />

stesse dello spirito (bello, vero, utile, buono) funzionano come i criteri <strong>di</strong><br />

ogni giu<strong>di</strong>zio storico, sicché la filosofia (o logica, appunto) viene a risolversi<br />

in “metodologia della storiografia”. Croce dà molto rilievo, inoltre,<br />

alla volizione in<strong>di</strong>viduale che è poi l’economia, avendo egli un forte senso<br />

della realtà e delle pulsioni che regolano la vita umana. L’utile, che è razionale,<br />

non sempre è identico a quello degli altri: nascono allora degli utili sociali<br />

che organizzano la vita degli in<strong>di</strong>vidui. Il <strong>di</strong>ritto, nascendo in questo<br />

modo, è in un certo qual senso amorale, poiché i suoi obiettivi non coinci-<br />

– 151 –


dono con quelli della morale vera e propria. Egualmente autonoma è la<br />

sfera politica, che è intesa come luogo <strong>di</strong> incontro/scontro tra interessi <strong>di</strong>fferenti,<br />

ovvero essenzialmente come conflitto, quello stesso conflitto che<br />

caratterizza il vivere in generale. L’etica è poi concepita come l’espressione<br />

della volizione universale, propria dello spirito; non vi è un’etica naturale o<br />

un’etica formale, e dunque non vi sono contenuti eterni propri dell’etica, ma<br />

semplicemente essa è l’attuazione dello spirito, che manifesta in modo<br />

razionale atti e comportamenti particolari. Questo avviene sempre in quell’orizzonte<br />

<strong>di</strong> continuo miglioramento umano.<br />

Nel 1925 Croce si presentò come guida morale dell’antifascismo italiano,<br />

de<strong>di</strong>cando a questa battaglia nuove opere <strong>di</strong> storia etico-politica. La<br />

più importante operazione compiuta dal filosofo in questo periodo, però,<br />

consiste certamente nella pubblicazione del “Manifesto degli intellettuali<br />

antifascisti”, presentato in opposizione al “Manifesto del fascismo”, scritto<br />

da Gentile e firmato da Mussolini.<br />

Da questa coraggiosa azione si evince il carattere fondamentalmente<br />

anti-totalitario della sua filosofia, che è una delle espressioni più autorevoli<br />

del pensiero liberale italiano, il quale a sua volta costituisce uno dei pilastri<br />

alla base della costituzione italiana.<br />

CONFERENZA DEL PROFESSOR LUCIO LANFRANCHI<br />

(RIELABORATA E TRASCRITTA DAGLI STUDENTI)<br />

Preside Giuseppe D’Avino:<br />

Dico subito che la costituzione è un tema che mi sta molto a cuore e<br />

che è fondamentale, però vorrei fare seppure rapidamente un confronto tra<br />

l’identità della persona o anche del personaggio mitografico-letterario e<br />

l’identità <strong>di</strong> un popolo. Se voi tutti avete letto l’Iliade, sapete che l’Iliade<br />

ha una tematica fondamentale e ruoli ben precisi. Riguardo la <strong>di</strong>scussione<br />

dell’Iliade, una storia che dura ben <strong>di</strong>eci anni, a un certo momento comincia<br />

la <strong>di</strong>sintegrazione non solo della città <strong>di</strong> Troia, ma in qualche modo dell’uomo,<br />

del personaggio. Perché? Perché a un certo momento Enea esce<br />

da Troia e va verso un futuro che non conosce; però Enea è il personaggio<br />

ancora integro, un personaggio che crede in ciò che gli dei hanno detto,<br />

però abbandona la sua meta <strong>di</strong> partenza, le sue ra<strong>di</strong>ci, le sue origini. Troia è<br />

abbandonata. Egli va verso una nuova civiltà ma c’è una novità e anche una<br />

separazione. Ulisse è <strong>di</strong>fferente. Ulisse lascia Troia per tornare un’altra<br />

– 152 –


volta alla sua patria quin<strong>di</strong> è come se avesse girato il mondo con molte<br />

avventure, per poi in seguito far ritorno ad Itaca. È un’andata con ritorno.<br />

Quella <strong>di</strong> Enea invece è un’andata con una meta nuova. Così tutti i personaggi<br />

dei romanzi antichi, erano tutti così: a un certo punto si narra l’inizio,<br />

la nascita, le avventure e poi la conclusione del romanzo. A un certo momento,<br />

però, la storia della letteratura entra nei personaggi che cominciano<br />

a <strong>di</strong>sintegrarsi. Uno dei primi comincia a <strong>di</strong>re: “Essere o non essere? Questo<br />

è il problema”. Cioè la mia integrità, la mia identità non è più sicura. Pensate<br />

a Don Chisciotte. Egli ad un certo momento perde la propria identità e<br />

quando la ritrova alla fine <strong>di</strong> tutte le sue avventure, muore perché la sua razionalità<br />

non regge al confronto con la realtà. Ci si <strong>di</strong>sintegra. E poi arriveremo<br />

a Pirandello: “I sei personaggi in cerca d’autore”. Non c’è più l’autore<br />

che crea l’identità dei suoi personaggi, ma sono i personaggi che vorrebbero<br />

realizzare se stessi e la propria identità. Senza poi contare “L’uomo senza<br />

qualità” <strong>di</strong> Musil, o senza contare “L’uomo finito” <strong>di</strong> Papini e così via. Poi<br />

siamo arrivati alle statistiche e rischiamo nel sistema della globalizzazione<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare tutti numeri, tutti dati, al punto che la legge sulla privacy interviene<br />

<strong>di</strong>cendo “Stiamo attenti a come vi registriamo”. Cioè noi siamo conosciuti<br />

a livello globale ormai non come “io”, ma come numeri, dati. E allora<br />

qual è il problema? Il problema è cercare in questo mondo <strong>di</strong> conservare<br />

la propria identità, la propria integrità. Quando si <strong>di</strong>ce “I valori, i valori, i<br />

valori...” Ma quali sono questi valori fondamentali? Li possiamo citare,<br />

però qual è quello fondamentale? Quello <strong>di</strong> sapere chi sono io e <strong>di</strong> conservare<br />

questa identità, costruendola continuamente da quando sono piccolo<br />

fino a quando sono grande. Allora che c’entra questo con l’identità del<br />

popolo, con l’identità della nazione? La costituzione è la carta che esprime<br />

l’identità <strong>di</strong> un popolo. La costituzione sacra scritta e non scritta; sapete, ad<br />

esempio, che l’Inghilterra non ha una costituzione scritta. La costituzione è,<br />

dunque, il punto <strong>di</strong> riferimento, non soltanto delle avventure <strong>di</strong> un popolo,<br />

non soltanto delle gesta, delle azioni commerciali, economiche, sociali, politiche<br />

<strong>di</strong> un popolo, ma è lo specchio in cui un popolo si riconosce. Allora<br />

la costituzione se deve essere anche migliorata, perché come ogni cosa<br />

umana può essere migliorata, deve essere migliorata con l’accordo <strong>di</strong> tutto<br />

il popolo, o almeno <strong>di</strong> tutti i suoi rappresentanti. La costituzione non si può<br />

cambiare estemporaneamente o per interessi <strong>di</strong> un gruppo piuttosto che<br />

<strong>di</strong> un altro. La costituzione è la pietra fondante dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> una nazione.<br />

E allora io cedo la parola, lasciando appunto questo messaggio: Come per<br />

ciascuno <strong>di</strong> noi l’identità è fondamentale e la costruiamo negli anni del-<br />

– 153 –


l’adolescenza, della giovinezza, e la approfon<strong>di</strong>amo ancora <strong>di</strong> più nell’età<br />

più matura, così anche la costituzione rimane come pietra fondamentale<br />

miliare <strong>di</strong> un popolo. Tutto un popolo si guarda nella costituzione come in<br />

uno specchio e si riconosce: popolo inglese, popolo francese, popolo italiano.<br />

Ma io soprattutto mi auguro che un giorno guardando la nostra costituzione<br />

futura potremo riconoscerci come popolo europeo. Noi siamo innanzi tutto<br />

europei, siamo citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> un paese più grande che un giorno sarà l’Europa<br />

unita politicamente. Grazie.<br />

Prof.ssa Licia Fierro:<br />

Il professor Lucio Lanfranchi è docente or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto processuale<br />

civile nella facoltà <strong>di</strong> giurisprudenza dell’università <strong>di</strong> Roma “La Sapienza”.<br />

Egli <strong>di</strong>rige inoltre l’Enciclope<strong>di</strong>a giuri<strong>di</strong>ca dell’Istituto dell’Enciclope<strong>di</strong>a<br />

italiana, ed è in questa duplice veste coinvolto oggi in una riflessione<br />

sulla nostra Costituzione dal titolo: “La <strong>di</strong>gnità dell’uomo e lo stato<br />

costituzionale”.<br />

Il suo intervento si configura all’interno <strong>di</strong> un progetto costruito per le<br />

scuole dalla federazione nazionale degli insegnanti ovvero dalla sua sezione<br />

Roma e regione Lazio, in collaborazione con la <strong>di</strong>rezione nazionale degli<br />

Archivi e l’Archivio centrale dello stato. Siamo molto fortunati <strong>di</strong> poterci<br />

avvalere dell’esperienza e della profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> conoscenze del professor Lanfranchi,<br />

il quale unisce alle particolari doti dello stu<strong>di</strong>oso nello specifico<br />

della sua <strong>di</strong>sciplina, un’attenzione vigile e critica all’attualità dei <strong>di</strong>battiti e<br />

delle polemiche sulle riforme istituzionali. Mai come in questa fase storica<br />

urge un chiarimento circa il rapporto tra <strong>di</strong>ritto e politica perché i giovani<br />

possano acquisire strumenti <strong>di</strong> valutazione con assoluta libertà <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio.<br />

Dunque, professore, noi fin da subito la ringraziamo tanto per il tempo che<br />

ci de<strong>di</strong>cherà ed io le do subito la parola per non perderne neanche un po’!<br />

Professor Lucio Lanfranchi:<br />

Oggi ricorre l’anniversario della morte <strong>di</strong> Giuseppe Dossetti che, dopo<br />

un passato da partigiano durante la Resistenza, fu Vice-Segretario della<br />

Democrazia Cristiana. Egli fu uno dei più gran<strong>di</strong> costituenti in quanto fece<br />

parte della Commissione dei 75 che si occupò della stesura dei <strong>di</strong>ritti, nella<br />

quale furono comprese tutte le tre anime della Costituzione:cattolica, laica,<br />

socialista-comunista. Dossetti fu inoltre una delle figure più importanti del<br />

Concilio Vaticano II e <strong>di</strong>ede ad esso una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> libertà, <strong>di</strong> ecumenismo,<br />

<strong>di</strong> rottura degli schemi curiali tra<strong>di</strong>zionali che furono i pregi del<br />

– 154 –


Concilio stesso. Dopo <strong>di</strong> ciò decise <strong>di</strong> farsi prima sacerdote e poi monaco<br />

fondando un suo piccolo or<strong>di</strong>ne nell’Eremo <strong>di</strong> Casaglia, nel quale ha vissuto<br />

per parecchi anni. Circa quin<strong>di</strong>ci anni fa tornò a parlare dei valori della<br />

Costituzione, ribadendone i principi essenziali, <strong>di</strong> fronte agli stravolgimenti<br />

della carta costituzionale che allora si stavano compiendo. Infine egli è<br />

morto il 15 <strong>di</strong>cembre 1993.<br />

Il progetto <strong>di</strong> una Costituzione Comune Europea promosso dall’“elite”<br />

culturale, politica e giuri<strong>di</strong>ca, è stato approvato nel 2003-2004 con mo<strong>di</strong>ficazioni<br />

mentre per quanto riguarda l’Italia, è passato all’esame delle Camere<br />

come trattato all’inizio del <strong>2005</strong>. È stato purtroppo bocciato in Francia e in<br />

Olanda. Questo grande movimento <strong>di</strong> unificazione dei popoli che in passato si<br />

era espresso con la Comunità Europea, con il Trattato <strong>di</strong> Maastricht e a livello<br />

mon<strong>di</strong>ale prima con il fallimento della Società delle Nazioni nel primo dopoguerra<br />

e poi con la Carta dell’ONU e tutte le Dichiarazioni dei Diritti, si è<br />

tradotto adesso nel tentativo <strong>di</strong> fare dell’Europa un’unica Repubblica come<br />

gli Stati Uniti d’America. Il comune intento europeo può essere inteso come<br />

la sintesi <strong>di</strong> quel che accadde prima con la Costituzione Italiana.<br />

I membri della Commissione Europea hanno elaborato la presente<br />

Costituzione a nome dei citta<strong>di</strong>ni e degli Stati d’Europa, consapevoli che<br />

l’Europa è un continente portatore <strong>di</strong> civiltà e che i suoi abitanti giunti in<br />

ondate successive fin dagli albori dell’umanità, vi hanno progressivamente<br />

sviluppato i valori che sono alla base dell’Umanesimo:eguaglianza degli<br />

esseri umani, libertà, rispetto della ragione. Ispirandosi alle ere<strong>di</strong>tà culturali,<br />

religiose, umanistiche dell’Europa i cui valori sono presenti nel suo patrimonio,<br />

i membri che hanno composto questo progetto hanno ancorato nella<br />

vita della società il ruolo centrale della persona, dei suoi <strong>di</strong>ritti inviolabili e<br />

inalienabili e il rispetto del <strong>di</strong>ritto, convinti che l’Europa ormai riunificata<br />

intende proseguire questo percorso <strong>di</strong> civiltà, <strong>di</strong> progresso e <strong>di</strong> prosperità<br />

per il bene <strong>di</strong> tutti i suoi abitanti compresi i più deboli e i più bisognosi,<br />

che vuole restare un continente aperto alla cultura, al sapere, al progresso<br />

sociale, che desidera approfon<strong>di</strong>re il carattere democratico e trasparente<br />

della vita pubblica e operare a favore della pace, della giustizia e della solidarietà<br />

nel mondo. Tale progetto si fonda sulla persuasione che i popoli<br />

d’Europa pur rimanendo fieri della loro identità e della loro storia nazionale,<br />

sono decisi a superare le antiche <strong>di</strong>visioni e uniti in modo sempre<br />

più stretto, a forgiare il loro comune destino, certi che uniti nella <strong>di</strong>versità,<br />

l’Europa offra loro le migliori possibilità <strong>di</strong> proseguire, nel rispetto dei <strong>di</strong>ritti<br />

<strong>di</strong> ciascuno e nella consapevolezza della loro responsabilità nei con-<br />

– 155 –


fronti delle generazioni future e della terra intera, la grande avventura che fa<br />

<strong>di</strong> essa uno spazio privilegiato della speranza umana”.<br />

Il progetto è <strong>di</strong>viso in tre parti:<br />

1. Obiettivi e principi generali dell’Unione Europea che con questa<br />

nuova costituzione dovrebbe passare da un’unione economica monetaria<br />

ad un’unione politica.<br />

2. Diritti.<br />

3. Sviluppi organizzativi e politiche dell’Unione Europea.<br />

Per quanto riguarda la prima parte molto interessante è l’articolo 2 che<br />

riguarda i valori della Costituzione Europea.<br />

Art. 2: L’Unione si fonda sui valori della <strong>di</strong>gnità umana, della libertà,<br />

della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto e del rispetto dei<br />

<strong>di</strong>ritti umani. Questi valori sono comuni agli stati membri in una società<br />

basata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e<br />

sulla non-<strong>di</strong>scriminazione.<br />

In questo articolo e nel preambolo sono racchiusi i principi e il passato<br />

dell’uomo. Tutto ciò proviene dallo Statuto della Società delle Nazioni che<br />

fu un tentativo dopo la sanguinosissima prima guerra mon<strong>di</strong>ale, <strong>di</strong> promuovere<br />

la pace, ma che finì tragicamente con il consolidarsi dello Stalinismo,<br />

la nascita della ferocia nazista e dello sciagurato fascismo e tutta la sua<br />

strutturazione fu travolta dal secondo conflitto mon<strong>di</strong>ale. Il progetto <strong>di</strong> una<br />

Costituzione Comune nasce soprattutto dal quel che accadde nell’imme<strong>di</strong>ato<br />

dopoguerra e dunque dalla carta dell’ONU a livello sopranazionale,<br />

nella quale si ripeté un accordo nel nome dei <strong>di</strong>ritti, elevando i <strong>di</strong>ritti dei<br />

citta<strong>di</strong>ni del mondo allo stesso livello dei <strong>di</strong>ritti dello stato e trasformando<br />

la tra<strong>di</strong>zionale concezione del <strong>di</strong>ritto internazionale, che non faceva altro<br />

che normatizzare i rapporti <strong>di</strong> potere tra i vari stati. Lo “ius ad bellum”<br />

<strong>di</strong>venta “ius in bello”, e il dovere <strong>di</strong> ricerca della pace e il rifiuto della<br />

guerra viene considerato dall’ONU in funzione della tutela dei <strong>di</strong>ritti umani.<br />

Nascono perciò le prime gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarazioni universali dei <strong>di</strong>ritti dell’uomo<br />

come quella italiana e in seguito quella europea.<br />

La seconda parte consiste nell’elenco dei <strong>di</strong>ritti dell’uomo e fu perfezionata<br />

rispetto agli elenchi precedenti che derivavano dall’Assemblea della<br />

Rivoluzione francese del 26 agosto 1789, la quale sancì l’affermazione<br />

dei <strong>di</strong>ritti dell’uomo e il principio essenziale della separazione dei poteri.<br />

L’art. 16 della Dichiarazione del citta<strong>di</strong>no del 1789, parla proprio <strong>di</strong> questo,<br />

<strong>di</strong>cendo che: “Laddove i <strong>di</strong>ritti non siano riconosciuti e laddove non ci sia<br />

separazione dei poteri, lì non c’è costituzione”.<br />

– 156 –


La Costituzione Europea però nasce proprio dalla nostra carta dei <strong>di</strong>ritti<br />

che fu il primo dei gran<strong>di</strong> statuti del dopoguerra.<br />

La parte essenziale della nostra carta Costituzionale è racchiusa nei<br />

primi tre articoli.<br />

Art. 1: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene<br />

al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.<br />

Il secondo e il terzo articolo furono il frutto del lavoro <strong>di</strong> Giorgio La<br />

Pira e <strong>di</strong> Giuseppe Dossetti. L’11 settembre del 1946 la prima sottocommissione<br />

convalidò questi due articoli con l’approvazione unanime <strong>di</strong> tutti, cattolici,<br />

azionisti, liberali come era Calamandrei e socialisti-comunisti come<br />

Togliatti. Ci fu quin<strong>di</strong> un accordo assoluto tra le forze politiche.<br />

Art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i <strong>di</strong>ritti inviolabili dell’uomo<br />

sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua<br />

personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili <strong>di</strong> solidarietà<br />

politica, economica e sociale.<br />

Viene enunciata non solo l’uguaglianza dello stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, ma anche<br />

dello stato sociale.<br />

L’art. 3 è <strong>di</strong>viso in due comma. Il primo è antico e si riallaccia alla<br />

Rivoluzione francese, per l’uguaglianza formale in relazione alla libertà<br />

<strong>di</strong> ogni citta<strong>di</strong>no. Il secondo invece, è quello della cosiddetta uguaglianza<br />

sostanziale.<br />

Art. 3: Tutti i citta<strong>di</strong>ni hanno pari <strong>di</strong>gnità sociale e sono uguali davanti<br />

alla legge, senza <strong>di</strong>stinzioni <strong>di</strong> sesso, <strong>di</strong> razza, <strong>di</strong> lingua, <strong>di</strong> religione, <strong>di</strong> opinioni<br />

politiche, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni personali e sociali. È compito della Repubblica<br />

rimuovere gli ostacoli <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne economico e sociale, che, limitando <strong>di</strong><br />

fatto la libertà e l’uguaglianza dei citta<strong>di</strong>ni, impe<strong>di</strong>scono il pieno sviluppo<br />

della persona umana e l’effettiva partecipazione <strong>di</strong> tutti i lavoratori all’organizzazione<br />

politica, economica e sociale del Paese.<br />

Tutto viene rimosso, non nel senso <strong>di</strong> un egualitarismo allo stato rozzo,<br />

ma in un egualitarismo tenuto conto anche delle specificità <strong>di</strong> ognuno (visto<br />

il mio <strong>di</strong>scorso complicatissimo, vado avanti a sciabolate, perdonatemi,<br />

sono già in ritardo sul programma che avevo...); però sappiamo che cosa<br />

<strong>di</strong>ciamo quando si parla <strong>di</strong> eguaglianza formale senza <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong>... Ma<br />

l’eguaglianza sostanziale è la cosa fondamentale tanto che il secondo<br />

comma <strong>di</strong>ce: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne<br />

economico e sociale che, limitando <strong>di</strong> fatto la libertà e l’eguaglianza dei<br />

citta<strong>di</strong>ni, impe<strong>di</strong>scono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva<br />

partecipazione <strong>di</strong> tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica<br />

– 157 –


del paese”. La domanda è: è possibile che la rivoluzione francese abbia giustificato<br />

sul piano teorico che anche il povero siciliano che va nelle solfatare,<br />

ha <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> iscriversi all’università (poi non è sicuro che possa farlo).<br />

Il secondo comma dell’articolo 3, cerca <strong>di</strong> far sì che anche il giovane <strong>di</strong> allora<br />

che lavorava nelle solfatare o l’extracomunitario che acquista il <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> vivere in Italia, possano anche loro, <strong>di</strong>ciamo, godere effettivamente <strong>di</strong><br />

tutti i loro <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> libertà e così via. Fondamentalissimo questo secondo<br />

comma dell’articolo 3. La nostra costituzione è <strong>di</strong>visa in tre parti: ci sono i<br />

principi fondamentali, poi la seconda parte (<strong>di</strong>ritti e doveri) e la terza parte<br />

(l’or<strong>di</strong>namento della Repubblica). In realtà, quel che segue, sia nella parte<br />

de<strong>di</strong>cata ai principi fondamentali, (attenzione perché questo è un punto centrale<br />

del mio <strong>di</strong>scorso) sia la seconda parte, ovviamente, de<strong>di</strong>cata ai <strong>di</strong>ritti,<br />

riguarda prima e seconda parte, anche la prima, sostanzialmente il riconoscimento<br />

<strong>di</strong> quei <strong>di</strong>ritti, <strong>di</strong> cui parla l’art. 2. Vi prego <strong>di</strong> tenere presente fin<br />

d’ora che riconoscimento vuol <strong>di</strong>re riconoscimento <strong>di</strong> qualcosa che preesiste,<br />

non creazione da parte della Repubblica <strong>di</strong> qualche cosa, ma il riconoscimento<br />

<strong>di</strong> qualche cosa esistente prima della Repubblica. Tutti questi <strong>di</strong>ritti,<br />

quali sono, lo sapete, io non posso adesso <strong>di</strong>lungarmi, sono tutti <strong>di</strong>ritti<br />

possibili e immaginabili che arricchiscono l’uomo da ogni punto <strong>di</strong> vista.<br />

Voi sapete che la parte seconda riguarda i <strong>di</strong>ritti civili, i rapporti eticosociali,<br />

i rapporti economici ed i rapporti politici. In realtà, sono tutti <strong>di</strong>ritti,<br />

ne cito una gran parte, <strong>di</strong>ciamo così, alla rinfusa (faccio finta <strong>di</strong> non accorgermene,<br />

chiedo scusa alla signora Fierro che ho rovesciato un intero bicchiere<br />

d’acqua e, vabbè, scusate) e allora: i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> libertà, i <strong>di</strong>ritti sociali,<br />

e innanzi tutto, il <strong>di</strong>ritto alla vita. Vedremo tra poco, che un articolo fondamentale,<br />

quello che riguarda i lavoratori, <strong>di</strong>ce che loro hanno <strong>di</strong>ritto ad una<br />

retribuzione che gli garantisca un’esistenza libera e <strong>di</strong>gnitosa. Siccome la<br />

Repubblica è fondata sul lavoro, il lavoratore <strong>di</strong>venta il prototipo del citta<strong>di</strong>no<br />

ed il <strong>di</strong>ritto ad esistere innanzi tutto, poi in modo libero e <strong>di</strong>gnitoso,<br />

garantisce il <strong>di</strong>ritto alla vita. Dico questo perché l’espressa <strong>di</strong>chiarazione del<br />

<strong>di</strong>ritto alla vita, che troviamo, per esempio nel nuovo progetto <strong>di</strong> costituzione<br />

europea, o nella carta iniziale, qui non c’è, ma è implicito per un<br />

verso nel <strong>di</strong>ritto ad esistere ancor prima che ad esistere in modo <strong>di</strong>gnitoso e<br />

poi da tutto il resto che emerge dalla costituzione a cominciare dal <strong>di</strong>ritto<br />

alla guerra (se non in casi eccezionalissimi dovuti alla <strong>di</strong>fesa del proprio<br />

paese, perciò <strong>di</strong> se stessi, dei propri simili, dei propri figli e così via...).<br />

Quin<strong>di</strong>, il <strong>di</strong>ritto alla vita e poi il <strong>di</strong>ritto al lavoro, accuratamente descritto<br />

da tante norme della nostra Costituzione, perché la costituzione è fondata<br />

– 158 –


sul dato del lavoro, non su chi vive nell’ozio, o <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>ta, <strong>di</strong> ere<strong>di</strong>tà, ma <strong>di</strong><br />

lavoro! E poi, il <strong>di</strong>ritto d’impresa, ma quale impresa? Non soltanto quella<br />

nel nome dell’in<strong>di</strong>vidualismo e dell’economia e del libero mercato, ma<br />

anche dell’impresa in correlazione ai profili sociali dell’impresa e poi il<br />

<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà, certo, quello privato, anche quello dei mezzi <strong>di</strong> produzione<br />

a <strong>di</strong>fferenza della sciagurata idea dei paesi socialisti. Ma <strong>di</strong> quale<br />

proprietà si tratta? Di una proprietà che deve fare i conti con la <strong>di</strong>mensione<br />

sociale e a questi fini può anche essere espropriata, si, ma non mettendo per<br />

terra l’espropriato, con un indennizzo che deve essere equo. Poi i <strong>di</strong>ritti: io<br />

cito alla rinfusa <strong>di</strong>ritti civili, economici, politici, i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> riunione, libertà<br />

<strong>di</strong> riunione, libertà <strong>di</strong> associazione, <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> formare e creare partiti politici,<br />

<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> associarsi in forma sindacale, <strong>di</strong>ritto in<strong>di</strong>viduale <strong>di</strong> sciopero,<br />

libertà dello stato in libera chiesa (il famoso articolo 7 della nostra Costituzione),<br />

libertà <strong>di</strong> religione (<strong>di</strong> ogni religione), unità della Repubblica e delle<br />

autonomie locali.<br />

Attenzione! Alla base anche <strong>di</strong> cose che sembrano lontane, non so, per<br />

esempio l’in<strong>di</strong>visibilità della Repubblica, c’è sempre la scelta organizzativa,<br />

strutturale idonea alla migliore delle tutele possibili in cui ogni uomo<br />

uguale agli altri nella sua <strong>di</strong>gnità si riconosca.<br />

Quin<strong>di</strong> è tutto un <strong>di</strong>ritto, anche all’unità della Repubblica, <strong>di</strong>ritto alla<br />

cultura, <strong>di</strong>ritto alla salute, <strong>di</strong>ritto alla scuola, <strong>di</strong>ritto alla famiglia, all’educazione,<br />

la <strong>di</strong>fesa della patria, insomma tutto quello che la cultura innanzitutto<br />

occidentale, la migliore cultura occidentale, ha potuto pensare con l’andare<br />

dei secoli, dal tempo <strong>di</strong> Enea e dal tempo <strong>di</strong> Ulisse fino ad oggi per cogliere<br />

la persona umana come essenza, per tutelare i mo<strong>di</strong> attraverso i quali essa<br />

possa vivere, possa allietarsi, possa convivere con le altre persone nel modo<br />

più civile possibile. Molti <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>ritti sono espressamente previsti, altri<br />

sono il frutto dell’interpretazione, altri sono il frutto dottrinale o dell’interpretazione<br />

giurisprudenziale, altri sono il frutto della giurisprudenza della<br />

Corte costituzionale. Diritti che sono anche doveri si capisce. Quando noi<br />

concepiamo l’in<strong>di</strong>viduo come una persona noi la concepiamo come una<br />

persona che accontenti il suo stesso prossimo. I doveri <strong>di</strong> solidarietà non<br />

sono altro che la rappresentazione della persona come una medaglia a due<br />

facce: in una faccia c’è la persona in<strong>di</strong>viduale, nell’altra faccia c’è l’atto<br />

verso il prossimo; è anche chiaro che nei confronti del prossimo i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong>ventano<br />

anche dei doveri, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti e doveri, ecco perché la prima parte<br />

dopo quella dei principi fondamentali è intitolata “<strong>di</strong>ritti e doveri”. Il <strong>di</strong>ritto<br />

non è che l’altra faccia della medaglia che contiene anche l’altro. L’uomo è<br />

– 159 –


suo stesso prossimo e contemporaneamente membro della catena <strong>di</strong> generazioni,<br />

<strong>di</strong>ce Peter Escher, il più grande costituzionalista tedesco vivente oggi.<br />

Dovere <strong>di</strong> solidarietà politica, nel senso <strong>di</strong> doveri <strong>di</strong> solidarietà politica,<br />

economica, fiscale, sociale. Tanti altri doveri come il dovere <strong>di</strong> fedeltà alla<br />

Costituzione, alla lettera vedremo che vuol <strong>di</strong>re questo. Tralascio tutta la<br />

<strong>di</strong>mensione soprannazionale delle fonti del <strong>di</strong>ritto perché voi sapete che<br />

anche limitando il <strong>di</strong>scorso all’Europa, i <strong>di</strong>ritti non sono solo ciò che è riconosciuto<br />

dai vari Stati, ma sono già anche il derivato del <strong>di</strong>ritto soprannazionale<br />

del <strong>di</strong>ritto della Comunità europea, il <strong>di</strong>ritto creato dalle gran<strong>di</strong> corti<br />

internazionali <strong>di</strong> Strasburgo, <strong>di</strong> Lussemburgo, dell’Aia, la Corte Europea per<br />

la tutela dei <strong>di</strong>ritti dell’uomo, la Corte <strong>di</strong> Giustizia della Comunità europea,<br />

il Tribunale penale internazionale: (quello che ha condannato Milosevic,<br />

tanto per capirci) e così via. Quin<strong>di</strong>, voglio <strong>di</strong>re, la produzione <strong>di</strong> tutto ciò<br />

non è soltanto nazionale e non sarà soltanto mon<strong>di</strong>ale o sancita dalla Costituzione<br />

europea, è qualche cosa che già esiste accanto, a fianco dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong><br />

carattere costituzionale. Vi risparmio la lettura dei <strong>di</strong>ritti che si riconoscono<br />

adesso all’interno del progetto costituzionale. Sono gli stessi identici che<br />

vi ho già letto e che vengono a noi dal lontano 1948 più arricchiti e che<br />

naturalmente, andando più avanti, hanno acquisito sfaccettature sempre più<br />

sofisticate e colgono veramente in tutti i particolari più minuti i sacrosanti<br />

<strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> libertà che noi abbiamo. Pensate, sin dai primi anni, si parla <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ritto all’integrità della persona; non che la Costituzione non ci garantisca<br />

la privacy, la riservatezza, ma espressamente l’integrità la cognizione della<br />

struttura della pena, va bene, queste sono cose tra<strong>di</strong>zionali, ma vi rendete<br />

conto? Il rispetto della vita privata, in modo più preciso, vi risparmio dei<br />

contenuti che sono soltanto i titoli, il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sposarsi e <strong>di</strong> costituire una<br />

famiglia ecc. I <strong>di</strong>ritti dei minori, i <strong>di</strong>ritti dei <strong>di</strong>sabili, i <strong>di</strong>ritti dei bambini, ma<br />

è sempre la stessa cosa. Qui è detto in modo estremamente chiaro nella<br />

nostra Costituzione; tutto ciò si deduce benissimo se non a livello esegetico,<br />

cioè leggendo la legge così come è scritta in modo inequivocabile, all’interno<br />

<strong>di</strong> interpretazioni, per analogie, per principi e così via.<br />

Tutti questi <strong>di</strong>ritti vengono riconosciuti dalla Repubblica. Cosa vuol<br />

<strong>di</strong>re? Alla base <strong>di</strong> questo concetto c’è il retaggio del giusnaturalismo sia nel<br />

senso religioso, i <strong>di</strong>ritti sono quelli in<strong>di</strong>cati da Dio, l’uomo non li può fare e<br />

<strong>di</strong>sfare sia pure in un senso laico; si può anche <strong>di</strong>re, sempre in termini giusnaturalistici,<br />

che i <strong>di</strong>ritti sono il frutto della cultura, dell’acquisita consapevolezza<br />

e coscienza da parte dell’umanità, in questo viaggio infinito pieno<br />

<strong>di</strong> ansie e, gremito <strong>di</strong> sangue <strong>di</strong> storie è però orientato in un progresso che<br />

– 160 –


in<strong>di</strong>scutibilmente va verso il meglio; tutto va verso una sia pur lenta e faticosa<br />

realizzazione e quin<strong>di</strong> c’è anche un giusnaturalismo fondato sulla<br />

cultura, fondato sulla morale, sulla coscienza e, in qualche modo, non è certamente<br />

da meno del giusnaturalismo religioso; ma a parte questo, il riconoscimento<br />

sta ad in<strong>di</strong>care che l’eguale <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> ognuno, espressa dai suoi<br />

<strong>di</strong>ritti fondamentali, e dai suoi doveri è un prodotto culturale me<strong>di</strong>ato sia<br />

dalla religione, sia non me<strong>di</strong>ato dalla religione; è forse quello che Dossetti<br />

<strong>di</strong>ceva il miglior prodotto della civiltà occidentale, cioè a <strong>di</strong>fferenza delle<br />

altre civiltà rispetto alle quali l’occidente più spesso deve arrossire che gloriarsi,<br />

forse l’unica cosa <strong>di</strong> cui l’occidente non deve arrossire rispetto alle<br />

civiltà orientali, all’Islam, alla Cina, al Giappone ecc., è il suo costituzionalismo,<br />

il suo <strong>di</strong>ritto costituzionale, è l’affermazione a tutto tondo dell’esistenza<br />

<strong>di</strong> questa eguale <strong>di</strong>gnità espressa dai <strong>di</strong>ritti fondamentali ed inviolabili.<br />

Per il resto c’è <strong>di</strong> che vergognarsi a partire dal colonialismo e a continuare<br />

con gli scontri fatti dalla globalizzazione intesa soltanto non come<br />

costituzionalizzazione mon<strong>di</strong>ale dei <strong>di</strong>ritti fondamentali, ma come libero<br />

mercato lasciato al dominio delle multinazionali che se ne infischiano delle<br />

norme <strong>di</strong> qualsiasi tipo, tranne quelle che l’uomo si crea per poter ottenere<br />

il massimo profitto possibile. Allora questo che vuol <strong>di</strong>re? Che questa<br />

eguale <strong>di</strong>gnità è un prodotto culturale, come <strong>di</strong>ceva Diavelli, un grande<br />

commercialista e giurista ebreo: l’eguale <strong>di</strong>gnità della persona è un atto <strong>di</strong><br />

fede a priori, è un atto <strong>di</strong> fede laico-religiosa, non importa perché, ma<br />

perché guardando le cose non dal punto <strong>di</strong> vista del giusnaturalismo, ben<br />

inteso, ma dal punto <strong>di</strong> vista del naturalismo <strong>di</strong>ciamo, più alla lettera, tutto<br />

sembra <strong>di</strong>mostrare il contrario, che gli uomini non sono uguali, che gli uomini<br />

non sono tutti neri. Pensate al superuomo <strong>di</strong> Nietzsche, pensate a quell’oscuro<br />

“homo oeconomicus” che sembrerebbe il “dominus” della globalizzazione<br />

attuale. Ma dov’è l’eguaglianza, dove la <strong>di</strong>gnità? Che l’uomo invece<br />

sia un essere uguale e degno è un atto <strong>di</strong> fede a priori, fondato sulla<br />

convinzione che l’uomo nella sua essenza è una persona. È una persona sia<br />

se si intende, permettetemi <strong>di</strong> <strong>di</strong>re questo paradosso, come figlio <strong>di</strong> Dio, sia<br />

se lo si intende come padre <strong>di</strong> Dio, nella misura in cui Dio è figlio anche<br />

dell’uomo. Allora sia che si intende questa eguale <strong>di</strong>gnità per atto <strong>di</strong> fede a<br />

priori, in quanto l’uomo è figlio <strong>di</strong> Dio, sia in quanto si intende l’uomo<br />

padre <strong>di</strong> Dio, ben inteso, in senso altissimo, sempre si può partire da questa<br />

certezza; non è <strong>di</strong>mostrabile scientificamente, è qualche cosa che ognuno<br />

deve sentire nella sua anima, nella sua coscienza ed io sono sicuro che tutti<br />

noi, senza eccezione, sentiamo a <strong>di</strong>fferenza forse <strong>di</strong> quello che accadeva nel<br />

– 161 –


passato, soprattutto nel passato remoto dove questa uguaglianza non c’era,<br />

la non violenza non c’era, il rispetto per la vita non c’era e così via, almeno<br />

a livello così generalizzato come adesso nonostante che anche adesso ne<br />

succedano <strong>di</strong> tutti i colori in tutto il resto del mondo. Che cos’è quest’atto <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fendere i propri <strong>di</strong>ritti a priori nella pari <strong>di</strong>gnità dell’uomo? È una sorta <strong>di</strong><br />

premessa antropologica o antropologico-culturale, che è il cuore pulsante<br />

della nostra Costituzione. Il punto <strong>di</strong> Archimede dal quale partono tutte le<br />

derivazioni, tutti i rapporti <strong>di</strong> potere giustificati dalle guerre che le hanno<br />

legittimate.<br />

Questa idea centrale, e qui mi riallaccio a quello che ha detto il nostro<br />

Preside poco fa, è il rifiuto, della visone greca <strong>di</strong> un mondo retto da eterne<br />

leggi naturali e soggetto ad un fato necessario ed inevitabile; è un’idea dell’uomo<br />

libero e responsabile, attore <strong>di</strong> una storia fatta propria e ricca <strong>di</strong> speranza.<br />

Enea fonda, Ulisse ritorna, questi sono coloro a cui noi dobbiamo<br />

guardare più che alla frantumazione <strong>di</strong> Amleto, alle incertezza e ai frainten<strong>di</strong>menti<br />

<strong>di</strong> Don Chisciotte, all’uomo senza qualità <strong>di</strong> Musil, e così via o agli<br />

oscuri prodotti in questo senso nell’attuale globalizzazione sempre per<br />

ricordare le splen<strong>di</strong>de parole che ha detto il vostro Preside. L’uomo eguale,<br />

tempio del moderno Stato costituzionale, è il più bel prodotto dell’andata<br />

<strong>di</strong> Enea e del ritorno <strong>di</strong> Ulisse. Questo mondo è il punto <strong>di</strong> partenza su cui<br />

si fonda tutto a cominciare dalla nostra Costituzione.<br />

Cerco <strong>di</strong> accelerare; cosa vuol <strong>di</strong>re riconoscimento? Significa che si<br />

assume questa categoria dell’umanità eguale e degna, che è al tempo stesso<br />

prossimo suo, come qualche cosa che esiste a priori e che non può essere<br />

concesso graziosamente, attenzione, né dal tiranno, né dalla monarca, né<br />

dall’oligarchia, e neppure, e questo secondo me è centrale nel <strong>di</strong>scorso che<br />

io cerco sommessamente e male <strong>di</strong> farvi, e neppure dalla maggioranza del<br />

popolo. Vedremo cosa vuol <strong>di</strong>re questo: è quello che i costituzionalisti chiamano<br />

il primo dei principi supremi della nostra Costituzione, il così detto<br />

principio personalistico; il principio personalistico sta ad in<strong>di</strong>care che la nostra<br />

Costituzione pone come fondamento a priori riconosciuto e non creato,<br />

quello della sostanziale <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> ogni singolo uomo (art. 2) che è uguale a<br />

tutti gli altri uomini. La Repubblica riconosce e non crea, ve<strong>di</strong>amo cosa<br />

vuol <strong>di</strong>re. L’abbiamo in parte già detto, ma, per ora, sono solo parole. Bisogna<br />

<strong>di</strong>mostrare che cosa sia per arrivare per gra<strong>di</strong> a capire; noi partiamo<br />

dal “riconoscimento”. Il punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> fondo, almeno la premessa<br />

antropologica, deriva dalla Rivoluzione francese; dalla Dichiarazione dei<br />

<strong>di</strong>ritti ad oggi, ecco come vengono garantiti: è questo l’oggetto della se-<br />

– 162 –


conda parte della Costituzione intitolata: “Or<strong>di</strong>namento della Repubblica”.<br />

Cosa vuol <strong>di</strong>re questo? Attenzione perché oggi ci si lancia sciaguratamente<br />

nella possibilità <strong>di</strong> fare strage della seconda parte della Costituzione come<br />

se questa possa essere mo<strong>di</strong>ficata senza toccare la prima parte: ma questa è<br />

una follia. La seconda parte della Costituzione è il modo in cui sono garantiti<br />

i <strong>di</strong>ritti fondamentali: è esclusivamente strutturata e finalizzata alla tutela<br />

dei <strong>di</strong>ritti. La garanzia del secondo articolo avviene non solo nella<br />

prima parte della Costituzione, ma soprattutto nella seconda parte della Costituzione:<br />

sono le scarpe in cui i <strong>di</strong>ritti ed i loro pie<strong>di</strong> camminano, sono il<br />

motore che fa muovere, sono ciò che rende possibile l’effettività <strong>di</strong> questi<br />

<strong>di</strong>ritti e non soltanto la loro vali<strong>di</strong>tà la loro vali<strong>di</strong>tà astrale, come in fondo<br />

avveniva quando i <strong>di</strong>ritti erano tutelati dalla sola borghesia francese, la<br />

quale, avendo <strong>di</strong>strutto l’aristocrazia, ancora se ne “strafregava” del popolo<br />

sottomesso dal punto <strong>di</strong> vista almeno del riconoscimento dei <strong>di</strong>ritti ecc. Non<br />

so se mi spiego, la seconda parte è la garanzia, il primo concetto fondamentale<br />

che <strong>di</strong>ede luogo al primissimo riconoscimento delle uguali <strong>di</strong>gnità.<br />

Tutta la Repubblica, tutto lo Stato riconosce i <strong>di</strong>ritti fondamentali dando le<br />

strutture e facendo essere non solo in termini <strong>di</strong> dover essere, ma in termini<br />

<strong>di</strong> essere che questi <strong>di</strong>ritti siano reali, siano effettivi, siano veri. Come è garantito<br />

tutto ciò? Innanzitutto dalla struttura della Repubblica; voi sapete<br />

che nella nostra Costituzione si parla del Governo, della legislazione, si<br />

parla della giuris<strong>di</strong>zione. Poi si parla delle garanzie costituzionali, in sostanza<br />

si fa riferimento alla Corte costituzionale. Il secondo comandamento,<br />

come i <strong>di</strong>eci comandamenti della Bibbia, <strong>di</strong>ce Rossetti: “L’attuazione della<br />

nostra Costituzione, il vero banco <strong>di</strong> prova dello Spirito Santo su questa<br />

terra, come si tutela, come si garantiscono i <strong>di</strong>ritti della <strong>di</strong>chiarazione dei<br />

<strong>di</strong>ritti dell’uomo e del citta<strong>di</strong>no della Rivoluzione francese? Con un altro<br />

comandamento: il principio della separazione dei poteri.<br />

Spina dorsale centrale della struttura della seconda parte della Costituzione<br />

è la separazione dei poteri. Che quin<strong>di</strong> non sono <strong>di</strong>ritti soltanto ma<br />

anche dei doveri; attenzione, il fatto che sia il potere esecutivo, legislativo e<br />

giuris<strong>di</strong>zionale, sono poteri sello Stato, ma siccome lo Stato serve a tutelare<br />

i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> ognuno <strong>di</strong> noi non serve ad altro, perché non vale a servire lo<br />

Stato che non esiste o in un popolo che non esiste ma ogni singolo, sacro<br />

in<strong>di</strong>viduo. È anzitutto un dovere quello esecutivo, un dovere quello legislativo,<br />

un dovere quello giuris<strong>di</strong>zionale, un dovere <strong>di</strong> attuare e potere essere<br />

fissato da una premessa antropologica, secondo le strutture più adatte. Quali<br />

sono tali strutture? Questa separazione dei poteri, in che senso? Ma nel<br />

– 163 –


senso che il potere legislativo è rimesso al popolo alla sua maggioranza con<br />

il sistema che si è ritenuto tuttora <strong>di</strong> migliorare, il sistema parlamentare.<br />

Sapete bene fin dalla scelta del popolo pro Barabba e contro Gesù Cristo, a<br />

che cosa conduce lasciare il potere legislativo al popolo alle masse ed anche<br />

alle loro maggioranze. Perché quando Ponzio Pilato <strong>di</strong>ce: “volete Gesù o<br />

Barabba?”, probabilmente <strong>di</strong>ce che Barabba è la maggioranza, non è l’unanimità.<br />

Il sistema parlamentare, come fonte legislativa, è quello che garantisce<br />

meglio <strong>di</strong>rettamente rispetto ai sistemi, ad esempio, il sistema pubblicitario,<br />

il sistema referendario, il potere esecutivo, come ad esempio <strong>di</strong> potere<br />

attuare tutte queste strutture nel modo più imparziale più ossequiente nei<br />

confronti del parlamento dal quale deve avere la fiducia, in funzione <strong>di</strong><br />

questo suo dovere <strong>di</strong> attuazione della migliore vita possibile per i citta<strong>di</strong>ni<br />

sia come <strong>di</strong>ritto alla privacy sia come <strong>di</strong>ritto alla vita protettiva, in cui uno<br />

entra più <strong>di</strong>rettamente a contatto con gli altri. Il potere giuris<strong>di</strong>zionale, dato<br />

il poco tempo, mi sono volutamente astenuto dal <strong>di</strong>re che tra i <strong>di</strong>ritti fondamentali<br />

della prima parte della Costituzione c’è anche l’art. 24, che parla<br />

del <strong>di</strong>ritto che tutti noi abbiamo <strong>di</strong> agire in giu<strong>di</strong>zio per la tutela dei nostri<br />

<strong>di</strong>ritti, e si capisce e come il potere legislativo dunque l’essere con<strong>di</strong>zionato<br />

o dominato dal potere esecutivo come del resto se passasse l’attuale riforma<br />

in cui il Presidente del Consiglio ha il potere <strong>di</strong> sciogliere il Parlamento,<br />

così il giu<strong>di</strong>ce non deve essere assoggettato al potere esecutivo, ci mancherebbe<br />

altro. Come se il potere esecutivo potesse coor<strong>di</strong>nare i pubblici ministeri<br />

o consentisse ai giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> decidere in un modo o nell’atro come pure è<br />

avvenuto e purtroppo avviene in parte anche nei nostri or<strong>di</strong>namenti occidentali.<br />

D’altra parte è anche vero che ci vuole un rapporto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza<br />

tra il potere legislativo ed il potere giuris<strong>di</strong>zionale. È anche vero che il giu<strong>di</strong>ce<br />

deve essere soggetto soltanto alla legge; è anche vero che nell’essere<br />

soggetto alla legge ha tutta quella libertà datagli dal potere <strong>di</strong> interpretare<br />

non come la mera voce della legge come si è anche tentato <strong>di</strong> inserire nella<br />

riforma dell’or<strong>di</strong>namento giu<strong>di</strong>ziario. Il giu<strong>di</strong>zio è, sì, assoggettamento alla<br />

legge, ma la legge ci viene inevitabilmente interpretata, anche perché la<br />

legge <strong>di</strong> solito non basta, l’interpretazione esegetica, ci vuole l’interpretazione<br />

analogica, l’interpretazione dei principi generali va bene. Vi è sempre<br />

uno spazio piccolo o grande <strong>di</strong> libertà, però rimane il fatto che la grande<br />

<strong>di</strong>visone non ci può non essere. Terzo comandamento è la Repubblica parlamentare,<br />

ne abbiamo già parlato. Quarto comandamento è la garanzia<br />

espressa dal potere esecutivo e dalla pubblica amministrazione. Quinto comandamento<br />

è l’autonomia della magistratura. Sesto comandamento è il<br />

– 164 –


Presidente della Repubblica. Nella nostra Costituzione il Presidente della<br />

Repubblica è l’organo neutrale garante del rispetto della Costituzione. Ha<br />

pochi poteri ma fondamentali: potere <strong>di</strong> sciogliere il Parlamento, quando<br />

questo rispetto è violato in un certo modo. Potere <strong>di</strong> respingere la legge,<br />

chiedendo una seconda lettura, quando la legge è incostituzionale. Potere <strong>di</strong><br />

inviare messaggi al Parlamento; potere <strong>di</strong> fare <strong>di</strong>scorsi finalizzati alla tutela<br />

della Costituzione. Come si garantisce tutto questo? Come si garantisce il<br />

riconoscimento dei <strong>di</strong>ritti ed il rispetto <strong>di</strong> uno Stato Repubblicano, costituito<br />

essenzialmente in funzione della tutela dei <strong>di</strong>ritti. In tanti mo<strong>di</strong>, dall’interno<br />

<strong>di</strong>ciamo, innanzitutto del Paese, della Repubblica, del suo complessivo<br />

or<strong>di</strong>namento, innanzitutto costituzionale e in che modo? Anzitutto con la tutela<br />

dei <strong>di</strong>ritti fatta dalla magistratura, poi con il Presidente della Repubblica<br />

neutrale che decide purtroppo, non ci <strong>di</strong>mentichiamo, che il presidente<br />

della Repubblica è anche Presidente del Consiglio superiore della magistratura<br />

che dà or<strong>di</strong>ne alla organizzazione della magistratura, proprio perché la<br />

magistratura non sia in nessun modo con<strong>di</strong>zionata dal potere esecutivo. Poi<br />

la Corte costituzionale, che si potrebbe definire il quarto potere. Potere<br />

dello Stato, perché la Costituzione per il suo metodo elettivo che è il più<br />

aperto ed il più libero ed il meno con<strong>di</strong>zionato possibile dal potere politico,<br />

in quanto cinque giu<strong>di</strong>ci sono nominati dal Presidente della Repubblica,<br />

cinque dalle alte magistrature e cinque dal Parlamento. La riforma attuale,<br />

sciagurata, vuole arrivare a sette giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> nomina parlamentare con il risultato<br />

che siccome il totale dei quin<strong>di</strong>ci giu<strong>di</strong>ci costituzionali può decidere<br />

con la maggioranza <strong>di</strong> otto su quin<strong>di</strong>ci, sette nominati dalla maggioranza<br />

parlamentare, cioè dalla maggioranza legata al Governo più uno, non funziona.<br />

Basterebbe questo per mandare in malora qualsiasi funzione neutrale<br />

obiettiva della Corte costituzionale.<br />

Questo è il modo per tutelare la Costituzione, ma bisogna anche <strong>di</strong>re<br />

che tutto ciò è fissato dalla nostra Costituzione in termini <strong>di</strong> eccezionale<br />

rigi<strong>di</strong>tà, che non ha probabilmente l’eguale nella sua chiarezza e trasparenza<br />

neppure nelle altre Costituzioni europee. La Costituzione è la legge suprema,<br />

quella che sta sopra la legge or<strong>di</strong>naria.<br />

Nasce dal crogiuolo ardente e universale della II Guerra Mon<strong>di</strong>ale e<br />

dell’Olocausto e dunque ancor prima che dai fatti più interni italiani, quali<br />

la Resistenza, la lotta partigiana, il rigetto del Fascismo.<br />

È inoltre il frutto <strong>di</strong> una palingenesi straor<strong>di</strong>naria che ha fatto sì che i<br />

Costituenti delle idee più pazzescamente opposte – comunisti, cattolici, laici<br />

– si fossero come spogliati del “particolare”, degli aspetti peggiori <strong>di</strong><br />

– 165 –


ognuna <strong>di</strong> queste tre categorie, confluendo – come <strong>di</strong>ce Dossetti – in un<br />

consenso comune, moderato ed equo, nel riconoscimento delle cose che<br />

univano, e non <strong>di</strong> quelle che <strong>di</strong>videvano. Questa è la triplice anima della<br />

nostra Costituzione, “lato sensu” socialista, “lato sensu” laico-liberale,<br />

“lato sensu” cattolica (meglio sarebbe <strong>di</strong>re cristiana).<br />

La nostra Costituzione quin<strong>di</strong>, pone le proprie fondamenta sulla scia <strong>di</strong><br />

un evento palingenetico straor<strong>di</strong>nario, inconsueto e molto raro. Ed è stata<br />

realizzata nel più perfetto rispetto <strong>di</strong> questi principi comuni. Certamente<br />

sono numerosi gli elementi imperfetti non tanto nella parte dei <strong>di</strong>ritti, quanto<br />

nella parte organizzativa: il bicameralismo perfetto è <strong>di</strong>scutibile, i poteri del<br />

primo ministro possono essere aumentati per evitare una eccessiva fragilità,<br />

ecc...<br />

Gli aspetti fondamentali però, a cominciare dalla separazione dei poteri<br />

o dall’autonomia e in<strong>di</strong>pendenza della magistratura o dal ruolo neutrale del<br />

Presidente della Repubblica, non si possono toccare.<br />

L’importanza <strong>di</strong> non mo<strong>di</strong>ficare la Costituzione è sostenuta dalla dottrina<br />

consolidata costituzionalista italiana, dalla giurisprudenza unanime<br />

della Corte Costituzionale e inoltre da tutto il <strong>di</strong>ritto sopranazionale, partendo<br />

dal quel che è accaduto in Europa con le Corti <strong>di</strong> giustizia, e, finendo<br />

con l’ONU e le azioni conseguenti al suo operato. Non si tratta perciò <strong>di</strong><br />

una questione politica, <strong>di</strong> scontro tra maggioranza e opposizione, come si<br />

vuole intendere oggi.<br />

Gli art. 138-139 sono le due norme finali della nostra Costituzione, che<br />

in collegamento con gli art. 1-2-3 fissano le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fica della<br />

Costituzione.<br />

L’articolo 138 che rappresenta una prima tutela, afferma che, per mo<strong>di</strong>ficare<br />

(“rectius”), o per revisionare la Costituzione italiana, sono necessarie<br />

maggioranze parlamentari qualificate. Dopo una doppia lettura, c’è anche la<br />

possibilità <strong>di</strong> un referendum, come quello che ci apprestiamo a vivere nella<br />

prossima Primavera.<br />

In questo momento in Italia sta accadendo ad<strong>di</strong>rittura che la Costituzione,<br />

legge sopraor<strong>di</strong>nata e quin<strong>di</strong> rigida, venga mo<strong>di</strong>ficata con la legge<br />

or<strong>di</strong>naria e questo viola innanzitutto il principio dell’autonomia e in<strong>di</strong>pendenza<br />

della magistratura, esattamente come i vari problemi <strong>di</strong> conflitto <strong>di</strong><br />

interessi violano i principi fondamentali <strong>di</strong> libertà <strong>di</strong> informazione, <strong>di</strong> acquisizione,<br />

<strong>di</strong> pluralismo dei mezzi <strong>di</strong> informazione.<br />

L’articolo 139 infine <strong>di</strong>chiara che la forma Repubblicana non è soggetta<br />

a revisione costituzionale. Con la forma Repubblicana, si vuole intendere la<br />

– 166 –


prima parte, quella della premessa antropologica e cioè i <strong>di</strong>ritti e la seconda<br />

parte, ovvero le strutture fondamentali perché ciò possa avvenire.<br />

La forma Repubblicana non si può mo<strong>di</strong>ficare neppure col proce<strong>di</strong>mento<br />

<strong>di</strong> revisione costituzionale. Se lo si fa si compie un colpo <strong>di</strong> Stato,<br />

bianco, ma autentico come lo è ogni eversione e sovversione che fuoriesce<br />

dai limiti e dalle forme del secondo comma dell’articolo 1.<br />

“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nei limiti e nelle<br />

forme della Costituzione”. Ciò significa che il concetto tuttora dominante in<br />

quasi tutto il mondo, che rimane sempre l’assunto <strong>di</strong> Rousseau, quello dell’onnipotenza<br />

del popolo e del principio maggioritario, è rifiutato categoricamente<br />

dalla nostra Costituzione. Questa afferma che non si può a colpi <strong>di</strong><br />

maggioranza, mo<strong>di</strong>ficare la Costituzione, altrimenti ci sarebbe, come <strong>di</strong>ce<br />

Calamandrei, una tirannia della maggioranza.<br />

Le costituzioni rigide infatti sono catene che l’uomo liberamente pone a<br />

se stesso, per i momenti <strong>di</strong> luci<strong>di</strong>tà e per evitare <strong>di</strong> suicidarsi nei momenti <strong>di</strong><br />

follia. Questo è riconosciuto dall’Italia in modo straor<strong>di</strong>nariamente chiaro.<br />

In base all’articolo 2 della Costituzione, la sentenza n. 366 del 1991,<br />

<strong>di</strong>ce riguardo al <strong>di</strong>ritto a una comunicazione libera segreta e inviolabile nel<br />

senso generale, che il suo contenuto essenziale non può essere oggetto <strong>di</strong><br />

revisione costituzionale.<br />

Una revisione costituzionale può essere però compiuta in senso migliorativo,<br />

aumentando la segretezza. Questa sentenza riguarda infatti la riservatezza<br />

epistolare.<br />

La sentenza n. 1146 del 1988 invece attesta che la Costituzione Italiana<br />

contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o mo<strong>di</strong>ficati<br />

nei loro elementi fondamentali neppure da leggi <strong>di</strong> revisione costituzionale<br />

o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa<br />

Costituzione prevede come limiti assoluti al potere <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fica costituzionale,<br />

quale la forma Repubblicana, quanto i principi che, pur non essendo<br />

espressamente menzionati, tra quelli non assoggettati al proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> revisione<br />

costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali<br />

si fonda la Costituzione (ad esempio il principio <strong>di</strong> autonomia e in<strong>di</strong>pendenza<br />

della magistratura, il principio che il parlamento non possa essere<br />

soggetto al potere esecutivo, il <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> incrinare il dogma della separazione<br />

dei poteri).<br />

Questo è il sole <strong>di</strong> tutto quel che si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto ed è veramente<br />

degno della sua missione più nobile: la tutela <strong>di</strong> ognuno <strong>di</strong> noi come persona<br />

meritevole <strong>di</strong> vivere, senza <strong>di</strong>sparità rispetto agli altri.<br />

– 167 –


Dove va a finire il contratto sociale e il concetto che il popolo è come<br />

Dio? Il popolo ha la sovranità assoluta ma <strong>di</strong> rispettare i principi fondamentali<br />

e non <strong>di</strong> <strong>di</strong>minuirli. Il principio maggioritario non può toccare i valori<br />

essenziali della Costituzione.<br />

Di questo si parla poco in Italia anche da parte della opposizione, perché<br />

non si vuole incrinare il primato della politica sul <strong>di</strong>ritto. Questo primato, da<br />

Rousseau in poi, quanto meno, permette al popolo a colpi <strong>di</strong> maggioranza,<br />

<strong>di</strong> fare quello, che vuole. Prima della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, anche in una<br />

visione pubblicistica tedesca, si è arrivati ad<strong>di</strong>rittura a <strong>di</strong>re che se si giungesse<br />

pure al colpo <strong>di</strong> stato, e questo mo<strong>di</strong>ficasse l’or<strong>di</strong>namento in termini <strong>di</strong><br />

effettività, perché la maggioranza lo riconoscerebbe, la norma fondamentale<br />

realizzata “ex novo” con il colpo <strong>di</strong> stato non potrebbe comunque <strong>di</strong>ventare<br />

valida.<br />

In Italia non si potrebbe dunque nemmeno pre<strong>di</strong>care una vali<strong>di</strong>tà conseguente<br />

<strong>di</strong> una carta costituzionale, all’effettività del colpo <strong>di</strong> stato. Se anche<br />

ciò avvenisse in Italia o in Europa ormai per fortuna, ci sarebbe l’or<strong>di</strong>namento<br />

sopranazionale, che interverrebbe, perché i principi dell’or<strong>di</strong>namento<br />

mon<strong>di</strong>ale vietano questi colpi <strong>di</strong> stato. Esiste persino il <strong>di</strong>ritto del citta<strong>di</strong>no a<br />

rivolgersi alla Commissione dei <strong>di</strong>ritti dell’ONU proprio per lamentare<br />

questi soprusi. All’interno dell’Italia vi è poi il <strong>di</strong>ritto che è l’altra faccia<br />

della fedeltà alla Repubblica, quello <strong>di</strong> resistenza.<br />

Il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> resistenza è l’ultimo dei <strong>di</strong>ritti in<strong>di</strong>viduabili, che non può<br />

essere mai calpestato neppure dal colpo <strong>di</strong> stato che abbia il successo del<br />

99%. Basta un citta<strong>di</strong>no che testimoni ancora la fedeltà alla Repubblica<br />

resistendo, perché la Costituzione sia ancora salva.<br />

La consapevolezza <strong>di</strong> questa nostra realtà giuri<strong>di</strong>ca etica e religiosa, è<br />

qualcosa che tutti noi dobbiamo avere nel cuore. Tutti i politici invece ritengono<br />

che la politica venga prima del <strong>di</strong>ritto. Questo <strong>di</strong>ritto viene prima della<br />

politica e si esprime considerando illegittimo tutto ciò che qualsiasi politica,<br />

a colpi <strong>di</strong> qualsiasi maggioranza, fa contro il riconoscimento dei nostri<br />

<strong>di</strong>ritti fondamentali.<br />

Domanda n. 1: Gabriele<br />

Dal suo <strong>di</strong>scorso ho capito che lei ha una gran<strong>di</strong>ssima fiducia nella<br />

costituzione e nell’ONU. In questi ultimi anni però ci sono state ben due<br />

guerre, quella in Kosovo e quella in Iraq alle quali l’Italia non si è opposta<br />

pur essendo presente nella costituzione italiana il ripu<strong>di</strong>o assoluto della<br />

guerra. Sono state utilizzate anche armi come il napalm e l’uranio impove-<br />

– 168 –


ito (ban<strong>di</strong>te dalla comunità internazionale). Volevo sapere da lei perché è<br />

possibile arrogarsi il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> portare in un paese la pace usando la guerra e<br />

perché non sono stati presi provve<strong>di</strong>menti dall’ONU.<br />

Domanda n. 2: Prof.ssa Fierro<br />

Questo riferimento che il professore ha fatto a Calamandrei e che poi io<br />

ho riletto con piacere in Gustavo Zagrebelsky, un costituzionalista molto<br />

serio, il quale ha scritto un bellissimo libro che si chiama “Il Crucifige e la<br />

democrazia”, il riferimento è il processo a Gesù e quin<strong>di</strong> la possibilità della<br />

“tirannide della maggioranza”; ecco io vorrei un chiarimento su quella che<br />

secondo il professore si possa o meno definire una “tirannide della maggioranza”,<br />

quella in cui stiamo vivendo per ciò che riguarda le modalità con<br />

cui sono state apportate mo<strong>di</strong>fiche al testo costituzionale.<br />

Domanda n. 3: Giulio<br />

Ho sentito che l’incipit della costituzione europea è “L’Europa è un<br />

continente portatore <strong>di</strong> civiltà”. Vorrei sapere in che senso va interpretata<br />

questa affermazione.<br />

Domanda n. 4 Stefano<br />

Vorrei sapere secondo lei quali potrebbero essere i futuri sviluppi della<br />

costituzione europea poiché si è visto un certo <strong>di</strong>sinteresse da parte dei giornali<br />

e dei mezzi <strong>di</strong> comunicazione in generale su questa questione dell’Europa,<br />

e quale potrebbe essere il nostro ruolo <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni europei.<br />

Domanda n. 5: Mario<br />

Vorrei sapere se secondo lei è possibile cambiare la terza parte della<br />

costituzione come è stato fatto in questi mesi, e se lei pensa che questo<br />

nuovo or<strong>di</strong>namento possa meglio far rispettare i principi della prima parte<br />

della costituzione, oppure se in ogni caso la terza parte debba essere considerata<br />

inviolabile in quanto strettamente collegata alla prima.<br />

Domanda n. 6: Andrea<br />

Non sono stati trattati alcuni punti <strong>di</strong> questa riforma sulla costituzione,<br />

cioè per esempio il federalismo, e quin<strong>di</strong> l’acquisizione <strong>di</strong> un maggiore potere<br />

da parte delle regioni, la <strong>di</strong>minuzione del numero <strong>di</strong> deputati e senatori<br />

che otterrebbe secondo me effetti positivi per il governo italiano, una maggiore<br />

velocità nelle decisioni, e anche un minore spreco economico. Ho<br />

– 169 –


anche una domanda forse un po’ provocatoria che riguarda gli stranieri in<br />

Italia che purtroppo a mio avviso godono in alcuni casi <strong>di</strong> maggiori <strong>di</strong>ritti e<br />

sicuramente meno doveri dei citta<strong>di</strong>ni italiani che pagano le tasse.<br />

Risposte del professor Lucio Lanfranchi<br />

Kosovo e Iraq. Io sono ferocemente contrario alle contrad<strong>di</strong>zioni, lacune,<br />

timidezze del comportamento dell’ONU. Ritengo che fino a quando è<br />

durata la guerra fredda e prima del crollo del muro <strong>di</strong> Berlino, l’ONU non<br />

abbia potuto far nulla, non fosse altro perché il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> veto all’interno del<br />

consiglio <strong>di</strong> sicurezza, come voi sapete spettante alla Cina, alla Francia, all’Inghilterra,<br />

alla Russia, agli Stati Uniti paralizzava qualsiasi azione. Io ho<br />

trattato questo tema nella presentazione <strong>di</strong> questo libro che abbiamo pubblicato<br />

presso l’Enciclope<strong>di</strong>a italiana, che è “Lo stato costituzionale”, che è la<br />

summa del pensiero costituzionalista <strong>di</strong> un gran<strong>di</strong>ssimo giurista, il quale è,<br />

secondo me, il migliore costituzionalista che in questo momento c’è al<br />

mondo, certamente in Europa, dove proprio nella prima parte, parlando<br />

della parte rigida (l’intervento che io ho fatto qui è intitolato “Lo stato costituzionale<br />

e le clausole d’eternità” dove per clausole d’eternità mi riferisco<br />

proprio alle parti rigide e immo<strong>di</strong>ficabili della nostra costituzione), <strong>di</strong>co che<br />

oggi, dopo il crollo del muro <strong>di</strong> Berlino, nel 1989, l’ONU s’è rimesso a<br />

marciare, pur tra tante antinomie, contrad<strong>di</strong>zioni, eccetera, in un modo<br />

come fin ora non era mai accaduto, perché in fondo, certo, non tutti gli<br />

interventi nei Balcani sono stati interventi nella giusta e seria linea ONU <strong>di</strong><br />

tutela delle minoranze, <strong>di</strong> tutela contro i genoci<strong>di</strong> eccetera. Altre cose possono<br />

essere state sbagliate, ma talune sono state giuste, e per la guerra in<br />

Iraq (non ci <strong>di</strong>mentichiamo che questa sciagurata guerra promossa dall’amministrazione<br />

Bush, più che dagli americani), perché c’è anche un’anima<br />

splen<strong>di</strong>da degli americani, come pure c’è un’anima come in tutti i paesi, a<br />

incominciare, ahinoi dall’Italia, <strong>di</strong> persone che non si riconoscono nelle<br />

cose che <strong>di</strong>ciamo noi, quin<strong>di</strong> non si riconoscono neanche nei principi fondamentali<br />

dell’ONU e cose del genere, <strong>di</strong>co che l’ONU non ha dato il permesso,<br />

l’amministrazione Bush ha fatto <strong>di</strong> testa sua, io qui sono violentissimo,<br />

e quasi equiparo e quasi giungo ad equiparare l’azione dell’amministrazione<br />

Bush in Iraq allo stesso livello <strong>di</strong> quello che ha fatto l’America a<br />

Guantanamo, suscitando le reazioni più forsennate contro e più sacrosante<br />

della stessa corte costituzionale americana e dello stesso suo primo presidente<br />

ultraconservatore, che ha stigmatizzato nel modo più violento la violazione<br />

palese dei <strong>di</strong>ritti umani avvenuti nei confronti dei prigionieri del<br />

– 170 –


Guantanamo. Quin<strong>di</strong>, voglio <strong>di</strong>re, c’è un’azione negativa degli Stati Uniti,<br />

in taluni casi dello stesso ONU, che io stigmatizzo in questo modo. Per quel<br />

che mi riguarda, rispondo innanzi tutto a Gabriele <strong>di</strong>cendo che lui ha ragione<br />

a sostenere che vi sono tanti comportamenti antitetici all’interno dell’ONU,<br />

però è anche vero che nella storia intera dell’umanità, l’esistenza <strong>di</strong><br />

un’organizzazione soprannazionale che ormai abbraccia tutto il mondo, che<br />

si accinge anche a mo<strong>di</strong>ficare, sia pur cautamente lo stesso sistema del consiglio<br />

<strong>di</strong> sicurezza togliendo questo potere <strong>di</strong> veto, allargandolo quantomeno<br />

e quin<strong>di</strong> democratizzandolo, non si è mai vista, e per tutta la storia dell’umanità<br />

si è lasciato fare agli stati quello che volevano in fatto <strong>di</strong> guerra, era<br />

il loro potere, il loro dominio, l’unico limite era che non bisognava pestarsi<br />

i pie<strong>di</strong> a vicenda, e se ce li si pestava bisognava che quelli si scannassero tra<br />

<strong>di</strong> loro; voglio <strong>di</strong>re che tutto ciò che avviene è un passo avanti gigantesco,<br />

lento rispetto alla storia del miglioramento, ma positivo. E poi c’è l’opinione<br />

pubblica mon<strong>di</strong>ale, che sa muoversi e mobilitarsi in un modo straor<strong>di</strong>nario<br />

ed ha un peso politico in ultima analisi anche giuri<strong>di</strong>co fortissimo;<br />

quello che il mondo ha saputo <strong>di</strong>re contro Guantanamo e contro la guerra in<br />

Iraq non giustificata e quin<strong>di</strong> anche le menzogne poste alla base <strong>di</strong> questo, è<br />

una cosa straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> cui bisogna tener conto anche a livello giuri<strong>di</strong>co,<br />

perché in fondo ciò che fa l’effettività della carta dell’ONU, come ciò che<br />

fa l’effettività della nostra carta costituzionale della nostra Repubblica fondata<br />

sul lavoro sinceramente democratica, è anche l’opinione che davvero<br />

non si riesce ad esprimere a livello parlamentare e a livello maggioritario,<br />

ma <strong>di</strong> quella che è la grande massa degli italiani, che se si riconosce in<br />

questi valori ha un peso giuri<strong>di</strong>co straor<strong>di</strong>nario, non fosse altro perché per<br />

esempio è probabile, io lo spero ardentemente, che la prossima primavera<br />

faccia vivere questo tipo d’Italia le buone ragioni che io ho cercato <strong>di</strong><br />

esporre cancellando questa sciagurata legge costituzionale, la risposta,<br />

Gabriele, è questa.<br />

Modalità dell’attuazione delle riforme costituzionali attuali dette dalla<br />

professoressa: qui il <strong>di</strong>scorso è molto vasto; io rimango persuaso che la<br />

maggior parte <strong>di</strong> quelle che si chiamano riforme costituzionali ormai approvate<br />

in doppia lettura alla camera, e ormai sottoposte al referendum che avverrà<br />

tra qualche mese siano sostanzialmente tutte incostituzionali, con un<br />

tasso <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> gravità. Direi, e mi fa piacere che uno <strong>di</strong> voi abbia parlato<br />

della devolution, delle regioni, ecc, che i profili <strong>di</strong> incostituzionalità della<br />

devolution, sia pure gravi, non sono così gravi come le altre incostituzionalità<br />

che sono state commesse e che io ho accennato: praticamente l’aboli-<br />

– 171 –


zione della separazione dei poteri mettendo il parlamento sotto il pugno del<br />

presidente del consigli dei ministri. Questa è la sostanza. Non posso più<br />

spiegare perché, potrei articolatamente vista la miriade <strong>di</strong> pubblicazioni, e<br />

poi altre cose, la riforma della corte costituzionale, politicizzando, voi capite<br />

che qualunque cosa avvenga <strong>di</strong> palese incostituzionalità, assoggettata<br />

ad un ultimo controllo, che sta prima della rivoluzione, della resistenza è<br />

quello della corte costituzionale, è adesso in mano al governo. Ora io lamento<br />

le sciagure che fa questa maggioranza, ma ce ne sono state altre altrove<br />

fatte da maggioranze <strong>di</strong> sinistra, per carità. Io sono un vecchio laico<br />

azionista, tanto perché sia chiaro, con aperture sociali nei limiti delle mie<br />

modeste possibilità, ma non sono mai stato né comunista, né democristiano,<br />

ecc... Mi colloco lì al mezzo, una specie <strong>di</strong> piccolo cane bastardo con pochi<br />

altri piccoli cani che non si riconoscono praticamente da nessuna parte.<br />

Però è là poi uno dei tre spiriti della costituzione, quello <strong>di</strong> Calamandrei, e<br />

così via; quin<strong>di</strong> voglio <strong>di</strong>re: la devolution, certo, è sciagurata la cosa, non<br />

fosse altro che dal punto <strong>di</strong> vista della scuola, dare autonomia sui meto<strong>di</strong><br />

alle <strong>di</strong>verse regioni vuol <strong>di</strong>re <strong>di</strong>videre l’Italia in uno dei punti più centrali.<br />

L’educazione, la parità, l’equilibrio, il fatto <strong>di</strong> fare la stessa cosa per quel<br />

che riguarda l’aspetto sanitario è altrettanto grave. Si tende a far <strong>di</strong>ventare<br />

la regione uno stato federale, come sono gli Stati uniti d’America, e questo<br />

è vietato dalla nostra costituzione, perché la nostra costituzione fissa come<br />

primo principio quello dell’unità e dell’in<strong>di</strong>visibilità pur nell’ambito <strong>di</strong> un<br />

progressivo arricchimento delle autonomie locali, ma senza che questo progressivo<br />

ampliamento dell’autonomia regionale vada a toccare uno, due o<br />

tre dei principi fondamentali: unità dell’educazione, eguaglianza dei citta<strong>di</strong>ni<br />

rispetto del <strong>di</strong>ritto alla scuola, eguaglianza dei citta<strong>di</strong>ni rispetto al<br />

<strong>di</strong>ritto alla sanità; ma se io milanese voglio essere curato a Caltanisetta o ad<br />

Agrigento perché non ci devo poter andare, e poi anche l’aspetto fiscale per<br />

certi aspetti; la polizia è meno grave, la polizia amministrativa, municipale<br />

perché già c’è, ci sono i vigili urbani, ci sono le polizie provinciali, ma in<br />

realtà l’argomento della devolution non è così importante, e perché invece<br />

si parla solo <strong>di</strong> questo e non del resto? Perché se si parlasse del resto, si toccherebbe<br />

il primato della politica sul <strong>di</strong>ritto e si <strong>di</strong>sturberebbero tutti,<br />

centro, destra e, devo <strong>di</strong>re, anche sinistra. D’altra parte non ci <strong>di</strong>mentichiamo<br />

che quello che è accaduto e si sta, spero <strong>di</strong> no, perfezionando (in<br />

Italia se si perfezionasse saremmo <strong>di</strong> fronte ad un colpo <strong>di</strong> stato, incruento,<br />

bianco, ma un colpo <strong>di</strong> stato) era già stato preparato dalla bicamerale, e la<br />

bicamerale era presieduta dall’Onorevole Massimo D’Alema, dall’Onore-<br />

– 172 –


vole Boato, da Berlusconi e da tante altre persone;e delle molte cose che<br />

sono state poi fatte perché non se ne parla? perché non si parla <strong>di</strong> quello che<br />

accade adesso? Perché in qualche modo si accuserebbe chi allora in qualche<br />

modo era favorevole; in fondo l’unica cosa che ha fatto crollare la bicamerale<br />

è stato il rifiuto <strong>di</strong> mettere le mani sulla parte relativa alla giustizia, ed<br />

era fuori dai compiti istitutivi della commissione bicamerale la giustizia.<br />

Neanche il più destrorso uomo <strong>di</strong> sinistra poteva accettare che la bicamerale<br />

si interessasse anche <strong>di</strong> cose che erano istituzionalmente escluse a priori;<br />

ma se non ci fosse stato questo, per il resto: mo<strong>di</strong>fica del parlamento, mo<strong>di</strong>fica<br />

dell’organizzazione del governo, un presidenzialismo accentuato tipo<br />

Bush, era una cosa anticostituzionale, e questo era già previsto nella bicamerale,<br />

ecco allora io rispondo alla professoressa Fierro: la ragione per cui<br />

oggi si parla più della devolution è questa. E la risposta che più mi preme <strong>di</strong><br />

dare alla professoressa è che quello in cui sono veramente solo in Italia, è<br />

l’unica cosa <strong>di</strong> vanagloria che <strong>di</strong>co, è che io dovunque vada, in qualsiasi<br />

ambiente <strong>di</strong> sinistra in cui vada, anche <strong>di</strong> estrema sinistra, anche a sinistra <strong>di</strong><br />

rifondazione comunista o a sinistra dei comunisti italiani, ogni volta che<br />

apro il <strong>di</strong>scorso sulla rigi<strong>di</strong>tà della costituzione, e sull’impossibilità <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficarla<br />

a colpi <strong>di</strong> maggioranza, mi trovo il deserto, e mi trovo facce annoiate,<br />

facce irritate, facce che <strong>di</strong>cono: “Ma che cosa vai cercando? Tutto è<br />

forza! Tutto è politica!”. Ci si batte sui contenuti della politica, non a priori<br />

sulla legittimità <strong>di</strong> certe soluzioni che non dovrebbero essere ammesse nella<br />

<strong>di</strong>scussione parlamentare, che dovrebbero essere castigate imme<strong>di</strong>atamente<br />

dalla corte costituzionale. Quin<strong>di</strong> la cosa grave è proprio questa, che oggi in<br />

Italia nessuno ha detto che queste riforme sono incostituzionali e fuoriescono<br />

dalla 138. La sinistra sostiene che tutta la seconda parte, o gran parte,<br />

possa essere si mo<strong>di</strong>ficata con la 138, salvo poi <strong>di</strong>re che è una cattiva mo<strong>di</strong>fica,<br />

quin<strong>di</strong> si parla <strong>di</strong> cattiva, pessima, cattivissima riforma costituzionale,<br />

comunque illegittima perché contraria ai principi fondamentali. E questa è<br />

una cosa gravissima contro la quale non c’è altro da sperare che non <strong>di</strong>co<br />

tutti, ma neanche <strong>di</strong>co la maggioranza, ma qualcuno <strong>di</strong> voi, convinto, ma<br />

non per le cose che ho detto oggi, andandosi a documentare e a vedere se<br />

quello che ho detto sono balle o sono cose vere, almeno parzialmente si<br />

convinca <strong>di</strong> queste con tutta la forza della vostra gioventù, capisca che bisogna<br />

impegnarsi civilmente perché dopo il crollo delle cosiddette ideologie,<br />

ne viene una ancora più forte <strong>di</strong> tutte le ideologie <strong>di</strong> destra, <strong>di</strong> sinistra. È<br />

l’ideologia della bellezza della nostra costituzione, cioè della bellezza della<br />

democrazia intesa come tutela dei vari citta<strong>di</strong>ni e delle singole persone, e<br />

– 173 –


come valga la pena <strong>di</strong> appassionarsi per questo come giovani, come magistrati,<br />

come avvocati, come uomini politici; c’è un grande bisogno <strong>di</strong> freschezza<br />

e <strong>di</strong> rottura <strong>di</strong> schemi in nome delle cose che se sono vere sono<br />

giuste, tipo queste che ho detto io oggi. Per quel che riguarda l’Europa portatrice<br />

<strong>di</strong> civiltà, Giulio, l’ho detto prima. In che senso? Forse solo nel senso<br />

che è, non <strong>di</strong>co esclusivamente, ma quasi nel mondo occidentale, e lì innanzi<br />

tutto in Europa, che ha una storia più antica, la Magna Charta... è vero<br />

che la rivoluzione Americana e la <strong>di</strong>chiarazione dei <strong>di</strong>ritti americana è ad<strong>di</strong>rittura<br />

anteriore alla rivoluzione francese, ma insomma, se non è zuppa è<br />

pan bagnato, per Europa intendo un’Europa nella <strong>di</strong>mensione più grande<br />

che comprende anche i paesi <strong>di</strong> Common Law, siano essi l’Inghilterra, siano<br />

essi gli Stati Uniti, bene, che cosa è che ha fatto <strong>di</strong> serio e <strong>di</strong> non criticabile<br />

da parte del resto del mondo? Ripeto: il costituzionalismo occidentale,<br />

l’avere via via raffinata la concezione del <strong>di</strong>ritto come regola civile <strong>di</strong> convivenza,<br />

l’avere progressivamente portato questa a rango <strong>di</strong> legge suprema,<br />

l’aver detto che all’interno <strong>di</strong> queste leggi supreme ci sono dei nuclei che<br />

non sono mutabili. Attualmente in Francia se voi andate a <strong>di</strong>re che il dogma<br />

<strong>di</strong> Rousseau della sovranità assoluta del popolo ha fatto il suo tempo, vi<br />

sparano, però perché ti sparano, avendo l’articolo 16 che <strong>di</strong>ce “Laddove non<br />

ci sono i <strong>di</strong>ritti e la separazione dei poteri lì non c’è costituzione”? Perché<br />

lì sono talmente convinti che nessuna maggioranza possa partecipare alla<br />

<strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> queste regole, che loro ritengono che questo <strong>di</strong>scorso dei<br />

<strong>di</strong>vieti della maggioranza non abbia senso perché “la sovranità popolare fa<br />

somigliare il popolo a Dio”, il popolo è Dio, la maggioranza ha una sovranità<br />

assoluta. I Francesi non ritengono possibile, e infatti non è mai avvenuto,<br />

né negli Stati Uniti, né in Francia, né in Germania la fallibilità della<br />

maggioranza. Questo che avviene in Italia è inimmaginabile per loro.<br />

L’altro giorno c’è stato un commento che <strong>di</strong>ceva: “Ma perché negli altri<br />

paesi, nei confronti delle loro costituzioni c’è una riverenza, un rispetto,<br />

un’adorazione, una fedeltà unici?” Perché nessuno si immaginerebbe <strong>di</strong><br />

scomporre e <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere la separazione dei poteri, come nessuno si sognerebbe<br />

<strong>di</strong> introdurre la tortura, la pena <strong>di</strong> morte o che so io. Se passa il<br />

dogma della sovranità assoluta del popolo, che magari ti fa legittimamente<br />

il ripristino della pena <strong>di</strong> morte, in taluni casi il ripristino della tortura, secondo<br />

il dogma <strong>di</strong> Rousseau questo è possibile se non si pongono dei limiti<br />

anche giuri<strong>di</strong>ci al fare ciò; ma i limiti giuri<strong>di</strong>ci posti a fare ciò non sono che<br />

la onesta e consequenziale derivazione dell’assunzione dell’eguale <strong>di</strong>gnità<br />

<strong>di</strong> ogni uomo. Bisogna avere il coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>re “Non è così”. C’è il supe-<br />

– 174 –


uomo <strong>di</strong> Nietzsche e ci sono i miserabili, i bastar<strong>di</strong>, i brutti, i neri, i gialli,<br />

che era il concetto del nazismo: l’ariano, che aveva il <strong>di</strong>ritto castale <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>struggere gli ebrei, gli zingari, i minorati ecc... Era questa la concezione<br />

nazista. Chi oggi nel mondo si sente <strong>di</strong>re questo, anche se poi lo pratica?<br />

Ma praticamente nessuno, e chi l’ha detto con grande chiarezza questo?<br />

Certamente non gli in<strong>di</strong>ani, perché lì ci sono ancora sud<strong>di</strong>visioni castali,<br />

almeno a livello <strong>di</strong> coscienza sociale <strong>di</strong>ffusa; ma in Italia se tu vai a chiedere<br />

“è giusto che la maggioranza attuale introduca la tortura?” ti ridono in<br />

faccia, ma se tu vai a chiedere “è giusto che la maggioranza italiana abolisca<br />

la separazione dei poteri?” ti ridono in faccia. Questo è il problema.<br />

L’Europa portatrice <strong>di</strong> civiltà perché è l’unica ad aver fatto con chiarezza<br />

questo <strong>di</strong>scorso, mentre per il resto, comunque la si giri, si dovrebbe vergognare,<br />

pensiamo soltanto per un verso al colonialismo, e per un altro verso<br />

alla globalizzazione intesa come pensiero unico <strong>di</strong> Maastricht, cioè come la<br />

sovranità del popolo. Che cosa ha preso il posto della sovranità assoluta del<br />

popolo? La sovranità assoluta delle multinazionali, dei loro profitti e lo<br />

spregio per tutto quello che è l’or<strong>di</strong>namento nazionale e sopranazionale.<br />

Quel che conta è la legge mercatoria, rivisitata in termini moderni, la legge<br />

del mercato, sono i contratti non del co<strong>di</strong>ce civile <strong>di</strong> derivazione napoleonica,<br />

ma i contratti inventati, perché con un pulsante tu trasferisci o metti in<br />

crisi un paese.<br />

Mario: ho già risposto. Tutto si può rivedere, ma non quello che incrina<br />

i principi sovrani assoluti.<br />

Andrea: Devolution, ho risposto. Quanto ai maggiori <strong>di</strong>ritti degli extracomunitari,<br />

qui mi permetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssentire nel senso che anche lì dobbiamo<br />

essere onesti: noi abbiamo bisogno degli extracomunitari perché per<br />

esempio nessuno fa più il colf o la colf, perché nessuno fa più un certo tipo<br />

<strong>di</strong> lavori umili. Allora il problema non è quello dei maggiori <strong>di</strong>ritti, ma <strong>di</strong><br />

attribuire legittimamente i <strong>di</strong>ritti a coloro che rispettano tutta una serie <strong>di</strong><br />

regole importantissime. A me non risulta che gli extracomunitari godano <strong>di</strong><br />

maggiori <strong>di</strong>ritti rispetto ai citta<strong>di</strong>ni italiani, può essere che in alcuni casi<br />

avvenga anche questo, ma per carità, “exceptio confirmat regulam”. Io vedo<br />

per esempio che a Roma i filippini sono un’organizzazione molto solidale,<br />

tutelano i loro <strong>di</strong>ritti, come per esempio, persone <strong>di</strong> servizio ecc..., perfettamente,<br />

vengono pagati sapendosi anche <strong>di</strong>fendere, come sostanzialmente si<br />

pagherebbe una qualsiasi persona <strong>di</strong> servizio italiana, francese o inglese, e<br />

questo non è avere maggiori <strong>di</strong>ritti, ma è semplicemente rispettare un lavoro<br />

senza sfruttarlo. Io per esempio ogni volta che vado all’università, passo<br />

– 175 –


sotto il viadotto della tangenziale “Tor <strong>di</strong> Quinto” e ci sono cinquanta, sessanta,<br />

settanta, non ho ancora capito se sono albanesi, polacchi o che so io,<br />

che aspettano il caporale che li venga ad assumere per la giornata per la<br />

quale saranno pagati miserevolmente. Ecco quello è veramente lo sfruttamento<br />

vergognoso che avviene ancora abbondantemente in Italia dappertutto.<br />

Mi sembra <strong>di</strong> aver risposto, sia pur brevemente a tutte le vostre domande.<br />

C’è qualche altra domanda rapidamente? Ci terrei molto, soprattutto<br />

se fosse critica. Vorrei solo <strong>di</strong>rvi questo, per chiudere. La mia posizione<br />

<strong>di</strong>ciamo così dottrinale, è minoritaria in assoluto rispetto al problema della<br />

attuazione concreta nei fatti del principio del primato del <strong>di</strong>ritto sulla forza.<br />

La maggior parte ancora intendono che la forza in ultima analisi vince, il<br />

che è verissimo; però questo bisogna vederlo sia in termini <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà: è<br />

giusto anche se non è effettivo, sia in termini <strong>di</strong> effettività. Dico che oggi<br />

nel mondo, e anche in Italia, non è vero che siamo in presenza <strong>di</strong> quel che<br />

<strong>di</strong>co io in termini <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà però in effettività, perché in Italia fin ora nessuno<br />

ha osato toccare non <strong>di</strong>co la prima parte ma neanche la seconda.<br />

Questa situazione oggi in Italia, questa situazione oggi nel mondo, è una<br />

cosa che mi vede da solo, perché nessuno, voi trovatemi dove nei giornali,<br />

nei libri, nella pubblicistica infinita che riguarda oggi ciò che sta avvenendo<br />

in Italia si <strong>di</strong>ca con chiarezza questo: gran parte delle cose che avvengono<br />

in sede <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fica della seconda parte sono formalmente, oltre che sostanzialmente<br />

irricevibili perché fuoriescono dall’articolo 138 e rientrano invece<br />

n quelle cose tenute ferme non da Lucio Lanfranchi, ma dalla Corte Costituzionale,<br />

non da Lucio Lanfranchi, ma dalla gran<strong>di</strong>ssima parte, il 90% dei<br />

costituzionalisti italiani e così via; però questo nonostante sia così, non lo<br />

si vuole ammettere. Bisogna battersi contro questa cosa.<br />

Bibliografia:<br />

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Torino 1975.<br />

A. GAMBINO, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere Dc, Laterza,<br />

Roma-Bari 1978.<br />

– 176 –


P. GINSBORG, Storia d’Italia 1943-1946, Famiglia, Società, Stato, Einau<strong>di</strong>,<br />

Torino 1998.<br />

I. KANT, Scritti politici e <strong>di</strong> filosofia della storia e del <strong>di</strong>ritto, trad. <strong>di</strong> Gioele<br />

Solari e Giovanni Vidari, Utet, Torino 1995.<br />

S. LARNARO, Storia dell’Italia repubblicana. L’Italia dal 1942 al 1944,<br />

Marsilio, Venezia 1992.<br />

A. LEPRE, Storia della prima Repubblica, Il Mulino, Bologna 1995.<br />

G. MAMMARELLA, L’Italia Contemporanea (1943-1992), Il Mulino, Bologna<br />

1993.<br />

P. POMBENI, La Costituente. Un problema storico-politico, Il Mulino,<br />

Bologna 1995.<br />

F. RUNES, D. DAGOBERT, Dizionario <strong>di</strong> Filosofia, Mondadori, Milano 1990.<br />

G. SABBATUCCI, V. VIDOTTO, Storia d’Italia, vol.5, Laterza, Roma-Bari 1997.<br />

M. SALVATI, Stato e industria nella ricostruzione, Feltrinelli, Milano 1982.<br />

A.K. SEN, The Impossibility of a Paretian Liberal, Journal of Political<br />

Economy, n. 78, Chicago 1970.<br />

– 177 –


LICEO CLASSICO ORAZIO ROMA<br />

Un contributo significativo della sinistra<br />

alla stesura della Costituzione:<br />

La figura <strong>di</strong> Palmiro Togliatti<br />

(anno scolastico <strong>2005</strong>-2006)<br />

CLASSE II B<br />

Coor<strong>di</strong>natrice: Prof.ssa Licia Fierro - Collaboratrice: Prof.ssa Paola Peretti<br />

GLI ALUNNI:<br />

Luisa Annibali - Irene Balestreri - Fabio Bertero - Ilaria Catalano - Sara Colonnelli<br />

Francesca De Rosa - Ilaria De Rosa - Flaminia Di Iorio - Andrea Farace - Noemi Fasano<br />

Paolo Giacomino - Veronica Giulianelli - Benedetta Lombar<strong>di</strong> - Marta Mancuso<br />

Letizia Martella - Fabiana Mattia - Flaminia Micheli - Michele Mura - Beatrice Saccone<br />

Clau<strong>di</strong>a Tagliaferri - Simone Trementini.<br />

INTRODUZIONE<br />

Prima <strong>di</strong> affrontare il tema della Resistenza italiana, è necessario che<br />

venga posta una questione pregiu<strong>di</strong>ziale sollevata a più riprese con intenti <strong>di</strong><br />

polemica politica oltre che <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento storiografico. Come tutti gli<br />

avvenimenti storici, infatti, la Resistenza può assumere i caratteri <strong>di</strong> leggenda,<br />

essendo sempre in agguato una pericolosa retorica, che porta inevitabilmente<br />

ad una conoscenza <strong>di</strong>storta del reale. Le ragioni <strong>di</strong> questo pericolo risiedono<br />

in una specifica <strong>di</strong>fficoltà che la cultura italiana incontra nell’inserire la<br />

conoscenza della Resistenza in onde <strong>di</strong> lungo periodo della storia nazionale;<br />

nella tendenza della nostra cultura a pensare la storia per catastrofi e per<br />

illuminazioni. Dunque per non costruire un <strong>di</strong>scorso astratto, è opportuno<br />

cercare <strong>di</strong> cogliere le caratteristiche della Resistenza italiana nell’ambito <strong>di</strong><br />

un fenomeno che non fu solo italiano, e al tempo stesso cercare <strong>di</strong> definire la<br />

natura <strong>di</strong> un movimento che si iscrive nella storia della liberazione nazionale<br />

e sociale del popolo italiano.<br />

Al momento della svolta decisiva della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, segnata<br />

sul piano militare dalle gran<strong>di</strong> battaglie <strong>di</strong> Stalingrado e <strong>di</strong> El Alamein,<br />

– 178 –


l’esercito nazista, che aveva invaso e occupato l’Europa, non si trovava a<br />

combattere soltanto contro le armate della coalizione antihitleriana, ma<br />

aveva <strong>di</strong> fronte a sé in tutti i paesi occupati una forza nuova.<br />

Si trattava <strong>di</strong> un movimento <strong>di</strong> opposizione attiva, che si esprimeva in<br />

forme e manifestazioni <strong>di</strong>verse: dalla <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza agli or<strong>di</strong>ni delle autorità<br />

<strong>di</strong> occupazione, al collegamento con la <strong>di</strong>rezione militare e politica delle<br />

potenze dell’alleanza antifascista; dal sabotaggio, alla lotta <strong>di</strong> massa. Il<br />

movimento prendeva denominazioni <strong>di</strong>verse da paese a paese: «lotta clandestina»<br />

in Polonia; «guerra partigiana» nei territori occupati dell’Unione<br />

Sovietica; «Resistenza» in Francia, da dove il termine si <strong>di</strong>ffuse anche negli<br />

altri paesi per me<strong>di</strong>azioni successive.<br />

Sebbene siano stati pochi i contemporanei capaci <strong>di</strong> riconoscere il fatto<br />

in tutta la sua portata, oggi però nessuno <strong>di</strong>sconosce che esso fu, nelle sue<br />

<strong>di</strong>verse e composite realtà, non soltanto elemento rilevante della guerra, non<br />

riducibile a funzione meramente ausiliaria nello scontro degli eserciti, ma<br />

forza <strong>di</strong> popoli che cementò l’alleanza tra gli Stati.<br />

Una peculiarità della Resistenza consistette nel fatto che essa non si<br />

manifestò esclusivamente nei paesi occupati; anche i paesi dominati dalla<br />

<strong>di</strong>ttatura fascista conobbero un movimento <strong>di</strong> resistenza, a <strong>di</strong>mostrazione<br />

del fatto che l’intreccio <strong>di</strong> liberazione nazionale e <strong>di</strong> lotta politica contro il<br />

fascismo costituiva dappertutto il tessuto connettivo comune della Resistenza.<br />

Il posto occupato dall’Italia in questo contesto è assai particolare.<br />

Cronologicamente, infatti, la Resistenza iniziò qui assai più tar<strong>di</strong> che altrove,<br />

quando ormai erano sbarcati nel Sud della penisola gli eserciti alleati e la<br />

svolta decisiva della guerra aveva già avuto luogo.<br />

Essa espresse tuttavia una intensità tra le più forti che un movimento <strong>di</strong><br />

liberazione abbia conosciuto, dando vita a un grande esercito partigiano, a<br />

forti lotte sociali e a forme originali <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione politica.<br />

È stata posta <strong>di</strong> recente, ed è termine <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione aperta, la questione<br />

dei «limiti storici» dell’antifascismo italiano. Questi indubbiamente vi furono<br />

ed emersero particolarmente nella lotta contro il fascismo e nella capacità <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>rigere la fase conclusiva della crisi del regime; si delineò, in altri termini,<br />

la <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> spinte e iniziative spesso <strong>di</strong> segno opposto. Ciò è possibile<br />

notarlo proprio nella realizzazione <strong>di</strong> due <strong>di</strong>fferenti tipi <strong>di</strong> Resistenza nati<br />

dallo sfacelo dell’8 settembre 1943: l’una segnata dall’intreccio <strong>di</strong> attesismo<br />

e spontaneità, quale emerse, per esempio, il 27 settembre, nella sollevazione<br />

vittoriosa del popolo napoletano contro i tedeschi; l’altra strutturata nelle<br />

forme <strong>di</strong> un’estesa organizzazione politico-militare e profondamente marcata<br />

– 179 –


da un elemento <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione politica che la rendesse espressione dei partiti<br />

antifascisti. Nasceva così il Comitato <strong>di</strong> liberazione nazionale (CLN). Formatosi<br />

il 9 settembre 1943 a Roma, quando ancora le <strong>di</strong>mensioni del crollo<br />

dell’esercito regio non si erano manifestate in tutta la loro ampiezza, esso<br />

riuniva, sotto la presidenza <strong>di</strong> Ivanoe Bonomi, il partito comunista italiano, il<br />

partito socialista italiano <strong>di</strong> unità proletaria, il partito d’azione, la democrazia<br />

cristiana, la democrazia del lavoro, il partito liberale.<br />

“Nel momento in cui il nazismo – si affermava nel suo atto costitutivo –<br />

tenta <strong>di</strong> restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti<br />

si costituiscono in Comitato <strong>di</strong> liberazione nazionale per chiamare<br />

gli italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto<br />

che le compete nel consesso delle libere nazioni”. 1<br />

Nel settembre del 1943 l’Italia risultava <strong>di</strong>visa in due parti: due terzi<br />

della penisola erano occupati dai tedeschi che, dopo aver liberato Mussolini,<br />

avevano trasportato il governo a Salò e avevano costituito la Repubblica<br />

Sociale Italiana; l’Italia meri<strong>di</strong>onale e le isole erano invece amministrate<br />

dagli eserciti anglo-americani. La <strong>di</strong>sgregazione del Paese era però ben più<br />

profonda <strong>di</strong> quanto appare da questa <strong>di</strong>visione. Nel sud la situazione era<br />

drammatica: passato l’entusiasmo che aveva accompagnato l’arrivo degli alleati<br />

e la ribellione ai tedeschi, il popolo versava in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> abbandono<br />

e <strong>di</strong> miseria. La situazione economica era precipitata, la nuova moneta “AM-<br />

Lire” aveva determinato una fortissima inflazione, e l’isolamento geografico<br />

e la precarietà dei collegamenti aveva contribuito alla degradazione civile ed<br />

economica <strong>di</strong> queste regioni.<br />

Sullo sfondo <strong>di</strong> questo drammatico scenario, il CLN sentiva l’urgente<br />

necessità <strong>di</strong> costituire un governo straor<strong>di</strong>nario che fosse l’autentica espressione<br />

«<strong>di</strong> quelle forze politiche che avevano costantemente lottato contro la<br />

<strong>di</strong>ttatura fascista».<br />

Nei riguar<strong>di</strong> della monarchia, sebbene i partiti d’azione e socialista, <strong>di</strong><br />

maggior intransigenza repubblicana, richiedessero l’imme<strong>di</strong>ata ab<strong>di</strong>cazione<br />

del sovrano, l’or<strong>di</strong>ne del giorno unitariamente concludeva sulla necessità<br />

che il popolo italiano venisse, alla fine delle ostilità, invitato a decidere<br />

sulla forma istituzionale dello stato; richiesta questa che concordava con<br />

una formale promessa del presidente americano Roosevelt.<br />

La decisione del CLN, convalidata dal congresso dei partiti antifascisti<br />

tenutosi a Bari nel gennaio 1944 fu rapidamente superata dalle circostanze<br />

1 Giorgio Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Laterza, Bari 1966.<br />

– 180 –


poiché, dopo che già la Russia sovietica il 13-03-1944 aveva dato il suo<br />

<strong>di</strong>plomatico riconoscimento al governo italiano, il leader dei comunisti,<br />

Palmiro Togliatti, che giungeva allora da Mosca, assicurò la partecipazione<br />

del suo partito al governo Badoglio, inducendo così anche gli altri partiti a<br />

fare altrettanto. In tal modo fu costituito, nella seconda metà <strong>di</strong> aprile 1944,<br />

il terzo governo Badoglio, senza l’iniziale adesione del solo partito d’azione,<br />

che presto cedette alle ragioni della lotta comune. Con la successiva liberazione<br />

<strong>di</strong> Roma 04-04-1944, Badoglio fu estromesso dal ministero, la cui presidenza<br />

fu affidata al presidente del CLN, Ivanoe Bonomi. Il re cedette i suoi<br />

poteri al figlio Umberto, in qualità <strong>di</strong> luogotenente, e questi si impegnò ad<br />

accettare la convocazione <strong>di</strong> una Costituente a guerra finita e a sottomettersi<br />

al risultato della futura scelta popolare fra monarchia e repubblica.<br />

Contro i troppi facili unanimismi sulla Resistenza, come moto unicamente<br />

fondato sulla spontaneità popolare, è opportuno riba<strong>di</strong>re il particolare<br />

carattere <strong>di</strong> movimento <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> e attive minoranze e <strong>di</strong> masse che assunse<br />

e della natura del rapporto fra queste minoranze e queste masse. Lo storico<br />

Roberto Battaglia ha messo in evidenza nella “Storia della Resistenza<br />

italiana”, e ancor più nell’opera sulla “Seconda guerra mon<strong>di</strong>ale”, come la<br />

guerra <strong>di</strong> liberazione avesse costituito un punto <strong>di</strong> incontro tra i vecchi e più<br />

provati quadri dell’antifascismo e le masse che la <strong>di</strong>sastrosa esperienza<br />

della guerra fascista aveva ridestato alla lotta contro il regime.<br />

Nella Resistenza, il contingente <strong>di</strong> giovani cresciuto sotto il regime<br />

fascista fu elevatissimo, e i richiami alle armi della Repubblica <strong>di</strong> Salò<br />

alimentarono il rafforzamento delle prime leve partigiane: <strong>di</strong> qui uscirono<br />

capi partigiani <strong>di</strong> grande coraggio e valore. Ma né la formazione <strong>di</strong> singole<br />

bande, né la loro collaborazione fu un processo facile e indolore. Senza la<br />

formazione nel giugno del ’44 <strong>di</strong> un comando unico partigiano per il Corpo<br />

volontari della libertà, tutta la spinta <strong>di</strong> ribellione e <strong>di</strong> lotta avrebbe infatti<br />

rischiato <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperdersi se non ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> risultare vana.<br />

Un ruolo <strong>di</strong> primo piano nella guerra <strong>di</strong> liberazione ebbe inoltre la classe<br />

operaia. Nella fase più <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong> avvio della Resistenza, furono infatti proprio<br />

gli scioperi delle città dell’Italia settentrionale del novembre-<strong>di</strong>cembre<br />

1943 e gli scioperi del marzo 1944 in tutta l’Italia occupata, che coinvolsero<br />

un milione <strong>di</strong> lavoratori, a rendere evidente l’impossibilità <strong>di</strong> ogni forma<br />

<strong>di</strong> normalizzazione all’insegna della repubblica sociale italiana; anche i<br />

conta<strong>di</strong>ni vennero mobilitati nella lotta in quanto conta<strong>di</strong>ni, facendo appello<br />

ai loro interessi <strong>di</strong> classe, oltre che al loro sentimento nazionale, facendo<br />

intendere loro come, rifiutandosi <strong>di</strong> trebbiare a favore dei tedeschi, essi<br />

– 181 –


mettessero in salvo il loro grano e insieme assolvessero a un preciso dovere<br />

nazionale.<br />

Se nell’Italia meri<strong>di</strong>onale, liberata dagli eserciti angloamericani, i CLN<br />

non riuscirono a superare lo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un raccordo tra i singoli partiti, se lo<br />

stesso CLN centrale <strong>di</strong> Roma non si sottrasse del tutto all’aiuto <strong>di</strong> forze<br />

esterne, a partire dalla Toscana e in misura ancora maggiore nelle regioni<br />

dell’Italia settentrionale, il CLN si affermò come un nuovo sistema <strong>di</strong> governo,<br />

centro fondamentale <strong>di</strong> formazione e <strong>di</strong> aggregazione <strong>di</strong> una nuova classe<br />

<strong>di</strong>rigente. Piloni portanti del Comitato <strong>di</strong> liberazione nazionale dell’alta Italia<br />

(CLNAI) si rivelarono fin dall’inizio i CLN regionali, costituiti nelle città<br />

capoluogo delle singole regioni, quasi una prefigurazione della riorganizzazione<br />

dal basso dello Stato italiano che trovasse nell’articolazione regionale<br />

una me<strong>di</strong>tazione, fino allora negata dallo Stato accentrato, all’unificazione<br />

nazionale. A sua volta cominciò a <strong>di</strong>ramarsi dai singoli CLN regionali una<br />

fitta rete <strong>di</strong> CLN locali e periferici: comitati che si formavano sui luoghi <strong>di</strong><br />

lavoro, nelle fabbriche, nelle gran<strong>di</strong> cascine e in alcuni uffici pubblici, prima<br />

<strong>di</strong> tutto con il compito <strong>di</strong> trasmettere le istruzioni e le <strong>di</strong>rettive generali del<br />

CLNAI, e successivamente anche con propri compiti specifici, in<strong>di</strong>rizzati ad<br />

impe<strong>di</strong>re le razzie tedesche e fasciste, a ostacolare o a neutralizzare gli or<strong>di</strong>ni<br />

della repubblica <strong>di</strong> Salò, a promuovere gli in<strong>di</strong>rizzi produttivi o la <strong>di</strong>stribuzione<br />

a favore della popolazione civile.<br />

Possiamo concludere <strong>di</strong>cendo che l’iscrizione della Resistenza nelle gran<strong>di</strong><br />

date della storia italiana,la sua stessa istituzionalizzazione celebrativa,non sono<br />

venute da sole, ma sono <strong>di</strong>scese dai fatti come loro naturale sviluppo: dure,<br />

tenaci lotte hanno saputo imporre il riconoscimento <strong>di</strong> quello che la Resistenza<br />

ha rappresentato anche a quanti intendevano confinarne il significato entro un<br />

ambito ristretto e modesto;né va <strong>di</strong>menticato che proprio queste lotte, condotte<br />

in anni in cui i partigiani venivano perseguitati e condannati come delinquenti<br />

comuni dalla giustizia <strong>di</strong> una repubblica che sembrava vergognarsi della sua<br />

origine e che quella origine si illudeva <strong>di</strong> poter cancellare, hanno potentemente<br />

contribuito alla maturazione civile e politica del popolo italiano.<br />

Bibliografia:<br />

AA.VV., Storia d’Italia Einau<strong>di</strong>, vol. XII<br />

SALVATORE GUGLIELMINO, Guida al novecento, Principato, Milano, 1998<br />

GIORGIO BOCCA, Storia dell’Italia partigiana, Laterza, Bari 1966<br />

– 182 –


CAPITOLO I<br />

L’ASSEMBLEA COSTITUENTE<br />

Il bisogno <strong>di</strong> sostituire alla fittizia costituzione, lo Statuto Albertino, una<br />

Costituzione reale si avvertì solamente quando il fascismo smise <strong>di</strong> avere, nei<br />

confronti del suddetto, anche riguar<strong>di</strong> formali, ossia quando l’elasticità della<br />

carta concessa da Carlo Alberto permise alla <strong>di</strong>ttatura <strong>di</strong> trasformare le istituzioni<br />

previste da una costituzione liberale in un regime che <strong>di</strong> liberale non<br />

aveva alcuna parvenza.<br />

In questo clima gli elettori furono chiamati ad esprimersi: l’Italia dovette<br />

scegliere il 2 giugno 1946 tra la monarchia e la repubblica, ed eleggere<br />

l’assemblea che avrebbe dovuto re<strong>di</strong>gere ed approvare la nuova costituzione.<br />

Ciò che bisognava fare era, infatti, secondo l’On. Ruini, “ricostruire alle basi<br />

anche l’or<strong>di</strong>namento costituzionale”. Gli esiti del voto riflessero il reale<br />

panorama politico italiano del momento: nonostante la Democrazia Cristiana<br />

stesse assumendo un peso preponderante e, sul versante opposto, il Partito<br />

Comunista si manifestasse come il suo reale antagonista, giocava il ruolo <strong>di</strong><br />

partito satellite quello Socialista che conservava una forza rilevante, mentre<br />

si determinava la scarsa consistenza dei partiti minori (Partito d’Azione, Repubblicani<br />

ecc.) che pure avevano partecipato attivamente al CLN. All’esarchia<br />

che aveva caratterizzato quest’ultimo si sostituì il tripartitismo ed ebbe<br />

inizio il confronto <strong>di</strong>retto tra marxisti e cattolici che avrebbe marcato indelebilmente<br />

la storia politica repubblicana. L’assemblea si inse<strong>di</strong>ò il 25 giugno<br />

1946 ed elesse come suo Presidente Giuseppe Saragat; solo tre giorni dopo fu<br />

nominato capo provvisorio dello stato il liberale Enrico de Nicola. Un primo<br />

problema si pose all’attenzione dell’Assemblea Costituente: secondo la legge<br />

istitutiva, infatti, essa avrebbe dovuto darsi un proprio regolamento interno<br />

utilizzando, nel frattempo, quello della Camera dei Deputati. Quando tuttavia<br />

il consesso rinunciò ad or<strong>di</strong>nare autonomamente la propria attività, le<br />

conseguenze furono molteplici: non furono influenzati solo i meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> votazione,<br />

accettando <strong>di</strong> favorire le richieste <strong>di</strong> scrutinio segreto, ma anche lo svolgimento<br />

dei lavori, improntato su una strutturazione in Commissioni preparatorie<br />

che rispecchiassero la proporzione dei gruppi parlamentari, tratto che<br />

<strong>di</strong>venne essenziale nel percorso <strong>di</strong> formazione della Carta Costituzionale. Pochi<br />

giorni dopo il 28 giugno, il ministro per la costituente, Pietro Nenni, consegnò<br />

all’Assemblea il lavoro per la commissione per quanto concerneva la<br />

riorganizzazione dello stato e la regolamentazione della propria attività “La<br />

commissione medesima potrà provvedere alla ripartizione dei vari gruppi <strong>di</strong><br />

– 183 –


materie tra i suoi membri, procedendo alla costituzione <strong>di</strong> singole sottocommissioni”.<br />

La Commissione sarà composta <strong>di</strong> 75 deputati, provvederà alla sua<br />

costituzione nominando il presidente (Ruini), tre vicepresidenti (Terracini 2<br />

PCI, Ghi<strong>di</strong>ni PSIUP, Tupini 3 DC) e tre segretari.<br />

Inoltre la durata dei lavori dell’Assemblea, inizialmente prevista per<br />

otto mesi, fu successivamente prorogata per ben due volte: secondo Saragat,<br />

infatti, l’Italia, a <strong>di</strong>fferenza degli altri paesi europei, avrebbe dovuto creare<br />

ex novo una costituzione senza l’appoggio <strong>di</strong> un progetto preliminare, pur<br />

favorendo così l’espressione delle <strong>di</strong>verse fazioni politiche.<br />

Democrazia cristiana 207<br />

Partito socialista 115<br />

Partito comunista 104<br />

Unione Dem. Nazionale 41<br />

Uomo Qualunque 30<br />

Partito Repubblicano 23<br />

Blocco Naz. Libertà 16<br />

Partito d’Azione 7<br />

Mov. In<strong>di</strong>p. Sicilia 4<br />

Concentr. Dem. Repub. 2<br />

Partito Sardo d’Azione 2<br />

Movim. Unionista It. 1<br />

Part. Cristiano Sociale 1<br />

Part. Democr. Lavoro 1<br />

Part. Conta<strong>di</strong>ni Italiani 1<br />

Fr. Dem. Progres. Rep. 1<br />

Imme<strong>di</strong>atamente cominciarono a definirsi le linee che lo schema della<br />

nuova costituzione avrebbe assunto: rivestivano un aspetto importante per le<br />

nuove deliberazioni non solo l’organizzazione dei lavori, che necessaria-<br />

2 Umberto Elia Terracini, uomo politico (Genova 1895-Roma 1983). Fu tra i fondatori del<br />

PCI (1921), Condannato dal tribunale speciale a 23 anni <strong>di</strong> carcere, fu liberato nel 1943 e nel<br />

1944 fu a capo della resistenza dell’Ossola. Deputato e presidente dell’Assemblea Costituente.<br />

Senatore dal 1948.<br />

3 Umberto Tupini, uomo politico italiano (Roma 1889-1973). Dirigente del movimento sindacale<br />

cattolico, deputato per il PPI (1919-1926), lasciò il mandato dopo essere stato segretario<br />

dell’opposizione aventiniana. Caduto il fascismo, fu tra gli organizzatori della DC e ministro <strong>di</strong><br />

grazia e giustizia nei due governi Bonomi (1944-1945). Eletto alla Costituente, senatore <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto<br />

nella prima legislatura e rieletto nelle tre successive, fu varie volte ministro e sindaco <strong>di</strong> Roma<br />

nel 1956-1957.<br />

– 184 –


mente dovevano spaziare su materie vastissime, ma anche la determinazione<br />

delle caratteristiche che ogni forza politica voleva dare alla Carta (condanna<br />

del regime fascista per le sinistre, affermazione <strong>di</strong> libertà concretamente<br />

tutelabili per il PCI, pluralismo giuri<strong>di</strong>co per la DC). D’altronde l’assemblea,<br />

specchio sfaccettato degli orientamenti politici italiani, era costituita per il<br />

35,2% dalla Democrazia Cristiana, 20,7% dai Socialisti, 19% dai Comunisti.<br />

Solo <strong>di</strong> poco, dunque, i due partiti <strong>di</strong> sinistra, uniti dal Patto <strong>di</strong> Unità<br />

d’Azione, risultavano più forti della DC che confermava il suo <strong>di</strong>ritto ad<br />

assumere la guida del governo.<br />

Uno sguardo sui maggiori partiti italiani nel secondo dopoguerra<br />

DEMOCRAZIA CRISTIANA<br />

Il partito venne fondato nell’ottobre 1942 da esponenti del <strong>di</strong>sciolto<br />

Partito Popolare Italiano (PPI) <strong>di</strong> Don Luigi Sturzo 4 e Alcide De Gasperi,<br />

del Movimento Guelfo d’Azione <strong>di</strong> Piero Malvestiti e da intellettuali provenienti<br />

dalle organizzazioni cattoliche, come l’Azione Cattolica e la Federazione<br />

Universitaria Cattolica Italiana (FUCI) e dalla Resistenza. Tra i fondatori,<br />

oltre a Sturzo e De Gasperi, si ricordano: Mario Scelba, 5 Attilio Piccioni,<br />

Camillo Corsanego e Giovanni Gronchi del PPI, Aldo Moro e Giulio<br />

Andreotti dell’Azione Cattolica e Amintore Fanfani 6 e Giuseppe Rossetti<br />

della FUCI. Queste personalità politiche si riunirono intorno ai documenti<br />

programmatici delle Idee ricostruttive della DC e del Programma <strong>di</strong> Milano,<br />

che si muovevano in continuità con la tra<strong>di</strong>zione del movimento cattolico<br />

ma con significative innovazioni verso un intervento in funzione sociale in<br />

campo economico (Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Camaldoli). La DC ottenne la <strong>di</strong>rezione del<br />

governo con Alcide De Gasperi nel 1945 e alle elezioni per la Costituente<br />

nel 1946 si affermò come partito <strong>di</strong> maggioranza relativa. Il crescente so-<br />

4 Sturzo Luigi, sacerdote e uomo politico italiano (Caltagirone, Catania, 1871-Roma 1959).<br />

5 Mario Scelba, uomo politico italiano (Caltagirone, Catania, 1901-Roma 1991). Laureato<br />

in giurisprudenza, <strong>di</strong>venne segretario particolare <strong>di</strong> don Sturzo (1921).<br />

6 Amintore Fanfani (Arezzo 1908-Roma 1999). Professore <strong>di</strong> economia, rifiutò la tessera<br />

fascista, <strong>di</strong>venendo così membro del gruppo antifascista della sinistra cristiana <strong>di</strong> La Pira e<br />

Dossetti. Nel dopoguerra entrò a far parte, all’interno della DC, della corrente <strong>di</strong> sinistra contraria<br />

alla leadership progressivista <strong>di</strong> De Gasperi.<br />

Nell’Assemblea Costituente contribuì a re<strong>di</strong>gere l’articolo 1.<br />

– 185 –


stegno della Chiesa qualificò ben presto la DC come partito “dei cattolici”<br />

ma la politica aconfessionale <strong>di</strong> De Gasperi provocò attriti con la destra<br />

cattolica e la stessa Azione Cattolica. La ricerca del consenso, che ebbe il<br />

suo culmine nelle elezioni del 18 aprile 1948, favorì la connotazione interclassista<br />

del partito, entro cui si ritrovavano componenti eterogenee (le<br />

classi me<strong>di</strong>e, settori popolari e dell’impren<strong>di</strong>toria, potenti organizzazioni<br />

collaterali come la Col<strong>di</strong>retti e l’Azione Cattolica). L’elemento religioso e<br />

l’anticomunismo funsero da collante, sostenendo una politica tendenzialmente<br />

conservatrice che negli anni del centrismo si impose sulle ipotesi <strong>di</strong><br />

“partito programmatico” sostenute da Dossetti.<br />

PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO<br />

Dopo la liberazione <strong>di</strong> Roma il PRI ribadì la volontà <strong>di</strong> mantenersi<br />

estraneo al Comitato <strong>di</strong> Liberazione Nazionale, ma riconfermò la sua attiva<br />

presenza nei CLN provinciali delle zone occupate, contribuendo anche alle<br />

lotte <strong>di</strong> liberazione (sia nelle Brigate <strong>di</strong> Giustizia e Libertà sia nelle Brigate<br />

Mazzini), nella convinzione che laddove si trattava <strong>di</strong> combattere i nazifascisti<br />

i repubblicani dovevano essere un elemento <strong>di</strong> unità e coesione.<br />

Nell’Italia liberata la politica dei PRI si caratterizzò, invece, per una<br />

serrata denuncia dell’in<strong>di</strong>rizzo seguito dai governi dei CLN: una denuncia<br />

che riguardò il mantenimento dello Stato monarchico, proposta contraria<br />

agli ideali repubblicani del partito ma soprattutto problematica per la stessa<br />

posizione del Paese nei confronti degli Alleati. La posizione intransigente e<br />

ra<strong>di</strong>cale del PRI sulla questione istituzionale influì non poco a smuovere<br />

gli altri partiti che tutti, tranne il Partito d’Azione, sia pure con accenti e<br />

motivazioni <strong>di</strong>verse, si mostravano alquanto possibilisti nei confronti della<br />

monarchia. Ma i repubblicani mantennero questa linea sino al referendum,<br />

rifiutando <strong>di</strong> partecipare a qualsiasi coalizione <strong>di</strong> governo, sostenendo che<br />

monarchia e fascismo erano a tal punto inscin<strong>di</strong>bili che, fino a quando fosse<br />

stato in vita l’una sarebbe stato sempre presente l’altro. Avvicinandosi il<br />

referendum istituzionale, i repubblicani, certi della scelta del popolo italiano,<br />

chiamarono le altre forze politiche a confrontarsi su quale Italia si dovesse<br />

costruire. Nel febbraio del 1946 il Partito repubblicano de<strong>di</strong>cava i lavori del<br />

suo congresso nazionale all’esame <strong>di</strong> un Progetto <strong>di</strong> Costituzione repubblicana<br />

dello Stato. Il progetto riaffermava la necessità <strong>di</strong> uscire dalle formulazioni<br />

vaghe e generiche e in<strong>di</strong>cava quali principi da porre a base del nuovo<br />

– 186 –


patto costituzionale: “un mutamento dei rapporti sociali che renda possibile<br />

la moralizzazione della vita pubblica”; “la realizzazione dell’autogoverno<br />

effettivo della nazione”; “una democrazia realizzata come organizzazione <strong>di</strong><br />

libertà locali e generali”; “il principio che la sovranità risiede nel popolo<br />

degli italiani”.<br />

Il 2 giugno 1946 è la Repubblica.<br />

Il Partito repubblicano, che aveva guidato la battaglia per la Repubblica,<br />

portò alla Costituente 23 parlamentari.<br />

Nell’autunno gli eletti della lista della Concentrazione Democratico<br />

Repubblicana (nata dalla scissione del Partito d’Azione), Ugo La Malfa 7 e<br />

Ferruccio Parri, 8 riconoscendo nel PRI la forza politica che più <strong>di</strong> ogni altra<br />

rappresentava gli ideali <strong>di</strong> intransigenza democratica che erano stati alla<br />

base della nascita del Partito d’Azione, entrarono nel Partito Repubblicano.<br />

Caduta la monarchia, i repubblicani accettarono per la prima volta <strong>di</strong><br />

partecipare al governo della nazione assieme ai tre gran<strong>di</strong> partiti <strong>di</strong> massa:<br />

Cino Macelli e Cipriano Facchinetti 9 dovevano rappresentarli nel secondo<br />

ministero De Gasperi. La Costituente che doveva elaborare la Carta fondamentale<br />

della democrazia italiana trovò in prima fila i repubblicani, gli unici<br />

che già durante la Resistenza si siano posti il problema della costruzione del<br />

nuovo Stato democratico. La scelta tra repubblica presidenziale e repubblica<br />

parlamentare avvenne a favore <strong>di</strong> quest’ultima, quando l’Assemblea approvò<br />

un or<strong>di</strong>ne del giorno presentato dal repubblicano Perassi. 10<br />

7 Ugo La Malfa, uomo politico italiano (Palermo 1903-Roma 1979). Antifascista attivo fin<br />

dal 1924, collaborò alla rivista Pietre e fu arrestato per attività contro il regime; rilasciato e trasferitosi<br />

a Milano, collaborò nel 1941 alla fondazione del partito d’azione. Costretto a emigrare<br />

in Svizzera, al suo ritorno in Italia (luglio 1943) rappresentò il partito d’azione nel comitato centrale<br />

del CLN. Ostile al governo Badoglio, favorì la formazione del governo Bonomi, e dopo la<br />

sua elezione alla Costituente (1946) nelle liste della democrazia repubblicana aderì al PRI, <strong>di</strong> cui<br />

fu deputato per tutte le legislature.<br />

8 Ferruccio Parri, uomo politico italiano (Pinerolo 1890-Roma 1981). Fu tra i fondatori del<br />

partito d’azione e, dal giugno al novembre 1945, presidente del consiglio. Lasciato il partito d’azione<br />

nel marzo 1946 per dare vita al partito della democrazia repubblicana, fu eletto nella sua<br />

lista deputato alla Costituente.<br />

9 Cipriano Facchinetti, uomo politico italiano (Campobasso 1889-Roma 1952). Esponente<br />

del partito repubblicano italiano. Deputato alla Costituente e senatore <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto dal 1948, fu ministro<br />

della guerra nel secondo gabinetto De Gasperi (luglio 1946-febbraio 1947) e ministro della<br />

<strong>di</strong>fesa, sempre con De Gasperi, dal <strong>di</strong>cembre 1947 al maggio 1948.<br />

10 Tomaso Perassi, giurista italiano (Intra 1886-Milano 1960). Insegnò <strong>di</strong>ritto internazionale<br />

e <strong>di</strong>ritto pubblico nelle università <strong>di</strong> Bari, Napoli e Roma. Deputato all’Assemblea costituente<br />

(1946), fu membro della Corte permanente <strong>di</strong> arbitrato e <strong>di</strong> altre organizzazioni internazionali; fu<br />

anche giu<strong>di</strong>ce costituzionale dal 1956.<br />

– 187 –


La nascita delle Regioni (che dovranno attendere oltre un ventennio per<br />

essere realizzate) quale riaffermazione dei principi dell’autonomia e del decentramento<br />

contro lo Stato accentratore, espressione del regime monarchico<br />

e fascista, fu sostenuta vittoriosamente da Giovanni Conti e da Oliviero Zuccarini<br />

contro lo stesso Partito comunista che allora si <strong>di</strong>chiarava contrario<br />

alle autonomie.<br />

PARTITO SOCIALISTA DEMOCRATICO ITALIANO<br />

La socialdemocrazia è un’ideologia politica, dovuta ad una frattura<br />

all’interno del movimento socialista, emersa tra la fine del XIX secolo e<br />

l’inizio del XX ad opera <strong>di</strong> sostenitori del marxismo convinti che la transizione<br />

verso una società socialista potesse essere attuata attraverso un processo<br />

democratico e non me<strong>di</strong>ante una svolta rivoluzionaria. La socialdemocrazia<br />

sostiene inoltre la necessità <strong>di</strong> un programma <strong>di</strong> graduali riforme legislative<br />

del sistema capitalistico, al fine <strong>di</strong> rendere quest’ultimo più equo.<br />

Questa visione fu fortemente osteggiata dai socialisti rivoluzionari, convinti<br />

dell’inevitabile fallimento <strong>di</strong> ogni tentativo <strong>di</strong> riforma del capitalismo,<br />

poiché i riformatori sarebbero stati gradualmente corrotti e, probabilmente,<br />

trasformati in capitalisti essi stessi. Malgrado le <strong>di</strong>vergenze, i socialisti<br />

riformisti e quelli rivoluzionari rimasero uniti fino allo scoppio della Prima<br />

Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Il conflitto, infatti, acuì le tensioni fino alla rottura definitiva.<br />

I socialisti riformisti scelsero <strong>di</strong> appoggiare i rispettivi governi nazionali<br />

in occasione dell’entrata in guerra, cosa che per i socialisti rivoluzionari<br />

significò un vero e proprio tra<strong>di</strong>mento ai danni della classe operaia. Si ebbero<br />

perciò violenti scontri fra i due schieramenti. Del resto, subito dopo la<br />

rivoluzione russa, gran parte dei partiti socialisti subirono profonde lacerazioni.<br />

I socialriformisti, infatti, mantennero la denominazione <strong>di</strong> “socialdemocratici”,<br />

mentre i socialrivoluzionari incominciarono a chiamarsi “comunisti”.<br />

A partire dagli anni Venti, le <strong>di</strong>fferenze fra socialdemocratici e comunisti<br />

<strong>di</strong>vennero sempre più marcate. Sulla falsariga della <strong>di</strong>visione fra socialdemocratici<br />

e comunisti, un’altra frattura sconvolse nuovamente la socialdemocrazia:<br />

da un lato, coloro che ancora ritenevano necessario abolire il capitalismo<br />

sostituendo ad esso un sistema socialista costruito attraverso l’uso<br />

degli strumenti offerti dalla democrazia parlamentare; dall’altro, coloro i<br />

quali sostenevano che fosse possibile mantenere il sistema capitalistico, apportando<br />

i miglioramenti necessari, quali la nazionalizzazione <strong>di</strong> determinate<br />

– 188 –


attività, l’implementazione <strong>di</strong> programmi pubblici (ad esempio la creazione<br />

<strong>di</strong> sistemi sanitari ed educativi universalistici) e la parziale re<strong>di</strong>stribuzione<br />

della ricchezza grazie al “welfare state”.<br />

Così, nel corso del XX secolo, partiti come il Labour Party nel Regno<br />

Unito, il tedesco SPD e molti altri in Europa, Canada (new Democratic<br />

Party), Australia (Labour Party) e Nuova Zelanda (Labour Party) hanno<br />

implementato o proposto programmi politici riguardanti la legislazione del<br />

lavoro, la nazionalizzazione delle maggiori industrie e un crescente welfare<br />

state.<br />

In Italia, il partito fu fondato, con la denominazione <strong>di</strong> Partito Socialista<br />

dei Lavoratori Italiani (PSLI), il 18 gennaio 1947 con la scissione dal PSI<br />

dell’ala riformista guidata da Giuseppe Saragat al termine <strong>di</strong> una riunione a<br />

Palazzo Barberini a Roma. La scissione costò al PSIUP la trasmigrazione<br />

della metà dei parlamentari socialisti nel nuovo partito, ma anche una folta<br />

schiera <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigenti. Nell’arco <strong>di</strong> due anni tra il 1948 e il 1950, il partito<br />

tenne quattro congressi nei quali vi fu una continua uscita <strong>di</strong> militanti e <strong>di</strong>rigenti<br />

tra cui: Faravelli, Mondolfi, Zagari.<br />

Del resto, quasi tutti i partiti socialdemocratici europei finirono con<br />

l’essere dominati da questa seconda concezione e, nel secondo dopoguerra,<br />

abbandonarono definitivamente ogni proposta <strong>di</strong> superamento del capitalismo,<br />

prendendo le <strong>di</strong>stanze dalla tra<strong>di</strong>zionale proposta economica socialista<br />

e dalle <strong>di</strong>verse interpretazioni delle idee <strong>di</strong> Karl Marx, non ritenendo<br />

che vi sia un conflitto fra l’economia <strong>di</strong> libero mercato e la loro definizione<br />

<strong>di</strong> società “socialista”. Molti partiti socialdemocratici hanno adottato politiche<br />

della cosiddetta Terza Via, che promuove una deregolamentazione dell’economia<br />

e sottolinea il concetto <strong>di</strong> uguaglianza <strong>di</strong> opportunità quale misura<br />

dell’uguaglianza sociale. Molti socialdemocratici non si considerano<br />

socialisti. La maggior parte dei partiti socialdemocratici è membro dell’Internazionale<br />

socialista, succeduta alla Seconda Internazionale.<br />

Il PSDI è co-fondatore ed è stato, per tantissimi anni, la “sezione italiana<br />

dell’Internazionale Socialista”.<br />

PARTITO COMUNISTA ITALIANO<br />

Nel gennaio 1921 si tenne a Livorno il XVII Congresso del PSI. Gli<br />

schieramenti in<strong>di</strong>viduabili nell’assise erano: quello della maggioranza,<br />

ovvero dei comunisti unitari, fra i quali la personalità <strong>di</strong> maggior spicco era<br />

– 189 –


G.M. Serrati; la corrente dei riformisti, il cui leader era Filippo Turati; la<br />

frazione dei comunisti puri, capeggiati da Amadeo Bor<strong>di</strong>ga, rappresentante<br />

in particolare dell’opinione degli astensionisti, e da Antonio Gramsci, uniti<br />

nella convinzione <strong>di</strong> rigettare le posizioni collaborazioniste dei riformisti.<br />

La frazione dei puri venne considerata l’unico serio referente dell’Internazionale<br />

Comunista (IC) in Italia, adeguandosi essa alle 21 con<strong>di</strong>zioni del<br />

II Congresso della IC (1920), le quali fissarono le norme che i nuovi partiti<br />

comunisti devono rispettare per aderire all’organizzazione.<br />

Nacque in questo contesto il Partito Comunista d’Italia, sezione della<br />

III Internazionale, dalla scissione guidata da Amadeo Bor<strong>di</strong>ga e Antonio<br />

Gramsci che abbandonarono la sala del Teatro Goldoni, dove si svolgeva il<br />

Congresso Socialista, convocando un congresso costitutivo presso il Teatro<br />

San Marco.<br />

La linea politica che si affermò nel II Congresso del PC d’Italia (1922)<br />

è riconducibile all’ispirazione <strong>di</strong> Bor<strong>di</strong>ga: netto il rifiuto della tattica, proposta<br />

dal III Congresso dell’IC, del fronte unico d’azione contro il fascismo<br />

e la reazione.<br />

Nell’imperversare della violenza fascista, avvenne la formazione <strong>di</strong> un<br />

nuovo gruppo <strong>di</strong>rigente, conforme all’orientamento politico <strong>di</strong> Gramsci, <strong>di</strong>venuto<br />

segretario generale del PCI. Nacque, quin<strong>di</strong>, la figura del funzionario<br />

<strong>di</strong> partito.<br />

Il 12 febbraio 1924 il quoti<strong>di</strong>ano L’Unità iniziò le sue pubblicazioni.<br />

Il III Congresso del PCI, tenutosi a Lione nel gennaio 1926, sancì, da<br />

un lato, il successo della proposta gramsciana <strong>di</strong> trasformazione del partito<br />

in partito <strong>di</strong> massa, adeguando i principi della tattica e della strategia leninista<br />

alla situazione italiana (la cosiddetta bolscevizzazione del PCI e la sua<br />

organizzazione per cellule nei luoghi <strong>di</strong> lavoro), dall’altro, determinò il definitivo<br />

isolamento <strong>di</strong> Bor<strong>di</strong>ga e della frazione estrema, da lui capeggiata.<br />

Il PCI acquisì il metodo dell’analisi oggettiva della società come premessa<br />

dell’iniziativa e della <strong>di</strong>rettiva politica: questo significò, secondo il<br />

pensiero <strong>di</strong> Gramsci, in<strong>di</strong>viduare la questione meri<strong>di</strong>onale come elemento<br />

essenziale del problema dell’alleanza fra operai e conta<strong>di</strong>ni, definiti forze<br />

motrici della rivoluzione.<br />

Collegato alla III Internazionale, il PCI entrò nella clandestinità a<br />

seguito delle leggi repressive emanate dal regime fascista nel 1926. Il ventennio<br />

fascista fu un periodo <strong>di</strong> enormi <strong>di</strong>fficoltà per i comunisti italiani: il<br />

partito fu messo fuorilegge, quasi tutti i membri del gruppo <strong>di</strong>rigente furono<br />

esiliati o incarcerati (come Antonio Gramsci e Umberto Terracini), gli organi<br />

– 190 –


<strong>di</strong> stampa soppressi. Ma il PCI fu l’unico dei partiti italiani capace <strong>di</strong> mantenere<br />

in pie<strong>di</strong> una struttura organizzativa clandestina con una <strong>di</strong>rezione interna<br />

ed una all’estero. In contrad<strong>di</strong>zione con l’identificazione fra fascismo<br />

e socialdemocrazia, proposta dal IV Congresso dell’IC con la cosiddetta<br />

“svolta a sinistra”, il PCI si rese protagonista <strong>di</strong> una politica unitaria nei<br />

confronti del più ampio fronte antifascista italiano, del quale fa ora parte il<br />

movimento Giustizia e Libertà, fondato nel 1929 da Lussu, 11 Rosselli, 12<br />

Nitti 13 ed altri.<br />

Nell’agosto 1934 venne stipulato un patto d’unità d’azione tra PCI e<br />

PSI. In seguito all’esperienza spagnola delle Brigate Internazionali, maturò<br />

un nuovo antifascismo, del quale è sintomo una carta d’unità d’azione tra<br />

PCI e PSI: i due partiti s’impegnarono a condurre un’azione per unire sul<br />

terreno della lotta antifascista tutti i partiti e le organizzazioni antifasciste<br />

esistenti nel Paese e nell’emigrazione, avendo per obiettivo finale l’abbattimento<br />

del fascismo e del capitalismo e l’avvento <strong>di</strong> una società socialista,<br />

me<strong>di</strong>ante l’instaurazione <strong>di</strong> una repubblica democratica. La seconda guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale segnò un momento <strong>di</strong> crisi per l’unità antifascista italiana, ma nel<br />

1943, all’indomani degli scioperi operai <strong>di</strong> marzo contro il fascismo e la<br />

guerra, comunisti, socialisti e appartenenti a “Giustizia e Libertà” firmarono<br />

a Tolosa un documento, nel quale si affermava che la libertà politica dovrà<br />

costituire la maggiore conquista, presi<strong>di</strong>ata e <strong>di</strong>fesa da una democrazia del<br />

lavoro. Si trattò, dopo la caduta <strong>di</strong> Mussolini (25 luglio 1943), della definizione<br />

<strong>di</strong> una prospettiva post-fascista alternativa a quella badogliana.<br />

Il giorno dopo l’8 settembre 1943 e l’armistizio con gli angloamericani,<br />

nacque a Roma il Comitato <strong>di</strong> Liberazione Nazionale (CLN), composto da<br />

PCI, Partito d’Azione-Giustizia e Libertà, DC e PSI. Iniziava la stagione<br />

della Resistenza. L’importanza del contributo dato dai comunisti italiani alla<br />

11 Emilio Lussu (Armungia [CA] 1890-Roma 1975) Laureato in Giurisprudenza, fondò nel<br />

1921 il Partito Sardo d’Azione a sostegno delle istanze proletarie. Eletto deputato nel 1921 e<br />

1923, a causa delle sue idee contrarie al regime fascista, venne perseguitato e confinato a Lipari.<br />

A seguito della scissione del Partito d’Azione, Lussu si pose a capo dei filo-socialisti. Deputato<br />

alla Costituente <strong>di</strong>venne senatore <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto.<br />

12 Carlo Rosselli, uomo politico italiano (Roma 1899-Bagnoles-de-l’Orne, Alençon, 1937),<br />

figlio della scrittrice Amelia. Laureatosi nel 1923 all’Istituto superiore <strong>di</strong> scienze sociali <strong>di</strong> Firenze,<br />

collaboratore della Rivoluzione liberale, fu professore incaricato all’Istituto superiore <strong>di</strong><br />

Genova (dal 1924). Entrò nel partito socialista unitario dopo l’assassinio <strong>di</strong> Matteotti.<br />

13 Francesco Saverio Nitti (1868-1953). Grande stu<strong>di</strong>oso, uomo politico e uno statista tra i<br />

più importanti del suo tempo, si interessò alla questione meri<strong>di</strong>onale; <strong>di</strong>venne Ministro del Tesoro<br />

e in quanto democratico fu tra i maggiori avversari del fascismo.<br />

– 191 –


Resistenza partigiana tra l’autunno 1943 e la primavera 1945 è fuori <strong>di</strong>scussione:<br />

almeno 70.000 furono i partigiani inquadrati nelle Brigate Garibal<strong>di</strong>.<br />

Ma la legittimazione del PCI come forza <strong>di</strong> governo nello scenario<br />

postbellico scaturì dalla strategia moderata dettata dal segretario Togliatti.<br />

Con il rientro in Italia nel 1944 <strong>di</strong> Palmiro Togliatti da Mosca, il PCI passò<br />

infatti a svolgere una funzione primaria nel processo politico italiano; Togliatti<br />

– sollecitato anche dai sovietici – annunciò la possibilità del Partito<br />

comunista italiano a far parte della coalizione guidata da Pietro Badoglio,<br />

costituendo un governo <strong>di</strong> unità antifascista e accantonando la questione<br />

istituzionale.<br />

Per realizzare questa <strong>di</strong>rettiva, passata alla storia come “la svolta <strong>di</strong><br />

Salerno”, per la quale si ritenne che la prospettiva socialista in Italia potesse<br />

avanzare solo con la democrazia e nella democrazia (tesi della democrazia<br />

progressiva), Togliatti pose la questione del partito nuovo: un partito nazionale,<br />

<strong>di</strong> governo, popolare <strong>di</strong> massa, attraverso il quale la classe operaia sia<br />

capace <strong>di</strong> intessere una fitta trama <strong>di</strong> alleanze sociali e politiche. Il motore <strong>di</strong><br />

una ricostruzione democratica venne in<strong>di</strong>viduato da Togliatti nell’intesa tra i<br />

tre partiti <strong>di</strong> massa, PCI, PSI e DC, mirando nel contempo a contenere e correggere<br />

il <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> De Gasperi <strong>di</strong> fare della DC un partito essenzialmente<br />

moderato e anticomunista. La partecipazione al governo del PCI aveva<br />

due obiettivi fondamentali: l’instaurazione della Repubblica, me<strong>di</strong>ante un<br />

referendum istituzionale, e la convocazione <strong>di</strong> un’Assemblea Costituente, che<br />

fosse in grado <strong>di</strong> elaborare una Costituzione la più democratica possibile.<br />

Il “partito nuovo” voluto da Togliatti non si caratterizzava più come un<br />

piccolo gruppo rivoluzionario costretto all’illegalità, ma come un’organizzazione<br />

<strong>di</strong> massa, con legami profon<strong>di</strong> nella società italiana e anche con pesanti<br />

con<strong>di</strong>zionamenti <strong>di</strong> natura esterna (legame con l’URSS <strong>di</strong> Stalin). In quegli<br />

anni l’azione politica mirò al mantenimento delle posizioni raggiunte, ovvero<br />

alla presenza nei governi <strong>di</strong> coalizione (da qui le scelte operate <strong>di</strong> Togliatti,<br />

come il decreto <strong>di</strong> amnistia del 1946 ed il voto favorevole all’integrazione dei<br />

Patti Lateranensi nella Costituzione).<br />

PARTITO SOCIALISTA ITALIANO<br />

Il PSI nacque il 16 agosto 1892 a Genova come “Partito dei Lavoratori<br />

Italiani”, assumendo l’anno seguente la denominazione <strong>di</strong> “Partito Socialista<br />

Italiano”. Punto d’arrivo <strong>di</strong> un travaglio teorico e politico avviato fin<br />

– 192 –


dall’unificazione italiana, nel movimento socialista, guidato da Filippo Turati<br />

e dal gruppo <strong>di</strong>rigente riformista <strong>di</strong> vaga ispirazione marxista, confluivano<br />

varie tra<strong>di</strong>zioni: dall’anarchismo bakuniniano all’associazionismo<br />

mazziniano, dall’operaismo lombardo al rivoluzionarismo <strong>di</strong> Andrea Costa.<br />

Il PSI, costituito dalla fusione dei vari circoli socialisti e operai organizzati<br />

su scala locale (come il Partito Operaio Italiano nato nel 1882 a Milano e<br />

la Lega Socialista Milanese nel1892 a Genova), manifestò sin dal suo congresso<br />

costitutivo una scarsa coesione interna, data la presenza <strong>di</strong> correnti<br />

sia moderate che rivoluzionarie.<br />

In contrapposizione alla repressione Crispina, che aveva sciolto il partito<br />

nel 1894, vi fu un’alleanza democratico-socialista alle elezioni del 1895.<br />

Allo scoppio della Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale il partito sviluppò un forte impegno<br />

per la neutralità dell’Italia, ma con forti spaccature al suo interno che<br />

troveranno un punto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione nella formula “né aderire né sabotare”<br />

<strong>di</strong> Costantino Lazzari.<br />

A partire dagli anni Venti, con l’emergere del Partito Nazionale Fascista,<br />

le <strong>di</strong>verse anime del movimento socialista si mossero separatamente dando<br />

vita a tre <strong>di</strong>fferenti partiti. Nel 1921 si attuò la scissione e la formazione del<br />

Partito Comunista d’Italia, mentre l’anno successivo fu la parte socialista<br />

riformista ad essere espulsa e a costituirsi in un partito autonomo, col nome<br />

<strong>di</strong> Partito Socialista Unitario. A partire dal 1925 i partiti vennero progressivamente<br />

messi al bando entrando in clandestinità od organizzandosi in esilio.<br />

Nel Congresso <strong>di</strong> Parigi del 1930 i due tronconi principali, guidati rispettivamente<br />

da Filippo Turati (comunisti) e da Pietro Nenni (riformisti), giungevano<br />

alla riunificazione, raggruppando nel Partito Socialista Italiano <strong>di</strong> Unità<br />

Proletaria (PSIUP), nato il 22 agosto 1943, una parte consistente <strong>di</strong> personalità<br />

influenti della sinistra italiana antifascista. Pietro Nenni ne <strong>di</strong>ventò il<br />

segretario e partecipò all’intesa tripartitica (PCI-PSI-DC) del Comitato <strong>di</strong><br />

Liberazione Nazionale. Il partito si affermò nelle prime elezioni del dopoguerra<br />

come lo schieramento più forte, dopo la DC, con 5 milioni <strong>di</strong> voti.<br />

Come durante la Resistenza, anche durante il primo periodo repubblicano<br />

venne fortemente collegato al Partito Comunista Italiano, con una politica<br />

<strong>di</strong> unità nazionale volta a mo<strong>di</strong>ficare le istituzioni in senso socialista. Il 10<br />

gennaio 1947 il PSIUP riprese la denominazione <strong>di</strong> Partito Socialista Italiano<br />

(PSI).<br />

Mantenne la classe <strong>di</strong>rigente del partito perdendo la corrente socialdemocratica<br />

guidata da Saragat, che <strong>di</strong>ede vita al Partito Socialista dei Lavoratori<br />

italiani (PSLI), e marcando una <strong>di</strong>stanza dai comunisti ormai definitivamente<br />

– 193 –


agganciati allo stalinismo sovietico. Con i comunisti decise comunque <strong>di</strong><br />

fare un fronte comune, il Fronte Democratico Popolare, per le elezioni dell’aprile<br />

1948. Questa posizione fece perdere l’anno successivo la corrente<br />

<strong>di</strong> destra del partito, capeggiata da Romita, che si unirà al partito <strong>di</strong> Saragat<br />

per dar vita al Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).<br />

La Sinistra in Italia e le sue articolate posizioni<br />

nell’Assemblea Costituente<br />

Nell’ambito del conteggio dei seggi ottenuti dai partiti nella Costituente,<br />

era errato sommare i voti della sinistra, come se si trattasse <strong>di</strong> un blocco<br />

omogeneo, soprattutto perché il partito socialista, bene uscito dalla sentenza<br />

elettorale, era infiacchito dai conflitti intestini. Sotto un unico simbolo convivevano<br />

due anime socialiste, quella massimalista (quin<strong>di</strong> filocomunista o,<br />

come si <strong>di</strong>ceva allora, fusionista) che aveva il suo uomo rappresentativo<br />

in Nenni, e quella riformista, autonomista, che aveva trovato un leader in<br />

Saragat. Gli autonomisti, forti del loro primato politico all’interno della<br />

Costituente, proposero fin dal primo momento una separazione tra PCI e<br />

PSIUP, e grazie al <strong>di</strong>ffuso consenso nelle metropoli industriali (Milano e<br />

Torino), ambivano a <strong>di</strong>ventare il partito guida nella modernizzazione italiana.<br />

Purtroppo questo progetto si rivestiva <strong>di</strong> ambiguità nell’ala massimalista,<br />

poiché attratto dalle esperienze del socialismo reale, ovvero quello dei<br />

regimi comunisti, senza però dare impronta concreta ai progetti teorici.<br />

Per quanto concerne il Partito Comunista, le sue speranze <strong>di</strong> mantenere<br />

quella stessa posizione egemone, che aveva ottenuto durante la Resistenza,<br />

rappresentando, grazie ad un’alleanza con il partito socialista, la metà dei<br />

deputati della Costituente, fallirono insieme al desiderio <strong>di</strong> affermarsi come<br />

partito più forte della classe operaia e secondo partito del paese.<br />

Un milione e mezzo <strong>di</strong> voti erano stati guadagnati dall’Unione democratica<br />

nazionale, un risultato inferiore alle aspettative poiché considerato<br />

troppo debole e danneggiato dall’immagine dei suoi leaders, Croce, Bonomi,<br />

Nitti e Orlando (conosciuti come i Quattro Vecchi). Parallelamente,<br />

inoltre, all’ascesa qualunquista (questo movimento ottenne un milione e<br />

duecentomila voti e 30 seggi), si assistette al tramonto del Partito d’Azione<br />

che, pur alleato ad un partito san<strong>di</strong>sta, ricevette meno <strong>di</strong> mezzo milione<br />

<strong>di</strong> voti, al <strong>di</strong> sotto del 2%. Il Partito d’Azione era stato sopraffatto dalla sua<br />

stessa ideologia fortemente elitaria, dall’in<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> fronte alle istanze<br />

– 194 –


popolari, dalle lotte intestine. In realtà era già finito con il Congresso <strong>di</strong> febbraio<br />

e con la secessione <strong>di</strong> Parri e La Malfa, che fondarono un movimento<br />

democratico repubblicano il quale, presi due soli seggi alla Costituente, defunse<br />

presto anch’esso. Andarono meglio le cose per il Partito Repubblicano<br />

storico che raccolse quasi un milione <strong>di</strong> voti.<br />

a) Comitato <strong>di</strong> Redazione.<br />

Il 29 novembre 1946 si assegnò il compito <strong>di</strong> re<strong>di</strong>gere un testo organico<br />

ad un gruppo <strong>di</strong> lavoro, il “Comitato <strong>di</strong> Redazione”, composto da 18 costituenti,<br />

che riuniva i membri dell’ufficio <strong>di</strong> presidenza [Ruini] e alcuni tra i<br />

personaggi politici più significativi [Dossetti, Togliatti].<br />

Per alcuni il Comitato fu il vero organo motore della Costituente in<br />

quanto fornì un contributo decisivo alla formulazione del testo costituzionale:<br />

sud<strong>di</strong>vise la materia in modo organico (in parti, titoli e sezioni), ridusse<br />

il numero degli articoli da 199 a 131. Il Comitato rappresentò nel <strong>di</strong>battito in<br />

aula l’intera commissione, e provvide al coor<strong>di</strong>namento finale e alla compilazione<br />

del testo definitivo dopo la <strong>di</strong>scussione in assemblea. Ruini ricordò:<br />

“La commissione dei 75 si concentrò in un comitato <strong>di</strong> 18, e poi ancora in<br />

meno, in gruppi <strong>di</strong> relatori [...]”.<br />

Il lavoro del Comitato <strong>di</strong> Redazione fu fatto proprio dalla commissione<br />

costituente con lievi mo<strong>di</strong>ficazioni: il problema più <strong>di</strong>battuto fu quello <strong>di</strong> far<br />

procedere il testo della costituzione da un “preambolo”, una <strong>di</strong>chiarazione a<br />

se stante.<br />

Secondo Ruini, “...il preambolo è una prefazione ed un proemio <strong>di</strong> un<br />

atto, fuori e prima della costituzione, che ne <strong>di</strong>ce le origini e i motivi...”.<br />

I principi esposti nel preambolo hanno valore giuri<strong>di</strong>co come <strong>di</strong>rettive e<br />

precetto al legislatore e criterio <strong>di</strong> interpretazione per il giu<strong>di</strong>ce.<br />

I democristiani avrebbero voluto incorporare in esso una parte della loro<br />

dottrina: i <strong>di</strong>ritti naturali della persona umana e della famiglia, della scuola<br />

libera, della chiesa; dall’altro canto i comunisti e i socialisti chiedevano che<br />

fosse data nuova impronta e fondamento sul lavoro. Non fu data una soluzione<br />

concreta alla questione. Ruini, presidente dei 75: “Non parlai più<br />

del preambolo, e feci si che nella redazione definitiva del testo, approvato<br />

dall’assemblea, la costituzione fosse <strong>di</strong>stinta in: 1) Principi fondamentali;<br />

2) Diritti e doveri dei citta<strong>di</strong>ni; 3) Or<strong>di</strong>namento costituzionale dello stato”.<br />

I principi fondamentali non estromessi dalla costituzione, ma posti nella<br />

parte iniziale <strong>di</strong> essa, sostituirono in qualche modo il preambolo, <strong>di</strong>se-<br />

– 195 –


gnando con linee generali “il volto della repubblica”. I principi fondamentali<br />

possono considerarsi come un surrogato del preambolo, come <strong>di</strong>chiarazioni<br />

<strong>di</strong> criteri <strong>di</strong>rettivi a cui si ispira tutta la costituzione. Il comitato dei 75<br />

presentò il progetto definitivo <strong>di</strong> Costituzione all’Assemblea il 31 gennaio<br />

1947 e concluse i propri lavori il giorno successivo; non tenne altre sedute e<br />

per essa continuò ad agire il Comitato <strong>di</strong> Redazione.<br />

Il <strong>di</strong>battito in assemblea.<br />

La <strong>di</strong>scussione del testo in assemblea iniziò il 4 marzo e durò fino al<br />

<strong>di</strong>cembre 1947, nel corso <strong>di</strong> 170 sedute, con 270 giornate <strong>di</strong> lavoro; furono<br />

presentati più <strong>di</strong> 1600 emendamenti, in particolare sugli argomenti più<br />

<strong>di</strong>battuti: la potestà legislativa regionale, i rapporti con la chiesa, le forme <strong>di</strong><br />

governo parlamentare. Le gran<strong>di</strong> linee del progetto <strong>di</strong> costituzione furono<br />

conservate dall’assemblea, che apportò solo poche mo<strong>di</strong>ficazioni.<br />

Disputa riguardo i componenti della commissione tra l’On. Nitti e Ruini.<br />

Ruini <strong>di</strong>fese il lavoro fatto in commissione dalle accuse mosse dall’On.<br />

Nitti. Questi definì i 75 componenti della commissione come troppi<br />

“Soloni”, in quanto propose inizialmente il numero <strong>di</strong> 45, “...che è un po’<br />

più <strong>di</strong> rito in queste materie, perché è il numero <strong>di</strong> coloro che scrissero,<br />

un secolo e mezzo fa, la più bella costituzione del mondo, quella degli<br />

Stati uniti d’America ed anche la recente commissione per la costituzione<br />

francese era <strong>di</strong> questo numero...”.<br />

L’assemblea giunse all’approvazione definitiva della costituzione nella<br />

seduta del 22 <strong>di</strong>cembre 1947.<br />

La principale critica che però rimase, fu quella <strong>di</strong> aver dato vita ad una<br />

“Carta <strong>di</strong> compromesso”: è infatti innegabile che nell’attività svolta <strong>di</strong>rettamente<br />

dalla commissione dei 75 e nelle <strong>di</strong>scussioni dell’assemblea, fu costante<br />

lo sforzo, tra i gruppi più forti ma non solo, <strong>di</strong> raggiungere posizioni<br />

comuni tra loro.<br />

Il progetto del nuovo e<strong>di</strong>ficio costituzionale era stato tracciato dall’assemblea<br />

costituente, ma la sua attuazione era rimandata alle nuove geometrie<br />

politiche che erano emerse dalle elezioni del 1948: il ritardo nella<br />

creazione degli organi costituzionali e delle regioni, il presunto carattere<br />

“programmatico” <strong>di</strong> certe norme, interpretazioni restrittive degli istituti <strong>di</strong><br />

democrazia <strong>di</strong>retta determinarono un vero e proprio “congelamento costituzionale”<br />

delle principali novità introdotte, il quale, in parte, perdura ancora<br />

oggi.<br />

– 196 –


) L’opera <strong>di</strong> Ruini, i lavori preparatori.<br />

La struttura della Costituzione.<br />

La <strong>di</strong>scussione preliminare sulla struttura della nuova Costituzione Italiana<br />

riguardò, in primo luogo, l’esame delle <strong>di</strong>verse costituzioni straniere.<br />

E, proprio dal confronto con queste ultime, nacque la volontà <strong>di</strong> progettare<br />

una costituzione il più possibile breve, semplice e chiara, <strong>di</strong> modo da essere<br />

ben compresa da tutto il popolo. Chiarezza e semplicità vennero date grazie<br />

ad una struttura logica, che <strong>di</strong>vise la Carta Fondamentale in:<br />

• un preambolo contenente le <strong>di</strong>sposizioni generali sul carattere della<br />

Repubblica, sulla sua posizione internazionale, sui rapporti con la<br />

Chiesa, sui gran<strong>di</strong> principi <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> giustizia;<br />

• una prima parte de<strong>di</strong>cata ai <strong>di</strong>ritti e doveri, a sua volta <strong>di</strong>visa in 4<br />

sezioni (rapporti civili, etico-sociali, economici, politici);<br />

• una seconda parte contenente l’orientamento istituzionale, quin<strong>di</strong> i<br />

gran<strong>di</strong> organi dello Stato (Parlamento, Capo dello Stato, Governo,<br />

Magistratura) e gli organi dell’autonomia locale;<br />

• una parte finale con le garanzie costituzionali.<br />

La rigi<strong>di</strong>tà e la forma della Costituzione.<br />

Il primo punto da sottolineare nella Costituzione Italiana fu quello della<br />

sua rigi<strong>di</strong>tà: la nuova Carta Fondamentale non doveva possedere quella<br />

elasticità tipica dello Statuto Albertino in modo da, se non proprio garantire<br />

l’impossibilità <strong>di</strong> una nascita <strong>di</strong> regimi totalitari come il fascismo, almeno<br />

tentare <strong>di</strong> evitare le violazioni minori, non frenando per questo le spinte a<br />

cambiamenti. Questa nuova Costituzione doveva garantire che le singole<br />

leggi non potessero essere così facilmente mo<strong>di</strong>ficabili, tanto da non rientrare<br />

più nei parametri dei principi fondamentali della Carta. Per questo si<br />

ritenne necessario rendere l’iter legis delle norme costituzionali più complicato<br />

e me<strong>di</strong>ato rispetto a quello delle leggi or<strong>di</strong>narie, ma non per questo<br />

impossibile da percorrere. L’adozione del sistema delle 2 letture, a <strong>di</strong>stanza<br />

<strong>di</strong> 3 mesi una dall’altra, permetteva una maggiore ponderazione su mo<strong>di</strong>fiche<br />

così importanti per l’or<strong>di</strong>namento dello Stato, senza che, però, questo<br />

“tarpasse le ali” ad ogni possibile tentativo <strong>di</strong> riforma e/o innovazione.<br />

Infatti, inizialmente, il testo <strong>di</strong> Perassi prevedeva che l’iniziativa delle leggi<br />

costituzionali sarebbe dovuta appartenere al Governo ed alle Camere; le revisioni<br />

avrebbero dovuto essere approvate da ciascuna Camera con doppia<br />

lettura a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> sei mesi e con maggioranza assoluta in seconda lettura;<br />

– 197 –


il referendum sarebbe poi dovuto intervenire <strong>di</strong>etro la richiesta <strong>di</strong> 500.000<br />

elettori, salvo che la revisione non fosse stata approvata da 2/3 dei membri<br />

delle Camere, nel qual caso si sarebbe preclusa la via all’intervento del popolo.<br />

Successivamente fu lo stesso Perassi ad apportare una piccola mo<strong>di</strong>fica<br />

al progetto, peraltro già largamente accettato da tutta la Commissione,<br />

eliminando l’iniziativa del Governo e delle Camere.<br />

Ruini, alla presentazione della proposta del costituente, manifestò all’Assemblea<br />

la sua ferma convinzione dell’assoluta necessità <strong>di</strong> una Costituzione<br />

rigida “...salda come un argine contro le violazioni e complessa e<br />

minuta e rigida <strong>di</strong> norme...”, sottolineando che esistono istanze ed esperienze<br />

<strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> giustizia che non possono essere violate neppure da<br />

una costituzione, ed altre che non debbono essere violate dalle leggi ma che<br />

possono essere mo<strong>di</strong>ficate soltanto da un’espressione particolare <strong>di</strong> volontà.<br />

Problema connesso a quello della rigi<strong>di</strong>tà fu quello della forma: la Costituzione<br />

doveva essere una Carta scritta, non unione <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse leggi, ma testo<br />

unico, “...legge delle leggi...”.<br />

Il primo articolo della Costituzione.<br />

Art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La<br />

sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti<br />

della Costituzione.<br />

Nel primo articolo si volle subito delineare il carattere fondamentale<br />

del nuovo Stato Italiano: l’Italia è una repubblica democratica. Questa<br />

affermazione, proprio per la sua ridondanza <strong>di</strong> termini (repubblica e democrazia<br />

sono, infatti, in senso pieno, sinonimo una dell’altra), fu posta all’incipit<br />

della nuova Carta Fondamentale, con l’intento <strong>di</strong> sottolineare che,<br />

seppure questa fosse essenzialmente una struttura giuri<strong>di</strong>ca, doveva<br />

comunque ispirarsi ad un complesso <strong>di</strong> esigenze etico-politiche ed eticosociali,<br />

tenendo conto delle libertà in<strong>di</strong>viduali, degli or<strong>di</strong>namenti basati<br />

sulla sovranità popolare, delle aspirazioni e delle riforme sociali. Ruini si<br />

pro<strong>di</strong>gò affinché l’art. 1 della Costituzione accogliesse, al primo comma,<br />

il concetto <strong>di</strong> “democrazia del lavoro”, da lui propugnato sin dal 1906, e,<br />

nel secondo comma, il principio dello Stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, da lui già trattato<br />

nella tesi <strong>di</strong> laurea, per dar forma e porre i necessari limiti alla sovranità<br />

popolare.<br />

Grande rilevanza fu data dallo statista reggiano proprio al <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

lavoro (comma 1). La prima <strong>di</strong>scussione che si dovette affrontare fu quella<br />

riguardo la formula da utilizzare: considerata troppo classista e comunista<br />

– 198 –


quella, presa in prestito dalla costituzione sovietica, <strong>di</strong> “stato socialista <strong>di</strong><br />

operai e conta<strong>di</strong>ni”, prevalse quella proposta dall’On. Basso <strong>di</strong> “l’Italia è<br />

una Repubblica Democratica <strong>di</strong> lavoratori”, scartando quella ideata da La<br />

Malfa <strong>di</strong> “Repubblica democratica fondata sulla libertà e sul lavoro”, poiché<br />

l’esigenza <strong>di</strong> libertà venne ritenuta già implicita nell’espressione <strong>di</strong> “Repubblica<br />

democratica”. Non venne mossa alcuna critica, invece, al fatto che al<br />

lavoro spettasse un posto essenziale nello Stato moderno, considerandolo,<br />

come anche in altre costituzioni, come la terza esigenza della socialità. Così<br />

quando Ruini presentò all’Assemblea il progetto, lo illustrò facendo riferimento<br />

soprattutto agli aspetti giuri<strong>di</strong>ci: l’affermazione del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> lavoro<br />

aveva dato luogo a dubbi da un punto <strong>di</strong> vista strettamente giuri<strong>di</strong>co, in<br />

quanto non si trattava <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto già assicurato e provvisto <strong>di</strong> azione giu<strong>di</strong>ziaria,<br />

ma <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto potenziale. Per queste sue caratteristiche si decise che<br />

la Costituzione poteva in<strong>di</strong>care il lavoro perché il legislatore ne promuova<br />

l’azione, secondo l’impegno che la Repubblica, nella Costituzione stessa,<br />

si assume. Al <strong>di</strong>ritto, si accompagnava il dovere <strong>di</strong> lavorare. La formula<br />

Fanfani <strong>di</strong> “Repubblica fondata sul lavoro” fu presentata, con l’appoggio<br />

<strong>di</strong> Ruini, all’Assemblea, sottolineando il concetto <strong>di</strong> “...affermazione del<br />

dovere <strong>di</strong> ogni uomo <strong>di</strong> fornire il massimo contributo alla prosperità comune...”<br />

e fuggendo un’interpretazione del lavoro come “...pura esaltazione<br />

della fatica muscolare o sforzo fisico...”.<br />

La prima parte del comma 2 dell’art. 1, invece, afferma che “la sovranità<br />

appartiene al popolo”. Questo argomento fu oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>scussioni<br />

all’interno della Commissione e successivamente nell’Assemblea.<br />

Alla convinzione dell’On. Grassi che “...lo Stato, depositario del potere<br />

<strong>di</strong> comando, lo esercita attraverso gli organi del suo or<strong>di</strong>namento, ma<br />

questi organi sono azionati e ricevono autorità e forma dal popolo che,<br />

<strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente, dà ad essi tutta la capacità della sua<br />

manovra...”, Ruini contrappose il modello francese che, piuttosto che al<br />

popolo, faceva riferimento alla nazione come elemento <strong>di</strong> coesione delle<br />

forze italiane e dei loro confini, in quel particolare momento storico. Ma<br />

l’idea non venne accolta dal Comitato <strong>di</strong> Redazione.<br />

Riguardo, invece, la seconda parte del secondo comma dell’art. 1 “(la<br />

sovranità appartiene al popolo) che la esercita nelle forme e nei limiti della<br />

Costituzione”, l’intenzione <strong>di</strong> Ruini fu inizialmente quella <strong>di</strong> sottolineare,<br />

con parole che potessero meglio specificare la sua idea, il principio dello<br />

Stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto che, pur sod<strong>di</strong>sfacendo i <strong>di</strong>ritti e le libertà in<strong>di</strong>viduali, assumesse<br />

e percorresse “...le vie del <strong>di</strong>ritto...”, ma all’interno dell’Assemblea<br />

– 199 –


prevalse la formula adottata da Fanfani, più semplice e breve ma non per<br />

questo mancante <strong>di</strong> concetti.<br />

Infine Ruini volle sottolineare che con il secondo comma dell’art. 1<br />

della Costituzione Italiana erano espresse le principali caratteristiche del<br />

nuovo Stato: sovranità popolare in<strong>di</strong>scussa che si esplica, me<strong>di</strong>ante il voto,<br />

nell’elezione del Parlamento e del referendum.<br />

c) I <strong>di</strong>ritti inviolabili e le libertà fondamentali<br />

Ruini attribuiva una notevole importanza ai <strong>di</strong>ritti inviolabili ed alle<br />

libertà fondamentali e sottolineò la necessità <strong>di</strong> tutelare questi <strong>di</strong>ritti. La<br />

<strong>di</strong>scussione dell’attuale art. 2 Cost. – La repubblica riconosce e garantisce i<br />

<strong>di</strong>ritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali,<br />

dove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri<br />

inderogabili <strong>di</strong> solidarietà politica, economica e sociale – in Assemblea<br />

Costituente fu limitata perché la formula fu ampiamente <strong>di</strong>scussa dalla<br />

prima Sottocommissione e concordata tra le maggiori correnti politiche.<br />

Riguardo alle specifiche libertà, il Comitato <strong>di</strong> Redazione aveva pensato<br />

<strong>di</strong> assorbire l’art. 15 – La libertà e la segretezza della corrispondenze e <strong>di</strong><br />

ogni altra forma <strong>di</strong> comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione<br />

può avvenire soltanto per un atto motivato della autorità giu<strong>di</strong>ziaria con<br />

le garanzie stabilite dalla legge – in quello unificato per le tre inviolabilità,<br />

sulla libertà e sulla segretezza <strong>di</strong> comunicazione e <strong>di</strong> corrispondenza, stabilendo<br />

comunque provve<strong>di</strong>menti provvisori in casi straor<strong>di</strong>nari <strong>di</strong> necessità<br />

ed urgenza.<br />

L’On. Perassi fu il portatore <strong>di</strong> questa formulazione ma Ruini osservò<br />

che, in tal modo, si sarebbe venuti a rinunciare al vantaggio <strong>di</strong> considerare,<br />

in via unitaria, l’istituto fondamentale per cui “la polizia non potrà prendere<br />

alcun provve<strong>di</strong>mento, ad esempio, <strong>di</strong> sequestro <strong>di</strong> corrispondenza senza<br />

darne notizia all’autorità giu<strong>di</strong>ziaria”.<br />

L’On. Condorelli propose <strong>di</strong> aggiungere alla garanzia dell’atto motivato<br />

dell’autorità giu<strong>di</strong>ziaria l’altra, che “debba essere pendente un proce<strong>di</strong>mento<br />

penale”, intendendo escludere anche la semplice inchiesta penale;<br />

l’Assemblea approvò l’emendamento.<br />

Altri membri del Comitato dei 18 osservarono che il Comitato stesso<br />

non poteva mo<strong>di</strong>ficare eccessivamente i testi approvati dall’Assemblea.<br />

Nel progetto del Comitato erano previste anche limitazioni e censure<br />

della libertà <strong>di</strong> corrispondenza in tempo <strong>di</strong> guerra ma questa proposta fu<br />

– 200 –


soppressa dal Comitato stesso che pensava <strong>di</strong> provvedere con un articolo<br />

alla sospensione <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong>ritti del citta<strong>di</strong>no durante il tempo <strong>di</strong> guerra.<br />

All’ultimo momento il Comitato rinunciò però anche a questo articolo e<br />

Perassi ripropose il testo iniziale.<br />

Fu piuttosto lungo anche il <strong>di</strong>battito che portò alla stesura dell’art. 18<br />

Cost. – I citta<strong>di</strong>ni hanno <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> associarsi liberamente, senza autorizzazione,<br />

per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono<br />

proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche in<strong>di</strong>rettamente,<br />

scopi politici me<strong>di</strong>ante organizzazioni <strong>di</strong> carattere militare –:<br />

il primo motivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione venne sollevato dalla proposta del relatore<br />

La Pira <strong>di</strong> aggiungere una limitazione costituzionale a quella penalistica,<br />

secondo la quale i fini dell’associazione non avrebbero dovuto essere in<br />

contrasto con le libertà garantite dalla Costituzione. Basso <strong>di</strong>chiarò <strong>di</strong> non<br />

poter accettare questa formula perché, essendo tutelato dalla Costituzione il<br />

<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà, si sarebbe potuto impe<strong>di</strong>re <strong>di</strong> riunirsi al partito Socialista<br />

o a quello Comunista che, tra gli obiettivi del proprio programma,<br />

includevano la riduzione <strong>di</strong> questa libertà; la Sottocommissione respinse<br />

l’inciso proposto dall’On. La Pira.<br />

Circa il secondo comma, invece, le principali controversie ruotarono<br />

attorno al tipo <strong>di</strong> associazioni che si sarebbero dovute vietare.<br />

L’On. Moro fece notare come non si sarebbero dovute vietare “quelle<br />

organizzazioni giovanili che avessero per avventura un carattere militare<br />

puramente esterno e formale”; Lucifero concordò e citò, come esempio <strong>di</strong><br />

associazione consentita, quella dei boy-scout.<br />

Circa l’art. 24 Cost. – Tutti possono agire in giu<strong>di</strong>zio per la tutela dei<br />

propri <strong>di</strong>ritti e interessi legittimi. La <strong>di</strong>fesa è <strong>di</strong>ritto inviolabile in ogni stato<br />

e grado <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>mento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti,<br />

i mezzi per agire e <strong>di</strong>fendersi davanti ad ogni giuris<strong>di</strong>zione. La legge<br />

determina le con<strong>di</strong>zioni e i mo<strong>di</strong> per la riparazione degli errori giu<strong>di</strong>ziari –<br />

la legge riconosceva alle vittime degli errori giu<strong>di</strong>ziari il <strong>di</strong>ritto ad essere<br />

indennizzate dallo Stato.<br />

Art. 21 Cost.: Tutti hanno <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> manifestare liberamente il proprio<br />

pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione. La<br />

stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere<br />

a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giu<strong>di</strong>ziaria nel<br />

caso <strong>di</strong> delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi,<br />

o nel caso <strong>di</strong> violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’in<strong>di</strong>cazione<br />

dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non<br />

– 201 –


sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giu<strong>di</strong>ziaria, il sequestro<br />

della stampa perio<strong>di</strong>ca può essere eseguito da ufficiali <strong>di</strong> polizia giu<strong>di</strong>ziaria,<br />

che devono imme<strong>di</strong>atamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare<br />

denunzia all’autorità giu<strong>di</strong>ziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro<br />

ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo <strong>di</strong> ogni<br />

effetto. La legge può stabilire, con norme <strong>di</strong> carattere generale, che siano<br />

resi noti i mezzi <strong>di</strong> finanziamento della stampa perio<strong>di</strong>ca. Sono vietate<br />

le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni<br />

contrarie al buon costume. La legge stabilisce provve<strong>di</strong>menti adeguati<br />

a prevenire e a reprimere le violazioni. La <strong>di</strong>zione attuale dell’art. 21 <strong>di</strong>scende<br />

dal primo schema abbozzato (relatore Mortati 14 ) dalla Commissione<br />

del Ministero della Costituente. Giunti all’Assemblea Costituente, due relatori<br />

<strong>di</strong> parte <strong>di</strong>versa, Basso 15 e La Pira, presentarono alla seconda Sottocommissione<br />

un testo quasi uguale a quello originario redatto da Mortati.<br />

Alcuni, come Lombar<strong>di</strong> e De Vita, sostennero che non si dovessero fare<br />

eccessive casistiche e suggerirono che, <strong>di</strong>chiarata la libertà <strong>di</strong> stampa, fosse<br />

rimesso tutto, o quasi, alla legge ma, queste posizioni, suscitarono le obiezioni<br />

<strong>di</strong> Terracini e Basso, i quali sostenevano che la Costituzione, in<br />

qualche modo, dovesse tracciare le linee guida per il legislatore; altri<br />

membri dell’Assemblea ritenevano che fosse più opportuno <strong>di</strong>stinguere,<br />

nell’articolo, la stampa e le altre manifestazioni <strong>di</strong> pensiero (Dossetti), o la<br />

stampa perio<strong>di</strong>ca da quella non perio<strong>di</strong>ca (Lucifero).<br />

Per ciò che riguardava il primo comma, Ruini era contrario ad inserire,<br />

nel corpo della Costituzione, <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> principio ma, il fatto che negli<br />

altri articoli riguardanti le libertà fossero state messe <strong>di</strong>chiarazioni alquanto<br />

solenni, gli impedì <strong>di</strong> portare avanti le proprie convinzioni e <strong>di</strong> evitare che<br />

fosse introdotto qualcosa <strong>di</strong> simile anche per la stampa. La prima formulazione<br />

Mortati <strong>di</strong>ceva: “è garantita la libertà <strong>di</strong> stampa e <strong>di</strong> espressione del<br />

pensiero con qualsiasi mezzo”; Basso e La Pira proponevano “il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni me<strong>di</strong>ante la<br />

stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti”. Il Comitato <strong>di</strong> Redazione<br />

credette opportuno mo<strong>di</strong>ficare l’articolo nel modo in cui si trova ora<br />

14 Costantino Mortati (Cor<strong>di</strong>gliano Calabro 1891-Roma 1985) Laureato in Giurisprudenza,<br />

Filosofia e Scienze Politiche, insegnò <strong>di</strong>ritto costituzionale per tutta la sua vita. Nel 1946 partecipò<br />

all’Assemblea Costituente facendo parte della Commissione dei 75.<br />

15 Lelio Basso, uomo politico italiano (Varazze 1903-Roma 1978). Antifascista, fu carcerato<br />

e confinato nel 1928-1931 e nel 1935-1940. Deputato del PSI dal 1946, ne fu segretario nel<br />

1948-1949.<br />

– 202 –


nella Costituzione: all’apparenza furono apportati piccoli ritocchi che potevano<br />

risultare superflui ma che, al contrario, rispondevano a criteri formali<br />

<strong>di</strong> tecnica legislativa.<br />

Il secondo comma passò senza alcun rilievo. La contesa si accese, invece,<br />

fin dalla Sottocommissione, sul terzo e sul quarto comma: Cevolotto,<br />

Lucifero e Marchesi non volevano che fosse apposta nessuna eccezione all’affermato<br />

principio <strong>di</strong> libertà.<br />

Alle opposizioni <strong>di</strong> Cevolotto che <strong>di</strong>ceva: “Potrebbero essere necessarie<br />

limitazioni in casi macroscopici, ma come aprire la via ad arbitri polizieschi?”.<br />

Rispose Lelio Basso, il quale affermò che, per il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> stampa, dovevano<br />

essere vali<strong>di</strong> gli stessi criteri già adottati per gli altri <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> libertà, e<br />

cioè, in caso <strong>di</strong> reati, la possibilità <strong>di</strong> intervenire, da parte dell’autorità,<br />

anche prima della condanna.<br />

Cevolotto e gli altri oppositori non si <strong>di</strong>mostrarono totalmente contrari<br />

al fatto che fosse inserito il sequestro da parte dell’autorità giu<strong>di</strong>ziaria,<br />

“sarebbe stata, però, cosa pericolosissima ed un’offesa alla <strong>di</strong>gnità della<br />

stampa” lasciare questo potere nelle mani della polizia.<br />

Ruini riferì obiettivamente: “Vietato il regime <strong>di</strong> censura e <strong>di</strong> autorizzazione,<br />

si è ammesso il sequestro, col doppio presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> una precisa designazione<br />

da parte della legge, <strong>di</strong> reati o <strong>di</strong> violazioni <strong>di</strong> norme, e dell’intervento<br />

dell’autorità giu<strong>di</strong>ziaria; non dovrebbe essere consentito alcun altro sequestro;<br />

ed è da sperare che si realizzi un assetto tale da offrir modo al magistrato<br />

<strong>di</strong> intervenire sempre tempestivamente; ma, ove ciò non sia possibile è<br />

sembrato alla maggioranza della Commissione che l’accordare all’autorità<br />

<strong>di</strong> polizia una facoltà determinata sia preferibile”.<br />

In Assemblea emersero nuove <strong>di</strong>scussioni riguardo al sequestro: secondo<br />

Perassi e i repubblicani si sarebbe potuto procedere ad esso solo in presenza<br />

<strong>di</strong> una sentenza irrevocabile <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>ce. Ghi<strong>di</strong>ni e i socialisti si opposero<br />

a che questo potere fosse lasciato alla polizia. Anche il democristiano Andreotti<br />

avrebbe voluto, per il sequestro, la “formula più restrittiva possibile”.<br />

In realtà, in Assemblea, non vi fu nessuno che non si <strong>di</strong>chiarasse “turbato<br />

dalla possibilità <strong>di</strong> abusi da parte della polizia”; fu però Moro che aggiunse<br />

che la libertà cessava <strong>di</strong> essere tale quando <strong>di</strong>ventava abuso, e gli abusi dovevano<br />

essere colpiti, sia pure per mezzo dell’autorità <strong>di</strong> pubblica sicurezza...<br />

Tupini, Presidente della seconda Sottocommissione, e Ruini erano favorevoli<br />

ad eliminare il quarto comma, ma la loro opinione non fu tenuta in<br />

considerazione, se non nelle adunanze preparatorie.<br />

– 203 –


Per il quinto comma, riguardante il controllo sul finanziamento della<br />

stampa perio<strong>di</strong>ca, vi furono numerosi emendamenti: Cavallari e Montagnana<br />

domandavano che il controllo si spingesse nel senso <strong>di</strong> assicurare che<br />

ogni corrente avesse modo <strong>di</strong> esercitare il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> stampa; Dossetti avrebbe<br />

voluto che il controllo, oltre che sui fon<strong>di</strong> finanziari, venisse esercitato<br />

sulle fonti delle notizie.<br />

Il sesto comma <strong>di</strong>ede luogo a qualche <strong>di</strong>battito, soprattutto tra i 75: si<br />

sentiva l’esigenza <strong>di</strong> un’azione più drastica contro le offese alla morale, al<br />

buon costume, alla decenza, contro la pornografia e l’oscenità. Vi furono<br />

delle obiezioni, non <strong>di</strong> principio, ma per la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernere tra pornografia<br />

ed arte: furono citati il Decamerone e Madame Bovary.<br />

Art. 3 Cost.: Tutti i citta<strong>di</strong>ni hanno pari <strong>di</strong>gnità sociale e sono uguali<br />

davanti alla legge, senza <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> sesso, <strong>di</strong> razza, <strong>di</strong> lingua, <strong>di</strong> religione,<br />

<strong>di</strong> opinioni politiche, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni personali e sociali. È compito<br />

della repubblica rimuovere gli ostacoli <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne economico e sociale che,<br />

limitando <strong>di</strong> fatto la libertà e l’uguaglianza dei citta<strong>di</strong>ni, impe<strong>di</strong>scono il<br />

pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione <strong>di</strong> tutti i<br />

lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.<br />

Anche a proposito dell’art. 3, l’On. Ruini volle esprimere il proprio<br />

parere: era fondamentale l’affermazione del principio <strong>di</strong> eguaglianza <strong>di</strong><br />

fronte alla legge ed era assolutamente in<strong>di</strong>spensabile darne risalto nella<br />

nuova Carta.<br />

In particolare Ruini sottolineò l’importanza dell’uguaglianza “senza<br />

<strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> sesso”: per la prima volta, infatti, dopo la svolta del suffragio<br />

universale nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946, i costituenti avevano<br />

sancito la parità e l’eguaglianza tra i sessi.<br />

L’art. 6 – La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche<br />

– della nostra Carta Fondamentale fu <strong>di</strong>scusso ed approvato <strong>di</strong>rettamente<br />

in Assemblea poiché non figurava nel progetto presentato dalla<br />

Commissione; furono gli onorevoli Co<strong>di</strong>gnola e Lussu che maggiormente si<br />

batterono per evitare che, nell’ambito dell’autonomia regionale, la maggioranza<br />

nazionale potesse limitare i <strong>di</strong>ritti delle minoranze linguistiche. L’emendamento<br />

presentato da Co<strong>di</strong>gnola fu approvato nella seduta del 22 luglio<br />

1947 nonostante il parere contrario <strong>di</strong> Ruini: “Vi è già nell’art. 2 [attuale art.<br />

3] il principio <strong>di</strong> eguaglianza <strong>di</strong> tutti i citta<strong>di</strong>ni”. La medesima opinione fu<br />

riba<strong>di</strong>ta dal Costituente reggiano nelle bozze per la riforma della Carta.<br />

Art. 7 Cost.: Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio<br />

or<strong>di</strong>ne, in<strong>di</strong>pendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Late-<br />

– 204 –


anensi. Le mo<strong>di</strong>ficazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono<br />

proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> revisione costituzionale. Durante la fase costituente<br />

sembrò fin troppo ovvio, essendo l’Italia appena uscita dall’incubo della<br />

guerra, che l’unità del paese dovesse apparire come la meta più agognata, la<br />

conquista da <strong>di</strong>fendere: obiettivo il cui conseguimento imponeva <strong>di</strong> evitare<br />

che fosse rimessa in <strong>di</strong>scussione la pace religiosa, raggiunta grazie alla<br />

Conciliazione del 1929.<br />

Proprio in questa prospettiva, molti videro <strong>di</strong> buon grado l’inserimento<br />

dei Patti Lateranensi nella nuova Costituzione che si andava elaborando, ritenendo<br />

che ciò avrebbe consentito <strong>di</strong> compiere “un nuovo e definitivo<br />

passo... verso il consolidamento della pace religiosa nel nostro Paese”.<br />

L’On. La Pira fece notare la centralità del problema religioso in una “moderna<br />

società democratica” sostenendo che una Costituzione pluralista,<br />

come quella che si andava progettando e che voleva e doveva essere il vestito<br />

della concreta realtà sociale del Paese, non avrebbe potuto non tener<br />

conto <strong>di</strong> quella “struttura sociale e religiosa che è la Chiesa”.<br />

Tuttavia, la paternità fascista dei Patti col Laterano non avrebbe potuto<br />

non costituire un grave ostacolo a che essi venissero richiamati nella nuova<br />

Costituzione; inoltre, i vecchi principi liberali del separatismo tra Stato e<br />

Chiesa, tornarono a far sentire il loro fascino: il mito dello “Stato Laico”<br />

sembrò sedurre molti <strong>di</strong> coloro che erano stati chiamati a progettare la<br />

nuova società civile, mentre andava <strong>di</strong>ffondendosi la preoccupazione che il<br />

richiamo ai Patti potesse comportare il riba<strong>di</strong>re il carattere confessionale<br />

dello Stato, già affermato nell’art. 1 del Trattato, in netta contrapposizione<br />

con i principi <strong>di</strong> libertà ed uguaglianza, anche in materia religiosa, sanciti in<br />

altre <strong>di</strong>sposizioni della Carta costituzionale.<br />

Imme<strong>di</strong>atamente emersero <strong>di</strong>scussioni riguardo il primo comma dell’attuale<br />

art. 7 Cost. che riconosceva la sovranità dello Stato e della Chiesa: per<br />

alcuni questo reciproco riconoscimento <strong>di</strong> sovranità sarebbe potuto “andare<br />

bene in un trattato internazionale, non in una Costituzione” mentre altri<br />

(Calamandrei 16 ) lo definirono, ad<strong>di</strong>rittura, un “nonsense”, perché non<br />

idoneo a risolvere il problema <strong>di</strong> quale or<strong>di</strong>namento avrebbe dovuto prevalere<br />

“quando si arriverà su un terreno pratico in cui nascerà il conflitto”.<br />

Si comprese che si sarebbe dovuto <strong>di</strong>stinguere tra or<strong>di</strong>namenti coesistenti su<br />

16 Piero Calamandrei, giurista, scrittore, uomo politico antifascista (Firenze 1889-1956).<br />

Membro della Consulta nazionale e della Costituente per il Partito d’azione. Fondò (1945) e<br />

<strong>di</strong>resse la rivista Il ponte.<br />

– 205 –


territori <strong>di</strong>versi (rapporti tra lo Stato italiano e gli altri Stati) ed or<strong>di</strong>namenti<br />

coesistenti sul medesimo territorio (rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa<br />

cattolica). Accettata questa <strong>di</strong>stinzione, fu il presidente della prima Sottocommissione,<br />

Tupini, a proporre l’attuale formula, unificativa delle due presentate<br />

dagli On. Dossetti e Togliatti.<br />

Ciò che fece dell’art. 7 il più a lungo <strong>di</strong>scusso della nostra Costituzione<br />

furono però, soprattutto, il secondo e il terzo comma, riguardanti l’inserimento<br />

degli accor<strong>di</strong> con la Chiesa nella Carta e le procedure per la loro mo<strong>di</strong>fica:<br />

nella relazione al progetto l’On. Ruini si limitò a scrivere che, fra le varie<br />

tesi, era prevalsa, in Commissione, quella che “i Patti intercedenti tra Stato e<br />

Chiesa debbano avere una speciale posizione <strong>di</strong> natura costituzionale” e non<br />

aggiunse sostanzialmente altro, lasciando ai deputati il compito <strong>di</strong> interpretare<br />

il pensiero della Commissione che egli aveva laconicamente in<strong>di</strong>cato.<br />

Vi furono interpretazioni contrastanti poiché alcuni, tra i quali Calamandrei,<br />

Targetti e altri, temettero che il secondo comma dell’articolo e la<br />

spiegazione datane dall’On. Ruini significassero l’inserimento dei Patti<br />

Lateranensi nella Costituzione italiana: l’obiezione, da loro personalmente<br />

illustrata, mirava a far notare all’Assemblea che, se il riferimento ai Patti<br />

fosse stato inserito in uno specifico articolo della Costituzione, “l’accenno<br />

storico sarebbe <strong>di</strong>ventato, imme<strong>di</strong>atamente, una norma giuri<strong>di</strong>ca, un principio<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto costituzionale che, non solo avrebbe imposto un vincolo alla<br />

mo<strong>di</strong>ficabilità dei Patti, ma li avrebbe anche fatti <strong>di</strong>ventare parti dell’or<strong>di</strong>namento<br />

della Repubblica”.<br />

La maggioranza dell’Assemblea escluse che il secondo comma dell’articolo<br />

in esame equivalesse ad una costituzionalizzazione delle norme dei<br />

Patti e ad una limitazione dei propri poteri e lo approvò...<br />

Un’altra preoccupazione piuttosto <strong>di</strong>ffusa parve essere quella <strong>di</strong> evitare<br />

possibili <strong>di</strong>scriminazioni in danno delle confessioni <strong>di</strong> minoranza, al punto<br />

che, anche il previsto limite al contrasto con l’or<strong>di</strong>namento italiano del<br />

<strong>di</strong>ritto delle confessioni ad organizzarsi secondo propri statuti, venne considerato<br />

da alcuni come “una sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione nei confronti delle<br />

Chiese”.<br />

Anche a proposito del terzo comma, riguardante i “rapporti con lo Stato”<br />

che “sono regolati per legge”, vi furono, in Aula, alcune richieste <strong>di</strong> chiarimento<br />

e fu nuovamente il politico reggiano a spiegare che, con quelle parole,<br />

la Commissione aveva inteso stabilire non un obbligo alla regolamentazione<br />

ma una facoltà. All’On. Pellizzari, che fece osservare come il verbo “sono”<br />

costituisse un’affermazione perentoria, Ruini confermò l’interpretazione in<br />

– 206 –


senso potestativo, <strong>di</strong>cendosi tuttavia <strong>di</strong>sposto, per togliere ogni dubbio, a<br />

sostituire “sono” con “possono”. L’Assemblea si accontentò dell’interpretazione<br />

data dal presidente della Commissione, due volte confermata, ed<br />

approvò la formula...<br />

Art. 19 Cost.: Tutti hanno <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> professare liberamente la propria<br />

fede religiosa in qualsiasi forma, in<strong>di</strong>viduale o associata, <strong>di</strong> farne propaganda,<br />

e <strong>di</strong> esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si<br />

tratti <strong>di</strong> riti contrari al buon costume. Questa <strong>di</strong>citura portò all’obiezione<br />

dell’On. Bitti e dell’On. Nobili Tito Oro, che si domandava quale fosse l’organo<br />

deputato a decidere quando un rito era contrario all’or<strong>di</strong>ne pubblico e<br />

al buon costume.<br />

Rispose ad entrambi l’On. Ruini: “Vi possono essere riti contrari al<br />

buon costume, stravaganti, <strong>di</strong>ce in un suo emendamento l’On. Nobile; si è<br />

accennato ai nu<strong>di</strong>sti, ai tremolanti, alla setta russa degli eviratori, che pre<strong>di</strong>ca<br />

il sacrificio <strong>di</strong> Origene. Vi saranno o no in Italia, e comunque deciderà<br />

volta per volta lo Stato se il buon costume sia o no offeso; ma non si può<br />

dare senz’altro via libera”.<br />

Art. 11 Cost.: L’Italia ripu<strong>di</strong>a la guerra come strumento <strong>di</strong> offesa alla<br />

libertà degli altri popoli e come mezzo <strong>di</strong> risoluzione delle controversie<br />

internazionali; consente, in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> parità con gli altri stati, alle<br />

limitazioni <strong>di</strong> sovranità necessarie ad un or<strong>di</strong>namento che assicuri la pace<br />

e la giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali<br />

rivolte a tale scopo. Il pacifismo fu un atteggiamento mentale<br />

con<strong>di</strong>viso tra tutti i partiti politici, alla Costituente. Questa componente del<br />

pacifismo venne incorporata nell’articolo 11: dapprima fu proposto <strong>di</strong><br />

riprendere la norma che già si trovava nella Costituzione spagnola del 1931,<br />

la quale a sua volta, recepiva il patto Kellog-Briand del 1928, in cui si<br />

condannava la guerra come strumento <strong>di</strong> politica nazionale.<br />

Nel corso dei lavori preparatori, però, il concetto <strong>di</strong> “condanna della<br />

guerra come strumento <strong>di</strong> politica nazionale” fu abbandonato e si pensò <strong>di</strong><br />

utilizzare il concetto <strong>di</strong> “ripu<strong>di</strong>o della guerra come strumento <strong>di</strong> offesa alla<br />

libertà degli altri popoli”.<br />

Non ci si limitò a parlare del ripu<strong>di</strong>o della guerra in generale. L’unica<br />

guerra consentita dalla costituzione fu la legittima <strong>di</strong>fesa, cioè una guerra<br />

che serva a <strong>di</strong>fendere lo stato ed il territorio italiano, o l’in<strong>di</strong>pendenza politica<br />

italiana, da eventuali attacchi o aggressori degli stati.<br />

Alla base del ripu<strong>di</strong>o della guerra vi fu, tra i padri fondatori della Costituzione<br />

italiana, una motivazione molto importante: l’inten<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> tra-<br />

– 207 –


sferire sul piano internazionale quei principi <strong>di</strong> libertà, <strong>di</strong> uguaglianza e <strong>di</strong><br />

sostanziale rispetto della persona umana, che si volevano affermare ed<br />

attuare nell’or<strong>di</strong>ne interno.<br />

L’articolo 11 della Carta fondamentale, però non si limita al ripu<strong>di</strong>o<br />

dello strumento bellico, ma ha costituito e costituisce la base giuri<strong>di</strong>cocostituzione<br />

per l’adesione italiana alle organizzazioni internazionali<br />

(in primis l’ONU) e per le reciproche limitazioni <strong>di</strong> sovranità che hanno<br />

condotto, con la nascita dell’Unione Europea, “dal nazionale al sopranazionale”.<br />

Sotto questo profilo si può affermare che Ruini fosse un “europeista convinto”<br />

che aveva in<strong>di</strong>viduato le <strong>di</strong>fficoltà e i problemi, ma anche i vantaggi<br />

che l’unificazione europea avrebbe comportato: “Andare risolutamente dall’internazionale<br />

al sopranazionale... Parlando per primo nella prima seduta<br />

del Senato della Repubblica italiana, sostenni l’unione federale europea”.<br />

d) Camere<br />

La forma <strong>di</strong> governo e il governo.<br />

Le prime questioni che si sollevarono all’interno della costituente riguardavano<br />

la forma <strong>di</strong> governo che in Italia si dovesse instaurare.<br />

Perassi sintetizzò la posizione espressa dalla seconda sottocommissione:<br />

ritennero che il tipo <strong>di</strong> governo che avrebbe risposto alle con<strong>di</strong>zioni della<br />

società italiana, sarebbe dovuto essere il governo parlamentare, inerente ai<br />

<strong>di</strong>spositivi costituzionali idonei a tutelare la stabilità del paese.<br />

A questa ipotesi si oppose il partito comunista, seguito da quello socialista.<br />

Esponente dell’opposizione all’interno del primo, fu La Rocca, il<br />

quale specificò che nel parlamento si dovesse istituire un’assemblea rappresentativa<br />

popolare, legislativa, ma allo stesso tempo esecutiva, che elaborasse<br />

le leggi e ne controllasse l’esecuzione.<br />

Ruini ritenne che il regime democratico-parlamentare fosse più adatto<br />

ai popoli sviluppati in senso etico-politico ed economico, intravedendo in<br />

questo ambito l’arretratezza della neonata repubblica e temendo che potesse<br />

esporre il Paese a numerosi pericoli. Questi, inoltre, si fece carico <strong>di</strong> spiegare<br />

all’On. La Rocca la <strong>di</strong>fferenza tra il primo ministro, così come inteso<br />

nell’art. 92 – Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del<br />

Consiglio e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.<br />

Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei<br />

ministri e, su proposta <strong>di</strong> questo, i ministri –, e la figura del cancelliere: il<br />

– 208 –


primo, un istituto già esistente in Costituzioni scritte, così come in Costituzioni<br />

non scritte, sarebbe, infatti, stato responsabile sia davanti al Capo<br />

dello Stato, sia davanti al Parlamento: “sono due atti <strong>di</strong>stinti <strong>di</strong> nomina, e<br />

che lo siano è perfettamente logico e costituzionalmente corretto”.<br />

Il presidente dalla Commissione intervenne anche sull’art. 94 – Il Governo<br />

deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda<br />

o revoca la fiducia me<strong>di</strong>ante mozione motivata e votata per appello nominale.<br />

Entro <strong>di</strong>eci giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alle<br />

Camere per ottenere la fiducia. Il voto contrario <strong>di</strong> una o <strong>di</strong> entrambe le<br />

Camere su una proposta del Governo, non importa obbligo <strong>di</strong> <strong>di</strong>missioni.<br />

La mozione <strong>di</strong> sfiducia deve essere messa in <strong>di</strong>scussione prima <strong>di</strong> tre<br />

giorni dalla sua presentazione – per controbattere gli emendamenti sul<br />

quinto comma: l’On. Rubilli aveva proposto <strong>di</strong> demandare ai regolamenti<br />

interni delle Camere, le modalità relative alla presentazione della mozione<br />

<strong>di</strong> sfiducia, ma Ruini replicò che lo scopo della norma era garantire la stabilità<br />

del Governo, in analogia a molte altre costituzioni, e che, a questa<br />

preoccupazione, si erano ispirati la Sottocommissione e il Comitato <strong>di</strong> Redazione.<br />

La libertà <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione, anche grazie ad altri mezzi attraverso cui<br />

parlare della politica del Governo, quali le mozioni or<strong>di</strong>narie o le interpellanze,<br />

non sarebbe stata minimamente violata.<br />

Posto ai voti, l’articolo fu approvato nel testo della Commissione, ma a<br />

scrutinio segreto, fu accettato l’emendamento presentato da Targetti sull’abbassamento<br />

del quorum da un quinto a un decimo.<br />

Lo stretto legame fiduciario tra Parlamento e Governo era tutt’altro che<br />

in<strong>di</strong>rizzato ad una forma <strong>di</strong>rettoriale e a tal proposito Ruini ribadì l’autonomia,<br />

se pur limitata, del Governo: “il potere esecutivo può e deve essere<br />

chiamato «attivo», poiché non si muove soltanto come mero esecutore <strong>di</strong><br />

coman<strong>di</strong> del Parlamento, ma ha attività ed iniziative sue, nei limiti normativi<br />

della Costituzione e delle leggi”.<br />

Le camere.<br />

La proposta <strong>di</strong> Greco, quella del parlamentarismo, non passò e perciò<br />

quella comunista finì col pesare fortemente, fino all’approvazione da parte<br />

della costituente dell’art. 56 – La camera dei deputati è eletta a suffragio<br />

universale e <strong>di</strong>retto. Il numero dei deputati è <strong>di</strong> 630; sono eleggibili a deputati<br />

tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i 25<br />

anni <strong>di</strong> età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni si effettua <strong>di</strong>videndo<br />

il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo<br />

– 209 –


censimento generale della popolazione, per 630 e <strong>di</strong>stribuendo i seggi in<br />

proporzione alla popolazione <strong>di</strong> ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti<br />

interi e dei più alti resti.<br />

La prima questione che si pose ai costituenti, riguardava la durata che<br />

avrebbero dovuto avere le due camere. I primi ad esporsi <strong>di</strong> fronte ad un<br />

problema <strong>di</strong> tale portata furono gli Onn. Nitti e Corbino, le cui posizioni,<br />

pur muovendosi entrambe all’interno <strong>di</strong> una concezione <strong>di</strong> continuità del<br />

sistema parlamentare e senatoriale, non collimavano; infatti, la prima, più<br />

conservatrice, ambiva ad un mantenimento in vita della Camera Alta, la<br />

seconda, moderatamente più innovatrice, tendeva ad una parziale rinnovabilità<br />

a scadenza fissa del senato. Contro questa proposta si schierarono gli<br />

On. Piccioni, il quale prospettava l’inopportunità <strong>di</strong> mettere in forse ogni due<br />

anni l’equilibrio politico, e, quin<strong>di</strong>, la stabilità del governo, e l’On. Clerici<br />

che aggiunse la <strong>di</strong>fficoltà che si sarebbe incontrata nella gestione del rinnovamento<br />

dei senatori eletti dalle regioni, obiettando, inoltre alla proposta<br />

avanzata in precedenza, <strong>di</strong> una <strong>di</strong>versa durata delle due camere, sostenendo<br />

che l’istituto della prorogatio, grazie al quale non si sarebbe mai venuta a<br />

creare una situazione <strong>di</strong> vacatio legislativa, facesse mancare questa necessità.<br />

Questa infatti, secondo Ruini, era partita dal bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziare le<br />

due camere, non tanto funzionalmente, quanto costitutivamente; proprio per<br />

questo motivo fu adottata un’uguale durata per la due camere. “Tutto il<br />

progetto – proseguì l’On. Ruini – è informato ad un criterio <strong>di</strong> simmetria e<br />

<strong>di</strong> equilibrio, che verrebbe meno con la <strong>di</strong>versa durata; non si avrebbero<br />

più, ad esempio, la legislatura, il funzionamento parallelo e sincrono delle<br />

due camere. La commissione, pur non respingendo la bicameralità, ha<br />

tenuto presente che il Parlamento deve essere concepito con una logica<br />

connessione e con una corrispondenza <strong>di</strong> funzioni che implica anche uguaglianza<br />

<strong>di</strong> durata... La nuova democrazia vuole due camere <strong>di</strong>fferenziate,<br />

ma funzionanti in parallelo. Si aggiunga che le frequenti rinnovazioni parziali<br />

del Senato e la <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> durata delle due camere, farebbero sorgere<br />

la necessità <strong>di</strong> continue elezioni, complicate e costosissime per lo Stato, e<br />

terrebbero in continua febbre elettorale il popolo, né gioverebbero a quella<br />

stabilità dei Governi che è necessaria all’interno dello Stato”.<br />

Posto in votazione, il principio <strong>di</strong> rinnovabilità dal Senato fu respinto.<br />

Pur essendo approvata una durata <strong>di</strong> cinque anni per la Camera, fu poi<br />

votata, su proposta dell’On. Lucifero, una <strong>di</strong>versa durata (<strong>di</strong> sei anni) per il<br />

Senato. A tal riguardo espresse il suo <strong>di</strong>sappunto il presidente della Commissione,<br />

sostenendo che in tal modo si sarebbe venuto ad intaccare il con-<br />

– 210 –


cetto <strong>di</strong> legislatura che era comune alle due Camere e significava che le due<br />

Camere venivano elette e potevano essere sciolte, nello stesso tempo.<br />

Ruini, durante le presentazione del progetto <strong>di</strong> Costituzione, spiegò<br />

anche il nuovo istituto della prorogatio e i motivi della sua introduzione, ovvero,<br />

la necessità <strong>di</strong> non privare il Parlamento, nell’intervallo tra le legislature,<br />

della possibilità <strong>di</strong> controllo e <strong>di</strong> azione.<br />

Il presidente della repubblica<br />

Fu Bozzi ad aprire il <strong>di</strong>battito sull’articolo 67 – Ogni membro del Parlamento<br />

rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo <strong>di</strong><br />

mandato – proponendo <strong>di</strong> sostituirlo con “La funzione legislativa è esercitata<br />

dal Presidente della Repubblica e dalle due camere”. Bozzi, riportando alla<br />

luce alcuni caratteri dello Statuto Albertino, riteneva che, se pur nell’ambito <strong>di</strong><br />

un sistema bicamerale, il potere del Presidente, in quanto personificazione dei<br />

tre poteri, non potesse essere escluso da qualsiasi forma <strong>di</strong> intervento.<br />

Il Presidente della Repubblica non può emanare decreti aventi valore<br />

legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straor<strong>di</strong>nari <strong>di</strong> assoluta ed<br />

urgente necessità. In tali casi, le Camere, anche se sciolte, sono appositamente<br />

convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni. I decreti perdono <strong>di</strong><br />

efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni.<br />

In seguito, poi, alle proposte <strong>di</strong> Targetti, venne approvato il testo: “Non si<br />

possono emanare decreti aventi valore <strong>di</strong> legge se non in casi straor<strong>di</strong>nari <strong>di</strong><br />

assoluta urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente<br />

convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni. I decreti perdono<br />

efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni”.<br />

Si presentò, tuttavia, la necessità <strong>di</strong> trovare una formulazione più chiara.<br />

Il Comitato <strong>di</strong> Redazione non intervenne solo formalmente: venne chiarito,<br />

infatti, che non convertendo il decreto legge, una revoca non avrebbe comportato<br />

un annullamento degli atti compiuti nel periodo interme<strong>di</strong>o: le Camere,<br />

nel momento della reiezione – respinsione della domanda –, avrebbero<br />

potuto deliberare al riguardo.<br />

Riguardo alle critiche formulate da Vittorio Emanuele Orlando alla<br />

seconda parte della Carta, sulla eleggibilità del Capo dello Stato, il politico<br />

reggiano ammise che così come era stato possibile raggiungere una vasta<br />

intesa sulla parte dei <strong>di</strong>ritti, sulla parte della organizzazione dei poteri<br />

incombevano ancora “gli spettri <strong>di</strong> Cesare, <strong>di</strong> Bonaparte e <strong>di</strong> Hitler”.<br />

Questi, infatti, riteneva che fosse necessaria l’elezione del Presidente<br />

della Repubblica da parte del popolo per dargli autonomia e stabilire un<br />

– 211 –


potere più durevole e saldo all’interno <strong>di</strong> oscillazioni <strong>di</strong> forze e <strong>di</strong> partiti:<br />

“Non presentai la proposta per timore che, come in altri paesi che non sono<br />

gli Stati Uniti d’America, si potesse andare incontro a deviazioni bonapartesche<br />

ed autoritarie, ma aggiunsi: il Capo della Repubblica non è l’evanescente<br />

personaggio, il motivo <strong>di</strong> pura decorazione, il maestro <strong>di</strong> cerimonie<br />

che si volle vedere all’interno <strong>di</strong> altre costituzioni”.<br />

In conclusione, i timori derivanti dalla passata <strong>di</strong>ttatura, condussero alla<br />

concorde decisione <strong>di</strong> abbandonare la questione dell’elezione <strong>di</strong>retta del<br />

Presidente: “La nostra Costituzione vivrà, in quanto sarà riuscita ad essere<br />

il compromesso richiesto dal momento storico”.<br />

e) La Corte Costituzionale<br />

Il c.d. compromesso storico.<br />

Uno degli istituti più importanti che i Costituenti crearono fu la Corte<br />

Costituzionale, posta come garante della futura Carta, descritta negli articoli<br />

134 e seguenti. Proprio questo articolo fu oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione in Assemblea<br />

in quanto atto a descrivere i tre principali compiti della corte. Secondo<br />

gli Onn. Gullo17 e Targetti, il testo del progetto lasciava a<strong>di</strong>to al dubbio che<br />

la Corte potesse esaminare autonomamente senza bisogno <strong>di</strong> elementi<br />

esterni la costituzionalità delle leggi.<br />

Il presidente della Commissione ribattendo queste obiezioni rispose<br />

<strong>di</strong>cendo che la Corte giu<strong>di</strong>ca e valuta se in una legge vi sia costituzionalità e<br />

legittimità. La corte infatti deve esaminare la finalità della legge per riconoscere<br />

la sua costituzionalità o non.<br />

Meuccio Ruini e il c.d. “compromesso storico”.<br />

Durante le <strong>di</strong>scussioni in assemblea, esponenti come Nitti vedevano nel<br />

testo costituzionale un tentativo <strong>di</strong> ottemperamento tra tendenze opposte<br />

quali il catechismo e la <strong>di</strong>alettica marxista.<br />

Altri, come Calamandrei temevano una coalizione tripartitica (tra democristiani,<br />

socialisti e comunisti) definendo questa convergenza “pateracchio”.<br />

17 Fausto Gullo (Catanzaro 1887-Cosenza 1974). Aderì alla resistenza antifascista promuovendo<br />

un socialismo locale. Eletto ministro dell’agricoltura nel 1929, la sua politica continuò a<br />

muoversi nell’ambito del supporto verso le masse rurali meri<strong>di</strong>onali per collimare lo iato che si<br />

era andato a creare tra lo Stato e le stesse, promuovendo la loro attiva partecipazione nella vita<br />

politica italiana.<br />

– 212 –


A questa obiezione ribatté Lelio Basso il quale non vedeva assolutamente<br />

<strong>di</strong>fetti nel tentativo da parte dei partiti <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> trovare obiettivi comuni che<br />

fossero l’espressione della grande maggioranza degli italiani.<br />

Dopo questi interventi presero la parola gli esponenti delle fazioni opposte<br />

<strong>di</strong>fendendo il lavoro appena svolto.<br />

La Pira <strong>di</strong>sse che il tentativo <strong>di</strong> trovare i “punti <strong>di</strong> contatto, <strong>di</strong> passaggio,<br />

<strong>di</strong> organizzazione” significava sod<strong>di</strong>sfare il bisogno <strong>di</strong> rifondazione<br />

della nazione.<br />

Togliatti da una parte lamentava il metodo negoziale definendolo <strong>di</strong> bassa<br />

lega, in quanto aveva indebolito i testi delle sottocommissioni; dall’altra,<br />

come Basso, sosteneva che il raggiungere un obiettivo comune e concorde tra<br />

le <strong>di</strong>verse parti politiche non significava “mercificare” le proprie posizioni.<br />

I valori fondamentali che portarono all’innegabile accordo tra le <strong>di</strong>verse<br />

parti politiche furono essenzialmente tre: in primis, il forte sentimento <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fesa dell’unità nazionale; in secondo luogo il rispetto per la tra<strong>di</strong>zione<br />

risorgimentale ed infine la lotta antifascista. L’elemento <strong>di</strong> coesione più<br />

importante fu senza dubbio l’antifascismo. Nacque proprio dalla preoccupazione<br />

<strong>di</strong> evitare il risorgere <strong>di</strong> nuove esperienze autoritarie a caratterizzare<br />

le intese raggiunte sui valori fondamentali che erano stati criticati durante<br />

il regime (libertà civili e politiche, sovranità popolare e centralità del Parlamento).<br />

Testimonianza <strong>di</strong> questo desiderio furono gli applausi scoppiati in<br />

aula dopo l’approvazione dei primi due articoli della Costituzione.<br />

La garanzia delle libertà fondamentali fu un punto focale per alcuni<br />

partiti (come DC e PCI) che vedevano nell’applicazione <strong>di</strong> queste una<br />

copertura contro il rischio <strong>di</strong> trovarsi in minoranza una volta terminata<br />

l’approvazione della Carta.<br />

Su alcune questioni non fu proprio possibile arrivare ad un accordo,<br />

ma nelle altre, sebbene rifossero molte <strong>di</strong>sparità <strong>di</strong> opinioni (testimoniate<br />

da serie interminabili <strong>di</strong> voti e controvoti), l’esito finale fu sostanzialmente<br />

positivo. Ruini stesso evidenziò l’importanza dello sforzo da parte dei<br />

<strong>di</strong>versi partiti <strong>di</strong> trovare accor<strong>di</strong> scrivendo: “La nostra Costituzione vivrà<br />

in quanto sarà riuscita ad essere al <strong>di</strong> fuori dei negoziati consapevoli delle<br />

parti, il compromesso richiesto dal momento storico”.<br />

f) il C.N.E.L.<br />

Ruini fu ideatore durante i lavori dell’Assemblea Costituente del Consiglio<br />

Nazionale dell’Economia e del Lavoro, perché “ritene[ndo] opportuna<br />

– 213 –


la penetrazione dei rappresentanti <strong>di</strong> interessi economici nella vita amministrativa<br />

dello Stato” e volendo ostentare un atteggiamento nettamente contrario<br />

al corporativismo fascista, manifestò la necessità <strong>di</strong> rivolgersi ad una<br />

organizzazione democratica rappresentativa anche <strong>di</strong> interessi economici,<br />

come norma vigente della Costituzione.<br />

Art. 99 Cost.: Il Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro è<br />

composto, nei mo<strong>di</strong> stabiliti dalla legge, <strong>di</strong> esperti e <strong>di</strong> rappresentanti delle<br />

categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza<br />

numerica e qualitativa. È organo <strong>di</strong> consulenza delle Camere e del Governo<br />

per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge.<br />

Ha iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della<br />

legislazione economica e sociale secondo i principi e i limiti stabiliti dalla<br />

legge.<br />

In questo senso egli compì stu<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>ti, esaminando, per raggiungere<br />

l’obiettivo della compenetrazione tra il mondo economico sociale e la<br />

politica nazionale, le Costituzioni e le leggi <strong>di</strong> quei paesi che, come l’Italia,<br />

avevano risentito degli effetti sociali delle rivoluzioni industriali, presentando<br />

l’esigenza <strong>di</strong> affiancare i preesistenti Consigli superiori dell’industria<br />

e del commercio con Consigli superiori del lavoro.<br />

Poiché nel periodo successivo alla prima guerra mon<strong>di</strong>ale tale esigenza<br />

fu ancora più pressante, per quanto riguarda le attribuzioni da assegnare al<br />

CNEL, si prese in considerazione, prima <strong>di</strong> tutto, la Costituzione <strong>di</strong> Weimar,<br />

che prevedeva Consigli d’azienda e un Consiglio economico <strong>di</strong> stato, sulla<br />

base <strong>di</strong> un Consiglio nazionale a cui venivano affidate funzioni consultive<br />

e <strong>di</strong> iniziativa legislativa in ambito <strong>di</strong> progetti <strong>di</strong> legge politici-sociali e<br />

politici-economici.<br />

Diversa era l’esperienza negli altri paesi: in alcuni (Inghilterra, Stati<br />

Uniti e Russia) esistevano organi chiamati Consigli economici o dell’economia<br />

nazionale che, pur occupandosi <strong>di</strong> temi sociali e del lavoro, svolgevano<br />

varie funzioni; mentre infatti il Consiglio economico nazionale russo era un<br />

organo <strong>di</strong> alta <strong>di</strong>rezione e gestione amministrativa <strong>di</strong> una economia comunista,<br />

quello degli Stati Uniti si esprimeva all’interno del comitato dei consiglieri<br />

economici presidenziali, svolgendo compiti <strong>di</strong> semplice consulenza,<br />

senza criteri rappresentativi e <strong>di</strong> interessi.<br />

Per quanto riguardava le composizioni e le attribuzioni <strong>di</strong> altri paesi<br />

europei come la Francia, il Belgio o la Danimarca, lo stu<strong>di</strong>o si faceva più<br />

complesso: in certi casi questi organi erano strumenti <strong>di</strong> ricerca e <strong>di</strong> collaborazione<br />

nell’applicare le leggi in materia economica e sociale; altre volte ai<br />

– 214 –


consigli veniva espressamente riservato il compito <strong>di</strong> dare pareri sui piani<br />

economici.<br />

Di ciò che doveva <strong>di</strong>ventare l’art. 99 si occuparono due delle Sottocommissioni<br />

in cui si <strong>di</strong>vedeva la Commissione dei 75: la seconda dal punto<br />

<strong>di</strong> vista istituzionale dell’or<strong>di</strong>namento, la terza da quello dei rapporti economici<br />

e sociali.<br />

La seconda Sottocommissione preferì considerare il problema anche<br />

nel suo aspetto sociologico, e partire così dall’esame <strong>di</strong> alcune proposte <strong>di</strong><br />

Costantino Mortati: queste si basavano sull’istituzione <strong>di</strong> Consigli ausiliari<br />

che, composti da sindacalisti e parlamentari avrebbero dovuto avere funzioni<br />

complesse come dare parere, pre<strong>di</strong>sporre, su richiesta delle Camere, del<br />

Governo, o per propria iniziativa <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> legge, o formulare, su incarico<br />

parlamentare, regolamenti.<br />

Le prerogative <strong>di</strong> organi <strong>di</strong> tale tipo dovevano riflettersi anche nel Consiglio<br />

Economico Nazionale che sarebbe risultato formato dai Consigli ausiliari<br />

delle varie amministrazioni, e il cui parere sarebbe stato obbligatorio<br />

“per tutti i progetti <strong>di</strong>retti a <strong>di</strong>sciplinare in modo unitario l’attività produttiva<br />

del paese” poiché esso avrebbe avuto, oltre alle funzioni dei Consigli<br />

<strong>di</strong> primo grado, la possibilità <strong>di</strong> prendere parte ai <strong>di</strong>battiti sui contratti <strong>di</strong><br />

lavoro “suscettibili <strong>di</strong> ripercuotersi con aumenti <strong>di</strong> prezzi sull’economia<br />

nazionale”.<br />

Sorse tuttavia un <strong>di</strong>battito all’interno della Sottocommissione che, guidata<br />

da Ruini, per essendo fondamentalmente d’accordo con l’impostazione<br />

<strong>di</strong> Mortati, riteneva che la struttura degli organi così come veniva presentata<br />

da quest’ultimo fosse troppo complessa e passibile <strong>di</strong> obiezioni.<br />

A seguito <strong>di</strong> un lungo <strong>di</strong>battito nel quale presero la parola gli Onn. Einau<strong>di</strong>,<br />

che contestò la chiarezza del rapporto coi Consigli superiori esistenti,<br />

Terracini, il quale avanzò dubbi su una possibile per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> potere del Parlamento<br />

a vantaggio dell’iniziativa legislativa e l’On. Grieco, si votò per un<br />

testo breve e generico, stesso dallo stesso Terracini che proponeva, eliminando<br />

le citazioni <strong>di</strong> Consigli ausiliari e tecnici, dell’iniziativa legislativa e delle<br />

funzioni arbitrali nei conflitti <strong>di</strong> lavoro, soltanto un Consiglio economico con<br />

funzioni <strong>di</strong> consulenza del Parlamento e del Governo.<br />

La terza Sottocommissione dovette affrontare i problemi che la relazione<br />

Fanfani elencava nell’ambito del “controllo sociale dell’attività economica”,<br />

una relazione che mirava alla creazione “<strong>di</strong> un Consiglio dell’interventismo e<br />

del <strong>di</strong>rigismo”, ovvero una serie <strong>di</strong> Commissioni regionali e un organo nazionale<br />

a cui sarebbero state affidate mansioni a lungo raggio, come la consulen-<br />

– 215 –


za verso l’Esecutivo, l’iniziativa legislativa, il controllo per conto del Parlamento,<br />

e il coor<strong>di</strong>namento in campo economico dell’azione pubblica.<br />

Pur non mancando proposte <strong>di</strong>vergenti come quella <strong>di</strong> Di Vittorio che<br />

affermava il <strong>di</strong>ritto delle organizzazioni sindacali <strong>di</strong> partecipare alla legislazione<br />

sociale, tuttavia, le conclusioni della Sottocommissione si sbilanciarono<br />

maggiormente verso un Consiglio economico nazionale che attende<br />

al controllo dell’attività pubblica e privata, verso cui si scagliò però Ruini<br />

poiché parevano indefinite e sospese; proprio per questo egli si mosse<br />

affinché l’Assemblea plenaria riconsiderasse il problema ex novo.<br />

Fu solo in un secondo momento che si giunse alla proposta Clerici (che<br />

venne poi adottata): prendendo in considerazione l’impossibilità <strong>di</strong> insistere<br />

sulla rappresentanza economica dei Consigli tecnici e amministrativi dei<br />

Ministeri a causa delle troppe resistenze che ne sarebbero seguite, fu necessario<br />

soffermarsi sull’unificazione delle materie economiche, avvalendosi<br />

inoltre <strong>di</strong> una formula più semplice <strong>di</strong> quella proposta da Mortati alla luce<br />

della concezione <strong>di</strong> un organo tecnico e rappresentativo <strong>di</strong> interessi.<br />

Poiché in assemblea le obiezioni si muovevano soprattutto verso il nome<br />

che da Clerici veniva proposto, quello <strong>di</strong> Consiglio economico del lavoro,<br />

Ruini intervenne per affermare che la questione più importante era decidere<br />

“il principio del Consiglio economico del lavoro, che esiste in tanti altri<br />

paesi, e che sarà sinteticamente espresso, nell’articolo che adotteremo, in<br />

modo da poterlo configurare con un tipo nostro ed italiano”.<br />

L’attuale art. 99, che prevede la creazione del Consiglio nazionale dell’economia<br />

e del lavoro (C.N.E.L.), fu approvato quasi all’unanimità.<br />

È da sottolineare il fatto che il CNEL, così come il Consiglio <strong>di</strong> Stato e<br />

la Corte dei Conti, sia in<strong>di</strong>cato come organo ausiliario, ciò non esclude ne<br />

che abbia carattere <strong>di</strong> organo costituzionale <strong>di</strong> almeno secondo grado (<strong>di</strong> fatti<br />

organo ausiliario vuol <strong>di</strong>re che non ci si riferisce a quegli organi nei quali i<br />

poteri dello Stato si esprimono e si incarnano, ovvero il Parlamento, il Presidente<br />

della Repubblica, il Governo e la Magistratura), ne significa “interno”<br />

<strong>di</strong> un potere dello Stato, poiché proprio attraverso un accordo <strong>di</strong>retto con<br />

il Parlamento al CNEL si garantisce una forte in<strong>di</strong>pendenza dal Governo.<br />

g) L’in<strong>di</strong>pendenza della Magistratura<br />

Car<strong>di</strong>ne dei lavori dell’Assemblea fu il principio <strong>di</strong> separazione dei<br />

poteri, teorizzato da Montesquieu; sebbene a questo principio si guardasse<br />

alla luce dell’evoluzione della società e dell’orientamento moderni, era<br />

– 216 –


comunque basilare concepire un potere giu<strong>di</strong>ziario autonomo, in<strong>di</strong>pendente<br />

dagli altri poteri, e quin<strong>di</strong> elastico, dotato <strong>di</strong> garanzie costituzionali tali da<br />

assicurare sia la stessa in<strong>di</strong>pendenza, sia la soggezione dei magistrati alla<br />

legge e, in particolare, allo stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto.<br />

Il Presidente della Commissione, mettendo in luce il richiamo che questo<br />

articolo faceva all’art. 1, spiegò come all’interno della magistratura che non<br />

si mostrava solo come un or<strong>di</strong>ne ma anche come un potere dello Stato, il<br />

popolo avrebbe dovuto avere la sua rappresentanza, eliminando comunque<br />

un possibile intervento dell’esecutivo al suo interno, poiché proprio dalla sua<br />

natura democratica scaturiscono le caratteristiche tipiche della magistratura.<br />

h) Democrazia <strong>di</strong>retta: i Referendum<br />

La visione del popolo quale organo <strong>di</strong> potere legislativo da esercitare<br />

solo attraverso la semplice scelta dei propri rappresentanti, ma anche con<br />

una forma più attiva <strong>di</strong> partecipazione, fu esposta dal relatore dei lavori sul<br />

referendum nella seconda Sottocommissione Mortati.<br />

Il referendum era considerato infatti, nelle moderne tendenze democratiche,<br />

lo strumento più adatto a risolvere le controversie sorte in seno a<br />

regimi parlamentari andando a sostituire la procedura, troppo drastica, <strong>di</strong><br />

scioglimento delle camere, concependolo inoltre come espressione <strong>di</strong>retta<br />

della volontà popolare, parallelamente alla rappresentanza in<strong>di</strong>retta svolta<br />

dall’elezione parlamentare.<br />

Il progetto Mortati sul referendum legislativo, fu presentato il 17 gennaio<br />

1947 nell’ambito della <strong>di</strong>scussione sull’organizzazione costituzionale<br />

dello Stato: non si celava sicuramente una certa influenza della Costituzione<br />

<strong>di</strong> Weimar per quanto riguardava la pluralità <strong>di</strong> forme referendarie previste<br />

che il giurista calabrese riduceva a cinque, sospensivo, deliberativo, abrogativo,<br />

ad iniziativa del Presidente della Repubblica, quest’ultimo per la risoluzione<br />

dei contrasti tra le Camere e tra Governo e Parlamento.<br />

Mortati <strong>di</strong>stingueva inoltre due ipotesi <strong>di</strong> referendum: su iniziativa del<br />

Governo e su iniziativa del popolo. Il primo poteva essere attuato con varie<br />

modalità:pur essendo in tutti i casi indetto dal capo dello stato, <strong>di</strong> esso potevano<br />

usufruire sia l’Esecutivo, che avrebbe potuto sospendere una legge<br />

approvata dalle Camere o dare corso ad un ddl respinto da quelle, sia il popolo,<br />

che avrebbe dovuto risolvere controversie tra Governo e Parlamento<br />

in merito a misure legislative, sia le Camere, a cui era data la possibilità del<br />

rigetto <strong>di</strong> un ddl da un ramo all’altro del Parlamento.<br />

– 217 –


Il secondo era anch’esso <strong>di</strong> vari tipi: sebbene all’interno del progetto<br />

fosse stato escluso qualunque caso <strong>di</strong> referendum <strong>di</strong> tipo consultivo, (“il<br />

popolo non è un organo consultivo” bensì “il più qualificato organo politico<br />

dello stato democratico”) attraverso i referendum <strong>di</strong> tipo popolare era consentito<br />

bloccare l’esecuzione <strong>di</strong> una legge approvata dal parlamento, non<br />

ancora entrata in vigore, per deliberare su essa, o abrogarla dopo che fosse<br />

stata resa efficace.<br />

Tuttavia, sebbene il referendum, quale “strumento <strong>di</strong> democrazia”<br />

(Greco, Uberti), “forma <strong>di</strong> controllo popolare” (Terracini), “mezzo <strong>di</strong> comunicazione<br />

politica” (Mortati), “freno alla partitocrazia” (Ruini), fosse dall’Assemblea<br />

tutta considerato elemento necessario della Costituzione, la<br />

concor<strong>di</strong>a sul principio generale non si tradusse in unità <strong>di</strong> vedute per<br />

quanto riguardava i limiti della sua applicazione, dando fin da subito inizio<br />

a quel processo <strong>di</strong> “filtro” che investì prima <strong>di</strong> tutto l’ampio potere in ambito<br />

referendario che veniva attribuito al capo dello stato. Molti, in effetti,<br />

temevano che ciò avrebbe portato ad una sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>ttatura personale del<br />

Presidente, il quale avrebbe scavalcato la “volontà del popolo che ha già<br />

nel Parlamento la sua espressione” e, nonostante le obiezioni <strong>di</strong> quanti<br />

tentavano <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssipare i dubbi asserendo che il capo dello stato avrebbe<br />

dovuto comunque agire sotto la responsabilità dell’Esecutivo, in sede <strong>di</strong><br />

votazione i Commissari respinsero le proposte: al Presidente non sarebbe<br />

stato consentito ricorrere alla consultazione popolare per sottoporvi una<br />

legge già esaminata dal Parlamento.<br />

Inoltre, dei tanti modelli <strong>di</strong> referendum inizialmente previsti, venne<br />

ammesso solamente quello arbitrale o conciliatorio su iniziativa del Capo<br />

dello Stato in caso <strong>di</strong> conflitto tra le Camere, quello sospensivo o preventivo<br />

<strong>di</strong> iniziativa popolare o dei consigli regionali per deliberare su leggi la cui<br />

promulgazione fosse stata sospesa o abrogativo per leggi già in vigore. Tra<br />

questi il più osteggiato fu sicuramente il secondo: considerato antigiuri<strong>di</strong>co<br />

e antidemocratico, fu motivo <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ffusa paura nei confronti <strong>di</strong> possibili<br />

manovre ostruzionistiche delle minoranze.<br />

Nonostante tutto, non si presentarono notevoli mo<strong>di</strong>ficazioni tra lo schema<br />

proposto dal Comitato <strong>di</strong> redazione e quello approvato dalla Commissione<br />

Costituente, che fu invece cambiato una volta giunto all’Assemblea.<br />

Difatti l’importanza che rivestiva l’istituto referendario nel nostro or<strong>di</strong>namento<br />

costituzionale e la necessità <strong>di</strong> trattare questo problema con estrema<br />

attenzione, si riflesse, come si è visto, in <strong>di</strong>atribe <strong>di</strong> natura giuri<strong>di</strong>ca, politica<br />

ed ideologica, che sarebbero risultate solamente il prelu<strong>di</strong>o delle <strong>di</strong>scussioni<br />

– 218 –


dell’Assemblea, quando Mortati ripresentò quello che era rimasto del suo<br />

schema iniziale dopo le epurazioni precedenti. Egli, pur <strong>di</strong>fendendo l’istituto<br />

del referendum come “l’istituto più democratico”, espressione dell’unione<br />

tra parlamento e popolo, tutela delle minoranze, si <strong>di</strong>mostrò favorevole alla<br />

soppressione del sospensivo, in quanto veniva posto in <strong>di</strong>scussione l’art. 72,<br />

laddove lo stesso istituto creava incertezza nel <strong>di</strong>ritto attraverso la previsione<br />

<strong>di</strong> perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> sospensione, pluralità <strong>di</strong> pubblicazioni, etc.<br />

Finalmente, come <strong>di</strong>sse Ruini, “dopo un’insistente pioggia <strong>di</strong> emendamenti<br />

soppressivi del referendum preventivo si arrivò a toglierlo <strong>di</strong> mezzo”.<br />

Le opposizioni al referendum abrogativo furono sicuramente più contenute:fu<br />

avanzata, certo, la richiesta <strong>di</strong> soppressione facendo riferimento a problemi<br />

come la possibile instabilità delle norme e delle situazioni giuri<strong>di</strong>che,<br />

che venne però subito annullata dall’intervento <strong>di</strong> Ruini il quale <strong>di</strong>fese<br />

il referendum legislativo come la più alta e completa forma <strong>di</strong> referendum,<br />

“in un senso che ormai mi sembra in<strong>di</strong>spensabile in una nuova democrazia”.<br />

L’emendamento Targetti fu respinto, pur non ponendo fine alle polemiche.<br />

Lo schema originario permetteva <strong>di</strong> sottoporre a consultazione popolare solo<br />

le leggi in vigore da almeno due anni: la durata e le ragioni <strong>di</strong> questo termine<br />

furono il centro <strong>di</strong> un infuocato <strong>di</strong>battito. Poiché molti chiesero <strong>di</strong> eliminare<br />

il limite <strong>di</strong> due anni <strong>di</strong> vigenza, fu accolta la proposta della Commissione,<br />

che non poneva alcun termine. Oltretutto, l’ultimo comma dell’art. 72 del<br />

Progetto ammetteva la richiesta del referendum a seconda della legge da<br />

trattare. Le proposte si mossero in ambiti <strong>di</strong>ametralmente opposti: quella <strong>di</strong><br />

Perassi mirava, attraverso l’ammissione delle leggi fino ad allora escluse, ad<br />

includervi solo le leggi tributarie, quella <strong>di</strong> Piemonte, grazie ad una maggiore<br />

limitazione, ad escludere quelle <strong>di</strong> autorizzazione per i trattati. Dal gruppo<br />

comunista invece M. Maddalena Rossi ed altri domandarono <strong>di</strong> comprendere<br />

tra le leggi escluse anche le leggi elettorali, a cui rispose un in<strong>di</strong>gnato Ruini<br />

che, nel sostenere la sovranità popolare, affermò: “[essa] si esprime [nel<br />

sistema elettorale] con tutta la sua ragion d’essere ad impe<strong>di</strong>re, in ipotesi,<br />

che i membri del Parlamento abusino nel regolare a comodo loro le elezioni”.<br />

La Scissione <strong>di</strong> Palazzo Barberini: i personaggi più rappresentativi<br />

La riflessione sulla scissione <strong>di</strong> palazzo Barberini assume un’attualità<br />

che non ebbe mai prima d’ora. Allora si trattò <strong>di</strong> affermare nei confronti<br />

dello stalinismo le ragioni dell’autonomia socialista, minacciata ma viva e<br />

– 219 –


eattiva, si tratta oggi <strong>di</strong> riportarle faticosamente alla luce, <strong>di</strong> ripensarle<br />

dopo mezzo secolo <strong>di</strong> sofferte esperienze.<br />

La storia della scissione <strong>di</strong> palazzo Barberini è la storia <strong>di</strong> un tentativo,<br />

audace, storicamente fallito e tornato politicamente attuale, <strong>di</strong> comporre in<br />

<strong>di</strong>alettica unità, nel comune segno della in<strong>di</strong>pendenza dal gioco delle politiche<br />

<strong>di</strong> potenza, le forze del movimento operaio socialista, per farne, in un<br />

quadro <strong>di</strong> solidarietà europea, la forza <strong>di</strong>rigente del processo <strong>di</strong> ricostruzione<br />

<strong>di</strong> un paese uscito dalla più grande catastrofe della sua storia. Si parlò<br />

allora <strong>di</strong> una operazione <strong>di</strong>retta a rompere l’unità della classe operaia, ideata<br />

e condotta <strong>di</strong>etro pressione o ad<strong>di</strong>rittura su mandato del governo americano,<br />

della destra italiana, dei potentati economici interessati a restaurare il loro<br />

traballante potere. La realtà politica è sempre gravida <strong>di</strong> elementi contrad<strong>di</strong>ttori<br />

e i fattori allora operanti a favore della scissione furono molteplici e<br />

<strong>di</strong> varia e contrastante natura. I sindacati americani non fecero mancare aiuti<br />

finanziari, generosamente offerti, peraltro, anni prima anche alla emigrazione<br />

socialista in Francia negli anni del fascismo trionfante. La legittima<br />

preoccupazione <strong>di</strong> isolare un partito comunista potentemente ra<strong>di</strong>cato in<br />

tutte le organizzazioni <strong>di</strong> massa, da quelle sindacali e quelle resistenziali e<br />

al tempo stesso scoperto strumento <strong>di</strong> una strategia che aveva a Mosca il<br />

suo centro <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione, si associava all’obiettivo <strong>di</strong> rompere l’unità del movimento<br />

operaio nel momento in cui si imponevano scelte decisive su quelli<br />

che sarebbero stati gl’in<strong>di</strong>rizzi della politica <strong>di</strong> ricostruzione economica del<br />

paese. Su altro versante contribuirono a suscitare un senso <strong>di</strong> rivolta in larga<br />

parte della base socialista le pesanti e sistematiche interferenze comuniste<br />

nel loro partito che arrivarono fino alla infiltrazione nella compagine <strong>di</strong><br />

quello che allora si chiamava il PSIUP <strong>di</strong> militanti comunisti forniti <strong>di</strong><br />

doppia tessera e fu pratica che continuò in anni successivi anche nei confronti<br />

del partito <strong>di</strong> Nenni. I promotori e gli organizzatori della scissione furono<br />

animati tutti da un movente etico-politico, quello <strong>di</strong> porre un argine al<br />

<strong>di</strong>lagare del comunismo <strong>di</strong> confessione staliniana, e da una intuizione, e<br />

cioè che in Italia come in ogni paese dell’Europa occidentale un partito<br />

operaio a <strong>di</strong>rezione comunista avrebbe avuta preclusa per tempi indefiniti la<br />

via al potere o anche alla partecipazione al potere.<br />

Il partito che nasce a palazzo Barberini non è nelle intenzioni dei suoi<br />

costruttori un partito <strong>di</strong> socialismo moderato, è un partito classista che si dà<br />

come obiettivo ultimo la socializzazione dei mezzi <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong><br />

scambio, che non esclude nelle <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> suoi autorevoli esponenti,<br />

anzi auspica, che una volta affermata, organizzata e consolidata l’autonomia<br />

– 220 –


dei socialisti, una politica unitaria del movimento operaio possa essere<br />

ripresa.<br />

Biografie complete:<br />

GIUSEPPE SARAGAT: nasce il 19 settembre 1898 a Torino e ben presto<br />

aderisce come simpatizzante al neonato partito socialista. Fin dalla gioventù<br />

è su posizioni riformiste, come <strong>di</strong>mostra nel 1922 iscrivendosi al<br />

Partito Socialista unitario e tre anni dopo entrando nella sua <strong>di</strong>rezione.<br />

L’avvento del fascismo e della <strong>di</strong>ttatura mussoliniana vedono il quasi<br />

trentenne Saragat collocarsi all’opposizione del nuovo regime ed imboccare<br />

la via dell’esilio: prima l’Austria e poi la Francia dove incontrerà<br />

e collaborerà con i massimi esponenti dell’antifascismo in esilio,<br />

da Giorgio Amendola a Pietro Nenni. È in questo clima, che matura<br />

una profonda avversione per il comunismo sovietico e per ogni sua<br />

“propaggine” occidentale. Proprio per questo egli comincia ad abbracciare<br />

il filone socialdemocratico nordeuropeo figlio della II Internazionale<br />

che aveva visto, anche a causa della debolezza della sinistra fortemente<br />

<strong>di</strong>visa tra massimalisti leninisti e riformisti socialdemocratici, la<br />

genesi e l’instaurarsi in Europa delle <strong>di</strong>ttature fasciste e nazista. Dopo<br />

la caduta <strong>di</strong> Mussolini, Giuseppe Saragat ritorna in Italia e, con Pietro<br />

Nenni e Lelio Basso, riunifica tutte le correnti socialiste dando origine<br />

al Partito Socialista <strong>di</strong> Unità Proletaria (PSIUP) in cui, come in tutta la<br />

tra<strong>di</strong>zione socialista, conviveranno sia le istanze riformiste, sia quelle<br />

massimaliste senza trovare, e anche questo fa parte della tra<strong>di</strong>zione<br />

del socialismo italiano, un punto <strong>di</strong> sintesi e <strong>di</strong> unione. Tuttavia, nelle<br />

elezioni per l’Assemblea Costituente i socialisti sono, con oltre il 20%<br />

dei suffragi, il secondo partito italiano alle spalle della Democrazia<br />

Cristiana e superano per pochi voi i comunisti del PCI <strong>di</strong> Palmiro<br />

Togliatti. In quanto seconda forza politica della penisola, al partito del<br />

sol dell’avvenire va la presidenza dell’Assemblea Costituente, e Nenni,<br />

entrato nel frattempo nel governo guidato dal democristiano Alcide De<br />

Gasperi (DC), in<strong>di</strong>ca Giuseppe Saragat come can<strong>di</strong>dato socialista per<br />

ricoprire tale carica e il leader riformista viene eletto con la convergenza<br />

<strong>di</strong> tutti i partiti antifascisti (DC, PCI, PSIUP, PRI, Pd’A, UDN,<br />

PLI) che costituivano i governi <strong>di</strong> unità nazionale. Ma è proprio in<br />

questi mesi che si verifica l’ennesima e insanabile rottura tra i due tron-<br />

– 221 –


coni del socialismo italiano: da un lato il sanguigno e “popolare” Pietro<br />

Nenni si batte per una stretta collaborazione con i comunisti (fino a<br />

ipotizzare una unificazione dei due partiti della sinistra) e per una<br />

scelta neutralista sul piano internazionale, dall’altra parte il colto e raffinato<br />

Giuseppe Saragat, che si ispira ai modelli scan<strong>di</strong>navi, si oppone<br />

strenuamente a tale ipotesi. Quest’ultimo nel gennaio 1947 abbandona<br />

il PSIUP con gli uomini a lui fedeli e da vita ad un partito socialista<br />

moderato e riformista, il Partito Socialista Unificato (PSU) dell’ex ministro<br />

Giuseppe Romita, che assumerà definitivamente il nome <strong>di</strong> Partito<br />

Socialista Democratico Italiano (PSDI) e <strong>di</strong> cui Giuseppe Saragat<br />

sarà unico leader, il quale assumerà ben presto posizioni molto moderate<br />

e filoatlantiche in contrasto con tutti gli altri partiti socialisti,<br />

socialdemocratici e laburisti d’Europa. Contemporaneamente all’assunzione<br />

della guida della nuova creatura politica, Saragat abbandona<br />

la guida <strong>di</strong> Montecitorio alla cui presidenza viene eletto il comunista<br />

Umberto terracini.<br />

Nella primavera dello stesso anno De Gasperi si reca negli Usa ed al rientro<br />

estromette comunisti e socialisti dal governo varando una formula<br />

<strong>di</strong> governo quadripartito centrista composta, oltre che dalla DC, dai repubblicani<br />

<strong>di</strong> Pacciar<strong>di</strong> (PRI), dai liberali <strong>di</strong> Einau<strong>di</strong> (PLI) e dai socialdemocratici<br />

<strong>di</strong> Saragat (PSLI) che assumerà la vicepresidenza del Consiglio<br />

dei Ministri.<br />

La svolta moderata: in questa competizione elettorale Giuseppe Saragat<br />

si presenterà alla guida <strong>di</strong> una lista, composta dal suo PSLI e da alcuni<br />

ex membri del Partito d’Azione che non avevano aderito al duetto Togliatti-Nenni,<br />

con il nome Unità Socialista conquistando un’eccellente<br />

7% <strong>di</strong> voti. Pochi anni dopo, tuttavia, Saragat ed il suo PSLI furono duramente<br />

sconfitti (elezioni 1953) e il partito entrò in un ruolo secondario<br />

del panorama politico e partitico nazionale. Dopo essere stato<br />

Vice presidente del Consiglio dei Ministri nei governi Scelba (1954) e<br />

Segni (1955), Saragat fu Ministro degli Esteri nel I e II governo Moro<br />

(1963-1964) <strong>di</strong> centrosinistra. Nel 1964 fu il primo socialista ad inse<strong>di</strong>arsi<br />

al Quirinale.<br />

Leit-motiv della sua presidenza fu la Resistenza e la volontà <strong>di</strong> attivarsi<br />

sempre per la costituzione <strong>di</strong> governi <strong>di</strong> centrosinistra. Pochi altri uomini<br />

politici (Togliatti e Spadolini) seppero coniugare l’impegno culturale<br />

come Saragat. Il leader socialdemocratico <strong>di</strong> è spento a Roma il giorno<br />

11 giugno 1988.<br />

– 222 –


MEUCCIO RUINI: nacque a Reggio Emilia il 14 <strong>di</strong>cembre 1877. Dopo<br />

aver conseguito la maturità classica presso il <strong>Liceo</strong> “Ariosto”, si laureò<br />

in Giurisprudenza all’Università <strong>di</strong> Bologna nel 1899. Si trasferì quin<strong>di</strong><br />

a Roma nel 1900 con l’intenzione <strong>di</strong> conseguire la docenza universitaria<br />

e <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi all’insegnamento. Dovendosi mantenere agli stu<strong>di</strong> partecipò,<br />

nel 1903, ad un concorso presso il Ministero dei Lavori Pubblici<br />

piazzandosi al primo posto. Come funzionario del Ministero si guadagnò<br />

la fiducia dei responsabili del <strong>di</strong>castero e percorse una rapida<br />

carriera, tanto che nel 1912 <strong>di</strong>venne <strong>di</strong>rettore generale dei servizi<br />

speciali per il Mezzogiorno. Nel 1904 si accese improvvisamente il suo<br />

interesse per i problemi della politica e le sue posizioni si ra<strong>di</strong>carono<br />

nell’area tre idee liberali e piani <strong>di</strong> riforma e trasformazione della<br />

società legati ad una funzione attiva dello stato. Le sue idee innovatrici<br />

furono accolte con favore dall’ala riformista del Partito Socialista. Nel<br />

1913 venne eletto Deputato nel collegio <strong>di</strong> Castelnuovo Monti per la<br />

lista ra<strong>di</strong>cale. La sua can<strong>di</strong>datura, causa <strong>di</strong> una rottura definitiva coi<br />

socialisti gli venne offerta da notabili reggiani. Entrò poi a far parte,<br />

risultandone il più giovane consigliere del Consiglio <strong>di</strong> Stato. Nel 1919<br />

nel gabinetto Orlando <strong>di</strong>venne Sottosegretario all’Industria, Commercio<br />

e Lavoro; nel successivo governo Nitti, rivestì anche la carica <strong>di</strong> Ministro<br />

delle Colonie. Nel 1921 i fascisti emiliani, a causa dei suoi legami<br />

politici con Nitti e Giolitti, si opposero in modo perentorio all’inserimento<br />

del suo nome nel “blocco”, impedendogli <strong>di</strong> ripresentarsi alle<br />

elezioni <strong>di</strong> maggio. Assieme a Giovanni Amendola fondò, nel 1922, il<br />

quoti<strong>di</strong>ano politico “Il mondo”, impegnandosi a fondo nel lavoro redazionale<br />

e scrivendo e<strong>di</strong>toriali e commenti (per lo più non firmati); nel<br />

1924, proprio con Amendola, fu tra i principali promotori dell’Unione<br />

Nazionale, un nuovo movimento politico volto a realizzare una decisa<br />

opposizione al fascismo, in cui assunse la <strong>di</strong>rezione del settore “problemi<br />

economici e finanziari”. Nel ventennio fascista, costretto a chiudere<br />

la rivista ed espulso dal Consiglio <strong>di</strong> Stato, Ruini trascorse la sua<br />

vita da esiliato in patria, ritiratosi a vita privata ed essendosi valso per il<br />

sostentamento, <strong>di</strong> alcune consulenze e <strong>di</strong> un’esigua pensione. Nel 1942,<br />

dopo aver conservato rapporti con l’antifascismo romano, fondò in<br />

clandestinità, insieme con Ivanoe Bonomi, il Partito della Democrazia<br />

del Lavoro <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>venne segretario. Dopo il 25 luglio fu tra i maggiori<br />

promotori del Comitato delle forze antifasciste trasformatosi, in seguito,<br />

nel CLN, all’interno del quale esercitò un’importante funzione <strong>di</strong> me-<br />

– 223 –


<strong>di</strong>atore e moderatore, ed entrò a far parte dei primi governi dopo la<br />

caduta del fascismo, sempre nel tentativo <strong>di</strong> ricostruire le fratture che<br />

comparivano <strong>di</strong> continuo nella coalizione governativa, per effetto del<br />

<strong>di</strong>fferente modo in cui i partiti moderati e le sinistre si muovevano nell’ambìto<br />

rinnovamento e nella trasformazione democratica della società<br />

italiana. Nel gennaio del 1945 venne istituito il C.I.R. (Comitato Interministeriale<br />

della Ricostruzione) ed egli fu chiamato a presiederlo.<br />

Accettò anche dopo 17 anni la Presidenza del Consiglio <strong>di</strong> Stato. Trasformò<br />

il Partito della Democrazia del Lavoro in Partito Democratico<br />

del Lavoro, nelle cui liste fu eletto all’Assemblea Costituente il<br />

2 giugno 1946. Il ruolo tenuto da Ruini all’interno del CLN gli permise<br />

<strong>di</strong> essere scelto alla Presidenza della “Commissione dei 75”, incaricata<br />

<strong>di</strong> re<strong>di</strong>gere il testo costituzionale. Come riconobbe la dottrina successiva,<br />

Ruini ebbe la funzione in<strong>di</strong>viduale <strong>di</strong> maggior rilievo nel processo<br />

<strong>di</strong> formazione della carta costituzionale, poiché seppe far valere la sua<br />

vasta esperienza politica, misurata in circa 40 anni <strong>di</strong> attività e la sua<br />

competenza nel campo del <strong>di</strong>ritto e dell’economia. Dopo l’esperienza<br />

nell’Assemblea Costituente, il politico reggiano rivestì importanti ruoli<br />

internazionali: fu eletto Presidente del Senato nel 1953, presidente del<br />

Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) nel 1957,<br />

venne nominato Senatore a vita nel 1963 “per altissimi meriti nel<br />

campo scientifico e sociale”, morì infine a Roma il 6 marzo 1970 all’età<br />

<strong>di</strong> 92 anni.<br />

PIETRO NENNI: nato a Faenza nel 1891 da un’assai modesta famiglia,<br />

inizialmente aderì al movimento repubblicano in cui si <strong>di</strong>stinse per la<br />

passionalità, per il primato assegnato alla pratica rispetto alla teoria, per<br />

la capacità <strong>di</strong> adattarsi in permanenza al mutare degli scenari politici.<br />

Repubblicano nel 1908, contrario alla guerra <strong>di</strong> Libia nel 1911, protagonista<br />

nel 1914 della “settimana rossa” <strong>di</strong> Ancona, conobbe il carcere<br />

in compagnia <strong>di</strong> Benito Mussolini, insieme al quale fu “interventista<br />

rivoluzionario” nella grande guerra e tra i fondatori del primo fascio <strong>di</strong><br />

combattimento a Bologna nel 1919. Subito riconosciuta nel fascismo la<br />

reazione, nel 1920 lasciò il PRI e nel 1921 <strong>di</strong>venne socialista. Fu subito<br />

capace <strong>di</strong> cogliere nel 1922 l’insorgere dell’anima reazionaria della<br />

democrazia borghese nella marcia su Roma e si oppose alla fusione dei<br />

massimalisti con il PCd’I e si battè per l’unità con i riformisti <strong>di</strong> Turati.<br />

Nel 1925 fondò con Rosselli la rivista Quarto Stato. Emigrò poi a Pari-<br />

– 224 –


gi. Durante il ventennio fascista fu uno dei massimi <strong>di</strong>rigenti del socialismo<br />

e dell’antifascismo italiano ed internazionale. Durante la guerra<br />

<strong>di</strong> Spagna nel 1936 fu commissario politico nelle Brigate Internazionali<br />

e combattè al fianco <strong>di</strong> democratici provenienti da tutto il mondo. Confinato<br />

a Ponza, dopo la caduta del Duce andò a Roma e nel periodo<br />

della Resistenza assunse, con Sandro Pertini, Giuseppe Saragat e Lelio<br />

Basso la guida del PSI finalmente riunificatori con il nome <strong>di</strong> Partito<br />

Socialista <strong>di</strong> Unità Proletaria (PSIUP). Dopo la Liberazione, fu Ministro<br />

degli Esteri nei governi <strong>di</strong> unità nazionale antifascista nella primavera<br />

del 1947 e la scissione della destra riformista e socialdemocratica<br />

<strong>di</strong> Giuseppe Saragat, con la politica del Fronte Popolare, dette al PCI il<br />

primato all’interno della sinistra italiana. Da allora, elettoralmente, il<br />

Partito Comunista fu un grande partito ed il Partito Socialista un me<strong>di</strong>o<br />

partito. Dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956) quando si riavvicinò<br />

a Saragat, proponendo ed ottenendo la temporanea riunificazione<br />

tra le due <strong>di</strong>verse anime del socialismo italiano e, dopo aver intrapreso<br />

la via dell’autonomismo, giunse a collaborare con la DC <strong>di</strong> Fanfani e <strong>di</strong><br />

Moro, con il PSDI <strong>di</strong> Saragat ed il PRI <strong>di</strong> Ugo La Malfa ed Oronzo<br />

Reale nei governi <strong>di</strong> centrosinistra, <strong>di</strong>ventando Vicepresidente del Consiglio<br />

e poi Ministro degli Esteri. Subì la scissione del PSIUP (1964) e<br />

promosse nel 1966 la riunificazione con il PSI <strong>di</strong> Saragat, destinata a<br />

durare solo tre anni. L’ultimo suo significativo atto politico fu l’appoggio<br />

al fronte <strong>di</strong>vorzista nel referendum del 1974 e la carica <strong>di</strong> Presidente<br />

del PSI nel 1972. Morì il 1° gennaio del 1980.<br />

Bibliografia:<br />

GIORGIO BOCCA, Storia della Repubblica Italiana, Milano1982.<br />

INDRO MONTANELLI, Storia d’Italia: L’Italia della Repubblica, Milano 1985.<br />

PAOLO SPRIANO, Storia del Partito Comunista italiano: Togliatti e il partito<br />

nuovo, Torino 1975.<br />

GIULIANO PROCACCI, Storia degli italiani, Roma 1991.<br />

GIORGIO BOCCA, Palmiro Togliatti, Roma 1992.<br />

– 225 –


CAPITOLO II<br />

TOGLIATTI<br />

Palmiro Togliatti nasce a Genova il 26-03-1893 da famiglia fortemente<br />

religiosa, ma non bigotta (come ebbe a testimoniare lui stesso). Compie i<br />

suoi stu<strong>di</strong> a Sassari in Sardegna. Nel 1911 si iscrive all’Università <strong>di</strong> Torino,<br />

dove incontra Antonio Gramsci a cui è legato da profonda ammirazione e<br />

amicizia. Nel 1914 consegue la laurea in giurisprudenza e si iscrive al PSI.<br />

Tale esperienza suscita in lui come in Gramsci un certo <strong>di</strong>sagio per via delle<br />

riserve che essi stessi esprimevano circa la struttura e l’organizzazione del<br />

movimento socialista.<br />

Pur non essendo stato interventista Togliatti aveva partecipato alla<br />

Grande Guerra come soldato del 2° reggimento alpino. Nel 1917, in congedo<br />

provvisorio per motivi <strong>di</strong> salute, era <strong>di</strong>venuto redattore <strong>di</strong> “Avanti” e<br />

<strong>di</strong> “Grido del popolo”.<br />

Il 1919 è l’anno che vede il vero e proprio inizio della sua formazione<br />

politica, nasce infatti “Or<strong>di</strong>ne Nuovo”, fondato con Gramsci, 18 Tasca 19 e<br />

Terracini. In tale settimanale è espressa la consapevolezza <strong>di</strong> quanto fosse<br />

grave la crisi della società in Italia e <strong>di</strong> come essa ponesse drastiche alternative<br />

<strong>di</strong> vittoria o <strong>di</strong> <strong>di</strong>sfatta al movimento operaio. In questo periodo egli si<br />

muove sempre nell’orbita <strong>di</strong> Gramsci; tanto per il suo temperamento schivo<br />

e timido, tanto per la riverenza che aveva verso colui che da sempre considerava<br />

il suo maestro. Gli scritti <strong>di</strong> Togliatti su Or<strong>di</strong>ne Nuovo in quegli anni<br />

si collocano prevalentemente nella rubrica “La Battaglia delle Idee”;<br />

Si tratta <strong>di</strong> interventi rapi<strong>di</strong> e mordenti sui temi dell’attualità del <strong>di</strong>battito<br />

politico e culturale.<br />

18 Antonio Gramsci (Ales, Cagliari 1891-Roma 1937), uomo politico italiano e teorico marxista,<br />

fu uno dei fondatori del Partito comunista italiano. Iscrittosi al Partito socialista, nel 1916<br />

<strong>di</strong>venne giornalista dell’”Avanti!”, il quoti<strong>di</strong>ano del partito, e successivamente, assieme a Palmiro<br />

Togliatti, Umberto Terracini e altri militanti, fondò un settimanale culturale, “L’Or<strong>di</strong>ne Nuovo”<br />

(1919), in<strong>di</strong>rizzato alla classe operaia e vicino alle posizioni dell’Internazionale comunista.<br />

19 Angelo Tasca, Nome <strong>di</strong> battaglia e letterario <strong>di</strong> Angelo Rossi (Moretta, Cuneo 1892-<br />

Parigi 1960), uomo politico e storico italiano. Socialista, fu tra i fondatori, con Antonio Gramsci<br />

e il gruppo della rivista torinese “L’Or<strong>di</strong>ne Nuovo”, del Partito comunista italiano, da cui venne<br />

espulso nel 1929, quando, membro della <strong>di</strong>rezione in esilio a Parigi, espresse delle critiche alla<br />

politica <strong>di</strong> Stalin. Rientrato nel Partito socialista e ottenuta la citta<strong>di</strong>nanza francese, nel 1940<br />

si lasciò affascinare dalla “rivoluzione nazionale” promessa dal regime del maresciallo Pétain, a<br />

cui collaborò, staccandosene solo in extremis: per questo motivo fu condannato dalla sinistra<br />

francese e italiana. Importante fu il suo lavoro <strong>di</strong> storico (Nascita e avvento del fascismo, 1938) e<br />

altrettanto significativo il prezioso archivio documentario da lui raccolto.<br />

– 226 –


“Chi eravamo? Chi rappresentavamo? Di quali parole eravamo i portatori?<br />

Ahimè l’unico sentimento che ci unisse in quella riunione era quello<br />

suscitato da una vaga passione <strong>di</strong> una vaga cultura proletaria. Volevamo<br />

fare, fare, fare; Ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nella<br />

ardente vita <strong>di</strong> quei mesi dopo l’armistizio, quando pareva imme<strong>di</strong>ato il cataclisma<br />

nella società italiana” (Palmiro Togliatti)<br />

E Giorgio Bocca commenta: queste le parole <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> amici che<br />

“vogliono fare e hanno i mezzi per fare”.<br />

Nel gennaio 1921 al Congresso <strong>di</strong> Livorno, la sinistra comunista rompe<br />

con il vecchio riformista PSI: sulla base dei 21 punti <strong>di</strong> Mosca, affermati<br />

nella Terza Internazionale, fonda il Partito Comunista d’Italia e ne assume<br />

la <strong>di</strong>rezione.<br />

A questa scissione contribuì fortemente l’occupazione delle fabbriche<br />

metallurgiche da parte degli operai, i quali chiedevano aumenti salariali<br />

adeguati al rincaro della vita. Sembrava ormai che il giorno della rivoluzione<br />

fosse vicino quando in realtà il PSI non aveva alcuna organizzazione<br />

militare. Sorsero dunque in molte città i Consigli <strong>di</strong> fabbrica che però, come<br />

in seguito è stato constatato non avevano un obbiettivo <strong>di</strong> lotta reale. Di<br />

importanza fondamentale furono le spinte da Mosca, in particolare dovute<br />

a Lenin, che miravano a epurare il partito dalla parte controrivoluzionaria.<br />

Al Congresso <strong>di</strong> Livorno dunque ci fu una netta <strong>di</strong>fferenziazione, tanto che<br />

una relazione riporta: “Si è fondata una frazione che men<strong>di</strong>ca l’adesione<br />

alle <strong>di</strong>rettiva comuniste e si <strong>di</strong>stacca dalla desta. Si sposta sempre più a sinistra<br />

la linea che separa i due partiti ancora conviventi in quello attuale”<br />

(Togliatti, Bor<strong>di</strong>ga 20 e Terracini).<br />

Con la fondazione del PCI, Togliatti è eletto nel Comitato Centrale al<br />

2° Congresso (1922) e <strong>di</strong>viene redattore capo del “Comunista” e del “Lavoratore<br />

<strong>di</strong> Trieste”. Nel 1924 si reca a Mosca presso l’Internazionale Comunista<br />

e partecipa al 5° Congresso. Dall’esperienza in URSS trae la convin-<br />

20 Amedeo Bor<strong>di</strong>ga (Resina, Napoli 1889-Formia, Latina 1970), uomo politico italiano,<br />

formatosi nel movimento socialista e tra i fondatori del Partito comunista italiano (PCI) sorto<br />

nel 1921. Fautore <strong>di</strong> un partito rivoluzionario sul modello bolscevico, Bor<strong>di</strong>ga fu messo in minoranza<br />

al congresso <strong>di</strong> Lione (1926) dal gruppo che faceva capo a Palmiro Togliatti e Antonio<br />

Gramsci. Dopo l’arresto e il confino per attività sovversiva, fu espulso dal Partito comunista<br />

sotto l’accusa <strong>di</strong> trotzkismo (1930). Ritiratosi dalla militanza politica, rivolse il suo impegno<br />

alla riflessione teorica e storica sul comunismo. Alle sue idee si ispirarono nel dopoguerra<br />

piccoli gruppi <strong>di</strong> comunisti <strong>di</strong> sinistra, in <strong>di</strong>ssenso sia con il Partito comunista italiano sia con<br />

lo stalinismo sovietico.<br />

– 227 –


zione della necessità della lotta aperta contro le posizioni che si riferivano<br />

alla strategia <strong>di</strong> lotta rivoluzionaria e alla costruzione <strong>di</strong> un’egemonia della<br />

classe operaia e perciò ad una sua alleanza con i conta<strong>di</strong>ni.<br />

Tale impegno lo occupa dal ’23 al ’26. Partecipa al 3° Congresso a<br />

Lione nel 1926. Le tesi ripetono le idee guida <strong>di</strong> Gramsci al comitato centrale:<br />

“Il nostro compito è quello <strong>di</strong> organizzare gli operai del Nord e i conta<strong>di</strong>ni<br />

meri<strong>di</strong>onali e saldare la loro alleanza rivoluzionaria” (A. Gramsci).<br />

Dopo l’arresto <strong>di</strong> quest’ultimo, Togliatti inizia a manifestare tutta la sua statura<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>rigente, anche se dall’estero, continuando la lotta del sua predecessore<br />

contro la concezione borghi<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> partito che si intrecciò allo sforzo<br />

del PCI <strong>di</strong> calarsi più profondamente nella situazione specifica creatasi in<br />

Italia con l’avvento del Fascismo. Nel 6° Congresso del 1928 Togliatti delinea<br />

una linea <strong>di</strong> attacco frontale alla politica social democratica. Intervenne<br />

dunque preoccupato da un lato, per la tendenza a sostituire all’analisi<br />

<strong>di</strong>fferenziata e concreta delle situazioni le definizioni generali; dall’altro,<br />

per l’insufficiente chiarezza con cui si procedeva alla formazione dei gruppi<br />

<strong>di</strong>rigenti dell’Internazionale e dei partiti comunisti. Egli avvertiva un impoverimento<br />

nella vita democratica delle organizzazioni comuniste e una pericolosa<br />

tendenza al dottrinarismo e al dogmatismo.<br />

Nel corso del ’27-’28 il PCI aveva intanto subito duri colpi ad opera<br />

della polizia fascista: i suoi quadri migliori erano o in prigione o in esilio.<br />

Nel 1928 erano ormai persi i contatti tra la <strong>di</strong>rezione del partito (Togliatti<br />

compreso) che operava all’estero e i militanti all’interno.<br />

Nel 1935 torna a lavorare nell’esecutivo dell’Internazionale. Operava<br />

su <strong>di</strong> lui un’esperienza <strong>di</strong> sei mesi in Francia ed ebbe gran<strong>di</strong> conseguenze<br />

l’incontro con Dimitrov. 21<br />

Lo scoppio della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale rese vani i tentativi <strong>di</strong><br />

Togliatti e degli altri esponenti della sinistra che osteggiavano il conflitto<br />

21 Dimitrov, Georgj Michailoviè (Radomir, Sofia 1882-Mosca 1949), uomo politico bulgaro<br />

e leader comunista; primo ministro della Bulgaria (1946-1949). Operaio tipografo, <strong>di</strong>venne<br />

membro del comitato centrale del Partito operaio comunista nel 1909 e presto ne <strong>di</strong>venne uno dei<br />

leader. Nel 1923, dopo il fallimento <strong>di</strong> un’insurrezione comunista da lui organizzata, fu costretto<br />

a lasciare il paese. Arrestato a Berlino con l’accusa <strong>di</strong> complicità nell’incen<strong>di</strong>o del Reichstag<br />

(1933), si guadagnò una grande notorietà a livello mon<strong>di</strong>ale grazie alla sua abile <strong>di</strong>fesa, nella<br />

quale accusò il regime nazista <strong>di</strong> aver organizzato l’incen<strong>di</strong>o e il processo per scopi politici. Assolto,<br />

Dimitrov si stabilì in Unione Sovietica. Fu segretario generale (1935-1940) del Comintern<br />

e membro (1937-1945) del Soviet Supremo dell’URSS. Nel 1946 <strong>di</strong>venne primo ministro della<br />

Repubblica popolare <strong>di</strong> Bulgaria e mantenne la carica fino alla morte. Nel 1947 fu tra i fondatori<br />

del Cominform.<br />

– 228 –


facendo riferimento ai principi dell’internazionalismo proletario e al concetto<br />

fondamentale che la guerra è comunque e sempre a <strong>di</strong>scapito dei popoli.<br />

Togliatti, dunque, promuove insieme al fronte antifascista italiano all’estero,<br />

un’articolata ed estesa azione <strong>di</strong> propaganda.<br />

Egli trovandosi in Francia viene arrestato dal governo Dala<strong>di</strong>er, quin<strong>di</strong><br />

rilasciato per poi raggiungere in modo fortunoso l’Urss. Da quel momento<br />

la sua attività si svolge essenzialmente per ra<strong>di</strong>o. Togliatti è artefice, infatti,<br />

<strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi agli italiani da “Ra<strong>di</strong>o Mosca” i cui temi facevano<br />

leva sul sentimento nazionale, sulla riven<strong>di</strong>cazione delle libertà politiche e<br />

sui <strong>di</strong>sagi materiali provocati dalla guerra. Dando prova <strong>di</strong> grande maturità<br />

politica, spirito <strong>di</strong> collaborazione e soprattutto prudenza, egli invita tutte<br />

le forze politiche a mettere da parte le <strong>di</strong>fferenze ideologiche per contribuire<br />

al processo <strong>di</strong> liberazione.<br />

Si interessa frattanto della forma istituzionale da acquisire convinto che<br />

fare della monarchia il perno della vita del paese non avrebbe portato alcun<br />

miglioramento. Si doveva dunque accantonare la questione. Il popolo italiano<br />

avrebbe deciso in seguito, democraticamente a liberazione avvenuta.<br />

Il 19 <strong>di</strong>cembre del ’43 i rappresentanti delle federazioni comuniste delle<br />

Puglie della Calabria e della Campania, riunitesi a Napoli, chiedono al comitato<br />

consultivo alleato per l’Italia il rientro in patria del loro compagno<br />

capo del partito comunista e del proletariato italiano. Togliatti infatti<br />

avrebbe potuto giocare un ruolo estremamente nella mobilitazione del popolo<br />

italiano nella lotta contro il Fascismo. Approvata la richiesta delle federazioni<br />

comuniste, Togliatti il 27 marzo del ’44 rientra in Italia sbarcando<br />

a Napoli.<br />

Già prima che l’Italia entrasse in guerra la linea tracciata dal PCI era<br />

volta alla sconfitta delle forze nazifasciste, anche nel caso in cui fosse stato<br />

necessario l’appoggio <strong>di</strong> un movimento monarchico.<br />

È con la svolta <strong>di</strong> Salerno, nell’aprile del ’44, che il leader comunista, a<br />

seguito del suo rientro dopo aver preso in mano la <strong>di</strong>rezione del partito, imprime<br />

un improvviso mutamento alla resistenza.<br />

La rivolta è stata ed è considerata un movimento patriottico compiuto<br />

per unire le forze contro il comune nemico; ma il reale obiettivo <strong>di</strong> Togliatti<br />

non è militare bensì politico: l’inserimento dei comunisti nella legalità, nel<br />

governo.<br />

La svolta <strong>di</strong> Salerno è “l’applicazione all’Italia nel bene e nel male,<br />

dell’antica linea comunista” (G. Bocca). Togliatti accetta la guerra partigiana<br />

da politico, ma senza crederci fino in fondo, persuaso che ciò che<br />

– 229 –


conta è solo il grande potere, il potere che il partito saprà assicurarsi nello<br />

stato.<br />

Giunti al termine della guerra, nel ’45, l’Italia è un paese “a pezzi”, tanto<br />

che il governo Bonomi non è in grado <strong>di</strong> sostenere e risolvere la situazione.<br />

È proprio per questo che a partire dal 13 giugno del ’45 la nazione<br />

attraversa una crisi governativa che vede aprirsi una profonda frattura all’interno<br />

dello schieramento dei partiti: da una parte le sinistre favorevoli alla<br />

can<strong>di</strong>datura <strong>di</strong> Pietro Nenni, dall’altra le destre che appoggiano il democristiano<br />

Alcide De Gasperi.<br />

Contrariamente alle aspettative, Togliatti, pur essendo un fervente sostenitore<br />

del partito comunista, avversa decisamente la can<strong>di</strong>datura <strong>di</strong> Nenni<br />

essendo consapevole del fatto che un governo delle sinistre <strong>di</strong> certo non sarebbe<br />

sopravvissuto a lungo.<br />

Ritiene necessario un progetto <strong>di</strong> alleanza con la Chiesa Cattolica, in<br />

accordo con Alcide De Gasperi, del quale avrebbe sostenuto imme<strong>di</strong>atamente<br />

l’ascesa al governo se non fosse stato costretto dal Comitato <strong>di</strong> Liberazione<br />

dell’Alta Italia ad accettare la proposta <strong>di</strong> un governo preseduto da<br />

Ferruccio Parri, l’azionista che guidò con Longo la resistenza.<br />

Ricorda infatti egli sull’Unità: “Bisogna che tutti o per lo meno la maggior<br />

parte dei gran<strong>di</strong> partiti venuti alla luce dopo il crollo del Fascismo si<br />

orientino in senso democratico a mantengano la loro unità”.<br />

Se per molti partigiani, per la borghesia che ha fatto la guerra <strong>di</strong> liberazione,<br />

il governo Parri segna l’inizio <strong>di</strong> una politica <strong>di</strong> rinnovamento, per<br />

il leader comunista è solamente un incidente. Nel governo Parri, Togliatti è<br />

Ministro <strong>di</strong> Grazia e Giustizia. Ma ha scarsa stima per i suoi alleati <strong>di</strong> sinistra<br />

“troppo frettolosi e poco tenaci come organizzatori e <strong>di</strong>rigenti <strong>di</strong> un<br />

grande partito politico” (G. Bocca).<br />

È convinto che il partito comunista debba prima o poi <strong>di</strong>ventare un<br />

grande partito unico dei lavoratori, che debbano esserci dei cambiamenti.<br />

Questo “incidente” del governo Parri deve durare il meno possibile... da<br />

parte sua non c’è sabotaggio ma neanche appoggio.<br />

Non solo Togliatti ma tutto il vecchio stato burocratico prova <strong>di</strong> fronte<br />

al cosiddetto “vento del nord” (il governo Parri) un sentimento <strong>di</strong> pericolo:<br />

è infatti la prima volta nella storia unitaria del paese che si profila un rinnovamento<br />

ra<strong>di</strong>cale è ciò terrorizza i benpensanti dell’Italia centrale e meri<strong>di</strong>onale,<br />

rimasti in gran parte estranei alla resistenza.<br />

È a seguito <strong>di</strong> una reazione moderata che la funzione dei CLN (Comitati<br />

<strong>di</strong> Liberazione Nazionali), che erano stati inseriti nelle istituzioni, inizia<br />

– 230 –


a deteriorarsi: non è il leader comunista l’unico a denunciare le debolezze<br />

che ci sono nell’azione del governo. Proprio per questo la sorte <strong>di</strong> Parri può<br />

definirsi ormai segnata: i vincitori saranno i cattolici appoggiati in seguito<br />

dagli stessi comunisti.<br />

Proprio questo è il sogno <strong>di</strong> Togliatti: “Ciò (il governo con i cattolici)<br />

significherebbe tra l’altro rompere per sempre quella specie <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />

reazionaria la quale tende ad escludere dalla <strong>di</strong>rezione del governo in Italia<br />

gli uomini <strong>di</strong> determinati partiti, come quello della Democrazia Cristiana o<br />

quello comunista o quello socialista”.<br />

Dunque il principale obiettivo che Togliatti si prefigge è quello <strong>di</strong> ottenere<br />

migliori rapporti con la Chiesa; nonostante egli sappia benissimo che<br />

essa, la Chiesa <strong>di</strong> Pio XII, è il baluardo dell’anticomunismo, la speranza <strong>di</strong><br />

tutte le forze reazionarie, tuttavia è convinto da marxista che le contrad<strong>di</strong>zioni<br />

interne del mondo cattolico siano gran<strong>di</strong> e sfruttabili, che la Chiesa<br />

in Italia sia certamente conservatrice, anticomunista. Ma che nulla escluda<br />

che possa mutare, che possa creare un nuovo rapporto con le forze popolari.<br />

È dunque con essa che bisogna fare i conti. Per conseguire questo suo progetto<br />

egli considera necessaria un’unione col partito della Democrazia Cristiana<br />

considerato veramente capace <strong>di</strong> “dare a Dio quel che è <strong>di</strong> Dio e a<br />

Cesare quel che è <strong>di</strong> Cesare”.<br />

Perciò inizialmente ha una profonda fiducia in De Gasperi e nei suoi<br />

collaboratori, tanto che l’incontro <strong>di</strong> quest’uomo con i comunisti porterà la<br />

rivista Rinascita a parlare <strong>di</strong> “tre partiti <strong>di</strong> massa” <strong>di</strong> un fronte unico costituito<br />

da PSI, PCI e DC.<br />

Il 10 marzo ’46 gli italiani votano per la prima volta dopo vent’anni per<br />

darsi delle amministrazioni comunali e provinciali. La vittoria va come previsto<br />

ai democristiani. Il 2 giugno si vota invece per eleggere l’Assemblea<br />

Costituente e per decidere con referendum se mantenere la monarchia o<br />

creare la repubblica. Il voto popolare porta la repubblica alla vittoria con<br />

12.718.641 voti contro i 10.718.502 a favore della monarchia. I rappresentanti<br />

dei tre gran<strong>di</strong> partiti <strong>di</strong> massa che hanno nell’Assemblea Costituente<br />

una schiacciante maggioranza, lavorano <strong>di</strong> comune accordo per dare una<br />

costituzione democratica e progressista alla neonata repubblica.<br />

Sono i mesi in cui il sogno togliattiano in parte si avvera: “Da parte<br />

nostra un solidarismo umano e sociale, dall’altra parte un solidarismo <strong>di</strong><br />

ispirazione ideologica e <strong>di</strong> origine <strong>di</strong>versa il quale però arrivava a risultati<br />

analoghi a quella a cui arrivavamo noi. Questo è il caso dell’affermazione<br />

dei <strong>di</strong>ritti del lavoro, dei cosiddetti <strong>di</strong>ritti sociali, è il caso della nuova con-<br />

– 231 –


cezione del mondo economico, non in<strong>di</strong>vidualistica, né atomistica, ma fondata<br />

sul principio della solidarietà e sul prevalere delle forze del lavoro: è<br />

il caso della nuova concezione e dei limiti del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà. Se questa<br />

confluenza <strong>di</strong> due <strong>di</strong>verse concezioni su un terreno ad esse comuni volete<br />

qualificarla come “compromesso” fate pure. Per me si tratta invece <strong>di</strong><br />

qualcosa <strong>di</strong> molto più nobile ed elevato, della ricerca <strong>di</strong> quella unità che è<br />

necessaria per fare la Costituzione <strong>di</strong> tutti i lavoratori italiani”.<br />

E i fatti sembrano dare ragione a Togliatti: assieme ai cattolici si è fatta<br />

la Repubblica, assieme si vota una carta costituzionale degna <strong>di</strong> un paese<br />

libero e giusto, <strong>di</strong> una repubblica fondata sul lavoro e sui valori della Resistenza.<br />

Togliatti è sincero. Egli vede nel rapporto con la Democrazia Cristiana<br />

la struttura portante della democrazia post-fascista.<br />

Il dono più prezioso e più <strong>di</strong>scusso <strong>di</strong> Togliatti ai cattolici è l’articolo 7<br />

della Costituzione, che porta pari pari, nel nuovo patto sociale, il Concordato<br />

stipulato sotto il fascismo tra stato e chiesa a netto vantaggio <strong>di</strong> quest’ultima.<br />

Alleato con Nenni nel Fronte popolare, Togliatti viene sconfitto alle<br />

elezioni del 1948 ed estromesso dal governo. Sempre nel 1948 viene ferito<br />

in un attentato. Lascia (con scandalo) la sua prima moglie per Nilde Jotti.<br />

Approva la repressione armata in Ungheria. Fedele all’Italia e all’Urss (da<br />

cui il Pci riceve ingenti finanziamenti), nel 1956 (VIII congresso) fu vivace<br />

fautore della “destalinizzazione” e lanciò la linea della “via italiana al socialismo”:<br />

“un regime <strong>di</strong> democrazia progressiva che attuasse un complesso <strong>di</strong><br />

riforme della struttura economica e sociale, facendo accedere alla <strong>di</strong>rezione<br />

del paese tutte le forze delle masse lavoratrici”. Togliatti muore nel 1964 a<br />

Yalta (Urss) per ictus cerebrale, lasciando incompiuto un celebre memoriale<br />

nel quale riba<strong>di</strong>va la “via italiana al socialismo” e il rifiuto <strong>di</strong> ogni modello<br />

predeterminato <strong>di</strong> socialismo. Ai suoi funerali a Roma un milione <strong>di</strong> persone,<br />

una manifestazione <strong>di</strong> popolo che segna il costume italiano. Il suo Pci<br />

sopravviverà per altri 25 anni.<br />

Bibliografia:<br />

PAOLO SPRIANO, Storia del Partito Comunista Italiano, vol. V-VI, Torino<br />

1973.<br />

GIORGIO BOCCA, Palmiro Togliatti, Bari 1973.<br />

– 232 –


I Patti Lateranensi<br />

Stipulati l’11 febbraio 1929, stabilirono il mutuo riconoscimento tra il<br />

Regno d’Italia e la Città del Vaticano. Presero il nome dal palazzo <strong>di</strong> S. Giovanni<br />

in Laterano, in cui avvenne la firma degli accor<strong>di</strong>. Furono negoziati<br />

tra il Car<strong>di</strong>nale Segretario <strong>di</strong> Stato Pietro Gasparri per conto della Santa<br />

Sede e Benito Mussolini, capo del Fascismo e Primo Ministro italiano.<br />

I patti sono costituiti da due strumenti <strong>di</strong>plomatici <strong>di</strong>stinti:<br />

• un trattato che riconosce l’in<strong>di</strong>pendenza e la sovranità della Santa<br />

Sede e che crea lo Stato della Città del Vaticano (uno degli allegati a<br />

questo trattato è una convenzione finanziaria per ricompensare la<br />

Santa Sede delle per<strong>di</strong>te subite nel 1870);<br />

• un concordato che definisce le relazioni civili e religiose in Italia tra<br />

la Chiesa e il Governo (prima d’allora, cioè dalla nascita del Regno<br />

d’Italia, sintetizzate nel motto: “Libera Chiesa in libero Stato”).<br />

I 27 articoli del trattato definivano le modalità <strong>di</strong> esecuzione <strong>di</strong> tali<br />

impegni, la posizione del pontefice (la cui persona “sacra ed inviolabile”<br />

era protetta alla pari <strong>di</strong> quella del re), la citta<strong>di</strong>nanza dei sud<strong>di</strong>ti del papa,<br />

le prerogative degli enti centrali <strong>di</strong> governo della Chiesa, la proprietà delle<br />

basiliche romane e della villa <strong>di</strong> Castel Gandolfo, il libero accesso ai Musei<br />

vaticani, i privilegi dei <strong>di</strong>plomatici pontifici e <strong>di</strong> quelli accre<strong>di</strong>tati presso la<br />

S. Sede, gli onori dovuti ai car<strong>di</strong>nali, la neutralità dello Stato vaticano e<br />

l’impegno della Chiesa a non prendere parte a “competizioni temporali” tra<br />

Stati e a conferenze internazionali aventi lo stesso oggetto; da segnalare<br />

il secondo comma dell’art. 23 che dava piena e imme<strong>di</strong>ata efficacia civile<br />

in Italia alle sentenze e ai provve<strong>di</strong>menti amministrativi ecclesiastici in<br />

materia spirituale e <strong>di</strong>sciplinare che colpivano chierici e religiosi.<br />

Si trattava <strong>di</strong> un vero e proprio braccio secolare che si collegava all’art.<br />

5 del Concordato, il quale imponeva l’estromissione da uffici o impieghi<br />

“a contatto imme<strong>di</strong>ato col pubblico” <strong>di</strong> sacerdoti apostati o colpiti da pene<br />

ecclesiastiche.<br />

Il Concordato, costituito da 43 articoli, dopo aver richiamato il principio<br />

statutario della religione cattolica come sola religione dello Stato,<br />

riconosceva il potere spirituale e la giuris<strong>di</strong>zione ecclesiastica (cui lo Stato<br />

assicurava il proprio braccio) il carattere sacro <strong>di</strong> Roma, la libertà <strong>di</strong> comunicazione<br />

con il mondo cattolico senza ingerenza statale; regolava lo status<br />

del clero, la con<strong>di</strong>zione degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto, le festività religiose, il cappel-<br />

– 233 –


lanato militare, la determinazione delle <strong>di</strong>ocesi, la nomina <strong>di</strong> vescovi e parroci.<br />

In questa materia, in cambio dell’impegno dello Stato a continuare a<br />

contribuire al loro sostentamento, lo Stato otteneva dalla Chiesa poteri determinanti<br />

<strong>di</strong> controllo potendo sia sollevare “ragioni <strong>di</strong> carattere politico”<br />

contro le nomine, sia, ad<strong>di</strong>rittura, ottenere la rimozione dei parroci “sopraggiungendo<br />

gravi ragioni” comunicate dal governo alle autorità ecclesiastiche.<br />

Seguivano una serie <strong>di</strong> <strong>di</strong>sposizioni che ampliavano il riconoscimento<br />

della personalità giuri<strong>di</strong>ca degli enti ecclesiastici (restituendola a quelle associazioni<br />

religiose soppresse dalla legislazione postunitaria), garantivano<br />

specifiche agevolazioni fiscali, attribuivano effetti civili ai matrimoni celebrati<br />

secondo il <strong>di</strong>ritto della Chiesa e alle decisioni ecclesiastiche sulla nullità<br />

dei matrimoni stessi, attraverso il filtro formale delle Corti d’appello,<br />

estendevano a tutti i gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> istruzione l’insegnamento della religione cattolica<br />

già impartito nelle scuole elementari (obbligatorio con possibilità <strong>di</strong><br />

esonero) e garantivano la parità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni negli esami <strong>di</strong> Stato tra can<strong>di</strong>dati<br />

<strong>di</strong> scuole governative e <strong>di</strong> scuole cattoliche, subor<strong>di</strong>navano al controllo<br />

della S. Sede le nomine dei professori dell’Università cattolica <strong>di</strong> Milano,<br />

riconoscevano onorificenze e titoli nobiliari pontifici, garantivano alle organizzazioni<br />

<strong>di</strong> Azione Cattolica la sussistenza e una certa autonomia sotto<br />

il controllo dei vescovi, vietavano al clero <strong>di</strong> iscriversi o militare in partiti<br />

politici. Alla conclusione dei Patti, la cosiddetta Conciliazione, i fascisti e<br />

Mussolini se ne fecero un grande ed esclusivo merito; l’antifascismo, anche<br />

cattolico, attribuì tutto il demerito <strong>di</strong> una transazione giu<strong>di</strong>cata negativamente<br />

(anche perché rafforzava il regime all’interno e la sua immagine<br />

all’estero) ai medesimi.<br />

Il papa parlò del Duce come dell’uomo della Provvidenza, e lo contrappose<br />

agli “sgovernamenti” dell’Italia liberale. In realtà i Patti del Laterano<br />

furono il coronamento <strong>di</strong> un lento processo che dall’inizio del ’900 aveva<br />

visto il papato e la classe politica liberale collaborare nel timore che la<br />

situazione politico-sociale avesse sbocchi tali da capovolgere l’or<strong>di</strong>ne costituito,<br />

e che, dopo le convergenze parallele giolittiane e gli stretti rapporti<br />

tra Salandra e Benedetto XV, resi più intensi dalla Grande Guerra, aveva<br />

trovato un suo primo, concreto sbocco nelle intese tra Orlando e l’inviato<br />

del Vaticano mons. Cerretti, che a Parigi, nel giugno 1919, convennero su<br />

una riappacificazione fondata su un trattato e su un concordato. Fu l’opposizione<br />

<strong>di</strong> Vittorio Emanuele III a far fallire l’operazione che, peraltro, venne<br />

ripresa da Nitti.<br />

– 234 –


Vero merito <strong>di</strong> Mussolini fu quello <strong>di</strong> convincere la monarchia ad aderire<br />

a una Conciliazione con il papato che i Savoia ritenevano un’ab<strong>di</strong>cazione<br />

<strong>di</strong> quelle tra<strong>di</strong>zioni, riassunte dalla legge delle guarentigie del 1871,<br />

che avevano segnato la nascita sabauda del Regno d’Italia. Il paradosso<br />

della Costituzione del 1948 fu, appunto, quello <strong>di</strong> affiancare a una serie <strong>di</strong><br />

norme molto avanzate in materia <strong>di</strong> libertà religiosa, la <strong>di</strong>fesa dei privilegi<br />

concordatari, dando origine a una serie <strong>di</strong> gravi contrad<strong>di</strong>zioni che scoppiarono<br />

al momento dell’introduzione del <strong>di</strong>vorzio e del successivo referendum<br />

popolare e che sono state superate solo nella seconda metà degli anni<br />

Ottanta, con il sostanziale cambiamento del sistema concordatario, e con la<br />

stipula <strong>di</strong> intese anche con confessioni <strong>di</strong>verse dalla cattolica.<br />

La <strong>di</strong>scussione sull’articolo 5 (poi 7) per inserire i Patti Lateranensi<br />

all’interno della Costituzione comincia il 21 novembre 1946 nella Prima<br />

Sottocommissione; il 4 marzo 1947 si sposta nell’Assemblea Costituente e<br />

si conclude con il voto finale il 25 marzo.<br />

L’intervento <strong>di</strong> Palmiro Togliatti all’Assemblea Costituente<br />

il 25 marzo 1947<br />

PRESIDENTE: Ha chiesto <strong>di</strong> parlare l’onorevole Togliatti. Ne ha facoltà.<br />

TOGLIATTI: (Segni <strong>di</strong> attenzione). Signor presidente, signore, onorevoli<br />

colleghi. Siamo giunti al termine non <strong>di</strong> una lotta, ma <strong>di</strong> un <strong>di</strong>battito, <strong>di</strong><br />

una <strong>di</strong>scussione elevata, ardente, appassionata, la quale ha profondamente<br />

interessato non soltanto questa Assemblea, ma tutto il Paese.<br />

Arrivati a questo punto, una <strong>di</strong>chiarazione, non <strong>di</strong>rei <strong>di</strong> voto, ma tale che<br />

precisi la posizione politica dei <strong>di</strong>fferenti partiti, è doverosa, e noi ringraziamo<br />

il nostro presidente <strong>di</strong> averci permesso <strong>di</strong> fare questa <strong>di</strong>chiarazione in<br />

questo modo, affinché essa possa essere abbastanza ampia e motivata, tale da<br />

non lasciare nessun dubbio in nessuno.<br />

Doverosa è la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> voto, da parte nostra, <strong>di</strong> fronte all’Assemblea,<br />

doverosa <strong>di</strong> fronte al nostro partito, doverosa <strong>di</strong> fronte alle masse<br />

<strong>di</strong> lavoratori e citta<strong>di</strong>ni che ci seguono, che ci hanno dato la loro fiducia,<br />

mandandoci qui come rappresentanti della nazione.<br />

L’articolo che sta davanti a noi consta <strong>di</strong> tre parti. A proposito della<br />

terza, il nostro gruppo ha presentato degli emendamenti, anzi un emendamento,<br />

il quale potrà essere concordato e posto ai voti insieme con l’emendamento<br />

presentato da altri autorevoli colleghi.<br />

– 235 –


Non abbiamo avuto nessuna <strong>di</strong>fficoltà, sin dall’inizio, ad approvare la<br />

prima parte dell’articolo, quella nella quale si <strong>di</strong>ce che lo Stato e la Chiesa<br />

cattolica sono, ciascuno nel proprio or<strong>di</strong>ne, in<strong>di</strong>pendenti e sovrani.<br />

Non solo non abbiamo avuto <strong>di</strong>fficoltà, ma i colleghi della prima Sottocommissione<br />

ricordano senza dubbio che questa formulazione è stata data<br />

da me stesso.<br />

E qui permettetemi un ricordo.<br />

L’onorevole Dossetti, riferendosi a questa prima parte dell’articolo che<br />

stiamo <strong>di</strong>scutendo, cercando <strong>di</strong> darne una giustificazione dottrinaria, <strong>di</strong>ceva<br />

che questa si può trovare in un corso <strong>di</strong> Diritto ecclesiastico, tenuto precisamente<br />

nel 1912, all’Università <strong>di</strong> Torino, dal senatore Francesco Ruffini.<br />

Prima affermazione fondamentale:<br />

la riven<strong>di</strong>cazione delle libertà <strong>di</strong> coscienza, <strong>di</strong> fede, <strong>di</strong> culto,<br />

<strong>di</strong> propaganda religiosa e <strong>di</strong> organizzazione religiosa.<br />

Il progetto <strong>di</strong> Costituzione, per questa parte, ci sod<strong>di</strong>sfa...<br />

– 236 –<br />

Voi mi consentirete<br />

<strong>di</strong> ricordare all’onorevole<br />

Dossetti che sono stato<br />

allievo <strong>di</strong> quel corso, che<br />

l’ho frequentato quel corso,<br />

che ho dato l’esame<br />

<strong>di</strong> Diritto ecclesiastico su quelle <strong>di</strong>spense che egli ha citato e lodato. È, forse,<br />

per questo che non ho trovato <strong>di</strong>fficoltà a dare quella formulazione. Ricordo<br />

però anche che quelle lezioni non erano frequentate soltanto da me.<br />

Veniva alle volte e si sedeva in quell’aula un uomo, un grande scomparso,<br />

amico e maestro mio, Antonio Gramsci, e uscendo dalle lezioni e passeggiando<br />

in quel cortile dell’Università <strong>di</strong> Torino, oggi semi<strong>di</strong>strutto dalla guerra,<br />

egli parlava con me anche del problema che ci occupa in questo momento,<br />

del problema dei rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano. Eravamo<br />

allora entrambi giovanissimi, entrambi all’inizio della nostra vita politica<br />

e ci sforzavamo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare quali erano le origini e quali avrebbero<br />

potuto essere le sorti future <strong>di</strong> quel contrasto tra lo Stato e la Chiesa che allora<br />

era ancora per gran parte in atto in Italia, ma che in parte era superato o<br />

si stava superando, e ricordo che Gramsci mi <strong>di</strong>ceva che il giorno in cui si<br />

fosse formato in Italia un governo socialista, in cui fosse sorto un regime socialista,<br />

uno dei principali compiti <strong>di</strong> questo governo, <strong>di</strong> questo regime, sarebbe<br />

stato <strong>di</strong> liquidare completamente la questione romana garantendo piena<br />

libertà alla Chiesa cattolica.<br />

Ripeto che la prima parte <strong>di</strong> questo articolo non offre per noi nessuna<br />

<strong>di</strong>fficoltà.<br />

E vengo alla seconda parte, che è quella a proposito della quale hanno<br />

avuto luogo i più ampi <strong>di</strong>battiti ed avrà luogo lo schieramento più importante


in quest’aula. Qui si tocca il fondo del problema dei rapporti fra lo Stato italiano<br />

e la Chiesa cattolica. Ora, <strong>di</strong> questo problema noi non ci siamo interessati<br />

soltanto oggi né soltanto nel corso delle <strong>di</strong>scussioni della prima Sottocommissione<br />

e della Commissione dei settantacinque. Fin dall’inizio del<br />

1946, quando si tenne in Roma il V Congresso del nostro partito, de<strong>di</strong>cammo<br />

una parte non trascurabile dei nostri <strong>di</strong>battiti all’esame <strong>di</strong> questo problema, e<br />

la nostra posizione venne allora definita così nel rapporto che io tenni al congresso.<br />

Permettetemi <strong>di</strong> citare. «Poiché l’organizzazione della Chiesa» <strong>di</strong>cevo<br />

io allora «continuerà ad avere il proprio centro nel nostro Paese e<br />

poiché un conflitto con essa turberebbe la coscienza <strong>di</strong> molti citta<strong>di</strong>ni, dobbiamo<br />

regolare con attenzione la nostra posizione nei confronti della Chiesa<br />

cattolica e del problema religioso. La nostra posizione è anche a questo proposito<br />

conseguentemente democratica. Riven<strong>di</strong>chiamo e vogliamo che nella<br />

Costituzione italiana vengano sancite le libertà <strong>di</strong> coscienza, <strong>di</strong> fede, <strong>di</strong> culto,<br />

<strong>di</strong> propaganda religiosa e <strong>di</strong> organizzazione religiosa. Consideriamo queste<br />

libertà come le libertà democratiche fondamentali, che devono essere restaurate<br />

e <strong>di</strong>fese contro qualunque attentato da qualunque parte venga. Oltre a<br />

questo, però, esistono altre questioni che interessano la Chiesa e sono state<br />

regolate coi Patti del Laterano. Per noi la soluzione data alla questione romana<br />

è qualcosa <strong>di</strong> definitivo, che ha chiuso e liquidato per sempre un problema.<br />

Al Trattato del Laterano è però in<strong>di</strong>ssolubilmente legato il Concordato.<br />

Questo è per noi uno strumento <strong>di</strong> carattere internazionale, oltre che<br />

nazionale, e compren<strong>di</strong>amo benissimo che non potrebbe essere riveduto se<br />

non per intesa bilaterale, salvo violazioni che portino l’una parte o l’altra a<br />

denunciarlo. Questa nostra posizione è chiara e netta. Essa toglie ogni possibilità<br />

<strong>di</strong> equivoco e impe<strong>di</strong>sce che fondandosi sopra un equivoco si possano<br />

avvelenare o intorbidare i rapporti fra le forze più avanzate della democrazia,<br />

che seguono il nostro partito e la Chiesa cattolica».<br />

Come vedete, vi sono qui alcune affermazioni fondamentali, alle quali<br />

abbiamo il dovere <strong>di</strong> rimanere coerenti, alle quali ci siamo sforzati <strong>di</strong> rimanere<br />

coerenti, alle quali credo che siamo rimasti coerenti fino ad ora.<br />

Prima affermazione fondamentale: la riven<strong>di</strong>cazione delle libertà <strong>di</strong><br />

coscienza, <strong>di</strong> fede, <strong>di</strong> culto, <strong>di</strong> propaganda religiosa e <strong>di</strong> organizzazione religiosa.<br />

Il progetto <strong>di</strong> Costituzione, per questa parte, ci sod<strong>di</strong>sfa. Noi appoggeremo<br />

tutte quelle proposte le quali tenderanno a rendere sempre più tranquille<br />

le coscienze <strong>di</strong> tutti i credenti <strong>di</strong> tutte le fe<strong>di</strong>, garantendo loro tutte<br />

le libertà <strong>di</strong> cui hanno bisogno per esplicare il loro culto e svolgere la loro<br />

propaganda.<br />

– 237 –


Seconda affermazione: consideriamo definitiva la soluzione della questione<br />

romana, e non vogliamo in nessun modo riaprirla.<br />

Terza affermazione: riteniamo che il Concordato sia uno strumento bilaterale<br />

e che solo bilateralmente potrà essere riveduto.<br />

Nel corso dei <strong>di</strong>battiti della prima Sottocommissione e della Commissione<br />

dei settantacinque, ci siamo costantemente attenuti a questi principi,<br />

e anche nel mio intervento, e negli interventi degli altri colleghi del mio<br />

gruppo, nel <strong>di</strong>battito generale sulla Costituzione e nel <strong>di</strong>battito su questa<br />

parte della Costituzione stessa, queste sono le posizioni che noi abbiamo<br />

affermate.<br />

Abbiamo, però, sollevato, in pari tempo, alcune questioni che ci preoccupavano<br />

e che ci hanno incominciato a preoccupare particolarmente – e in<br />

questo concordo col giu<strong>di</strong>zio dato dal collega Nenni – quando ci si chiese <strong>di</strong><br />

inserire come tali, e il Trattato e il Concordato, nella nostra nuova Costituzione<br />

attraverso un esplicito richiamo.<br />

Seconda affermazione:<br />

consideriamo definitiva la soluzione della qluestione romana,<br />

e non vogliamo in nessun modo riaprirla.<br />

– 238 –<br />

Precisamente, le<br />

questioni che ci preoccupavano<br />

erano quella<br />

della firma e quella <strong>di</strong><br />

alcune determinate nor-<br />

me, sia del Trattato sia del Concordato, in cui trovavamo un contrasto con<br />

altre norme della Costituzione, da tutti noi insieme volute e approvate preliminarmente<br />

nelle commissioni. Questa contrad<strong>di</strong>zione apriva un problema;<br />

poneva un interrogativo. Mai abbiamo parlato <strong>di</strong> una denuncia o dell’uno o<br />

dell’altro dei due strumenti <strong>di</strong>plomatici che sono legati insieme in quel<br />

complesso che viene chiamato “Patti del Laterano”. Le stesse preoccupazioni<br />

nostre, del resto, in maggiore o minore misura, abbiamo sentito esprimere<br />

da tutti, anche dai colleghi <strong>di</strong> parte democristiana, quando sono intervenuti<br />

nel <strong>di</strong>battito. Tutti hanno riconosciuto, credo senza eccezioni, per<br />

quanto con maggiore o minor vigore, la fondatezza almeno <strong>di</strong> una parte<br />

delle esigenze presentate sia da noi che da altri colleghi <strong>di</strong> questa parte.<br />

In pari tempo abbiamo affermato sin dall’inizio, raccogliendo un appello<br />

venuto dal presidente Orlando, il nostro desiderio che si trovasse <strong>di</strong> tutta<br />

questa questione una soluzione attorno alla quale potesse venire realizzata,<br />

se non l’unanimità, per lo<br />

meno la grande maggioranza<br />

<strong>di</strong> questa Assemblea.<br />

Terza affermazione:<br />

riteniamo che il Concordato sia uno strumento bilaterale e<br />

che solo bilateralmente potrà essere riveduto.


Questo infatti ritenevamo fosse necessario, anzi quasi in<strong>di</strong>spensabile,<br />

per consolidare la pace religiosa del nostro Paese. In questo senso ci siamo<br />

mossi nelle conversazioni e trattative che hanno avuto luogo negli scorsi<br />

giorni tra noi e i rappresentanti <strong>di</strong> altri gruppi dell’Assemblea.<br />

Diverse formule sono state presentate e vagliate nel corso <strong>di</strong> queste<br />

conversazioni. Una <strong>di</strong> esse, la quale aveva l’autorevole appoggio dell’onorevole<br />

Orlando, passava dall’affermazione: «I rapporti ecc. ecc. sono regolati»<br />

all’affermazione: «La Repubblica riconosce e conferma i Patti lateranensi».<br />

Questa formula, pur essendo per degli aspetti più tassativa, <strong>di</strong>rei<br />

anche più impegnativa dell’altra, pure sod<strong>di</strong>sfaceva una delle nostre esigenze,<br />

quella del cambio della firma. Al posto <strong>di</strong> quella del fascismo, subentrava<br />

la firma della Repubblica. Non siamo però riusciti a venire all’accordo<br />

su questa formula, così come non eravamo riusciti precedentemente a<br />

trovare un accordo sopra altre formule le quali tenevano conto <strong>di</strong> esigenze<br />

affacciate, come ho detto, da tutte le parti, anche dalla parte democristiana.<br />

Ho sentito testé l’onorevole De Gasperi affermare che per lo meno una <strong>di</strong><br />

queste formule, quella sostenuta dall’onorevole Basso, avrebbe potuto essere<br />

accettata, se non si fosse impegnata su <strong>di</strong> essa una <strong>di</strong>scussione impegnativa<br />

prima che la cosa venisse davanti all’Assemblea. Mi permetta, onorevole De<br />

Gasperi, ma ciò che ella ha detto è una svalutazione <strong>di</strong>retta dell’Assemblea.<br />

I <strong>di</strong>battiti che precedono preparano i <strong>di</strong>battiti nell’Assemblea; ma qui si decide<br />

ogni questione, qui ogni formula deve essere pesata, valutata, accettata o<br />

respinta. In questo sta la sovranità della nostra Assemblea (applausi).<br />

Da ultimo, quando vedemmo che nessuna delle formule presentate era<br />

tale che, essendo accettata dalla parte democristiana, ci consentisse <strong>di</strong> avere<br />

quella larga maggioranza o <strong>di</strong> raggiungere anche quell’unanimità che<br />

avremmo voluto si raggiungesse nell’interesse del Paese, si <strong>di</strong>scusse della<br />

possibilità <strong>di</strong> presentazione <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne del giorno il quale, a conclusione<br />

del <strong>di</strong>battito, mettesse in valore l’importanza, il peso <strong>di</strong> esso nella vita nazionale,<br />

pur non <strong>di</strong>cendo in sostanza nulla <strong>di</strong> più e nulla <strong>di</strong> meno <strong>di</strong> quanto<br />

<strong>di</strong>ceva l’articolo 7 e <strong>di</strong> quanto nel corso del <strong>di</strong>battito quasi concordemente<br />

era stato detto da tutti.<br />

L’or<strong>di</strong>ne del giorno venne formulato da un autorevole parlamentare e<br />

sod<strong>di</strong>sfaceva molti <strong>di</strong> noi. Anche esso, però, alla fine venne respinto. Nemmeno<br />

in quella <strong>di</strong>rezione trovammo quella via <strong>di</strong> uscita che stavamo cercando,<br />

e ciò nonostante avessimo affermato – e tutti lo riconoscevano insieme<br />

con noi – che l’approvazione <strong>di</strong> un simile or<strong>di</strong>ne del giorno, pur non<br />

aggiungendo e non togliendo nulla all’articolo, sarebbe stata un atto politico<br />

– 239 –


importante, che avrebbe facilitato l’opera necessaria a raggiungere i più<br />

larghi consensi possibili e forse l’unanimità.<br />

In nessun modo, dunque, siamo riusciti a metterci d’accordo. Perché?<br />

Perché ci siamo trovati a un certo momento e ci troviamo ora in una specie<br />

<strong>di</strong> vicolo cieco? Perché il nostro <strong>di</strong>battito è arrivato a questo punto <strong>di</strong> evidente<br />

drammaticità?<br />

Onorevoli colleghi, qui si pone un problema profondo, che io formulerei<br />

a questo modo: in sostanza con chi è il <strong>di</strong>battito? Fra noi e i colleghi <strong>di</strong><br />

parte democristiana? Non credo.<br />

I colleghi <strong>di</strong> parte democristiana alle volte parlano presentandosi come<br />

unici <strong>di</strong>fensori della libertà della coscienza religiosa delle masse cattoliche.<br />

Non credo che alcuno dei partiti <strong>di</strong> sinistra voglia lasciare loro la esclusività<br />

<strong>di</strong> questa funzione.<br />

Anche nel nostro partito esistono, e credo per la maggioranza degli<br />

iscritti, i citta<strong>di</strong>ni cattolici e noi siamo assertori e <strong>di</strong>fensori della libertà della<br />

loro coscienza religiosa. È vero, noi <strong>di</strong>fen<strong>di</strong>amo questa libertà come partito<br />

democratico, moderno, progressivo, comunista, se volete; ma, a ogni modo,<br />

la <strong>di</strong>fen<strong>di</strong>amo. Non lasciamo a voi l’esclusività <strong>di</strong> questa funzione.<br />

Anzi, mi pare che il <strong>di</strong>battito sia stato un po’ viziato dal fatto <strong>di</strong> esser<br />

<strong>di</strong>ventato un <strong>di</strong>battito con voi, colleghi democristiani, mentre non lo è.<br />

In fondo, il <strong>di</strong>battito è tra l’Assemblea costituente italiana e un’altra parte,<br />

l’altra parte contraente e firmataria dei Patti del Laterano. Questa è la realtà,<br />

che dobbiamo guardare in faccia se vogliamo comprendere bene <strong>di</strong> che si<br />

tratta e quello che dobbiamo fare.<br />

Qui è avvenuto però un fatto spiacevole. È avvenuto che da tutti i settori<br />

dell’Assemblea, compreso il vostro, si è detto che un determinato ritocco<br />

<strong>di</strong> alcune norme dei Patti, in un momento determinato, con le forme<br />

opportune, sarebbe desiderabile e dovrebbe potersi fare. Ecco una voce unanime,<br />

o quasi, che esce dal luogo dove siedono i rappresentanti della nazione.<br />

Questa voce, però, non è andata più in là.<br />

Onorevole De Gasperi, qui è mancato qualcosa, è mancato, più che l’interme<strong>di</strong>ario,<br />

il rappresentante autorizzato <strong>di</strong> questa voce, che è la voce della<br />

nazione, che si sia presentato all’altra parte, le abbia significato quello che<br />

si pensa e sia in grado ora <strong>di</strong> significare a noi quello che da noi quest’altra<br />

parte richiede. Non siamo infatti autorizzati a credere che la vostra opinione<br />

<strong>di</strong> partito sia opinione autorizzata dall’altra parte.<br />

In questo <strong>di</strong>battito, insomma, abbiamo sentito l’assenza, quell’assenza che<br />

lamentava anche l’onorevole Orlando, del governo. La democrazia italiana in<br />

– 240 –


questa occasione non è stata guidata da un governo, il quale si sentisse legittimo<br />

rappresentante <strong>di</strong> quella opinione democratica e repubblicana, che qui in<br />

modo unanime espresse una stessa esigenza, pure con sfumature <strong>di</strong>verse<br />

riguardo all’intensità. E forse questo è il male che succede in tutti i Paesi,<br />

quando si agitano questioni <strong>di</strong> questa natura e il partito <strong>di</strong>rigente è il Partito<br />

democristiano (commenti).<br />

L’onorevole De Gasperi ha parlato, e io mi aspettavo parlasse come capo<br />

del governo.Se avesse parlato come capo del governo <strong>di</strong>cendoci: «Così si pone<br />

il problema; questo è da farsi nell’interesse nazionale», lo avrei applau<strong>di</strong>to.<br />

Egli ha avuto invece, come uomo <strong>di</strong> governo, un unico accenno alla necessità<br />

<strong>di</strong> consolidare il regime repubblicano. Onorevole De Gasperi, questo accenno<br />

l’abbiamo compreso; l’avevamo anzi già compreso prima.<br />

Ripeto: avremmo voluto che l’onorevole De Gasperi non parlasse qui,<br />

come ha parlato, quale esponente del Partito democristiano o, ancora <strong>di</strong><br />

meno, come esponente della coscienza cattolica, la quale non si estrinseca<br />

né si può estrinsecare in un solo partito; ma che, per tramite suo, tutto il<br />

nostro <strong>di</strong>battito fosse guidato da un rappresentante autorizzato <strong>di</strong> tutta la<br />

nazione, cioè dal nostro governo, democratico e repubblicano.<br />

Questo non è avvenuto; e dobbiamo dolercene. Siamo dunque costretti,<br />

per conoscere la posizione dell’altra parte, a leggere il suo organo autorizzato<br />

ufficiale L’Osservatore Romano.<br />

L’onorevole Nenni ne ha parlato come <strong>di</strong> un giornale tra gli altri. No, questo<br />

non è esatto, e questo non basta. Permettetemi <strong>di</strong> parlare dell’Osservatore<br />

Romano come dell’esponente autorizzato dell’altra parte.<br />

Esso è l’unica voce, l’unico mezzo che abbiamo per conoscere che cosa<br />

pensa la Santa Sede, la quale è firmataria, insieme con i rappresentanti <strong>di</strong><br />

allora dello Stato italiano, degli atti <strong>di</strong> cui stiamo <strong>di</strong>scutendo.<br />

Orbene, le affermazioni a questo proposito dell’organo ufficiale autorizzato<br />

della Santa Sede non sono equivoche. Prendo soltanto quattro degli<br />

articoli consacrati, in date <strong>di</strong>verse, alla trattazione <strong>di</strong> questo problema dal-<br />

l’Osservatore Romano e<br />

vi trovo le stesse affermazioni.<br />

Il 13 <strong>di</strong> marzo: «Simile<br />

omissione [l’omissione<br />

del richiamo al<br />

Trattato e al Concordato<br />

nella Costituzione] signi-<br />

...Non lasciamo a voi l’esclusività <strong>di</strong> questa funzione.<br />

Anzi, mi pare che il <strong>di</strong>battito sia stato un po’ viziato<br />

dal fatto <strong>di</strong> esser <strong>di</strong>ventato un <strong>di</strong>battito con voi,<br />

colleghi democristiani, mentre non lo è.<br />

In fondo, il <strong>di</strong>battito è<br />

tra l’Assemblea costituente italiana e un’altra parte,<br />

l’altra parte contraente firmataria dei Patti del Laterano.<br />

– 241 –


ficherebbe nella realtà... non un silenzio, non una lacuna, ma una minaccia, un<br />

pericolo. La minaccia alla pace religiosa, il pericolo <strong>di</strong> vederla turbata per la<br />

possibilità che lo sia».<br />

Il 19 dello stesso mese: «Questo eventuale <strong>di</strong>niego [si tratta sempre del<br />

<strong>di</strong>niego del richiamo esplicito ai Patti], il sostenerlo necessario, il presagirlo<br />

possibile, turba già la pace e l’unità spirituale del popolo, il quale può ben<br />

pensare fin d’ora che tale pace, tale unità è minacciata per l’avvenire, se al<br />

suo unico fondamento si vuol... togliere la sicurtà costituzionale».<br />

Il 20 e il 21 dello stesso mese: «Per quanto si protesti fin d’ora <strong>di</strong> non<br />

voler cadere nell’anticlericalismo <strong>di</strong> maniera, né in una lotta contro la religione,<br />

tuttavia [se si esclude dall’articolo 5 il richiamo costituzionale ai<br />

Patti lateranensi], pace religiosa... certissimamente non sarà, purtroppo».<br />

Il 22 <strong>di</strong> marzo: «Se realmente si vuole che nessuna lotta a carattere religioso<br />

turbi il faticoso rinnovamento della patria, perché mai così manifesto<br />

timore <strong>di</strong> riaffermare, in un momento e in un documento solenne, l’efficacia<br />

<strong>di</strong> Patti sottoscritti non soltanto tra un governo e altro governo, tra uno Stato<br />

e altro Stato, bensì tra il popolo italiano e la sua fede e la sua Chiesa?».<br />

Non vi è dubbio che ci troviamo <strong>di</strong> fronte a un’esplicita manifestazione<br />

<strong>di</strong> volontà dell’altra parte, della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Ed è<br />

questo il punto da cui dobbiamo partire, onorevoli colleghi, nel determinare<br />

la nostra posizione. Questo è il punto da cui dobbiamo partire, dal momento<br />

che tutte le questioni da noi precedentemente sollevate sono state sempre<br />

subor<strong>di</strong>nate a una esigenza fondamentale, quella <strong>di</strong> non turbare la pace religiosa<br />

del nostro Paese.<br />

Esisteva o no la pace religiosa prima <strong>di</strong> oggi, prima del crollo del fascismo,<br />

prima della <strong>di</strong>sfatta? Si può <strong>di</strong>scutere, si può vedere come sono andate<br />

le cose storicamente.<br />

Nel 1929, quando i Patti lateranensi furono firmati, non c’è dubbio che,<br />

nonostante tutto il precedente lavorio preparatorio compiuto da uomini politici<br />

<strong>di</strong> marca democratica e <strong>di</strong> fede liberale, non c’è dubbio che quell’accordo,<br />

concluso in quel momento, fece veramente pesare sul nostro Paese –<br />

permettetemi l’espressione romantica – l’ombra funesta del triste amplesso<br />

<strong>di</strong> Pietro e Cesare. Lo sentimmo chiaramente noi, che <strong>di</strong>rigevamo la lotta<br />

antifascista della parte avanzata del popolo italiano. Sentimmo che, nonostante<br />

oggi si interpreti l’espressione “uomo della Provvidenza” <strong>di</strong>cendo<br />

che si trattava <strong>di</strong> riferirsi a quella virtù che la Provvidenza ha <strong>di</strong> mandare<br />

uomini buoni e uomini cattivi, allora “uomo della Provvidenza” fu inteso<br />

come uomo “provvidenziale”.<br />

– 242 –


Poi le cose cambiarono, senza dubbio. Questa prima impressione si attutì;<br />

qualche posizione fu conquistata e consolidata da noi; qualche posizione<br />

fu perduta dal fascismo; la nostra lotta per la democrazia, per la libertà contro<br />

la tirannide si sviluppò; gli uomini si svincolarono da quella primitiva<br />

impressione. Arrivammo così alla guerra <strong>di</strong> liberazione, nella quale avemmo<br />

profonda l’impressione che la pace religiosa veramente ci fosse. Vedemmo<br />

infatti nelle nostre unità partigiane operai cattolici affratellati con militanti<br />

comunisti e socialisti; vedemmo nelle unità comandate dai migliori tra i nostri<br />

capi partigiani, i cappellani militari, sacerdoti, frati, accettare la stessa<br />

nostra <strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> lotta. Tutto questo ci permetteva <strong>di</strong> ritenere che la pace religiosa<br />

fosse stata raggiunta. Per questo chiudemmo quella pagina;né avevamo<br />

alcuna intenzione <strong>di</strong> riaprirla. Non solo, ma arrivammo a quel grande<br />

successo, a quella grande vittoria che è stata l’unità sindacale, giungemmo alla<br />

conclusione <strong>di</strong> un patto <strong>di</strong> unità sindacale fra le gran<strong>di</strong> correnti tra<strong>di</strong>zionali<br />

del movimento operaio italiano: la corrente comunista, la corrente socialista<br />

e la corrente cattolica. Poi ci fu il 2 giugno, che segnò senza dubbio un<br />

passo ad<strong>di</strong>etro, per gli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> cui tutti fummo testimoni; per i motivi che<br />

tutti sappiamo. E ora siamo <strong>di</strong> fronte all’avvenire e a <strong>di</strong>fficoltà nuove per il<br />

nostro Paese: siamo <strong>di</strong> fronte a problemi economici e politici che si stanno<br />

accumulando e intrecciando l’uno con l’altro. In questa situazione, abbiamo<br />

bisogno della pace religiosa, né possiamo in nessun modo consentire a che<br />

essa venga turbata.<br />

Ora, il contrario del termine “pace” è “guerra”. È vero che per fare la<br />

guerra bisogna essere in due e che una delle parti può sempre <strong>di</strong>chiarare –<br />

come fai tu, compagno Nenni – «noi la guerra non la vogliamo»; ma per <strong>di</strong>chiararla,<br />

la guerra, basta uno solo. Di questo bisogna tener conto.<br />

Questa è la situazione reale, <strong>di</strong> fatto, che oggi esiste, e noi, Partito comunista,<br />

che dal momento in cui abbiamo incominciato ad agire legalmente nel<br />

Paese, sempre abbiamo avuto tra i nostri principali obiettivi quello <strong>di</strong> mantene-<br />

re la pace religiosa,<br />

non possiamo trascurare<br />

questa situazione,<br />

anzi dobbiamo<br />

tenerne conto e<br />

adeguare ad essa la<br />

nostra posizione e,<strong>di</strong><br />

conseguenza, il nostro<br />

voto.<br />

Orbene, vogliamo noi che tra questa massa <strong>di</strong> 106mila operai<br />

che segue la Democrazia cristiana e<br />

la rimanente massa <strong>di</strong> tre o quattrocentomila operai<br />

che non seguono la Democrazia cristiana,<br />

ma <strong>di</strong> cui molti sono cattolici,<br />

si apra un contrasto proprio oggi,<br />

in un momento in cui questioni così gravi sono poste davanti a noi,<br />

in cui è soprattutto necessario che le forze del lavoro siano unite?<br />

– 243 –


E qui la mia <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> voto potrebbe trasformarsi in un appello:<br />

potrei rivolgermi ai colleghi socialisti, ai colleghi <strong>di</strong> altre parti, invitandoli a<br />

votare con noi, a votare come noi voteremo (interruzioni-commenti).<br />

Essenzialmente però noi votiamo tenendo conto della nostra responsabilità;<br />

e compren<strong>di</strong>amo benissimo che la responsabilità nostra è più grave<br />

forse <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> qualsiasi altro membro <strong>di</strong> questa Assemblea: è certamente<br />

più grave <strong>di</strong> quelli che posso considerare come degli isolati, dell’onorevole<br />

Lussu, dell’onorevole Crispo, o dell’onorevole Condorelli, che non sono a<br />

capo <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> partiti; anche, vorrei <strong>di</strong>re, dell’onorevole Benedetto Croce,<br />

che è passato in quest’aula come un’ombra, l’ombra <strong>di</strong> un passato molto<br />

lontano!<br />

La nostra responsabilità è più grande, in sostanza, anche <strong>di</strong> quella dei<br />

colleghi socialisti, perché non siamo soltanto partito della classe operaia, ma<br />

siamo considerati come il partito più avanzato dei lavoratori, e in sostanza la<br />

maggioranza della classe operaia orienta la sua azione a seconda del modo<br />

come il nostro partito si muove.<br />

Per questo non è soltanto alla nostra coscienza e convinzione personale,<br />

in<strong>di</strong>viduale che noi ci richiamiamo, come si richiamano altri colleghi, nel<br />

decidere il nostro voto. Essenzialmente facciamo appello a questa nostra<br />

responsabilità politica, e al modo come noi realizziamo la linea politica che<br />

ci siamo tracciata nella attuale situazione del nostro Paese. La classe operaia<br />

non vuole una scissione per motivi religiosi, così come non vuole la scissione<br />

fra noi e i socialisti. Noi siamo dunque lieti, anche se voteremo <strong>di</strong>fferentemente<br />

dal Partito socialista, che questo fatto non apra un contrasto fra<br />

<strong>di</strong> noi. In pari tempo però sentiamo che è nostro dovere fare il necessario<br />

perché una scissione e un contrasto non si aprano tra la massa comunista e<br />

socialista da una parte e i lavoratori cattolici dall’altra.<br />

Abbiamo avuto stamane i risultati della votazione svoltasi in preparazione<br />

del congresso confederale alla Camera del lavoro <strong>di</strong> Milano. Si sono<br />

avuti 327mila voti per i comunisti, 152mila per i socialisti e 106mila per i<br />

democristiani. Orbene, vogliamo noi che tra questa massa <strong>di</strong> 106mila operai<br />

che segue la Democrazia cristiana e la rimanente massa <strong>di</strong> tre o quattrocentomila<br />

operai che non seguono la Democrazia cristiana, ma <strong>di</strong> cui molti<br />

sono cattolici, si apra un contrasto proprio oggi, in un momento in cui questioni<br />

così gravi sono poste davanti a noi, in cui è soprattutto necessario che<br />

le forze del lavoro siano unite? (Commenti). Non solo, ma io ritengo che la<br />

classe operaia, che noi qui rappresentiamo, o almeno quella parte <strong>di</strong> lavoratori<br />

che è rappresentata da noi, sia interessata a che sia mantenuta e raffor-<br />

– 244 –


zata l’unità morale e politica della nazione, sulla base <strong>di</strong> una esigenza <strong>di</strong><br />

rinnovamento sociale e politico profondo. Anche <strong>di</strong> questo interesse e <strong>di</strong><br />

questa esigenza noi teniamo conto.<br />

E qui avrei finito, onorevoli colleghi; avrei finito se la posizione assunta<br />

dal nostro partito in questa <strong>di</strong>scussione, e soprattutto nelle conversazioni<br />

che hanno avuto luogo nei giorni scorsi, non fosse stata al centro <strong>di</strong> una particolare<br />

attenzione e nella stampa e nell’assemblea.<br />

Forse mi permetterete <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care qualche minuto ancora all’esame delle<br />

critiche e delle obiezioni che ci sono state fatte, tanto più in quanto ciò mi<br />

permetterà <strong>di</strong> chiarire ancora meglio la nostra posizione e trarne tutto il succo.<br />

Lascerò da parte le volgarità, gli articoli come quelli che scriveva l’altro<br />

giorno un illustre camaleonte, il signor Mario Missiroli, domandandosi che<br />

cosa c’è sotto all’atteggiamento dei comunisti, eventualmente favorevole al<br />

voto dell’articolo 5 o dell’articolo 7, nella forma in cui questo articolo viene<br />

presentato. L’autore <strong>di</strong> questo scritto argomenta lungamente e argomenta,<br />

naturalmente, in termini <strong>di</strong> hegelismo. Ma l’hegelismo l’abbiamo stu<strong>di</strong>ato<br />

anche noi, anche noi ce la sappiamo cavare con queste formulette, e soprattutto<br />

sappiamo come molte volte esse vengano adoperate esclusivamente<br />

per coprire una specie <strong>di</strong> cinismo, come quello <strong>di</strong> cui dà prova questo signore<br />

che accusa noi <strong>di</strong> non avere una coscienza etica dello Stato, perché<br />

saremmo <strong>di</strong>sposti anche ad accettare la formula dell’articolo 5 così come ci<br />

è stata presentata: proprio lui che, per esaltare i Patti del Laterano, scrisse<br />

un intiero volume che, si <strong>di</strong>ce, ebbe il personale plauso <strong>di</strong> Mussolini!<br />

È evidente che lezioni <strong>di</strong> etica da un camaleonte non le pren<strong>di</strong>amo.<br />

Ma eleviamoci in un’atmosfera superiore: paullo maiora canamus.<br />

Anche in quest’aula, la questione del nostro atteggiamento è stata posta, e<br />

prima <strong>di</strong> tutto dall’onorevole Orlando, il quale ha detto: «Non vorrei collocarmi<br />

più a sinistra dei comunisti». Che cosa è destra e che cosa è sinistra<br />

non sempre è facile <strong>di</strong>rlo in politica, onorevole Orlando. A ogni modo, non<br />

ho ben capito se, quando ella usava quella espressione, intendeva esprimere<br />

una perplessità sua circa la posizione che ella doveva prendere, oppure se<br />

avesse voluto che noi ci collocassimo un po’ più a sinistra per far posto a<br />

lei (si ride). Insomma, vi è qualcuno che avrebbe voluto ad ogni costo che<br />

fossimo noi a condurre questa battaglia. No, signori: noi conduciamo le<br />

battaglie che sembra a noi debbano essere combattute e, quando riteniamo<br />

che per consolidare l’unità politica e morale della nazione debba essere<br />

presa una determinata posizione, la pren<strong>di</strong>amo, lo <strong>di</strong>ciamo chiaramente e ci<br />

assumiamo tutte le responsabilità che ne derivano.<br />

– 245 –


Ma anche l’onorevole Nitti ci ha fatto oggetto della sua critica e delle<br />

sue benevole osservazioni. L’onorevole Nitti si è lusingato <strong>di</strong> darci una<br />

piccola lezione <strong>di</strong> interpretazione del marxismo. Onorevole Nitti, siamo<br />

sempre <strong>di</strong>sposti ad accogliere tutte le lezioni. Però, quando si tratta <strong>di</strong> una<br />

interpretazione del marxismo, <strong>di</strong>retta allo scopo <strong>di</strong> determinare la nostra<br />

politica, questa lezione ce la <strong>di</strong>amo fra noi. La sede <strong>di</strong> essa è il nostro<br />

comitato centrale, sono gli organi <strong>di</strong>rigenti del nostro partito. Se ella crede<br />

<strong>di</strong> entrare nel nostro partito (ilarità), forse potrà anche collaborare alla<br />

elaborazione della dottrina marxista nei riflessi e nelle applicazioni che<br />

questa comporta nella vita politica <strong>di</strong> oggi. La porta non è chiusa per<br />

nessuno, e non è detto che ella non possa rapidamente superare i gra<strong>di</strong>ni<br />

che portano anche alle più alte cariche del partito, in modo che ella possa<br />

dare il suo contributo alle <strong>di</strong>rettive <strong>di</strong> azione <strong>di</strong> un partito che si sforza<br />

<strong>di</strong> applicare alla situazione attuale precisamente i principi del marxismo<br />

(si ride).<br />

Ma lasciamo gli scherzi, onorevole Nitti, ella ha detto una cosa che io<br />

non accetto: ella ha detto che i regimi socialisti non si conciliano con l’esistenza<br />

della religione. Non è vero: e questo è il punto che desidero chiarire<br />

meglio, perché illumina nel modo migliore la nostra posizione <strong>di</strong> oggi.<br />

Vi è una sola esperienza in proposito, l’esperienza dell’Unione Sovietica.<br />

È evidente che nel corso della sua esistenza, l’Unione Sovietica ha dovuto<br />

attraversare <strong>di</strong>fferenti perio<strong>di</strong>, anche per questo riguardo.<br />

Ma che cosa avvenne in quel Paese? Avvenne che la Chiesa cristiana<br />

ortodossa, l’unica Chiesa ivi esistente, per il suo orientamento politico e<br />

per il tipo stesso della organizzazione, era strettamente vincolata al vecchio<br />

regime zarista, a quel regime <strong>di</strong> oppressione economica, politica e sociale, a<br />

quel regime <strong>di</strong> tirannide che era uno dei più arretrati, inumani e barbari <strong>di</strong><br />

quei tempi.<br />

Gli esponenti della Chiesa ortodossa ritennero <strong>di</strong> dover prendere la<br />

<strong>di</strong>fesa del regime zarista e delle forze sociali che esso esprimeva, contro le<br />

masse <strong>di</strong> operai, <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong> intellettuali avanzati, che volevano rinnovare<br />

profondamente, su una base socialista, il loro Paese, e adempivano<br />

questo compito e<strong>di</strong>ficando un nuovo Stato, uno Stato socialista. Ebbene, il<br />

nuovo Stato accettò la lotta e vinse. Vinse, e non poteva non vincere, come<br />

non possono non vincere tutti i regimi che attuano profonde trasformazioni<br />

politiche e sociali, quando queste sono mature nella coscienza popolare e<br />

nello sviluppo stesso delle cose. Vinse, e la Chiesa ortodossa ne subì, per un<br />

periodo <strong>di</strong> tempo abbastanza lungo, le conseguenze.<br />

– 246 –


Però noi vedemmo,<br />

già prima dell’ultima guerra,<br />

che la situazione era<br />

cambiata; e nel corso della<br />

guerra non soltanto funzionarono<br />

regolarmente,<br />

La nostra lotta è lotta per la rinascita del nostro Paese,<br />

per il suo rinnovamento politico, economico e sociale.<br />

In questa lotta noi vogliamo l’unità dei lavoratori,<br />

prima <strong>di</strong> tutto, e attorno a essa, vogliamo si realizzi<br />

l’unità politica e morale <strong>di</strong> tutta la nazione...<br />

liberamente le istituzioni religiose, ma il sentimento religioso agì come stimolo<br />

alla lotta eroica delle gran<strong>di</strong> masse della popolazione <strong>di</strong> tutte le parti della<br />

Russia per la <strong>di</strong>fesa della patria socialista minacciata nella sua esistenza dalle<br />

orde dell’invasione tedesca e fascista. Oggi esiste in Russia un regime <strong>di</strong> piena<br />

libertà religiosa (commenti), e il regime socialista si rivela perfettamente conciliabile<br />

con questa libertà.<br />

Questo, colleghi democristiani, è il punto al quale io volevo arrivare,<br />

perché da esso traggo due insegnamenti: il primo è che non vi è contrasto<br />

fra un regime socialista e la coscienza religiosa <strong>di</strong> un popolo; il secondo è<br />

che non vi è nemmeno contrasto fra un regime socialista e la libertà religiosa<br />

della Chiesa, e in particolare <strong>di</strong> quella cattolica.<br />

Questa è la posizione <strong>di</strong> principio più profonda, che non solo giustifica, ma<br />

spiega la posizione che noi pren<strong>di</strong>amo in questo voto. Vogliamo rendere sempre<br />

più evidente al popolo italiano questa verità. Quin<strong>di</strong> è inutile che vi poniate<br />

delle domande superflue: è inutile vi doman<strong>di</strong>ate cosa c’è sotto. Non c’è sotto<br />

nient’altro che questo: il nostro voto sarà dato secondo convinzione e per <strong>di</strong>sciplina:<br />

per <strong>di</strong>sciplina a una linea politica, secondo la convinzione che questa<br />

politica è quella che meglio corrisponde agli interessi della nazione italiana.<br />

Si <strong>di</strong>ce che verrà chiesto un voto segreto, oppure che voteremo pubblicamente<br />

per appello nominale. Il nostro voto non cambierà, sia che si voti<br />

in segreto, sia che si voti apertamente. Non vi sono in noi preoccupazioni<br />

elettorali se non nel senso <strong>di</strong> tener fede alle assicurazioni che abbiamo dato<br />

agli elettori che hanno votato per noi... (commenti animati – interruzioni).<br />

Una voce: Non ci cre<strong>di</strong>amo.<br />

TOGLIATTI: Onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, la vostra<br />

intolleranza è utile (commenti). Essa serve a <strong>di</strong>mostrare la vali<strong>di</strong>tà delle<br />

argomentazioni dei vostri contrad<strong>di</strong>ttori. Ho cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare prima che<br />

è stato un inconveniente per noi aver dovuto trattare con voi e non <strong>di</strong>rettamente<br />

con altre parti. Voi mi state dando la prova che ho ragione. Sono convinto<br />

che in un consesso <strong>di</strong> prelati romani sarei stato ascoltato sino alla fine<br />

con più sopportazione <strong>di</strong> quanto voi non mi abbiate ascoltato (commenti<br />

prolungati al centro).<br />

– 247 –


PRESIDENTE: Mi sembra che i commenti siano già stati troppo lunghi.<br />

Permettano che l’onorevole Togliatti riprenda il suo <strong>di</strong>scorso.<br />

TOGLIATTI: Si è anche parlato <strong>di</strong> una eventuale minaccia <strong>di</strong> un appello<br />

al Paese, attraverso un referendum, o un plebiscito, minaccia che determinerebbe<br />

il nostro atteggiamento. Anche questo non è vero. Qualora noi ritenessimo<br />

che vi è una questione o un <strong>di</strong>ssenso che bisogna portare <strong>di</strong>nanzi al<br />

popolo, noi stessi chiederemmo il referendum. E del resto, colleghi <strong>di</strong> parte<br />

monarchica, abbiamo vinto già una volta un referendum: siamo <strong>di</strong>sposti a<br />

vincerne un altro (commenti).<br />

Una voce a destra: Bene, si faccia il referendum!<br />

CONDORELLI: Ne pren<strong>di</strong>amo atto.<br />

...Disper<strong>di</strong>amo le ombre<br />

le quali impe<strong>di</strong>scono la realizzazione <strong>di</strong> questa unità!<br />

Dando il voto che <strong>di</strong>amo, noi non sacrifichiamo,<br />

dunque, nulla <strong>di</strong> noi stessi;<br />

anzi, siamo coerenti con noi stessi sino all’ultimo.<br />

– 248 –<br />

TOGLIATTI: I motivi per<br />

i quali, visti fallire i nostri<br />

tentativi per arrivare attraverso<br />

una mo<strong>di</strong>ficazione delle formule<br />

presentate o attraverso la<br />

presentazione <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne del<br />

giorno successivo al voto del-<br />

l’articolo, i motivi per i quali, visti fallire questi tentativi, il gruppo parlamentare<br />

comunista ha deciso <strong>di</strong> votare per la formula che viene presentata, sono<br />

dunque motivi profon<strong>di</strong>, che investono tutto l’orientamento politico del nostro<br />

partito.<br />

La nostra lotta è lotta per la rinascita del nostro Paese, per il suo rinnovamento<br />

politico, economico e sociale. In questa lotta noi vogliamo l’unità<br />

dei lavoratori, prima <strong>di</strong> tutto, e, attorno a essa, vogliamo si realizzi l’unità politica<br />

e morale <strong>di</strong> tutta la nazione.<br />

Disper<strong>di</strong>amo le ombre le quali impe<strong>di</strong>scono la realizzazione <strong>di</strong> questa<br />

unità! Dando il voto che <strong>di</strong>amo, noi non sacrifichiamo, dunque, nulla <strong>di</strong> noi<br />

stessi; anzi, siamo coerenti con noi stessi sino all’ultimo. Siamo oggi quello<br />

che siamo stati in tutta la lotta <strong>di</strong> liberazione e in tutto il periodo <strong>di</strong> profonda<br />

crisi e <strong>di</strong> ricostruzione apertosi dopo la fine della guerra. Siamo oggi quel che<br />

saremo domani, nella lotta che condurremo insieme a voi, accanto a voi – se<br />

volete – o in contrasto con voi, per la ricostruzione, il rinnovamento, la rinascita<br />

d’Italia.<br />

Siamo convinti, dando il nostro voto all’articolo che ci viene presentato,<br />

<strong>di</strong> compiere il nostro dovere verso la classe operaia e le classi lavoratrici,<br />

verso il popolo italiano, verso la democrazia e la Repubblica, verso la nostra<br />

patria! (Vivi applausi all’estrema sinistra – commenti animati).


ARTICOLO 7<br />

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio or<strong>di</strong>ne,<br />

in<strong>di</strong>pendenti e sovrani.<br />

I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi.<br />

Le mo<strong>di</strong>ficazioni dei Patti, accettate dalle due parti,<br />

non richiedono proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> revisione costituzionale.<br />

– 249 –


LICEO CLASSICO ORAZIO ROMA<br />

Pensare e agire al femminile<br />

a Roma nel secondo dopoguerra<br />

– Progetto: Roma per vivere, Roma per pensare –<br />

(anno scolastico <strong>2005</strong>-2006)<br />

CLASSE III B<br />

Coor<strong>di</strong>natrice: Prof.ssa Licia Fierro<br />

GLI ALUNNI:<br />

Susanna Arena - Alessandro Balestrino - Annachiara Bonora - Giovanna Buccino<br />

Ilaria Campanari - Serena Cappuccio - Emanuela Carta - Federica Cialone<br />

Flavia Colonnese - Gaia Di Lernia - Marta Subitosi - Camilla Lenzi - Valeria Mazza<br />

Guglielmo Miniagio - Anna Palmiero - Irene Piccini - Martina Rubino - Francesca Russo<br />

Giacomo Santucci - Francesca Serra - Francesca Romana Usai.<br />

SOMMARIO:<br />

CAPITOLO I, Il clima storico-culturale a Roma nel secondo dopoguerra.<br />

CAPITOLO II, Roma per pensare: la figura <strong>di</strong> Maria Zambrano.<br />

II.1 - La figura ed il pensiero <strong>di</strong> Maria Zambrano.<br />

II.2 - Una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>versa e parallela del pensiero al femminile: Hannah Arendt.<br />

II.3 - La crisi del soggetto: Herbert Marcuse.<br />

CAPITOLO III, Roma per vivere: le donne in azione. Il movimento femminista.<br />

INTRODUZIONE<br />

Secondo una tra<strong>di</strong>zione storiografica consolidata la scuola cirenaica,<br />

una delle scuole socratiche “minori”, sarebbe stata fondata da Aristippo,<br />

continuata da sua figlia Arete e in seguito dal nipote Aristippo Metro<strong>di</strong>datta<br />

(ovvero “il <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> sua madre”), per esaurirsi poi tra il IV e il III sec. a.C..<br />

Se avesse rilevanza un <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> tipo proto-femminista, si potrebbe<br />

ripetere che lo stesso Socrate si vede un po’ in <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> fronte alle sottigliezze<br />

<strong>di</strong>alettiche sull’Amore che Platone pone, nel Simposio, sulla bocca<br />

dell’umile Diotima.<br />

– 250 –


Non cre<strong>di</strong>amo sia stato mai proficuo porsi il problema del “pensiero<br />

al femminile”, in<strong>di</strong>candone le caratteristiche in opposizione o in alternativa<br />

a quello maschile <strong>di</strong> cui sicuramente rigurgitano i testi <strong>di</strong> filosofia <strong>di</strong> cui<br />

finora ci siamo nutriti: indubbiamente la tra<strong>di</strong>zione filosofica è maschile e<br />

poca considerazione è stata accordata nel tempo all’elaborazione del pensiero<br />

delle donne.<br />

Nel novecento, con il termine “Gender stu<strong>di</strong>es” s’intende un orizzonte<br />

<strong>di</strong> elaborazione teorica nata dalle donne, le quali sono riuscite, in alcuni casi<br />

con risultati rivoluzionari, a fare dell’essere donna un criterio ermeneutico<br />

fondamentale.<br />

L’“esplosione” (così la definisce F. Brezzi) <strong>di</strong> questo pensiero nasce<br />

dalla reazione critica nei confronti <strong>di</strong> quel silenzio secolare che ha, per così<br />

<strong>di</strong>re, “relegato” le donne in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> subalternità rispetto al pensiero<br />

maschile. Per un verso tale reazione si è espressa “nelle piazze” come<br />

manifestazione, riven<strong>di</strong>cazione, a partire dai movimenti delle suffragette,<br />

mentre per l’altro è stata tradotta in un’elaborazione teorica ricchissima<br />

e d’altro livello, talché si può oggi parlare <strong>di</strong> “filosofie femministe”, da<br />

S. Weil a H. Arendt, a M. Zambrano.<br />

Viene da chiedersi: hanno inventato un pensiero nuovo le donne?<br />

Nuovo, poi, rispetto a che cosa? Nella <strong>di</strong>mensione complicata delle varie<br />

culture che albergano nel novecento, le donne filosofe hanno reinterpretato<br />

concetti antichi della filosofia, e soprattutto si sono interrogate sul tema<br />

dell’identità, in una situazione fortemente impregnata delle suggestioni dei<br />

“maestri del sospetto”, le cui indagini rivelano sempre più netta la crisi del<br />

soggetto; le donne sono passate dalla pratica delle rimostranze e delle manifestazioni<br />

alla costruzione teorica <strong>di</strong> un pensiero femminista nello stesso<br />

momento in cui è stato loro possibile dare una risposta decisa al problema<br />

dell’identità, ricostruendo quest’ultima sulla base dell’affermazione della<br />

<strong>di</strong>fferenza sessuale. Da ciò risulta ben chiara la critica, e il conseguente<br />

superamento, del metodo idealistico e della sua “reductio ad unum”.<br />

In ambito etico-politico il pensiero femminile è andato in cerca <strong>di</strong> valori<br />

con<strong>di</strong>visibili, quali la cura, la premura, la responsabilità verso il prossimo,<br />

concetti con i quali si esprime al tempo stesso la <strong>di</strong>fferenza e la relazionalità,<br />

ovvero il concetto <strong>di</strong> esistenza come apertura che è al tempo stesso svelamento<br />

<strong>di</strong> significato, concretezza <strong>di</strong> compiti. Hannah Arendt, a tal proposito,<br />

era consapevole della novità assoluta e rivoluzionaria dell’essere presente<br />

“in prima persona”, al <strong>di</strong> là della protezione accademica, come una<br />

che si getta nel mondo reale e <strong>di</strong>venta testimone in carne ed ossa dell’ideale<br />

– 251 –


etico dell’uomo, come fine e non come mezzo, finora in gran parte adorato<br />

nell’astrattezza dei sistemi. Il suo voler essere buona e cattiva tra tanti buoni<br />

e cattivi, volendolo essere come donna, è una <strong>di</strong>mensione ontica dell’esistere<br />

in senso attivo, nell’interrelazione <strong>di</strong> un ente alla pari con gli altri enti.<br />

L’identità femminile, una volta “scoperta”, non si chiude: la filosofia è<br />

pluralista nella misura in cui si auto-afferma senza escludere il riconoscimento<br />

dell’altro, per questo il suo è un pensiero sempre politico, anche<br />

quando finisce col traboccare nella trascendenza; basti pensare ad E. Stein,<br />

la quale, inserendo la dottrina husserliana dell’intenzionalità della coscienza<br />

nella rielaborazione della filosofia scolastica, si apre agli altri in una forma<br />

d’amore che vince sulle aberrazioni della politica, quando la politica <strong>di</strong>viene<br />

invece più che aberrante. E. Stein muore martire ad Auschwitz e<br />

questo avviene, come ci ricorda F. Brezzi, quando già la filosofa ha scritto<br />

un’opera dal titolo Una ricerca sullo stato, opera nella quale appare chiara e<br />

insopprimibile la connessione tra etica e politica.<br />

È possibile leggere il pensiero delle donne come un aspetto <strong>di</strong> quella che<br />

i francofortesi hanno definito “teoria critica della società”? In che senso<br />

le donne hanno riprogettato “l’essere per la libertà”? Si è solo trattato <strong>di</strong><br />

costruire un’alternativa femminile al pensiero maschile?<br />

Negli anni ’60 e ’70 certamente è stato prevalente il bisogno <strong>di</strong> chiudere<br />

le porte della società patriarcale, ma poi partendo dal sé al femminile ci si è<br />

orientate a superare la stessa teoria critica della <strong>di</strong>fferenza per far convivere<br />

identità e <strong>di</strong>fferenza in forme concrete e non meramente egualitarie <strong>di</strong><br />

giustizia.<br />

Il cammino delle donne ha aperto varchi in “città proibite”, ha segnato<br />

nuove forme <strong>di</strong> collaborazione intellettuale e politica, e questo ci spinge a<br />

saperne <strong>di</strong> più.<br />

CAPITOLO I<br />

IL CLIMA STORICO-CULTURALE<br />

A ROMA NEL SECONDO DOPOGUERRA<br />

Il pensiero filosofico affermatosi in Europa a cavallo tra XIX e XX sec.<br />

si manifesta come una vera e propria reazione al positivismo, reazione che,<br />

in Italia, a <strong>di</strong>fferenza degli altri paesi europei, vede il prevalere <strong>di</strong> tendenze<br />

pragmatiste, irrazionaliste, spiritualistiche ed idealistiche. Ciò può esser<br />

spiegato con i gravi avvenimenti socio-politici <strong>di</strong> fine ’800, quando la crisi<br />

– 252 –


che scoppia sotto il reazionario governo crispiano porta ad un’alleanza tra i<br />

socialisti da una parte e l’ala borghese più progressista dall’altra, all’interno<br />

<strong>di</strong> una comune matrice positivista. Tale alleanza va tuttavia <strong>di</strong>sgregandosi<br />

agli albori del nuovo secolo, forse per la minaccia costituita dalla crescita<br />

proletaria, e le espressioni che <strong>di</strong> questa erano state d’avanguar<strong>di</strong>a si volgono<br />

sempre più verso tendenze antisocialiste ed antidemocratiche. Nonostante<br />

i tentativi fatti – il rilancio del positivismo accompagnato da una<br />

ripresa dello sviluppo industriale –, la politica giolittiana non si <strong>di</strong>mostra in<br />

grado <strong>di</strong> evitare tutto questo, anzi: il suo avvicinamento a sinistra non fa che<br />

spingere il ceto intellettuale verso posizioni sempre più conservatrici, se<br />

non reazionarie. Consiste probabilmente proprio in ciò il limite della politica<br />

giolittiana: non aver compreso l’importanza del ruolo della cultura e<br />

degli intellettuali. Proprio per il realismo politico <strong>di</strong> Giolitti, che fa apparire<br />

grigio e privo <strong>di</strong> slancio ideale il suo governo, e per il ruolo che questi è<br />

solito riservare agli intellettuali italiani, mentre essi vorrebbero sentirsi più<br />

coinvolti in un’epoca <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> mutamenti sociali, la cultura del tempo si<br />

arrocca sempre più su posizioni antigiolittiane e, specialmente in ambito<br />

filosofico, su un antipositivismo che si tinge spesso <strong>di</strong> aristocraticismo e<br />

irrazionalismo.<br />

Si verifica così l’abbandono, nel primo decennio del XX sec., del pensiero<br />

positivista; la borghesia, d’altronde, <strong>di</strong> fronte a sé non trova molte alternative<br />

ad esso; una <strong>di</strong> queste è la filosofia religiosa, ma ben presto ci si<br />

rende conto che il compromesso ideologico tanto ricercato da parte degli intellettuali<br />

non può esser raggiunto sulla base dell’ideologia cattolica, per via<br />

<strong>di</strong> quelle che erano state le tra<strong>di</strong>zioni anticlericali del Risorgimento, non ancora<br />

<strong>di</strong>menticate dalla borghesia, abituata a considerare il Vaticano come un<br />

nemico dell’Unità e dell’In<strong>di</strong>pendenza italiana (ciò tuttavia, lo ricor<strong>di</strong>amo,<br />

non impe<strong>di</strong>rà alla borghesia <strong>di</strong> simpatizzare, già verso la fine del XIX sec.,<br />

con le dottrine irrazionalistiche e mistiche in funzione antisocialista). Dal<br />

canto loro, gli esponenti del movimento cattolico più lungimiranti tentano<br />

<strong>di</strong> democratizzare la politica e l’ideologia ecclesiastiche per realizzare meglio<br />

il compromesso con la borghesia (si pensi alla nascita del movimento<br />

cattolico), tentativi tuttavia mal visti dalla curia papale (la repressione del<br />

cosiddetto “movimento modernista” fu totale). Solo in seguito, a partire dall’enciclica<br />

Rerum Novarum <strong>di</strong> Leone XIII, la prima delle encicliche sociali,<br />

la Chiesa, accostandosi per la prima volta alla questione operaia, inizia a<br />

percorrere una strada <strong>di</strong> rinnovamento interno. In ogni caso, nessuna corrente<br />

della filosofia religiosa si <strong>di</strong>mostra in grado <strong>di</strong> colmare quel vuoto<br />

– 253 –


aperto dal crollo del positivismo: avanzano così correnti nuove, che cercano,<br />

in quegli anni, <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguersi nel <strong>di</strong>battito culturale del tempo. In<br />

particolare, finiscono col primeggiare tendenze <strong>di</strong> carattere irrazionalistico e<br />

nazionalista, tendenze che assumeranno in seguito un ruolo fondamentale<br />

nell’opera <strong>di</strong> sostegno all’avanzata del fascismo.<br />

Le classi <strong>di</strong>rigenti italiane riescono così a trovare lo sperato compromesso<br />

ideologico, all’inizio del XX sec., nel Neoidealismo hegeliano <strong>di</strong><br />

Croce e Gentile. Si tratta <strong>di</strong> un sistema filosofico elaborato e qualificato, basato<br />

sostanzialmente sulla lotta al marxismo e al materialismo, sulla giustificazione<br />

del sistema sociale presente, sull’unificazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi in<strong>di</strong>rizzi<br />

filosofici conservatori, sull’affermazione della cultura borghese laica ma<br />

non anticlericale. Il Neohegelismo nasce alla fine del XIX sec. In Inghilterra,<br />

ma solo in Italia manifesterà un’influenza così generale sulla cultura<br />

nazionale. Negli altri paesi esso è solo uno tra vari movimenti filosofici,<br />

spesso neppure quello principale, mentre in Italia si trasforma, nel giro <strong>di</strong><br />

pochi decenni, da fenomeno esclusivamente filosofico a cultura egemone<br />

dell’ideologia borghese.<br />

La città italiana in cui più fiorente permane la tra<strong>di</strong>zione neoidealista è<br />

senza dubbio Napoli, sede <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> ed insegnamento per personalità <strong>di</strong><br />

grande rilievo quali Augusto Vera, Bertrando Spaventa e Francesco De<br />

Sanctis; la scuola hegeliana è comparsa in Italia relativamente tar<strong>di</strong> (alla<br />

fine del 1830) e la sua fioritura va posta in quel periodo in cui in Germania<br />

l’hegelismo era stato già superato dal marxismo. Vero sì che l’hegelismo<br />

italiano, a livello europeo, non presenta alcuna novità, tuttavia non va <strong>di</strong>menticato<br />

che esso, nella sua cosiddetta “ala sinistra”, offre contributi <strong>di</strong> notevole<br />

valore: dalla sinistra hegeliana napoletana (F. De Sanctis, gli Spaventa,<br />

S. Tommasi e gli altri) è nato, da un lato, il pensiero progressista e<br />

marxista italiano, originatosi con Labriola, e, dall’altro, l’idealismo neohegeliano,<br />

<strong>di</strong> natura profondamente conservatrice. Questa contrad<strong>di</strong>ttorietà<br />

negli sviluppi della scuola hegeliana napoletana è stata oggetto <strong>di</strong> accese<br />

controversie: gli idealisti neohegeliani (Croce e Gentile) faranno <strong>di</strong> tutto per<br />

<strong>di</strong>mostrare <strong>di</strong> essere gli unici ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> questa sinistra, della quale però vorranno<br />

ignorare gli elementi più progressisti, elementi, questi, invece colti<br />

dai filosofi marxisti.<br />

Nemmeno il panorama filosofico italiano rimane estraneo alla <strong>di</strong>fferenziazione,<br />

verificatasi in primis in Germania, tra le cosiddette “destra” e “sinistra”<br />

hegeliana, due interpretazioni <strong>di</strong>fferenti, una più “ortodossa”, l’altra<br />

più “critica”, dell’idealismo <strong>di</strong> Hegel.<br />

– 254 –


L’affermarsi del Neoidealismo piuttosto che del positivismo nel Meri<strong>di</strong>one<br />

<strong>di</strong> Italia si spiega considerando le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> arretratezza in cui<br />

questo si trova: mancano infatti nel sud le basi per lo sviluppo <strong>di</strong> una cultura<br />

così fortemente segnata dalla mentalità scientifico-sperimentale, là<br />

dove non si è mai verificato un concreto sviluppo industriale e i rapporti sociali<br />

sono, conseguentemente, poco <strong>di</strong>namici.<br />

Massimo fautore del rinnovato interesse nei confronti <strong>di</strong> Hegel, nonché<br />

della sua interpretazione più “ortodossa”, è il già citato Augusto Vera, autore,<br />

tra l’altro, <strong>di</strong> una “Introduzione alla filosofia <strong>di</strong> Hegel “, opera nella<br />

quale egli sottolinea la sistematicità del pensiero hegeliano e la centralità<br />

del concetto <strong>di</strong> Idea, realizzazione della sintesi. Da ciò si può comprendere<br />

come Vera, in seguito, utilizzerà importanti temi platonici per accentuare<br />

sempre più l’assolutezza dell’Idea, nel segno <strong>di</strong> un pensiero <strong>di</strong> carattere nettamente<br />

spiritualistico.<br />

Di grande rilievo per lo sviluppo del Neoidealismo italiano è ancor <strong>di</strong><br />

più Bertrando Spaventa, uno dei capi della Destra storica. Tra i suoi scritti,<br />

raccolti e rie<strong>di</strong>ti postumi ad opera <strong>di</strong> Giovanni Gentile, possiamo ricordare<br />

La filosofia italiana, un esame generale dello sviluppo del pensiero filosofico<br />

italiano, pensiero che Spaventa non contesta, anzi valuta il più possibile:<br />

proposito dell’autore è liberare la tra<strong>di</strong>zione filosofica italiana dal perenne<br />

isolamento, rispetto il resto d’Europa, che ha sempre contrad<strong>di</strong>stinto<br />

il paese. Quella che Spaventa intende suscitare è, per così <strong>di</strong>re, una “presa<br />

<strong>di</strong> coscienza” da parte del popolo italiano: la coscienza del ritorno della<br />

filosofia moderna, nata in Italia e sviluppatasi poi soprattutto in Germania,<br />

alle sue stesse origini. Di qui le analogie che il filosofo tenta <strong>di</strong> compiere tra<br />

Bruno e Spinoza, tra Rosmini e Kant, tra Gioberti ed Hegel; un tentativo, il<br />

suo, fatto per “stimolare” la cultura italiana, per scuoterla dal suo impaccio<br />

nei confronti <strong>di</strong> quella europea. Sulle orme <strong>di</strong> Fichte, Spaventa elabora una<br />

gnoseologia trascendentale, nell’ambito della quale è il soggetto pensante,<br />

non l’oggetto pensato, ad assumere il ruolo <strong>di</strong> vero primum; allo stesso<br />

filone “ortodosso” della tra<strong>di</strong>zione hegeliana appartiene anche Francesco<br />

De Sanctis, critico letterario e teorico dell’estetica, che può esser ricordato<br />

come il maggiore tra gli intellettuali che, agli inizi del XX sec., offrono il<br />

loro appoggio al regime fascista; con la sua Storia della letteratura italiana<br />

egli assurge a vero e proprio punto <strong>di</strong> riferimento nel panorama culturale<br />

italiano <strong>di</strong> ispirazione neoidealistica: per De Sanctis, come del resto anche<br />

per Croce, vera manifestazione dello spirito è la poesia. È qui possibile<br />

ritrovare l’influenza che Herder ebbe sul pensiero dei due critici italiani:<br />

– 255 –


fu lui <strong>di</strong>fatti il primo ad attribuire al linguaggio un’origine del tutto naturale<br />

e spontanea, assolutamente non convenzionale. Ed è proprio attraverso il<br />

linguaggio – afferma Herder –, linguaggio che <strong>di</strong>viene subito poesia, che si<br />

esprime l’animo, l’indole propria <strong>di</strong> un popolo.<br />

Libri, pubblicazioni, circoli e riviste offrono, in Italia, un importante sostegno<br />

per la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> ideali nazionalistici ed imperialistici, in netta polemica<br />

con la tra<strong>di</strong>zione del positivismo italiano, la quale rimane anzi<br />

sempre debole, non riuscendo mai ad affermarsi del tutto, per poi esser finalmente<br />

soppiantata dalle nuove, imperanti tendenze irrazionalistiche e<br />

spiritualistiche. Prendono invece sempre più piede l’antisocialismo, il militarismo<br />

ed il nazionalismo più esasperato: basti pensare a riviste come “Il<br />

Regno”, “La voce” o ancora “Il Leonardo”, attraverso cui si esprimono personalità<br />

quali Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini ed Enrico Corra<strong>di</strong>ni.<br />

Scrittori e poeti come Alfredo Oriani e Gabriele D’Annunzio inneggiano all’attivismo,<br />

al gesto esemplare e alla violenta virilità, il primo interpretando,<br />

nel corso degli eventi storici, un in<strong>di</strong>scutibile compito <strong>di</strong> “civilizzazione”<br />

che l’Italia avrebbe nei confronti delle altre nazioni (a che scopo, altrimenti,<br />

l’avvenuta unificazione nazionale?), il secondo facendo proprio, più o meno<br />

legittimamente, il superomismo <strong>di</strong> Nietzsche.<br />

La nascita, la <strong>di</strong>ffusione ed infine la vittoria del fascismo è senza<br />

dubbio resa possibile dalla drammatica esperienza che l’Italia vive negli<br />

anni del primo conflitto mon<strong>di</strong>ale (1914-1918), le cui conseguenze, dal<br />

punto <strong>di</strong> vista economico-sociale, colpiscono in profon<strong>di</strong>tà la popolazione,<br />

la quale si mostra sempre meno tollerante nei confronti dello stato liberale e<br />

del movimento socialista.<br />

Diverse sono le opinioni riguardo il peso che il fascismo ha nell’economia<br />

della storia italiana: c’è chi lo interpreta come una semplice parentesi,<br />

da chiudersi il prima possibile per poter così ricominciare il <strong>di</strong>scorso da<br />

dove è stato interrotto (Luigi Einau<strong>di</strong>); chi lo ritiene una semplice malattia<br />

dalla quale un organismo fondamentalmente sano è riuscito a guarire<br />

(Croce); o, ancora, c’è chi è dell’opinione che esso sia un movimento politico-ideologico<br />

dalle ben salde ra<strong>di</strong>ci nella tra<strong>di</strong>zione italiana, un movimento<br />

che finisce col prevalere grazie a molteplici fattori. Non si <strong>di</strong>mentichi,<br />

a proposito, la debolezza cronica dello stato liberale italiano; l’appoggio<br />

consapevole offerto da imponenti personalità, o quello meno consapevole,<br />

illusorio <strong>di</strong> molti altri; ed infine la scarsa esperienza del movimento<br />

socialista, ancora <strong>di</strong> nascita troppo fresca per resistere alle declamatorie rimostranze<br />

degli esponenti <strong>di</strong> destra.<br />

– 256 –


Sottolinea Giannantoni che il fascismo non si configura come un’ideologia<br />

omogenea e coerente, anzi appare più un miscuglio confuso <strong>di</strong> idee e<br />

argomentazioni, volto ad ottenere il più largo consenso tra le masse e non<br />

solo: esso <strong>di</strong>fatti comprende da una parte una politica tra<strong>di</strong>zionalmente clericale,<br />

nazionalista e antidemocratica, ma dall’altra anche sprazzi <strong>di</strong> un’ideologia<br />

fondamentalmente antiborghese, anzi a tratti dalle parvenze socialiste;<br />

da una pragmatismo, dall’altra pensiero nietzschiano; o, ancora, tendenze<br />

populiste accanto al più convinto imperialismo.<br />

Nonostante questa profonda incoerenza ed eterogeneità <strong>di</strong> fondo, il fascismo<br />

porta avanti una più che accurata politica culturale, grazie alla quale<br />

riesce ad ottenere, tra le file dei suoi sostenitori, nomi tra i più autorevoli<br />

del panorama culturale del tempo. In generale, è possibile parlare <strong>di</strong> una<br />

netta <strong>di</strong>visione, in ambito intellettuale, tra i sostenitori attivi del partito da<br />

una parte e gli antifascisti dall’altra; tale <strong>di</strong>visione è riflessa del resto nella<br />

pubblicazione, in quegli anni, dei rispettivi manifesti dei due movimenti, a<br />

cura uno <strong>di</strong> Gentile, l’altro <strong>di</strong> Croce.<br />

La rilevanza, nella cultura italiana del XX sec., che B. Croce (1866-<br />

1952) e G. Gentile (1875-1944) rivestono, è <strong>di</strong> portata enorme: essi determinano<br />

l’organizzazione delle facoltà universitarie, il fine del pensiero e della<br />

ricerca scientifici, <strong>di</strong>rigono influenti riviste <strong>di</strong> teoretica, esercitano una forte<br />

influenza sull’orientamento della stampa, sono a capo <strong>di</strong> alcune delle maggiori<br />

iniziative e<strong>di</strong>toriali e culturali (si pensi all’Enciclope<strong>di</strong>a Italiana o ai<br />

libri <strong>di</strong> filosofia pubblicati dalla Laterza).<br />

Il Neoidealismo seppe conciliare i sentimenti religiosi con l’anticlericalismo<br />

popolare, motivi positivistici con motivi idealistici; esso, infine, si<br />

pose a fondamento teorico-politico del liberalismo, con Croce, e del fascismo,<br />

con Gentile.<br />

Tale corrente filosofica tuttavia ebbe vita piuttosto breve: alla fede in<br />

certezze assolute subentrò ben presto quel senso <strong>di</strong> sfiducia, <strong>di</strong> precarietà<br />

che si configurò come vera e propria crisi del soggetto, nello stesso periodo<br />

in cui, per contro, sempre più marcata e solida <strong>di</strong>veniva la riven<strong>di</strong>cazione,<br />

da parte femminile, <strong>di</strong> un degno ruolo tanto in ambito filosofico che in<br />

quello socio-politico.<br />

È appunto questo il tema che ci proponiamo <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re nel nostro<br />

progetto; tuttavia ci sembra opportuno presentare, prima ancora <strong>di</strong> proseguire<br />

verso il cuore della nostra ricerca, quelle che furono le due personalità<br />

fondamentali nell’ambito della cultura italiana ottocentesca: Benedetto<br />

Croce e Giovanni Gentile.<br />

– 257 –


BENEDETTO CROCE. Quella <strong>di</strong> Croce è una figura decisiva della<br />

cultura liberale, tanto da influenzare per parecchi decenni, con la sua filosofia,<br />

la formazione intellettuale dell’intero paese. Maturato nell’ambiente<br />

della destra storica napoletana e presto interessatosi al marxismo grazie ad<br />

Antonio Labriola, in alcuni importanti saggi Croce prende presto le <strong>di</strong>stanze<br />

dal materialismo <strong>di</strong>alettico e pone quin<strong>di</strong> le basi <strong>di</strong> un sistema filosofico<br />

idealistico che si regge su quella che egli stesso chiamò la “religione della<br />

libertà”. 1<br />

Nonostante la profonda amicizia che lo lega a Giovanni Gentile, a partire<br />

dal 1925 egli <strong>di</strong>viene il punto <strong>di</strong> riferimento della cultura antifascista<br />

italiana, e quando Mussolini instaura la propria <strong>di</strong>ttatura, Croce continua a<br />

mantenere in vita un’importante rete <strong>di</strong> legami e <strong>di</strong> riflessioni, grazie soprattutto<br />

alla rivista da lui <strong>di</strong>retta, “La Critica”.<br />

La sua è una concezione della storia umana come un campo aperto dove<br />

gareggiano <strong>di</strong>verse e opposte forze spirituali; un’idea <strong>di</strong> uomo libero per<br />

essenza (“poiché la libertà è l’essenza dell’uomo, e l’uomo la possiede nella<br />

sua qualità <strong>di</strong> uomo, non è da prendere letteralmente e materialmente l’espressione<br />

che bisogni all’uomo dare la libertà, che è ciò che non gli si<br />

può dare perché già l’ha in sé”); e, prima ancora, una scienza “liberata” dal<br />

dogmatismo positivista; e un’idea <strong>di</strong> filosofia da cui è scomparsa la pretesa<br />

<strong>di</strong> definitività <strong>di</strong> qualsiasi sistema filosofico: sono questi i presupposti del<br />

liberalismo crociano. Un liberalismo la cui etica rifiuta “il primato a leggi e<br />

casistiche e tabelle <strong>di</strong> doveri e <strong>di</strong> virtù” e pone al suo centro la coscienza<br />

morale. È esattamente su tali fondamenti che Benedetto Croce basa la sua<br />

religione della libertà – una concezione, questa, che “pone il fine della vita<br />

stessa, e il dovere nell’accrescimento e nell’innalzamento <strong>di</strong> questa vita, e<br />

il metodo nella libera iniziativa e nell’inventività in<strong>di</strong>viduale”.<br />

Per Croce la concezione liberale è una concezione “metapolitica” che<br />

“supera la teoria formale della politica e, in un certo senso, anche quella<br />

formale dell’etica, coincidendo con la concezione formale del mondo e<br />

della realtà [...] in essa si rispecchia tutta la filosofia e la religione dell’età<br />

moderna, incentrata nell’idea della <strong>di</strong>alettica ossia dello svolgimento, che,<br />

mercé la <strong>di</strong>versità e l’opposizione delle forze spirituali, accresce e nobilita<br />

<strong>di</strong> continuo la vita e le conferisce il suo unico ed intero significato”. 2<br />

1 B. Croce, Discorsi <strong>di</strong> varia filosofia, Bari 1945, p. 262.<br />

2 B. Croce, La concezione liberale come concezione della vita in Etica e politica, Adelphi,<br />

Milano, 1994, pp. 235-236.<br />

– 258 –


Certo, si potrà <strong>di</strong>re che il liberalismo <strong>di</strong> Croce è un liberalismo incompleto:<br />

suo parere è infatti che l’“etico liberalismo” non abbia legami <strong>di</strong><br />

piena solidarietà con il sistema economico della libera concorrenza. E, in<br />

realtà, la libertà ha bisogno <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni “materiali” per realizzarsi e ciò<br />

non è possibile, qualunque sia il sistema economico, come per esempio<br />

quello comunista, in cui sia stata abolita la proprietà privata dei mezzi <strong>di</strong><br />

produzione, giacché “chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini”. 3<br />

Tuttavia, sebbene incompleto, il liberalismo <strong>di</strong> Croce resta fondamentale<br />

per la costruzione, lo sviluppo e la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> una società aperta. “La ragion<br />

d’essere del liberalismo”, la sua “ragione d’orgoglio” – scrive infatti<br />

Croce – consiste in quella regola <strong>di</strong> gioco che “vuole tolleranza, rispetto<br />

delle altrui opinioni, <strong>di</strong>sposizione ad ascoltare e imparare dagli avversari e,<br />

in ogni caso, a ben conoscerli, e perciò a far sì che non debbano nascondersi<br />

nascondendo il loro pensiero e le loro intenzioni”.<br />

Da qui l’opposizione <strong>di</strong> Croce a quell’autoritarismo imposto da presunti<br />

interpreti <strong>di</strong> una sapienza <strong>di</strong>vina “e per fini ultramondani”, ma anche all’autoritarismo<br />

delle visioni “socialistiche” che “pongono come ideale il para<strong>di</strong>so<br />

da conquistare”. E, <strong>di</strong> fronte a tanti intellettuali che si inginocchiano<br />

davanti a Mussolini ed al fascismo, rimane incrollabile l’opposizione <strong>di</strong><br />

Croce, il quale invano ha inizialmente pensato che il regime mussoliniano<br />

avesse avuto il merito <strong>di</strong> aver sottoposto l’Italia ad una cura benefica<br />

(poiché, tra l’altro, “lo Stato senza autorità non è uno Stato”) e sperato in un<br />

ritorno al regime liberale, ora ha chiaro invece che quello che avrebbe dovuto<br />

esser un rime<strong>di</strong>o, si è trasformato in realtà in un danno ancor peggiore:<br />

Stato totalitario o Stato etico. E mentre tale concezione <strong>di</strong> Stato viene approvata<br />

da Gentile, il quale sentenzia che: “il massimo della libertà coincide<br />

col massimo della forza”, Croce qualifica simile prospettiva come semplicemente<br />

“ripugnante”. E al Manifesto degli intellettuali del fascismo scritto<br />

da Gentile egli contrappone il manifesto degli antifascisti: una risposta <strong>di</strong><br />

scrittori, professori e pubblicisti italiani, che appare su “Il Mondo”, il<br />

1° maggio del 1925, giorno della Festa del lavoro.<br />

GIOVANNI GENTILE. Giovanni Gentile nasce a Castelveltrano<br />

(provincia <strong>di</strong> Trapani) il 29 maggio del 1875. Frequenta il liceo Ximens a<br />

Trapani e successivamente si iscrive alla facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia alla<br />

Scuola Superiore <strong>di</strong> Pisa. Determinante risulta in quegli anni l’incontro con<br />

3 F.A. von Hayek, La via della schiavitù, Rusconi, Milano, 1995, p. 133.<br />

– 259 –


Benedetto Croce: il loro carteggio, che rappresenta uno dei documenti centrali<br />

per la ricostruzione storica della cultura italiana del periodo, ha inizio<br />

nel 1896 e si protrae fino all’adesione <strong>di</strong> Gentile al Partito Fascista, nel 1923.<br />

La <strong>di</strong>scussione tra i due affronta inizialmente temi <strong>di</strong> carattere storico e letterario,<br />

e, successivamente, filosofico, avendo Gentile deciso, sotto la spinta <strong>di</strong><br />

Donato Jaia, <strong>di</strong> laurearsi in filosofia. Col passare del tempo l’amicizia tra i<br />

due si rafforza fino a <strong>di</strong>ventare cruciale per la formazione e lo sviluppo del<br />

pensiero <strong>di</strong> entrambi, e per la carriera accademica <strong>di</strong> Gentile, dal momento<br />

che questi, al contrario <strong>di</strong> Croce, non ha a <strong>di</strong>sposizione una base economica<br />

tale da esentarlo dall’insegnamento. Oggetto principale della <strong>di</strong>scussione con<br />

Croce è l’idealismo, che per un verso accomuna e per l’altro <strong>di</strong>vide i due<br />

filosofi, a causa <strong>di</strong> alcune <strong>di</strong>vergenze, sempre attenuate in nome della loro<br />

amicizia, eppure sempre latenti, che saranno motivo della loro separazione.<br />

I due combattono insieme la stessa guerra, contro il positivismo e le<br />

degenerazioni dell’universalità: il loro scopo è quello <strong>di</strong> costituire un polo<br />

filosofico crescente, per influenza e qualità, all’interno della cultura italiana.<br />

Fondano una rivista, “La Critica”, nel 1903 e lavorano incessantemente<br />

alla pubblicazione delle loro rispettive opere. Docente <strong>di</strong> Storia della Filosofia<br />

all’Università <strong>di</strong> Palermo dal 1906 al 1914, Gentile passò poi nel 1917<br />

a quella <strong>di</strong> Roma, dopo aver insegnato Filosofia a Pisa. La sua adesione al<br />

fascismo nel 1923, se da un lato costituisce la molla della rottura con Croce,<br />

e gli comporta molte inimicizie, dall’altro gli offre la possibilità <strong>di</strong> accrescere<br />

ulteriormente la sua già profonda influenza sulla cultura italiana: in<br />

qualità <strong>di</strong> ministro dell’istruzione (1922-1924) effettua una famosa riforma<br />

scolastica, che prevede la sostituzione della vecchia preparazione manualistica<br />

con un’impostazione formativa degli studenti. Diviene in tal modo<br />

sempre più importante ed intenso il contatto <strong>di</strong>retto con gli autori, senza<br />

contare inoltre l’importanza, finalmente riconosciuta, all’educazione estetica<br />

e religiosa, in antitesi a quelli che erano stati gli aspetti tipici dell’in<strong>di</strong>rizzo<br />

tra<strong>di</strong>zionale.<br />

Nell’ambito della sua filosofia, Gentile elabora una concezione della<br />

realtà <strong>di</strong> natura spiritualistica, rifacendosi in tal modo all’originaria concezione<br />

<strong>di</strong> Fichte e, allo stesso tempo, criticando l’idealismo <strong>di</strong> Hegel e Croce,<br />

i quali peccherebbero <strong>di</strong> astrattismo.<br />

A detta <strong>di</strong> Gentile, l’astrattismo hegeliano è in particolar modo evidente<br />

nella ricerca de “il pensiero fuori dell’atto del pensiero, in cui il pensiero si<br />

realizza”: Hegel finirebbe in tal modo col concepire l’idea e il pensiero<br />

come due enti astratti, in quanto (secondo l’osservazione <strong>di</strong> Bertrando Spa-<br />

– 260 –


venta) “l’idea è lì senza pensiero; il pensiero è lì senza idea”. L’astrattismo <strong>di</strong><br />

Croce consiste invece nello smembramento dell’unità dello spirito (rendendone<br />

così impossibile la vita concreta) con la <strong>di</strong>stinzione dei suoi quattro<br />

momenti autonomi, e con la fondamentale separazione tra spirito teoretico<br />

e spirito pratico. Gentile supera tali astrattismi ponendosi nell’immanenza<br />

dell’atto del pensare e cercando <strong>di</strong> interpretare questa concretezza, cioè<br />

“l’attività” dello spirito, che è la forma ultima <strong>di</strong> ogni sua manifestazione.<br />

Per quel che riguarda il pensiero politico, Gentile nell’elaborarlo rimane<br />

strettamente legato alla propria visione <strong>di</strong> storico della cultura, oltre che<br />

della filosofia: il Risorgimento è per lui l’inizio <strong>di</strong> una più attiva partecipazione<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo alla vita collettiva, nella quale si realizza il destino <strong>di</strong><br />

esso, vita che è lo stesso processo della storia nella concreta realtà sociale<br />

della famiglia, della patria, e dell’umanità. Tutto ciò in reazione all’esasperato<br />

in<strong>di</strong>vidualismo del Rinascimento, che, secondo la teoria gentiliana, è<br />

stato la causa della decadenza morale e politica dell’Italia.<br />

Gentile interpreta il Fascismo come naturale continuazione del processo<br />

Risorgimentale, come movimento storico-culturale <strong>di</strong> cui sarebbe dovuta<br />

esser più partecipe l’intera collettività, mirando sempre a temperare qualsiasi<br />

forma <strong>di</strong> faziosità o <strong>di</strong> eccesso, per seguire invece quel sentimento<br />

<strong>di</strong> libertà <strong>di</strong> pensiero che egli sente vivissimo, e che lo porta a promuovere<br />

iniziative <strong>di</strong> carattere culturale <strong>di</strong> significato e <strong>di</strong> valore tali da poter andare<br />

oltre ogni contingente limitazione.<br />

Gentile, seguendo in questo Hegel, identifica lo Stato con l’incarnazione<br />

della moralità: nell’opera I fondamenti della filosofia del <strong>di</strong>ritto del<br />

1916, come nell’ultimo suo scritto Genesi e struttura della società pubblicato<br />

dopo il 1946, nonché in altri scritti minori, egli delinea il suo modello<br />

<strong>di</strong> Stato, che, così come del resto la società, la morale, il <strong>di</strong>ritto e la politica,<br />

è riportato interamente all’atto <strong>di</strong> pensiero: società e Stato, e quin<strong>di</strong> Diritto e<br />

Politica, non sono, per Gentile, “inter homines”, bensì “in interiore homine”<br />

e, per definirne la natura, il filosofo introduce il concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> volontà<br />

volente e <strong>di</strong> volontà voluta, <strong>di</strong>alettica identica a quella <strong>di</strong> Pensante e<br />

Pensato, data l’identità tra pensiero e volontà: il pensiero, essendo attività<br />

creatrice e infinita, è allo stesso tempo volontà creatrice e infinita. Il <strong>di</strong>ritto<br />

è voluto, cioè non più volontà in atto ma volontà passata, risultato dell’atto<br />

<strong>di</strong> volere, momento astratto della <strong>di</strong>alettica e, come tale, fissato nella sua<br />

oggettività, <strong>di</strong> contro alla moralità, che è volontà del bene, cioè creazione<br />

del bene nell’atto <strong>di</strong> volerlo e quin<strong>di</strong> momento concreto della <strong>di</strong>alettica.<br />

Diritto e morale, lo stato e l’in<strong>di</strong>viduo si identificano nell’atto del volere<br />

– 261 –


volente o del soggetto pensante in cui consiste la loro verità. La struttura<br />

dello Stato che Gentile traccia rappresenta il momento della sintesi, che<br />

risolve in sé l’in<strong>di</strong>vidualità dei suoi componenti e come tale elimina la<br />

<strong>di</strong>stinzione tra pubblico e privato, nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un totalitarismo che<br />

paradossalmente garantisce la libertà per tutti i citta<strong>di</strong>ni. L’adesione al<br />

partito fascista appare agli occhi <strong>di</strong> Gentile la scelta eticamente e filosoficamente<br />

più coerente, ma l’episo<strong>di</strong>o cruciale che gli offre la possibilità <strong>di</strong><br />

definire la sua posizione in ambito politico, è <strong>di</strong> fatto la prima guerra mon<strong>di</strong>ale:<br />

Gentile condanna l’atten<strong>di</strong>smo <strong>di</strong> coloro che, come Croce, temono<br />

che una guerra, pur se vittoriosa, risulterebbe un <strong>di</strong>sastro per il giovane<br />

Stato italiano. In risposta a ciò, il filosofo promuove con numerosi articoli<br />

la tesi che presenta il conflitto come un esame, da affrontare e superare<br />

necessariamente, che potrebbe finalmente unire il popolo italiano, permettendo<br />

ad esso in tal modo <strong>di</strong> guadagnare cre<strong>di</strong>to internazionale. Scontento<br />

della burocrazia e della politica parlamentare, Croce vede, nel nuovo partito<br />

prima, e nel regime dopo, lo sviluppo e il compimento <strong>di</strong> quel moto storicoideologico<br />

che, dopo aver animato tutto il Risorgimento italiano, si compie<br />

finalmente nell’avvento <strong>di</strong> uno Stato etico forte, garante della libertà dei<br />

citta<strong>di</strong>ni e vera essenza <strong>di</strong> questa stessa libertà.<br />

Gentile, che continua a definire se stesso sempre e comunque liberale,<br />

cerca, durante la sua militanza nel partito e nello Stato fascista, <strong>di</strong> mantenere<br />

una posizione chiara <strong>di</strong> fronte all’inarrestabile conformismo dogmatico<br />

del regime, pur <strong>di</strong>fendendone le ragioni e i meto<strong>di</strong>, anche quelli violenti.<br />

Per la sua fedeltà ai valori liberali e risorgimentali, egli deve subire attacchi<br />

da molte correnti intransigenti del movimento, che lo guardano con sospetto<br />

sin dalla sua adesione al partito; problematiche risultano anche le sue relazioni<br />

con il Vaticano, prima e dopo il Concordato del 1929, dovute all’avversione<br />

<strong>di</strong> Gentile verso quella che giu<strong>di</strong>ca una concessione <strong>di</strong> potere dello<br />

Stato alla Chiesa.<br />

Se la produzione ed attività culturale gentiliana offre un sostegno importante<br />

all’immagine generale del regime fascista, sia in Italia che all’estero, è<br />

anche vero che, dal canto suo, Gentile può sempre contare sull’appoggio <strong>di</strong><br />

Mussolini; anzi spesso alcuni interventi del duce risultano tempestivi e decisivi<br />

per sottrarre il filosofo alle polemiche che i suoi scritti e le sue iniziative<br />

<strong>di</strong> volta in volta provocano all’interno del partito. La scelta <strong>di</strong> seguirlo a Salò<br />

è una <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> coerenza, oltre che stima verso la persona che lo ha<br />

voluto come faro del regime, e che gli ha permesso <strong>di</strong> recitare un ruolo<br />

importante nella cultura italiana ed internazionale, per più <strong>di</strong> un ventennio.<br />

– 262 –


Bibliografia:<br />

N. ABBAGNANO e G. FORNERO, Protagonisti e testi della filosofia, Paravia<br />

B.M.E., Milano 2000.<br />

G. GIANNANTONI, La ricerca filosofica, Loescher, Torino 1996.<br />

Sitografia:<br />

Http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=924<br />

Sito italiano web per la filosofia:<br />

Http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/021119c.htm<br />

Http://www.bergamoliberale.org/biblioteca/conferenze/Compagna_01.htm<br />

Http://www.cronologia.it/storia/tabello/tabe1535.htm<br />

CAPITOLO II<br />

ROMA PER PENSARE: LAFIGURA DI MARIA ZAMBRANO<br />

II.1 - La Figura ed il pensiero <strong>di</strong> Maria Zambrano<br />

Maria Zambrano nasce a Velez-Malaga nel 1904 e qui trascorre il primo<br />

periodo della sua infanzia. La famiglia si trasferirà prima a Madrid e in seguito<br />

a Segovia dove il padre, Blas Zambrano, è cattedratico <strong>di</strong> Grammatica<br />

Castigliana alla Scuola Normale.<br />

Tornata a Madrid nel 1921 si iscrive alla facoltà <strong>di</strong> Filosofia all’Università<br />

Centrale <strong>di</strong> Madrid, dove è allieva <strong>di</strong> Ortega y Gasset e <strong>di</strong> Xavier Zubiri<br />

(fu una delle prime donne spagnole a intraprendere come filosofa la carriera<br />

universitaria, in un’epoca nella quale una donna-filosofa era considerata<br />

quasi una “curiosità da circo”).<br />

Comincia in questo periodo a pubblicare i primi saggi sulla “Revista<br />

de Occidente”.<br />

Si reca nel 1936 a Santiago del Cile dove il marito è stato nominato Segretario<br />

dell’Ambasciata spagnola; fanno ritorno in Spagna l’anno seguente.<br />

Partecipa alla guerra civile contro il regime franchista e nel gennaio<br />

1939 è costretta ad abbandonare la Spagna dove ormai l’esercito franchista<br />

ha avuto il sopravvento: si rifugia in Francia con la madre, la sorella Araceli<br />

e il cognato.<br />

– 263 –


Da questo momento in poi inizia un lungo pellegrinaggio in Cile, Messico e<br />

Portorico ed infine a Cuba dove visse per quasi quin<strong>di</strong>ci anni, invitata all’Avana<br />

come insegnante all’Università e all’Istituto <strong>di</strong> Alti Stu<strong>di</strong> e Ricerca Scientifica.<br />

Nel 1953 ritorna in Europa insieme alla sorella, soggiornando a Roma,<br />

dove rimarrà fino al 1964, quando si trasferisce in Francia, a La Pièce. Nel<br />

1988 riceve il premio Cervantes e nel 1989 le viene conferito il premio<br />

Principe de Asturias de Comunicaciòn y Humanidades e il comune <strong>di</strong><br />

Velez-Malaga la nomina “Hija Pre<strong>di</strong>lecta” (“Figlia Pre<strong>di</strong>letta”). Ritorna in<br />

Spagna, a Madrid, nel 1984, dove muore il 6 febbraio del 1991.<br />

Indubbiamente Maria Zambrano può essere considerata a pieno titolo,<br />

insieme ad Hannah Arendt, Simone Weil, E<strong>di</strong>th Stein, fra le donne che, a<br />

cavallo fra ’800 e ’900, hanno dato un loro fondamentale contributo sul<br />

piano culturale, filosofico e politico.<br />

IL SOGGIORNO ROMANO<br />

Durante il lungo periodo che trascorre a Roma Maria vive insieme alle<br />

sorelle Araceli in un piccolo appartamento su Piazza del Popolo. È questo<br />

il periodo probabilmente più fertile per quanto riguarda la sua produzione<br />

letteraria; negli un<strong>di</strong>ci anni che trascorre a Roma Maria Zambrano scrive<br />

alcune delle sue opere più rilevanti: El ombre y lo <strong>di</strong>vino, Persona y democrazia,<br />

La tumba de Antìgona, Los suenos y el tiempo, che confluiranno in<br />

seguito nel Sueno creador, un lavoro incentrato sul tema del sogno.<br />

Tornata in Europa dopo il lungo periodo cubano, Maria si adopera per<br />

riallacciare i rapporti con altri intellettuali spagnoli in esilio, e ne crea <strong>di</strong><br />

nuovi con artisti e filosofi esuli dall’America Latina, dalla Grecia, dalla<br />

Polonia, per i quali Roma <strong>di</strong>viene una sorta <strong>di</strong> rifugio e punto <strong>di</strong> ritrovo.<br />

Un’amicizia particolarmente intensa la lega a giovani poeti quali Augustìn<br />

Andrei, Alfredo Castellòn, Alfonso Costafreda, Carlos Barràl e Jaime Gil de<br />

Biedma. Principale luogo <strong>di</strong> incontro e <strong>di</strong> interminabili accese <strong>di</strong>scussioni è<br />

la saletta del Canova del Caffè Rosati.<br />

In questa atmosfera <strong>di</strong> effervescenza culturale nasce l’intimo legame<br />

con Elena Croce, che conosce tramite la fondatrice <strong>di</strong> uno dei principali<br />

circoli letterari romani e <strong>di</strong> un’importante rivista internazionale (“Botteghe<br />

Oscure”), Margherita Castani, con la quale Elena collaborava. La rivista è<br />

la prima ad accettare la pubblicazione <strong>di</strong> alcuni scritti della Zambrano,<br />

elaborati durante la permanenza a Cuba.<br />

– 264 –


Con Elena Croce collabora alla redazione dei Quaderni <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong><br />

poesia, e cura personalmente varie sezioni dell’opera della Croce Poeti del<br />

Novecento.<br />

FILOSOFIA VIVENTE<br />

Analizzando il pensiero filosofico <strong>di</strong> Maria Zambrano non possiamo<br />

prescindere da quegli elementi che maggiormente hanno influenzato la sua<br />

formazione come persona e come filosofa. Essa stessa ammette in un saggio<br />

che l’esilio rese possibile ciò che prima accennava solo ad esserlo: la sua<br />

vocazione filosofica. Si descrive in procinto <strong>di</strong> partire per la “via della frontiera”,<br />

costretta a scegliere pochi oggetti che l’accompagnassero nel lungo<br />

esilio. Decide <strong>di</strong> lasciare, sebbene facili da trasportare, tutti i “preziosi” appunti<br />

dei corsi del suo maestro Ortega e quelli altrettanto inestimabili dei<br />

seminari <strong>di</strong> Storia della Filosofia <strong>di</strong> don Javier Zubiri; è proprio in questa<br />

decisione che Maria Zambrano riscontra l’inizio della sua maturità filosofica.<br />

Scrive:”non potendo consultare quelle preziose carte in tutti questi<br />

anni il loro contenuto è andato sorgendo dal fondo della mia mente secondo<br />

che il mio lavoro o i miei interessi lo richiamavano nella misura così grata a<br />

Ortega: la misura della necessità”.<br />

È proprio nel <strong>di</strong>stacco, nell’esilio che Maria Zambrano sviluppa il suo<br />

pensiero filosofico seguendo quello che a suo parere è soltanto in apparenza<br />

un aspetto contrad<strong>di</strong>ttorio del “<strong>di</strong>scepolato”: “se siamo stati davvero suoi <strong>di</strong>scepoli<br />

vuol <strong>di</strong>re ch’egli ha ottenuto da noi una cosa in apparenza contrad<strong>di</strong>ttoria:<br />

che avendoci attratto a sé siamo giunti ad essere noi stessi”. È quin<strong>di</strong><br />

chiaro che dovendo parlare del pensiero filosofico <strong>di</strong> Maria Zambrano non<br />

possiamo prescindere dagli insegnamenti del suo maestro Ortega che profondamente<br />

hanno segnato il suo pensiero. Maria Zambrano descrive quelle che<br />

sono le tappe dell’“azione del pensiero del maestro sul <strong>di</strong>scepolo” 4 partendo<br />

sin dalla giovinezza, dalla sua giovinezza “il tempo più confuso, anzi delirante<br />

poiché è non quello della fede – cosa della maturità – ma quello della<br />

speranza in cerca del suo argomento” dove il pensiero del maestro penetra<br />

nella mante del <strong>di</strong>scepolo per <strong>di</strong>struggere la confusione creata dalla isolamento<br />

dei pensieri che porta a intravedere ogni idea come un ostacolo. Il<br />

4 M. Zambrano “Ortega y Gasset, filosofo spagnolo”, in “Spagna, poesia e una città”,<br />

E<strong>di</strong>zioni Città Aperta, 2004.<br />

– 265 –


frutto <strong>di</strong> questa azione è l’or<strong>di</strong>ne che soltanto con il perseverare dell’azione<br />

del maestro si fa chiarezza abbattendo quin<strong>di</strong> il muro che durante la giovinezza<br />

separa l’intelligenza dall’anima. Più tar<strong>di</strong> la solitu<strong>di</strong>ne permette <strong>di</strong> liberare<br />

il pensiero ormai carico <strong>di</strong> interrogativi propri che sorgono dalla nostra<br />

vita, dal nostro pensiero ed è proprio in questa ultima azione che si entra<br />

nella “vita originale, autentica”.<br />

La filosofia <strong>di</strong> Ortega dalla quale prende le mosse il pensiero <strong>di</strong> M.<br />

Zambrano è la filosofia della ragione vitale storica o vivente, è pensiero che<br />

si estende tra una fede e una critica. Gli oggetti sia della critica che della<br />

fede sono la ragione e la vita, è proprio in questa vicinanza <strong>di</strong> vita e pensiero<br />

che influirà profondamente non solo sul pensiero <strong>di</strong> Maria Zambrano<br />

ma anche sulla sua stessa vita.<br />

La Zambrano, profonda conoscitrice del mondo greco, in<strong>di</strong>vidua la nascita<br />

della filosofia greca dalla fede nella ragione tesa verso la critica<br />

mentre riconosce che quella <strong>di</strong> Ortega parte dalla fede nella vita per poi<br />

giungere alla <strong>di</strong>fficile operazione <strong>di</strong> critica alla ragione e quin<strong>di</strong> critica alla<br />

filosofia stessa. Bisogna però ammettere che nessuna delle due tipologie filosofiche<br />

sarebbe possibile se non racchiudessero in sé la certezza <strong>di</strong> trovare<br />

la vita nella ragione e la ragione nella vita. La filosofia per Ortega e così per<br />

M. Zambrano è tale nel compiere “l’eroico sforzo <strong>di</strong> creare se stessa” 5 (non<br />

come pre<strong>di</strong>cava l’intellettualismo creando “se stessa”) ma creando la realtà<br />

antigona, “creando l’altro” la filosofia crea se stessa” non solo come con<strong>di</strong>zione<br />

dell’essere ma anche come modo d’essere. È proprio per quest’ultimo<br />

aspetto dove la filosofia si fa realtà che Ortega y Gasset è considerato uno<br />

dei gran<strong>di</strong> padri della filosofia spagnola. La stessa Maria Zambrano nel<br />

saggio Ortega y Gasset, filosofo spagnolo esplica le con<strong>di</strong>zioni della<br />

Spagna a partire dall’inizio del secolo ventesimo, ammettendo: “è la verità:<br />

in Spagna non c’era filosofia”. 6<br />

Pur essendoci stati filosofi in Spagna non esisteva la filosofia intesa<br />

come qualcosa che trascende la genialità <strong>di</strong> alcuni e ne dà continuità, vali<strong>di</strong>tà<br />

(“la storia della Spagna non segue quella del resto dell’occidente; il nostro<br />

tempo non è il suo tempo, noi an<strong>di</strong>amo avanti o in<strong>di</strong>etro o avanti e in<strong>di</strong>etro,<br />

cosa tragica. La Spagna non ha accettato la sua storia; le prove sono<br />

numerose, nella stessa povertà della nostra storiografia” 7 ). Menendez y Pelayo<br />

<strong>di</strong>ceva che la filosofia spagnola esisteva non tanto nelle opere dei filo-<br />

5 Ibid.<br />

6 Ibid.<br />

– 266 –


sofi quanto nei più quoti<strong>di</strong>ani atteggiamenti dello spagnolo. Aggiunge M.<br />

Zambrano che la filosofia quin<strong>di</strong> nell’atteggiamento dello spagnolo brilla<br />

per un solo attimo e poi si spegne, in alcuni casi per scadere ad<strong>di</strong>rittura<br />

nella volgarità: “cosa terribile”. È proprio questa lontananza tra agire e filosofia<br />

teoretica, questa mancanza <strong>di</strong> collegamento tra il filosofo e lo spagnolo,<br />

questa mancanza <strong>di</strong> continuità che ha reso <strong>di</strong>fferente la Spagna dal<br />

resto d Europa: “in Europa, dopo Descartes, pensare corre parallelo ad<br />

agire”. 8 Parlando del suo maestro M. Zambrano scrive: “e così, dovette<br />

accettare la situazione originale della vita spagnola, dove non era esistita<br />

filosofia valida se non in quella misura anonima, e dove la filosofia non era<br />

penetrata trasformando la vita”. Partendo da quest’analisi Ortega prima, e<br />

poi Zambrano si trovano a dover dare una scossa al panorama filosofico<br />

spagnolo, inaugurando così una filosofia che si fa vita che penetra per dare<br />

nuovo vigore. È quin<strong>di</strong> per questo nuovo incontro tra filosofia e poesia fra<br />

verità logico-deduttive della ragione e verità intuitive del cuore che si può<br />

giungere ad una nuova forma <strong>di</strong> sapere che è in grado <strong>di</strong> cogliere la totalità<br />

della realtà e l’uomo nella sua interezza. È per questo che Maria Zambrano<br />

invita il pensiero ad abbandonare qualsiasi sistema filosofico visto come<br />

“castello <strong>di</strong> ragioni, muraglia chiusa del pensiero <strong>di</strong> fronte al vuoto” 9 per<br />

addentrarsi nel nuovo mondo della “filosofia vivente”. Pertanto soltanto una<br />

nuova ragione, una ragione “riformata” può accogliere quelle verità che pur<br />

non essendo illuminate dall’intelletto sono profondamente “sentite”, le<br />

verità del cuore.<br />

In quest’ottica Maria Zambrano vuole “riconnettere poesia e pensiero<br />

riattivando l’impero appassionato che la poesia ha trattenuto per sé e <strong>di</strong> cui<br />

il pensiero è <strong>di</strong>venuto privo”. 10 Mentre lo scopo che vuole perseguire è<br />

quell’“armonia dei contrari” grazie alla quale coesistono in una “lotta amorevole”<br />

senza che l’uno domini sull’altro, luci<strong>di</strong>tà intellettuale e sapere emotivo.<br />

Per far in modo che ciò avvenga, che si ricostituisca una filosofia fatta<br />

<strong>di</strong> vita, Maria Zambrano riconosce come primor<strong>di</strong>ale necessità del filosofo<br />

la necessità <strong>di</strong> liberarsi dal terrore provocato dal <strong>di</strong>venire della vita. Aristotele<br />

per primo prendendo spunto da Platone nella Metafisica definisce lo<br />

stato d’animo del filosofo a contatto con la realtà: la meraviglia. In greco<br />

7 Ibid.<br />

8 Ibid.<br />

9 Ibid.<br />

10 Ibid.<br />

– 267 –


però la parola θαυµα assume il significato più specifico <strong>di</strong> stupore attonito<br />

<strong>di</strong> fronte a ciò che è considerato strano, impreve<strong>di</strong>bile e per qualche aspetto<br />

mostruoso. Già da questa definizione, quin<strong>di</strong>, l’impreve<strong>di</strong>bilità dell’essere<br />

genera nel filosofo meraviglia e paura insieme. Per questa iniziale unione <strong>di</strong><br />

meraviglia e paura la filosofia fino allora conosciuta ha cercato <strong>di</strong> controllare,<br />

anticipare e prevedere tutto ciò che <strong>di</strong> ignoto proviene dall’uomo, compreso<br />

il mondo delle emozioni. Al contrario quin<strong>di</strong> Maria Zambrano presenta<br />

un filosofo capace, uscendo da quella iniziale meraviglia, dallo stupore,<br />

dall’angoscia <strong>di</strong> trovare da sé l’essere e quin<strong>di</strong> il proprio essere. Il filosofo<br />

quin<strong>di</strong> pur non avendo assistito o conosciuto la nascita <strong>di</strong> se stesso e<br />

dell’universo si muove per ricrearsi, ricreare la propria origine e ancora<br />

un’origine “sua, assoluta, svincolata da tutto”. 11<br />

L’esistenza nella sua complessità ci presenta, insieme a quello della<br />

morte, un altro momento imprescin<strong>di</strong>bile, secondo Zambrano troppo spesso<br />

tralasciato: quello della nascita. Tuttavia la “prima” nascita – ed è quin<strong>di</strong><br />

evidente che per Zambrano ci siano altre nascite – mette al mondo un uomo<br />

“prematuro”, incompleto; per questo egli non si è mai adattato a vivere naturalmente<br />

ed ha avuto bisogno <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> più: religione, filosofia, arte<br />

o scienza. Egli “deve dunque finire <strong>di</strong> nascere interamente e crearsi il proprio<br />

mondo, il proprio posto, il proprio luogo, deve incessantemente partorire<br />

se stesso e la realtà che lo ospita”. 12 L’uomo avverte la propria incompletezza<br />

e manchevolezza e nel patire il suo essere incompiuto si muove per<br />

cercarsi, per nascere completamente. Ecco perché Zambrano vede l’uomo<br />

come “quell’essere che patisce la propria trascendenza”: egli vive costantemente<br />

nell’ansia <strong>di</strong> trascendersi, <strong>di</strong> oltrepassarsi. Essere uomo richiede la<br />

profonda accettazione della fatica che il vivere comporta, cioè la necessità<br />

<strong>di</strong> dover continuare a nascere. In altre parole è come se l’uomo avvertisse<br />

dei “vuoti” nel suo essere ed anziché riconoscere in questa porosità la possibilità<br />

della propria realizzazione e rivelazione, dal momento che solo uno<br />

spazio vuoto permette che “passi qualcosa”, nel caso dell’uomo, il transito e<br />

lo scorrere del proprio essere, egli, <strong>di</strong>speratamente, cerca <strong>di</strong> colmarli per costituire<br />

il suo essere compatto, unico, identico a se stesso.<br />

M. Zambrano scrive: “paradossalmente, nell’atto <strong>di</strong> affermarsi l’uomo è<br />

inciampato in se stesso, si è aggrovigliato nella sua ombra, nel suo sogno,<br />

nella sua immagine: il sogno del suo potere e del suo essere portato all’e-<br />

11 Ibid.<br />

12 Ibid.<br />

– 268 –


stremo, convertito in assoluto. Tutto ciò che l’uomo vuole, prima lo sogna.<br />

E come succede nei sogni, lo rende assoluto”. 13<br />

La filosofia, cioè, ha fatto sì che l’uomo si separasse troppo bruscamente<br />

dalle viscere del sentire per inseguire il sogno <strong>di</strong> uomo pienamente<br />

padrone del suo essere, già completamente nato e assolutamente libero, sottraendolo<br />

al suo “destino” <strong>di</strong> essere-nascente.<br />

È proprio la con<strong>di</strong>zione carnale dell’uomo che lo porta, attraverso la nascita,<br />

all’esistenza ed è per questo che secondo M. Zambrano il sacro dell’uomo<br />

sta precisamente “dentro il corpo”: è il corpo che ricollega ogni essere<br />

alla vita primigenia. Il corpo, dunque, lungi dall’essere la prigione dell’anima,<br />

si caratterizza come con<strong>di</strong>zione materiale per mezzo della quale<br />

l’uomo partecipa carnalmente alla realtà sacra (oscura e indefinibile). Ecco<br />

perché per tener conto del sacro è necessario dare vita ad una nuova forma<br />

<strong>di</strong> ragione capace <strong>di</strong> non prescindere da quel fondo oscuro originario all’interno<br />

dell’uomo, ma decida <strong>di</strong> assumere su <strong>di</strong> sé un progetto <strong>di</strong> essere,<br />

prima che si decida a essere qualcuno o a fare qualcosa. È quin<strong>di</strong> dall’esistenza<br />

che muove la ricerca dell’essere che è il tema proprio della filosofia<br />

<strong>di</strong> M. Zambrano e l’esistenza è sempre una esistenza, singola, storicamente<br />

in<strong>di</strong>viduata ed “emotivamente” collocata nel mondo.<br />

RIELABORAZIONE DELLA CONFERENZA SU MARIA ZAMBRANO<br />

(TENUTA IL 16-01-2006 PRESSO L’UNIVERSITÀ ROMA 3<br />

DALLA PROF.SSA MARIA TERESA RUSSO)<br />

La corrente filosofica che interessa maggiormente il periodo imme<strong>di</strong>atamente<br />

successivo al termine del secondo conflitto mon<strong>di</strong>ale, è quella dell’Esistenzialismo,<br />

che si contrappone nettamente alla corrente positivista affermatasi<br />

nel secolo precedente.<br />

La guerra, lungi dal risolvere tutti i problemi politici, sociali ed economici<br />

che l’avevano causata, si conclude con una dolorosa sconfitta per tutte<br />

le parti in causa. La realtà postbellica è un calderone <strong>di</strong> tensioni sociali,<br />

paure, incertezza del futuro e grave crisi dei valori morali.<br />

Espressione <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> questo vuoto <strong>di</strong> certezze portato dalle devastanti<br />

conseguenze della guerra, il movimento esistenzialista si interroga sul senso<br />

13 María Zambrano, Persona e democrazia. La storia sacrificale, Bruno Mondadori,<br />

Milano 2000.<br />

– 269 –


dell’esistenza umana, cerca risposte che rendano all’uomo <strong>di</strong>gnità e fiducia<br />

in se stesso, cerca soprattutto <strong>di</strong> riven<strong>di</strong>care l’esistenza come uno specifico<br />

modo <strong>di</strong> essere dell’uomo,condannando qualsiasi tentativo <strong>di</strong> ridurlo a “cosa”,<br />

a oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> scientifico-obiettivi o filosofie con pretese totalizzanti, quale<br />

ad esempio quella hegeliana. In altre parole l’Esistenzialismo si interessa dell’uomo<br />

nella sua singolarità, dell’uomo come essere singolo e finito che si<br />

<strong>di</strong>batte alle prese con situazioni e scelte laceranti, ed auspica che quest’uomo<br />

possa decidere se stesso e costruire la propria libertà con impegno e consapevolezza.<br />

Significativa influenza ebbe sull’esistenzialismo il pensiero <strong>di</strong><br />

S. Kirkegaard, la cui speculazione filosofica prese le mosse proprio dall’esigenza<br />

<strong>di</strong> abbandonare l’impostazione metafisica <strong>di</strong> tanta parte delle filosofie<br />

precedenti, riven<strong>di</strong>cando la centralità dell’essere umano e la sua unicità.<br />

All’approccio esistenzialista, che mette a fuoco il dramma interiore dell’in<strong>di</strong>viduo,<br />

il senso <strong>di</strong> angoscia che lo opprime, la <strong>di</strong>sperazione che lo coglie<br />

nel constatare la propria finitu<strong>di</strong>ne e sostanziale nullità, si affianca un<br />

filone <strong>di</strong> pensiero <strong>di</strong>verso, del quale la Zambrano si fa portavoce, che pone<br />

l’accento non più sul tramonto e sulla morte, quanto piuttosto sull’aurora,<br />

sulla nascita, sulla vita. L’essere gettato nel mondo, che caratterizza la<br />

con<strong>di</strong>zione umana e che Heidegger legge come essere per la morte, per la<br />

Zambrano è un nascere alla vita, anzi un continuare a nascere nello sforzo<br />

continuo <strong>di</strong> vivere cercando se stesso e la propria autenticità.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un pensiero positivo e propositivo che, accogliendo la visione<br />

esistenzialista della centralità dell’essere umano, va però al <strong>di</strong> là della crisi,<br />

non si limita a raccogliere i cocci, ma propone una possibile soluzione, una<br />

possibile via <strong>di</strong> fuga. Si configura come un vero e proprio tentativo <strong>di</strong> ricostruire<br />

la “prospettiva antropologica”, <strong>di</strong> gettare le basi per cercare <strong>di</strong> recuperare<br />

l’essenza più intima dell’uomo. È importante sottolineare che non ci si<br />

trova davanti ad un tentativo <strong>di</strong> sorvolare o ignorare la crisi, ma piuttosto alla<br />

volontà <strong>di</strong> prenderne atto per tentare <strong>di</strong> superarla. E. Cioran, filosofo legato<br />

da profonda amicizia con Maria Zambrano, mise in evidenza uno dei caratteri<br />

più significativi e particolari del suo pensiero nell’opera Esercizi <strong>di</strong> ammirazione,<br />

in cui sottolinea come la Zambrano non abbia in alcun modo<br />

“venduto l’anima all’idea” rimanendo ancorata ad un pensiero astratto, ma<br />

abbia elaborato, al contrario, una filosofia “concreta”.<br />

Proprio questo può essere considerato il fulcro delle riflessioni della<br />

filosofa spagnola: la filosofia deve occuparsi dell’uomo nella sua interezza,<br />

evitando <strong>di</strong> trascurare il corpo, fonte essenziale <strong>di</strong> creatività e trascendenza,<br />

tanto quanto l’anima.<br />

– 270 –


Quello <strong>di</strong> Maria Zambrano può ben essere definito un “pensiero appassionato”,<br />

la cui massima aspirazione è la sintesi tra cuore e ragione, tra filosofia<br />

e poesia, tra mente che crea e anima che sente e vive. La filosofia non<br />

è concepita come un mero esercizio speculativo bensì come una profonda,<br />

intima esigenza dell’uomo <strong>di</strong> trovare se stesso: essa deve giungere a fondersi<br />

completamente con la vita.<br />

Maria Zambrano fu allieva a Madrid del filosofo spagnolo Ortega y<br />

Gasset e del filosofo Zubini e fu anche una profonda ammiratrice del pensiero<br />

filosofico <strong>di</strong> Miguel De Unamuno.<br />

Unamuno può essere considerato in pieno un rappresentante del pragmatismo<br />

filosofico che subor<strong>di</strong>na il pensiero e la conoscenza alla vita e all’azione,<br />

tanto che per lui “La verità [...] è sempre tale soltanto per l’impulso<br />

che dà alla vita, perché aiuta a vivere e ad agire”; 14 Ortega invece, pur partendo<br />

da un solido ancoramento nel pragmatismo, accoglie anche molti fondamentali<br />

aspetti dell’Esistenzialismo ed in particolare il tema della crisi e<br />

del <strong>di</strong>sorientamento, che l’uomo può superare solo con “l’autenticità” del<br />

suo essere nel mondo: “la salvezza è per l’uomo tornare a coincidere con se<br />

stesso”. 15<br />

Una frase <strong>di</strong> Ortega colpì molto la Zambrano durante i suoi stu<strong>di</strong>: “Io<br />

sono io e le mie circostanze”.<br />

In effetti si può <strong>di</strong>re che ha poi costruito tutto il suo pensiero proprio<br />

sulla base del presupposto che ognuno <strong>di</strong> noi è immerso in una serie <strong>di</strong><br />

“circostanze”, e che la vita <strong>di</strong> ciascuno, altro non è che il succedersi <strong>di</strong> tante<br />

<strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> tempo. Il tempo non è qualcosa <strong>di</strong> lineare ed immobile, <strong>di</strong><br />

astratto, bensì il prodotto della fusione <strong>di</strong> infiniti momenti vissuti; la realtà è<br />

scan<strong>di</strong>ta dal tempo e vivere pienamente significa vivere dentro il momento<br />

presente, accettandone i limiti senza rifugiarsi in un passato o in un futuro<br />

idealizzato e “atemporale”. La ricerca della Zambrano sull’essere parte dall’esistenza<br />

intesa sempre come “esistenza singola, storicamente in<strong>di</strong>viduata<br />

ed emotivamente collocata nel mondo”. 16<br />

Maria Zambrano soggiornò a Roma dal 1953 al 1964, stringendo salde<br />

amicizie con vari intellettuali quali Cristina Campo, Elena Croce, Elsa<br />

Morante, Alberto Moravia, Francesco Tentori.<br />

14 N. Abbagnano, Storia della filosofia, UTET, Torino 1993.<br />

15 Ibid.<br />

16 M. Latini, dall’articolo pubblicato nel quinto numero della Rivista Telematica <strong>di</strong> Filosofia<br />

(2003), La filosofia come cammino <strong>di</strong> vita in M. Zambrano.<br />

– 271 –


Si impegnò a lungo nella traduzione dall’italiano allo spagnolo dell’opera<br />

<strong>di</strong> Cristina Campo Attenzione e poesia, con<strong>di</strong>videndo pienamente lo spirito<br />

con cui il lavoro era stato concepito e l’idea portante <strong>di</strong> tutto il trattato: la<br />

fondamentale importanza dell’“attenzione”, attenzione intesa come apertura<br />

verso il prossimo, capacità <strong>di</strong> ascoltare l’altro, come unico cammino per<br />

comprendere l’inesprimibile.<br />

Maria, durante il soggiorno romano, scrisse tre opere fondamentali all’interno<br />

del suo iter filosofico:<br />

� La tomba <strong>di</strong> Antigone.<br />

� Persona e democrazia.<br />

� L’uomo e il <strong>di</strong>vino.<br />

“LA TOMBA DI ANTIGONE”<br />

L’opera della Zambrano si configura come una riscrittura del testo<br />

teatrale sofocleo, che da sempre ha affascinato ed ispirato filosofi e letterati.<br />

Immaginando che Antigone non muoia, come invece accade nella conclusione<br />

della trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Sofocle, la Zambrano descrive la sua <strong>di</strong>scesa nella<br />

tomba, dove la fanciulla terrà dei <strong>di</strong>aloghi con una serie <strong>di</strong> interlocutori che<br />

si susseguono (tra cui lo stesso Creonte ed i fratelli morti).<br />

La figura <strong>di</strong> Antigone incarna il tramonto <strong>di</strong> un’epoca e la nascita <strong>di</strong><br />

un’età nuova, <strong>di</strong> un uomo nuovo.<br />

È “l’aurora della coscienza”, il risvegliarsi della coscienza in<strong>di</strong>viduale.<br />

Occorre soffermarsi su questo punto, centrale nel pensiero della Zambrano,<br />

focalizzando l’attenzione sul passaggio dall’essere umano concepito come<br />

parte del tutto, della totalità, all’uomo inteso come puro in<strong>di</strong>viduo.<br />

La trage<strong>di</strong>a greca si sviluppa interamente all’ombra <strong>di</strong> un Dio ignoto, e<br />

quin<strong>di</strong>, venendo a mancare un reale interlocutore, per l’uomo <strong>di</strong>venta<br />

impossibile affermare sé stesso. Antigone è dunque una “figura liminale”, <strong>di</strong><br />

confine, <strong>di</strong> passaggio, dal prototipo della figura tragica del tutto identificata<br />

con la moltitu<strong>di</strong>ne a quello dell’in<strong>di</strong>viduo ormai del tutto consapevole <strong>di</strong> sé<br />

e della propria in<strong>di</strong>vidualità.<br />

La tomba <strong>di</strong> Antigone concepita dalla Zambrano è <strong>di</strong>ametralmente opposta<br />

alla caverna ideata da Platone come para<strong>di</strong>gma dell’esistenza umana.<br />

Ne La Tomba <strong>di</strong> Antigone, è la tomba stessa a rappresentare la realtà, insieme<br />

alla protagonista che è portavoce della nuova epoca. Gli altri perso-<br />

– 272 –


naggi che si muovono al suo interno non sono altro che ombre, simulacri,<br />

appartengono all’epoca passata.<br />

L’Antigone è “una delle opere d’arte più eccelse e per ogni riguardo più<br />

perfette <strong>di</strong> tutti i tempi”, “<strong>di</strong> tutti i capolavori del mondo antico e moderno il<br />

piùsod<strong>di</strong>sfacente” (Hegel).<br />

Nell’Antigone vengono affrontati una serie <strong>di</strong> no<strong>di</strong> tematici fondamentali,<br />

quali ad esempio il contrasto tra legge naturale e legge positiva, tra<br />

sfera pubblica e sfera privata, tra potere maschile e pietas femminile, tra<br />

passione e moralità, tra trasgressione e tra<strong>di</strong>zione; sono espressi con grande<br />

efficacia i conflitti insiti nella con<strong>di</strong>zione umana, quello uomo-donna, vecchiaia-giovinezza,<br />

società-in<strong>di</strong>viduo, vivi-morti, uomini-<strong>di</strong>vinità.<br />

Proprio questo racchiudere in sé tali “eterni <strong>di</strong>lemmi umani” (come li<br />

definì la stu<strong>di</strong>osa italiana Marina Calloni), ha reso questa trage<strong>di</strong>a sempre<br />

attuale, ripensabile e riproponibile nel corso del tempo.<br />

Nell’Antigone viene affrontato un tema estremamente attuale, ovvero<br />

la complessità della posizione dell’uomo <strong>di</strong> fronte a <strong>di</strong>fficili scelte etiche.<br />

In particolare <strong>di</strong> fronte alla scelta tra due possibili atteggiamenti nei confronti<br />

dell’ingiustizia del potere costituito: o la sottomissione o la ribellione,<br />

o un ripiegamento nella sfera privata oppure un tentativo <strong>di</strong> ottenere<br />

giustizia.<br />

Antigone rifiuta il consueto compromesso, l’accettazione <strong>di</strong> una scissione<br />

tra politica e moralità, tra pubblico e privato, e proprio per questo<br />

viene condannata. Attraverso il suo rifiuto, Antigone realizza sé stessa come<br />

citta<strong>di</strong>no e come soggetto.<br />

Quasi venticinque secoli dopo, la figura <strong>di</strong> Antigone <strong>di</strong>mostra la sua<br />

immortalità nell’incarnare la più profonda essenza umana, la necessità <strong>di</strong> elevare<br />

la giustizia come unica regola dell’azione. Antigone esprime l’urgenza<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> far valere la propria in<strong>di</strong>vidualità, i valori della propria<br />

coscienza in<strong>di</strong>viduale, <strong>di</strong> fronte alla collettività e alle leggi.<br />

Antigone, donna <strong>di</strong> stirpe regale e sorella <strong>di</strong> due fratelli che si uccidono<br />

a vicenda (l’uno <strong>di</strong>fendendo la propria patria, l’altro tradendola), incarna<br />

una serie <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni insite da sempre nell’essere umano e nella storia.<br />

Si pone davanti a domande da sempre cruciali per l’essere umano: come<br />

agire qualora le particolari leggi <strong>di</strong> una comunità si rivelino profondamente<br />

<strong>di</strong>ssonanti rispetto ad una giustizia universalmente valida? Come affrontare<br />

l’inevitabile conflitto che scaturirebbe qualora l’in<strong>di</strong>viduo decidesse <strong>di</strong> seguire<br />

la giustizia più ampia, ma in palese contrad<strong>di</strong>zione con quella imposta<br />

da chi esercita il potere?<br />

– 273 –


“PERSONA E DEMOCRAZIA”<br />

L’uso non strettamente analitico che la Zambrano fa della ragione era<br />

proprio già del suo principale maestro, José Ortega y Gasset.<br />

Passando in rassegna la storia della civiltà occidentale, la Zambrano<br />

sofferma la sua attenzione sulla centralità della persona e l’importanza che<br />

le viene data. Un’attenta analisi della storia la spinge a sottolineare come gli<br />

assolutismi partoriti dall’Europa, culla della civiltà, non abbiano affievolito<br />

in alcun modo le tensioni etiche insite nella cultura occidentale. Lo spirito<br />

del tempo appare, al contrario, sempre aperto alle trasformazioni democratiche,<br />

pur in aperta lotta con la decadenza totalitaria.<br />

La persona costituisce il cuore della vita, il punto da cui parte la<br />

riscossa della libertà; solo la persona conta, solo sulla sua realtà <strong>di</strong> creatura<br />

libera e responsabile può contare la democrazia del futuro.<br />

Non è la società in sé che deve accogliere la persona, ma il contrario:<br />

“La persona deve includere nella sua area la società”. Con il Dio Incarnato,<br />

osserva con chiarezza cristallina la Zambrano, la persona si scopre luce e<br />

movimento autocosciente della vita; da questo momento in poi, nessuno<br />

potrà mai attaccare impunemente la persona: il totalitarismo è, dunque, il<br />

crimine assoluto.<br />

Maria Zambrano scrisse che “il modo migliore <strong>di</strong> trattare con la persona<br />

è la fiducia, fondamento della fede”. 17 E quando questa va perduta, il rapporto<br />

personale <strong>di</strong>venta impossibile. La fede è l’atteggiamento che corrisponde<br />

al futuro, è il modo <strong>di</strong> gestirlo, <strong>di</strong> aprirgli il cammino. Le ra<strong>di</strong>ci dovrebbero<br />

avere fede nel fiore, se la pianta realizzasse il suo sforzo in maniera<br />

cosciente. La coscienza corrisponde dunque ad un futuro che siamo in<br />

parte noi a dover costruire; ad un futuro che è quin<strong>di</strong> creazione dell’uomo,<br />

anche soltanto perché può chiuderlo o aprirlo, perché gli serve come passaggio<br />

e può rifiutarlo o mettersi al suo servizio. È per questo che siamo responsabili.<br />

La coscienza non è contraria alla fede: si può <strong>di</strong>re che appartiene<br />

allo stesso mondo, alla stessa struttura vitale. Se il tempo che si apre davanti<br />

a noi non ci potesse portare nulla <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso da ciò che è già stato, la coscienza<br />

non servirebbe. Se esiste la coscienza, questo <strong>di</strong>pende anche dal futuro.<br />

Un futuro, che è il tempo della libertà. Quando ci sentiamo privati<br />

della libertà, della libertà più intima che sgorga da dentro, il risveglio della<br />

coscienza è semplicemente un inferno.<br />

17 Dallo scambio epistolare <strong>di</strong> M. Zambrano e Cristina Campo.<br />

– 274 –


Per “democrazia” si intende quella forma <strong>di</strong> governo e <strong>di</strong> società in cui<br />

si persegue l’uguaglianza, senza però scadere nel mero conformismo e nel<br />

livellamento: non si tratta <strong>di</strong> dare a ciascuno lo stesso, ma <strong>di</strong> dare a ciascuno<br />

ciò che gli spetta.<br />

Con<strong>di</strong>zione necessaria perché possa esserci un’effettiva democrazia, è<br />

che i citta<strong>di</strong>ni siano consapevoli della loro con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “persone”.<br />

Ingre<strong>di</strong>ente, al contrario, in<strong>di</strong>spensabile del regime totalitario, è l’assoluta<br />

mancanza <strong>di</strong> questa consapevolezza e la tendenza dell’uomo a rientrare<br />

piuttosto nella categoria dell’“uomo-massa”.<br />

RIFLESSIONI CONCLUSIVE<br />

L’estrema varietà e molteplicità <strong>di</strong> temi che la Zambrano affronta, ha un<br />

filo conduttore comune che può essere in<strong>di</strong>viduato nella centralità del rapporto<br />

fra il soggetto, inteso come spirito e corpo, come pensiero ed azione,<br />

e la realtà del mondo in cui vive.<br />

Il pensiero della Zambrano, pur inserendosi nella cultura filosofica<br />

contemporanea ed aderendo agli insegnamenti dei suoi maestri, possiede<br />

uno slancio e una vitalità molto “femminili”. La sua spiritualità non è solo<br />

spiritualità dell’anima o del pensiero, ma <strong>di</strong>venta spiritualità del corpo e del<br />

vivere. La sua ricerca della verità non si basa sulle spiegazioni razionali,<br />

né sulle <strong>di</strong>mostrazioni logiche, ma sul vivere pienamente e fino in fondo<br />

“appassionatamente” (cioè con la mente, con il cuore e con il corpo), la<br />

realtà personale e storica. L’unico modo per arrivare alla conoscenza è<br />

vivere consapevolmente, darsi alla vita e farsene compenetrare per arrivare<br />

a capirla.<br />

Maria Zambrano opera una sorta <strong>di</strong> capovolgimento dell’approccio filosofico<br />

classico, che utilizza la razionalità e la logica come strumenti per arrivare<br />

alla verità, me<strong>di</strong>ante un processo <strong>di</strong> classificazione e <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>visione<br />

in categorie che porta alla semplificazione della realtà. E lo fa ricollocando<br />

invece l’uomo nella sua complessa realtà e privilegiando come strumenti<br />

<strong>di</strong> comprensione e conoscenza (mai definitiva o data una volta per tutte),<br />

l’esperienza, l’intuizione e la partecipazione alla vita.<br />

Non è possibile un sapere separato dal sentire perché l’essenza della<br />

natura umana non è la ragione né il sentimento, ma l’integrazione fra questi<br />

due aspetti, una sorta <strong>di</strong> pensiero viscerale o, come <strong>di</strong>rebbe la Zambiano, un<br />

pensiero appassionato.<br />

– 275 –


Bibliografia:<br />

ABBAGNANO N. (1993), Storia della filosofia, UTET, Torino.<br />

LATINI M. (2003), La filosofia come cammino <strong>di</strong> vita in Maria Zambrano,<br />

Rivista Telematica <strong>di</strong> Filosofia, n.5, 2003.<br />

ZUBIRI X. (1990), Natura, storia, Dio, Ed. Augustinus, Palermo.<br />

Bibliografia Italiana <strong>di</strong> Maria Zambrano:<br />

I sogni e il tempo, trad. dallo spagnolo <strong>di</strong> Elena Croce, De Luca ed.,<br />

Roma1960.<br />

Chiari del bosco, trad. <strong>di</strong> Carlo Ferrucci, Feltrinelli, Milano 1991.<br />

I beati, Feltrinelli, Milano 1992.<br />

La tomba <strong>di</strong> Antignone, Diotima <strong>di</strong> Mantinea, La Tartaruga ed., Milano 1995.<br />

Verso un sapere dell’anima, ed. it. a cura <strong>di</strong> Rosella Prezzo, ed. Cortina,<br />

Milano 1996.<br />

La confessione come genere letterario, ed. Mondadori, Milano 1997.<br />

All’ombra del <strong>di</strong>o sconosciuto. Antigone, Eloisa, Diotima, a cura <strong>di</strong> Elena<br />

Laurenzi, Nuova Pratiche E<strong>di</strong>trice, Milano 1997.<br />

Seneca, ed. it. a cura <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>a Marseguerra, B. Mondadori, Milano 1998.<br />

Filosofia e poesia, a cura <strong>di</strong> Pina De Luca, ed. Pendragono, Bologna 1998.<br />

L’agonia dell’Europa, ed. it. a cura <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>a Razza, ed. Marsilio, Venezia<br />

1999.<br />

Dell’aurora, a cura <strong>di</strong> Elena Laurenzi, ed. Marietti, Genova 2000.<br />

Delirio e destino, ed. it. a cura <strong>di</strong> Rosella Prezzo, ed. Cortina, Milano 2000.<br />

Persona e democrazia. La storia sacrificale, ed. Mondadori, Milano 2000.<br />

L’uomo e il <strong>di</strong>vino, E<strong>di</strong>zioni Lavoro, 2001.<br />

II.2 - Una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>versa e parallela del pensiero al femminile:<br />

Hannah Arendt<br />

Hannah Arendt nasce nel 1906 ad Hannover da una famiglia benestante<br />

appartenente alla borghesia ebraica. A Konigsberg consegue nel 1924 il <strong>di</strong>ploma,<br />

dopo il quale decide <strong>di</strong> iscriversi all’università <strong>di</strong> Marburg, ove<br />

stava <strong>di</strong>ffondendosi la tendenza filosofica più interessante <strong>di</strong> quegli anni: la<br />

fenomenologia <strong>di</strong> Husserl. Qui incontra un giovane docente destinato ad assumere<br />

un posto <strong>di</strong> primo rilievo tra i pensatori del XX secolo: Martin Hei-<br />

– 276 –


degger, con cui la Arendt instaurerà un legame forte che persisterà per tutto<br />

il corso della sua vita. Nel 1925 si reca a Friburgo per un semestre <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

ove segue attentamente le lezioni <strong>di</strong> E. Husserl.<br />

Nel 1929 all’università <strong>di</strong> Heidelberg, sotto la guida <strong>di</strong> Karl Jaspers,<br />

porta a termine la ricerca <strong>di</strong> dottorato Il concetto <strong>di</strong> amore in Agostino.<br />

Saggio <strong>di</strong> interpretazione filosofica sulla complessità dell’opera <strong>di</strong> Agostino,<br />

pensatore in bilico tra due mon<strong>di</strong>, quello greco e quello cristiano, impegnato<br />

in uno “sforzo tremendo” per scoprire le implicazioni filosofiche<br />

della sua nuova fede. Sempre nel ’29 ottiene una borsa <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o per una ricerca<br />

sul romanticismo de<strong>di</strong>cata alla figura <strong>di</strong> Rahel Vernhagen, intellettuale<br />

ebrea (1771-1833) protagonista dei salotti romantici tedeschi (una sorta <strong>di</strong><br />

Madame de Stael berlinese).<br />

Sposa Gunter Stern, filosofo conosciuto qualche anno prima. Dopo<br />

l’avvento in Germania del nazionalsocialismo e l’inizio delle persecuzioni<br />

nei confronti delle comunità ebraiche, Hannah lascia la sua “patria” nel<br />

1933 alla volta <strong>di</strong> città quali Praga, Genova e Ginevra, giungendo infine a<br />

Parigi ove entra in contatto con l’élite culturale del tempo e dove dapprima<br />

collabora presso istituzioni finalizzate alla preparazione dei giovani ad una<br />

vita come operai o agricoltori in Palestina e poi <strong>di</strong>viene segretaria della<br />

baronessa Germane de Rotschild. Nuovamente, nel 1940, si sposa ma,<br />

costretta ad allontanarsi anche dalla Francia, internata nel campo <strong>di</strong> Gurs<br />

dal governo Vichy in quanto “straniera sospetta”, rilasciata, giunge nel 1941<br />

insieme al marito Heinrich Blucher a New York. Qui ha modo <strong>di</strong> creare<br />

nuove amicizie e scrivere opere importanti che le fanno acquisire notorietà<br />

come pensatrice politica. I suoi scritti assumono la peculiare caratteristica<br />

<strong>di</strong> richiedere un coinvolgimento attivo da parte del lettore.<br />

Fino ad allora priva <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti politici, finalmente, nel 1951, ottiene la<br />

citta<strong>di</strong>nanza statunitense. Il 1951 è anche l’anno della pubblicazione de<br />

Le origini del totalitarismo, concluso dopo quattro anni <strong>di</strong> intensa fatica e<br />

frutto <strong>di</strong> un’accurata indagine filosofica nonché politica.<br />

Dal 1957 inizia la carriera accademica: insegna presso l’università<br />

<strong>di</strong> Berkeley (Columbia) e dal 1967 alla New School for Social Research,<br />

a New York. Durante questi anni le sue ricerche si intensificano: risale al<br />

1958 la pubblicazione de La vita activa. Nel 1961 assiste come inviata<br />

del “New Yorker” al processo contro il nazista Eichmann da cui trarrà le<br />

conclusioni esposte ne La banalità del male del 1963. Nello stesso anno<br />

pubblica Sulla rivoluzione. Esce invece postumo nel 1978 La vita della<br />

mente.<br />

– 277 –


Muore il 4 <strong>di</strong>cembre 1975 d’infarto, nel suo appartamento a New York,<br />

nella città che l’aveva accolta tanto affettuosamente dopo varie peregrinazioni<br />

e che all’età <strong>di</strong> 45 anni le aveva restituito un’identità come citta<strong>di</strong>na.<br />

L’estraneità <strong>di</strong> Hannah Arendt da scuole <strong>di</strong> pensiero e da movimenti<br />

ideologici precisi spiega, in parte, la sua scarsa legittimazione filosofica. Il<br />

suo nome è legato, negli anni sessanta, all’ampia trattazione che ella compie<br />

sulle origini sociali e politiche del totalitarismo e da La banalità del male -<br />

Eichmann a Gerusalemme, da molti considerato scandaloso, ove la Arendt,<br />

incaricata come inviata del settimanale “New Yorker” a seguire a Gerusalemme<br />

il processo al nazista Eichmann, pone l’accento sulla recente storiografia<br />

circa lo sterminio del popolo ebraico, <strong>di</strong>chiarando che forme estreme<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ttatura, come il nazismo, sono in strettissima connessione con la natura<br />

della società <strong>di</strong> massa e quin<strong>di</strong> potenzialmente ricreabili. Eichmann appare<br />

ai suoi occhi semplicemente come un uomo me<strong>di</strong>ocre e banale, incapace <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stinguere tra bene e male, cui sono stati proposti idoli me<strong>di</strong>ocri in cui credere<br />

e per cui battersi. Scrive a tal proposito:”non era stupido, era semplicemente<br />

senza idee [...] quella lontananza dalla realtà e quella mancanza <strong>di</strong><br />

idee possono essere molto più pericolose <strong>di</strong> tutti gli istinti malvagi che forse<br />

sono innati nell’uomo”; “il guaio del caso Eichmann era che uomini come<br />

lui ce ne erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sa<strong>di</strong>ci, bensì<br />

erano e sono tuttora, terribilmente normali”. 18 Celarsi <strong>di</strong>etro <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> comodo<br />

quali la follia <strong>di</strong> Hitler o la generica inclinazione al delitto dei tedeschi era<br />

storicamente scorretto e fondamentalmente sterile.<br />

Ma questa autrice ebrea, profuga, allieva pre<strong>di</strong>letta <strong>di</strong> filosofi quali<br />

Martin Heidegger (con cui intratterrà un rapporto personale intenso che la<br />

coinvolgerà sotto <strong>di</strong>versi aspetti, anche sentimentali, per tutto il corso della<br />

sua vita) e Karl Jaspers, sposata con un ex-spartachista, estranea a qualsivoglia<br />

cliché femminista, questa donna che offre <strong>di</strong> sé nei suoi testi un’immagine<br />

<strong>di</strong> apolide, sra<strong>di</strong>cata, che, come commenta M. Cangiotti, esprime contemporaneamente<br />

una ra<strong>di</strong>cale critica del soggettivismo e una ra<strong>di</strong>cale rivalutazione<br />

della spontaneità del soggetto, scrive nel 1959 (indotta dallo stu<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> Marx e del problema del lavoro ad interrogarsi sul tema dell’equilibrio<br />

delle attività umane) un saggio quale La vita activa (The uman con<strong>di</strong>tions) in<br />

cui mostra ancora una volta la sua lucida anticonvenzionalità contrad<strong>di</strong>cendo<br />

alcuni dei luoghi comuni ra<strong>di</strong>cati nella filosofia politica del suo tempo.<br />

18 Arendt Hannah, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano<br />

1964.<br />

– 278 –


La teoria portante è la concezione dell’agire politico nella sua forma<br />

pura, come suprema attività umana. Hannah Arendt sente l’esigenza <strong>di</strong> rispondere<br />

<strong>di</strong>versamente alla domanda: “Chi è l’uomo?”, è interessata cioè a<br />

dare una definizione della con<strong>di</strong>zione umana in opposizione sia al primato<br />

scientifico e cognitivo dell’antropologia, sia al primato del pensiero su cui i<br />

suoi maestri Husserl ed Heidegger avevano insistito.<br />

La rivalutazione dell’agire implica alcune necessarie premesse la più<br />

importante delle quali è la pluralità in quanto “non l’uomo, ma gli uomini<br />

abitano questo pianeta (la pluralità è la legge della terra)”. 19 Infatti mentre<br />

facoltà quali l’amare, il pensare, il volere, il creare, sono possibili anche<br />

nell’isolamento, l’agire è assolutamente impossibile, non rappresentabile e<br />

impensabile senza concepirlo in una pluralità <strong>di</strong> uomini che partecipano all’atto.<br />

Premesso ciò può essere data una buona risposta alla domanda sopra<br />

citata: “Chi è l’uomo?”. Poiché mentre nelle altre facoltà il chi dell’agente è<br />

subor<strong>di</strong>nato a qualcos’altro o a qualcun altro, all’amato nell’amore, allo<br />

scopo nel desiderare e al rischio del dubbio ra<strong>di</strong>cale (si pensi al genio maligno<br />

cartesiano) nel pensare, l’agire consente in ogni momento all’agente<br />

<strong>di</strong> manifestarsi palesando in ogni azione a se stesso e agli altri la propria<br />

identità.<br />

Un’altra con<strong>di</strong>zione necessaria è l’impreve<strong>di</strong>bilità dell’agire, quella<br />

cioè che ne determina l’intrinseca libertà. Se questa non vi fosse si cadrebbe<br />

nella ripetitività che è la caratteristica invece <strong>di</strong> forme inferiori <strong>di</strong> attività,<br />

quali in primis il lavoro. Inoltre in tal modo si perderebbe la possibilità <strong>di</strong><br />

rivelare l’identità dell’agente poiché l’agire sarebbe surclassato a semplice<br />

comportamento. Azioni e reazioni così come le concepisce la Arendt nel<br />

loro tumultuoso, libero <strong>di</strong>spiegarsi possono essere pensate come “una sorta<br />

<strong>di</strong> gioco inter umano impensabile senza limiti e senza regole”. 20 Le prin<br />

cipali argomentazioni della Vita Activa si fondano sull’idea <strong>di</strong> πο´λις, scelta<br />

che poteva apparire nel peggiore dei casi come gesto romantico e nel migliore<br />

come mero esercizio dottrinario, ma che la Arendt giustifica affermando<br />

che tale esperienza vissuta ha continuato nel corso dei secoli ad<br />

occupare un posto rilevante ed una considerazione altissima nella filosofia e<br />

nell’esperienza politica dell’Occidente; ella inoltre non intende servirsi <strong>di</strong><br />

tale esperienza rendendola modello della politica, ma per meglio rappresen-<br />

19 Arendt Hannah, Vita activa, Bompiani, Milano 1964.<br />

20 Dal Lago Alessandro, La città perduta. Introduzione a Vita Activa, Bompiani, Milano<br />

1964.<br />

– 279 –


tarne la sua “espropriazione moderna”. Hannah Arendt, perfettamente conscia<br />

della situazione del suo tempo, sa bene che l’esperienza della πο´λις<br />

non poteva essere rivissuta, purtroppo, e nel saggio può essere colto da un<br />

attento lettore il pessimismo intrinseco che permea tutte le dettagliate ricerche<br />

(pessimismo <strong>di</strong> cui La vita della mente, l’ultimo libro della filosofa,<br />

rappresenta un definitivo “sigillo”).<br />

Ma la Vita Activa non si limita a questo: con tale termine la Arendt si<br />

propone <strong>di</strong> designare tre fondamentali attività umane (le con<strong>di</strong>zioni essenziali<br />

della nostra esistenza): l’attività lavorativa, la cui con<strong>di</strong>zione fondamentale<br />

è l’ambiente naturale in cui vive l’uomo, cioè la terra, ed il tipo<br />

umano corrispondente è l’animal laborans; l’operare, il cui frutto è un<br />

mondo artificiale <strong>di</strong> cose, l’insieme cioè degli artifici <strong>di</strong> cui l’uomo si circonda<br />

per dare permanenza alla sua vita terrena: la con<strong>di</strong>zione umana dell’operare<br />

è l’essere nel mondo ed il tipo corrispondente è l’homo faber. Ed<br />

infine, l’azione, “la sola attività che mette in rapporto <strong>di</strong>retto gli uomini<br />

senza la me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> cose materiali” 21 , corrispondente alla con<strong>di</strong>zione<br />

dello spazio pubblico ed il cui tipo umano, attivo in tale comunità, è quello<br />

che, proprio ai tempi della πο´λις (la, ahimè per sempre, passata, perfetta<br />

rappresentazione <strong>di</strong> questa terza con<strong>di</strong>zione fondamentale) Aristotele aveva<br />

definito ζ ∼ ω/ον πολιτικο´ν e che poi nella traduzione <strong>di</strong> Tommaso d’Aquino<br />

<strong>di</strong>venne “homo est naturaliter politicus, id est socialis” 22 (l’uomo è per sua<br />

natura politico, cioè sociale).<br />

Ma la Arendt non si ferma qui: prosegue infatti <strong>di</strong>stinguendo lo spazio<br />

pubblico dalla sfera privata e rintracciando l’origine <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>stinzione<br />

proprio nel sorgere della città – stato greca, la πο´λις: è da quel momento infatti<br />

che l’uomo riceve “accanto alla sua vita privata una sorta <strong>di</strong> seconda<br />

vita, la sua βι´ος πολιτικο´ς”. 23 E così accade che ogni singolo citta<strong>di</strong>no si<br />

trova ad appartenere a due <strong>di</strong>versi or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> esistenza, <strong>di</strong>viso internamente<br />

“tra ciò che è suo proprio ( , ι´διον) e ciò che è in comune (κοινο´ν)”. 24 Solo<br />

due sono le attività stimate inerenti allo ζ ∼ ω/ον πολιτικο´ν aristotelico: l’azione<br />

(πρα ∼ ξις) ed il <strong>di</strong>scorso (λε´ξις). L’Achille omerico nell’Iliade è il più<br />

grande tra tutti gli eroi solo in quanto concepito come “autore <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> imprese<br />

e gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi”. Nell’esperienza della πο´λις queste due facoltà fino<br />

21 Arendt Hannah, Vita Activa, Bompiani, Milano 1964.<br />

22 Tommaso d’Aquino, Index Rerum, Marietti,1922.<br />

23 Arendt Hannah, Vita Activa, Bompiani, Milano 1964.<br />

24 Ibid.<br />

– 280 –


ad allora considerate complementari ed equivalenti si allontanarono e il <strong>di</strong>scorso<br />

finì con l’assumere un ruolo preponderante rispetto all’azione; essere<br />

politici, appartenere alla “città”, significava <strong>di</strong>re che tutto si decideva con le<br />

parole e con la persuasione e non con la forza e la violenza: queste, nella concezione<br />

greca, erano prerogative proprie della vita fuori dalla polis, <strong>di</strong> quella<br />

domestica in primo luogo, ove il capofamiglia era l’incontestabile despota<br />

ai cui or<strong>di</strong>ni era d’obbligo obbe<strong>di</strong>re, o <strong>di</strong> quella degli imperi barbarici d’Asia.<br />

Il ζ ∼ ω/ον πολιτικο´ν aristotelico può ora essere interamente compreso<br />

solo se posto in relazione con la seconda definizione aristotelica “ζ ∼ ω/ον<br />

λο´γον , ε´χων” (essere vivente capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso).<br />

Inoltre se il tratto <strong>di</strong>stintivo della sfera domestica è che in essa gli<br />

uomini vivono insieme poiché spinti da bisogni e necessità, il dominio della<br />

πο´λις è la “sfera della libertà”, dunque la libertà è una prerogativa limitata<br />

alla sfera politica mentre la necessità è un fenomeno fondamentalmente<br />

prepolitico, proprio dell’organizzazione domestica privata. La libertà è<br />

l’essenziale requisito per il raggiungimento <strong>di</strong> quella ευ , δαιµονι´α (felicità)<br />

ricercata dai greci, che in concreto corrispondeva alla ricchezza e alla salute.<br />

La πο´λις si basava sull’eguaglianza <strong>di</strong> tutti i citta<strong>di</strong>ni (ancora una volta<br />

contrapposta alla sfera domestica, luogo della più estrema <strong>di</strong>suguaglianza),<br />

un’eguaglianza lontana dal concetto che noi ora posse<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> essa, un’eguaglianza<br />

che presupponeva una grossa fetta <strong>di</strong> ineguali estromessi dalla<br />

vita politica, un’eguaglianza più che mai <strong>di</strong>stante dalla giustizia.<br />

La Arendt, sempre fermamente ancorata al proprio tempo, alle contingenze<br />

storico-politiche in cui si muove e davanti alle quali scrive, afferma<br />

quanto non solo nel nostro modo <strong>di</strong> pensare la <strong>di</strong>stinzione spazio pubblico –<br />

sfera privata si sia completamente oscurata, ma che questi due domini, nel<br />

mondo moderno, costantemente confluiscono l’uno nell’altro “come onde<br />

nella corrente incessante dello stesso processo della vita”. 25<br />

Continua inoltre constatando come l’agire politico, la parte più nobile e<br />

supremamente umana della vita attiva sia, oggi, impossibile: siamo infatti<br />

ineluttabilmente sprofondati nella “società del lavoro” che ci ha resi me<strong>di</strong>ocri<br />

impiegati <strong>di</strong> una me<strong>di</strong>ocre esistenza da cui si può sfuggire, come<br />

esplicato nelle ultimissime righe del saggio, unicamente facendo ricorso<br />

al pensiero: quel pensiero che è sempre stato ritenuto, forse erroneamente,<br />

appannaggio <strong>di</strong> pochi. E proprio qui, a conclusione, quel pessimismo che<br />

avevamo rintracciato nella buona parte dell’opera cede il posto ad una<br />

25 Ibid.<br />

– 281 –


agionata fiduciosa <strong>di</strong>chiarazione quale: “Forse non è presuntuoso credere<br />

che questi pochi sono ancora numerosi nel nostro tempo”. 26 E ciò, anche se<br />

probabilmente <strong>di</strong> scarsa rilevanza per quanto concerne il futuro del mondo è<br />

massimamente importante per il futuro dell’uomo. Nelle ultime pagine <strong>di</strong><br />

Vita activa Hannah Arendt pone le premesse de La vita della mente, il suo<br />

ultimo lavoro.<br />

LA VITA DELLA MENTE<br />

Hannah Arendt morì una sera del <strong>di</strong>cembre 1975; pochi giorni prima<br />

portò a termine il secondo volume de La Vita della Mente. L’opera era progettate<br />

in tre parti (Pensare, Volere, Giu<strong>di</strong>care); del terzo volume, il Giu<strong>di</strong>zio,<br />

de<strong>di</strong>cato al suo tema pre<strong>di</strong>letto, la facoltà del giu<strong>di</strong>zio e la fondazione<br />

dell’agire, restano solo un frammento ed un ciclo <strong>di</strong> sue lezioni sulla filosofia<br />

politica <strong>di</strong> Kant all’Università <strong>di</strong> Chicago e alla New School. Hannah<br />

Arendt <strong>di</strong>ceva agli amici che questo terzo volume sarebbe stato molto più<br />

breve degli altri due, sia perché più facile da trattare sia per la mancanza <strong>di</strong><br />

fonti e materiali su cui lavorare: solo Kant scrisse sul giu<strong>di</strong>zio trattandone<br />

come una facoltà autonoma, non limitata all’ambito dell’estetica in cui era<br />

stata relegata dai filosofi precedenti.<br />

La Vita della Mente doveva essere una raccolta sistematica delle riflessioni<br />

<strong>di</strong> una vita: è quin<strong>di</strong> un’opera strettamente filosofica in cui Hannah<br />

Arendt si sofferma sui principali no<strong>di</strong> della filosofia occidentale per superarli<br />

ed allontanarsene. A spingerla ad uscire dai protettivi e relativamente<br />

sicuri terreni della teoria e della scienza politica per avventurarsi per<br />

l’impervio ed arduo cammino che la mente compie, furono due esperienze<br />

che la filosofa visse. “Lo stimolo imme<strong>di</strong>ato” le venne assistendo alle 120<br />

sedute del processo a Eichmann a Gerusalemme. Otto Adolf Eichmann era<br />

stato responsabile della sezione IV-B4 (competente sugli affari concernenti<br />

gli ebrei) dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich (RSHA). Eichmann<br />

non superò mai il grado <strong>di</strong> tenente-colonnello ma ricoprì un ruolo fondamentale<br />

nella complessa macchina nazista: coor<strong>di</strong>nava l’organizzazione dei<br />

trasferimenti degli ebrei verso i vari campi <strong>di</strong> concentramento e sterminio.<br />

Eichmann fu catturato in un sobborgo <strong>di</strong> Buenos Aires e, quin<strong>di</strong>, trasportato<br />

a Israele. Fu, dunque, in un grigio burocrate che si epifanizzò il male: egli<br />

26 Ibid.<br />

– 282 –


era un normale funzionario, or<strong>di</strong>nario e meticoloso, tutt’altro che demoniaco<br />

e mostruoso.<br />

Hannah Arendt non trovò in lui nessun segno <strong>di</strong> ferme convinzioni<br />

ideologiche, ma rintracciò, tanto nel suo passato così come durante l’interrogatorio,<br />

un’unica caratteristica degna <strong>di</strong> nota: la mancanza <strong>di</strong> pensiero.<br />

Ciò che attirò l’attenzione <strong>di</strong> Hannah Arendt fu proprio questa assenza <strong>di</strong><br />

pensiero, “un’esperienza così consueta nella vita <strong>di</strong> tutti i giorni, quando si<br />

ha appena il tempo, o anche solo la voglia <strong>di</strong> fermarci a pensare”. L’in<strong>di</strong>viduo<br />

atrocemente normale, il soggetto informe e incolore della società è il<br />

tipo sociale caratteristico del totalitarismo, colui che trova la sua più adatta<br />

collocazione in un’organizzazione che ne annulla il giu<strong>di</strong>zio.<br />

Martin Heidegger, non solo maestro, ma anche amico e primo interlocutore<br />

<strong>di</strong> Hannah Arendt nel cammino del pensiero, <strong>di</strong>ede la sua esplicita,<br />

seppur temporanea, adesione al nazismo, mentre Karl Jaspers non comprese<br />

l’assoluto pericolo del nazionalismo tedesco: entrambi quin<strong>di</strong> mostrarono<br />

quell’incapacità <strong>di</strong> pensiero politico, <strong>di</strong> pensare l’azione, propria della filosofia<br />

tedesca degli anni ’20 e ’30. Una cecità, una miopia che ella non considerò<br />

quali semplici errori occasionali ma come incapacità della stessa tra<strong>di</strong>zione<br />

filosofica <strong>di</strong> pensare l’imprevisto, che, con la sua irruzione, trasforma<br />

il mondo. La filosofia <strong>di</strong> Hannah Arendt ha, invece, questa capacità. Riesce<br />

a intrecciare, senza soluzione <strong>di</strong> continuità, realismo politico, luci<strong>di</strong>tà teorica<br />

e passione civile: l’unico appellativo che riconosceva come suo proprio<br />

fu quello <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> teoria politica, se per teoria politica si intende quell’appassionata<br />

contemplazione <strong>di</strong> ciò che gli uomini fanno in presenza gli<br />

uni degli altri.<br />

Hannah Arendt amava l’uomo, e lo amava nella forma più pura e viscerale<br />

dell’amore, ovvero in modo in<strong>di</strong>pendente da ogni identità o appartenenza<br />

religiosa, accademica, sociale o politica che fosse. Non amò mai<br />

nessun popolo o collettività, credendo in una sola specie <strong>di</strong> amore, l’unico<br />

che conobbe e che, forse, è possibile conoscere: l’amore per le persone.<br />

Hannah Arendt parte da una fondamentale <strong>di</strong>stinzione teorica: quella tra<br />

la sfera privata in cui è legittimo amare (Dio, gli amici, le persone) e la<br />

sfera pubblica in cui occorre agire (nell’ambito delle leggi e delle opinioni<br />

altrui). Questa <strong>di</strong>stinzione, quin<strong>di</strong>, non considera lecito l’amore per enti<br />

astratti quali le collettività, le nazioni, le ideologie. Ella scrisse: “Verità<br />

versus Ideologia. Si inizia con: giustizia o verità è ciò che giova al popolo<br />

tedesco ecc. Ideologia come arma. Ma la verità non è un’arma. Se viene<br />

usata in questo modo, <strong>di</strong>venta ottuso, oppure una menzogna. All’interno<br />

– 283 –


dell’ideologia, qualsiasi verità è <strong>di</strong>ventata una menzogna. È quanto si può<br />

<strong>di</strong>mostrare nel marxismo: la lotta <strong>di</strong> classe, generalizzata in un fenomeno<br />

che viene simulato in paesi e tempi in cui esso non esisteva. Di qui nasce<br />

l’ideologia contraria: la lotta <strong>di</strong> classe non esiste. Chi vuole <strong>di</strong>re la verità è<br />

messo a confronto con le persone che <strong>di</strong>cono: non svignartela sei con noi o<br />

contro <strong>di</strong> noi? Due menzogne”. 27<br />

Hannah Arendt fu sempre un’osservatrice in<strong>di</strong>pendente, riluttante a<br />

farsi attribuire identità e appartenenze; sociali, religiose, accademiche e<br />

politiche. E così, da pariah consapevole, da ebrea priva <strong>di</strong> una ra<strong>di</strong>ce sicura<br />

su questa terra o <strong>di</strong> vincoli <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione specifica, Hannah Arendt si<br />

misura con le soluzioni che la saggezza dei secoli ha offerto ai problemi<br />

morali ed al problema del male in particolare.<br />

Ecco, quin<strong>di</strong>, la seconda esperienza che è servita da pietra miliare alla<br />

Arendt per scrivere questo libro: Hannah Arendt è, per <strong>di</strong>rla kantianamente,<br />

entrata in possesso <strong>di</strong> un concetto (la banalità del male) e, domandandosi<br />

come possederlo e utilizzarlo, si trova <strong>di</strong> fronte a un interrogativo vecchio<br />

come l’uomo: “Che cos’è pensare?”, “Che cosa facciamo quando non<br />

stiamo facendo altro che pensare?”, “Dove siamo noi, circondati normalmente<br />

dai nostri simili, quando siamo soltanto noi stessi?”, “Che cosa ci fa<br />

pensare?”<br />

Il pensare ha come oggetto e scopo il significato e la ragione, per suo<br />

conto, investiga su qualunque dato fornitole dal nostro apparato sensoriale<br />

senza curarsi che i suoi problemi sono privi <strong>di</strong> significato per il senso<br />

comune.<br />

Gli uomini sono nel mondo delle apparenze, lì stanno e più non si domandano;<br />

o meglio, corrono <strong>di</strong>etro all’implacabile successione <strong>di</strong> domande<br />

e risposte che il Progresso della scienza moderna corregge continuamente<br />

e accettano il suo concetto <strong>di</strong> verità, improntato all’esperienza del senso<br />

comune <strong>di</strong> una evidenza senza errori né illusioni.<br />

Ma, oltre quei problemi cognitivi a cui l’uomo risponde, vi sono quegli<br />

interrogativi senza risposte da sempre denunciati quali oziosi; eppure, solo<br />

continuando a porsi domande senza risposte, gli uomini continueranno a<br />

produrre enti <strong>di</strong> pensiero quali le opere d’arte ed a porsi quegli interrogativi<br />

suscettibili <strong>di</strong> risposta su cui si fonda la civiltà e la sua evoluzione. In tal<br />

senso, l’attività del pensiero è la con<strong>di</strong>zione a priori della conoscenza e<br />

della verità.<br />

27 H. Arendt, Denktagebuch 1950 bis 1973.<br />

– 284 –


Il pensiero nasce dallo stupore: esso è Iride figlia <strong>di</strong> Taumante (colui che<br />

stupisce). Omero utilizza la parola θαυµα´ζειν, designante stupore, che deriva<br />

essa stessa da uno dei tanti verbi greci che significa vedere. In Omero<br />

questo guardare stupefatto è proprio degli uomini a cui si mostre una <strong>di</strong>vinità;<br />

da notare che solitamente gli Dei si mostrano all’uomo sotto il travestimento<br />

della figura umana e si rivelano solamente a coloro che decidono<br />

<strong>di</strong> avvicinare. L’uomo “patisce” l’apparizione <strong>di</strong>vina, è, quin<strong>di</strong>, mosso da stupore<br />

per qualcosa <strong>di</strong> familiare e normalmente invisibile, qualcosa, inoltre,<br />

per cui sei spinto ad ammirare. Non che l’apparire sia particolarmente<br />

sbalor<strong>di</strong>tivo, assolutamente: lo stupore iniziale deriva dall’or<strong>di</strong>ne armonioso<br />

<strong>di</strong>etro la somma totale della cose del mondo, che, è sì celato <strong>di</strong>etro il visibile,<br />

ma <strong>di</strong> cui, d’altra parte, il mondo della apparenze ci offre un bagliore.<br />

Gli esistenti ci sono e si lasciano incontrare da noi, ma non si accontentano<br />

<strong>di</strong> esser pensati da lontano: ci invadono bruscamente e si fermano su <strong>di</strong><br />

noi, tanto che la nostra mente rifiuta le parole “non c’è nulla” con l’intensità<br />

e l’istantaneità della luce, come se queste parlassero contro l’evidenza <strong>di</strong> un<br />

fatto che è in ragione della sua eternità. Tale rifiuto è il comportamento <strong>di</strong><br />

ogni in<strong>di</strong>viduo che si pone <strong>di</strong> fronte ad un qualsiasi modo o forma particolare<br />

<strong>di</strong> esistenza e <strong>di</strong>ce pensosamente a sé stesso: “È!”. Questo shock iniziale<br />

fece vacillare nelle epoche antiche gli animali più nobili e, provando il<br />

terrore dell’esistenza più assoluto, avvertirono per la prima volta il pericolo<br />

<strong>di</strong> “qualcosa ineffabilmente più grande <strong>di</strong> loro”, la presenza <strong>di</strong> una bestia<br />

enorme che gravava sul loro sterno e oltre cui non c’è assolutamente nulla.<br />

Bibliografia:<br />

H. ARENDT, Vita Activa, Bompiani, Milano 1964.<br />

A. DAL LAGO, La città perduta, introduzione a Vita Activa, Bompiani,<br />

Milano 1964.<br />

H. ARENDT, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli,<br />

Milano 1964.<br />

G. FORNERO, Protagonisti e testi della filosofia, Paravia 2000.<br />

M. CANGIOTTI, L’Ethos della politica, Quattroventi, Urbino 1990.<br />

H. ARENDT, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1978.<br />

H. ARENDT, Denktagebuch 1950 bis 1973, Piper, München 2002.<br />

JEAN-PAUL SARTRE, La Nausea, Einau<strong>di</strong>, Torino 1974.<br />

S.T. COLERIDGE, The friend, London 1949.<br />

– 285 –


II.3 - La crisi del soggetto: Herbert Marcuse<br />

In questo clima storico-culturale e precisamente nel 1922 nasce la<br />

scuola <strong>di</strong> Francoforte presso il celebre “Istituto per la ricerca sociale” <strong>di</strong> tale<br />

città, fondato da Felix Weil e <strong>di</strong>retto da Karl Grunberg, uno storico che ha<br />

fondato l’Archivio per la storia del socialismo e del movimento operaio.<br />

Attorno all’Istituto gravitano varie eminenti personalità specializzate in<br />

molteplici campi del sapere quali l’economia, la sociologia, la politologia,<br />

la filosofia e la critica letteraria. Gli obiettivi della cosiddetta Scuola <strong>di</strong><br />

Francoforte possono essere in<strong>di</strong>viduati nella teoria critica della società contemporanea<br />

operata alla luce <strong>di</strong> quell’ideale rivoluzionario <strong>di</strong> un’umanità<br />

libera e <strong>di</strong>salienata e che trova la sua espressione peculiare nel pensiero<br />

negativo, volto cioè alla negazione delle contrad<strong>di</strong>zioni presenti. Infatti in<br />

vista <strong>di</strong> tali finalità i pensatori francofortesi si rifanno a filosofi come Hegel,<br />

Marx e Freud. Dai primi due ere<strong>di</strong>tano il metodo d’indagine, ossia quello<br />

<strong>di</strong>alettico e totalizzante che in un primo momento evidenzia le contrad<strong>di</strong>zioni<br />

intrinseche alla società per poi restituirne una visione globale ed unitaria.<br />

Freud invece influisce sul loro operato per quanto riguarda non solo<br />

lo stu<strong>di</strong>o della personalità e dei meccanismi <strong>di</strong> introiezione dell’autorità, ma<br />

anche i concetti <strong>di</strong> ricerca del piacere e <strong>di</strong> libido.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista storico la Scuola si trova ad affrontare le <strong>di</strong>verse<br />

realtà che in questo periodo si vanno determinando: l’avvento del fascismo<br />

e del nazismo inducono alla riflessione sull’autorità e sulle relazioni con la<br />

società industriale moderna, l’affermazione del comunismo sovietico d’altra<br />

parte è esempio <strong>di</strong> una rivoluzione fallita e rappresenta un aspetto alternativo<br />

del capitalismo, il trionfo della società tecnologica, infine, offre lo<br />

spunto per le me<strong>di</strong>tazioni sull’“industria culturale” e sull’“in<strong>di</strong>viduo ad una<br />

<strong>di</strong>mensione”. La prima <strong>di</strong> tali componenti storiche comporterà tra le altre<br />

conseguenze anche l’emigrazione della Scuola prima a Ginevra, poi a Parigi<br />

ed infine a New York. L’esponente più rilevante ai fini della nostra riflessione<br />

è Herbert Marcuse. Infatti, sebbene la sua analisi parta da spunti<br />

sociologici e politici, il suo pensiero si può inserire in quel filone che tratta<br />

la problematica della crisi del soggetto.<br />

Marcuse nasce a Berlino il 19 luglio del 1898 da famiglia ebrea benestante.<br />

Lì frequenta il Mommsen-Gymnasium e si <strong>di</strong>ploma nel 1916. Nel<br />

1917 si iscrive al Partito Socialdemocratico Tedesco per poi <strong>di</strong>staccarsene<br />

l’anno successivo. Partecipa alla rivoluzione tedesca. Dal ’19 al ’22 stu<strong>di</strong>a<br />

alle Università <strong>di</strong> Friburgo e <strong>di</strong> Berlino dove conosce Heidegger e Husserl.<br />

– 286 –


Agli inizi degli anni ’30, entra in contatto con l’Istituto <strong>di</strong> Francoforte e collabora<br />

con Horkheimer alla stesura <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> sull’autorità e la famiglia.<br />

Dopo l’avvento del nazismo emigra negli Stati Uniti. Dal 1954 insegna all’Università<br />

<strong>di</strong> San Diego in California. Nel 1966 è docente onorario dell’Università<br />

<strong>di</strong> Berlino Ovest, dove partecipa ad un <strong>di</strong>battito sul movimento<br />

studentesco che nei mesi del ’68 vede in lui uno dei suoi ispiratori. Nel ’72<br />

pubblica Controrivoluzione e rivolta e nel ’77 La permanenza dell’arte che poi<br />

<strong>di</strong>venterà La <strong>di</strong>mensione estetica. Muore in Germania il 29 luglio del 1979.<br />

Come abbiamo in parte anticipato, Marcuse collabora all’elaborazione<br />

critica sulla società all’interno della Scuola <strong>di</strong> Francoforte. Il termine “teoria<br />

critica” era stato coniato da Horkheimer in un suo rapporto sulla società totalitaria<br />

del periodo nazista e, dopo la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, esso sarà applicato<br />

anche a tutto il mondo capitalistico. Tale teoria vuole essere uno stu<strong>di</strong>o<br />

globale della società nei suoi vari aspetti e una critica spietata a quegli<br />

elementi che in essa erano irrazionali e quin<strong>di</strong> inaccettabili. Inizialmente<br />

Marcuse con il suo scritto “Eros e civiltà” evidenzia, riprendendo il pensiero<br />

<strong>di</strong> Freud, che questa è fondata sulla repressione degli istinti e in particolare<br />

della ricerca del piacere. Ma a <strong>di</strong>fferenza del fondatore della psicoanalisi, che<br />

riteneva la repressione un costo inevitabile della civiltà, egli, invece, crede<br />

che non sia la civiltà in sé ad essere repressiva, ma questo particolare tipo <strong>di</strong><br />

società, ossia quella <strong>di</strong> classe affermatasi in Occidente. Infatti quest’ultima si<br />

basa sul “principio <strong>di</strong> prestazione”, ovvero sull’imperativo <strong>di</strong> impiegare le<br />

energie psico-fisiche dell’in<strong>di</strong>viduo per scopi produttivi e lavorativi. Tale<br />

principio, riducendo il singolo ad un entità il cui fine è la produzione, reprime<br />

le richieste umane <strong>di</strong> felicità e <strong>di</strong> piacere. Un esempio per tutti: l’uomo finisce<br />

per vivere la sua sessualità con fini puramente procreativi. Così l’unico<br />

scopo della vita è il lavoro. La repressione degli istinti umani non può eliminarli<br />

completamente, infatti essi riaffiorano nell’inconscio e trovano la loro<br />

espressione nel mondo dell’arte. La <strong>di</strong>mensione estetica per Marcuse trova<br />

le sue figure più caratteristiche in Orfeo e Narciso: il primo, infatti, è “la<br />

voce che non comanda, ma canta “poiché intuisce nel mondo un or<strong>di</strong>ne più<br />

alto – un mondo senza repressione”, mentre il secondo vive “una vita <strong>di</strong> bellezza,<br />

e la sua esistenza è contemplazione”. 28 Tutti e due esprimono, dunque,<br />

la ribellione simbolica contro la logica del lavoro e della fatica, che trova la<br />

sua icona in Prometeo. Posto che l’ideale della storia è quello <strong>di</strong> far tornare i<br />

corpi degli uomini strumenti <strong>di</strong> piacere e non <strong>di</strong> fatica, Marcuse cerca <strong>di</strong><br />

28 Tratto da Eros e civiltà.<br />

– 287 –


in<strong>di</strong>viduare le con<strong>di</strong>zioni in cui questo cambiamento possa avvenire. Egli,<br />

sempre in questo scritto, afferma che è lo stesso principio <strong>di</strong> prestazione a<br />

porre le basi per tale ritorno ad una civiltà in cui gli impulsi naturali trovino<br />

la possibilità <strong>di</strong> essere sod<strong>di</strong>sfatti. Infatti lo sviluppo tecnologico e l’automatismo<br />

hanno posto le premesse per una <strong>di</strong>minuzione sostanziale della quantità<br />

<strong>di</strong> energia impiegata nel lavoro, a tutto vantaggio dell’eros e in vista <strong>di</strong> una<br />

trasformazione definitiva del lavoro in gioco, ossia in attività libera e creatrice.<br />

In questo per alcuni critici consiste l’utopia <strong>di</strong> Marcuse: nel “desiderio<br />

<strong>di</strong> un para<strong>di</strong>so ricreato in base alle conquiste della civiltà”.<br />

Successivamente, nel 1964, egli pubblica la sua opera più famosa:<br />

L’uomo a una <strong>di</strong>mensione. In essa prende forma l’analisi della struttura fondamentalmente<br />

irrazionale della società industriale; il libero manifestarsi<br />

delle facoltà mentali e dei bisogni più puramente fisici propri dell’uomo<br />

vengono meno a causa della produttività sempre maggiore; la pace risulta<br />

essere mantenuta da una perenne minaccia <strong>di</strong> guerra a più livelli. Ad una<br />

produttività crescente, si unisce una capacità crescente <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione, accanto<br />

ad una ricchezza senza precedenti, perdura l’esistenza <strong>di</strong> una povertà<br />

vergognosa, il pensiero si sottomette alla politica. Il fatto che la maggioranza<br />

degli in<strong>di</strong>vidui accetti tale società, non la rende meno “irrazionale e<br />

riprovevole”. Marcuse opera ancora una netta <strong>di</strong>stinzione tra coscienza autentica<br />

e coscienza falsa. La società moderna è caratterizzata dall’integrazione<br />

degli opposti e da un mutamento sociale alquanto contenuto: il sindacalismo<br />

e il pluralismo vivono un momento <strong>di</strong> declino dovuto alla prepotente<br />

avanzata del capitalismo e del mondo degli affari. Le libertà <strong>di</strong> pensiero,<br />

parola e coscienza, che assunsero grande importanza nella prima fase<br />

della società industriale, ora, dopo esser stati istituzionalizzati perdono il<br />

loro contenuto ed il loro fondamento logico.<br />

L’uomo integrato in questa società è l’uomo ad una <strong>di</strong>mensione. L’in<strong>di</strong>viduo<br />

è alienato nella società attuale, per lui la ragione si identifica con la<br />

realtà e quin<strong>di</strong> non scorge più il <strong>di</strong>stacco tra ciò che è e ciò che deve essere.<br />

Questo è uno degli aspetti fondamentali non solo <strong>di</strong> L’uomo a una <strong>di</strong>mensione<br />

ma <strong>di</strong> tutto il pensiero marcusiano ed ha le sue ra<strong>di</strong>ci nella <strong>di</strong>stinzione<br />

hegeliana tra essenza ed esistenza. Il senso comune si ferma all’apparenza<br />

delle cose, la sua è una posizione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>fferenza verso la realtà. Infatti il<br />

sistema tecnologico ha la capacità <strong>di</strong> far apparire razionale ciò che è irrazionale<br />

e <strong>di</strong> stor<strong>di</strong>re l’uomo in un universo consumistico. La stessa classe operaia<br />

che un tempo era stata il soggetto rivoluzionario, si è lentamente integrata<br />

nel sistema capitalistico e ha ridotto l’opposizione, che ora si incarna<br />

– 288 –


nel “sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati <strong>di</strong><br />

altre razze e <strong>di</strong> altri colori, dei <strong>di</strong>soccupati e degli inabili”, insomma <strong>di</strong> tutti<br />

coloro rimangono al <strong>di</strong> fuori della società opulenta. A questo livellamento<br />

economico corrisponde un livellamento delle strutture logiche, per cui viene<br />

meno il pensiero critico, la creatività, l’autodeterminazione, la capacità <strong>di</strong><br />

scelte libere e prevale sempre più il conformismo, l’eteronomia, l’accettazione<br />

dei bisogni imposti e l’in<strong>di</strong>fferenza. Marcuse scrive: “in questa società<br />

l’apparato produttivo tende a <strong>di</strong>ventare totalitario nella misura in cui determina<br />

non soltanto le occupazione, le abilità e gli atteggiamenti socialmente<br />

richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni in<strong>di</strong>viduali”. 29 Anzi il sistema,<br />

pur identificandosi con “l’amministrazione totale” dell’esistenza, si ammanta<br />

<strong>di</strong> forme pluralistiche e democratiche che però sono puramente illusorie<br />

in quanto le decisioni sono sempre nelle mani <strong>di</strong> pochi: “una confortevole,<br />

levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella società<br />

industriale avanzata, segno <strong>di</strong> progresso tecnico”. 30 La stessa tolleranza <strong>di</strong><br />

cui si vanta tale società è unicamente, a ben riflettere, una “tolleranza<br />

repressiva”, poiché il suo permissivismo funziona soltanto a proposito <strong>di</strong> ciò<br />

che non mette in <strong>di</strong>scussione il sistema stesso. “L’apparato produttivo, i beni<br />

e i servizi che esso produce, vendono o impongono il sistema sociale come<br />

un tutto. I mezzi <strong>di</strong> trasporto e <strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong> massa, le merci che si<br />

usano per abitare, nutrirsi e vestirsi, il flusso irresistibile dell’industria del<br />

<strong>di</strong>vertimento e dell’informazione, recano con sé atteggiamenti ed abiti prescritti,<br />

determinate reazioni intellettuali ed emotive, che legano i consumatori,<br />

più o meno piacevolmente, ai produttori, e, tramite questi, all’insieme.<br />

I prodotti indottrinano e manipolano, promuovono una falsa coscienza che è<br />

immune dalla propria falsità. E a mano a mano che questi prodotti benefici<br />

sono messi alla portata <strong>di</strong> un numero crescente <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui in un maggior<br />

numero <strong>di</strong> classi sociali, l’indottrinamento <strong>di</strong> cui essi sono veicoli cessa <strong>di</strong><br />

essere pubblicità: <strong>di</strong>venta un modo <strong>di</strong> vivere. È un buon modo <strong>di</strong> vivere<br />

– assai migliore <strong>di</strong> un tempo – e come tale milita contro un mutamento qualitativo.<br />

Per tale via emergono forme <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> comportamento ad una<br />

<strong>di</strong>mensione”. 31 Le forme <strong>di</strong> controllo <strong>di</strong> tale società “esigono che si sviluppi<br />

il bisogno ossessivo <strong>di</strong> produrre e <strong>di</strong> consumare lo spreco; il bisogno <strong>di</strong> lavorare<br />

fino all’istupi<strong>di</strong>mento, quando ciò non è più una necessità reale; il<br />

29 Tratto da L’uomo a una <strong>di</strong>mensione.<br />

30 Ibid.<br />

31 Ibid.<br />

– 289 –


isogno <strong>di</strong> mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> rilassarsi che alleviano e prolungano tale istupi<strong>di</strong>mento;<br />

il bisogno <strong>di</strong> mantenere libertà ingannevoli come la libera concorrenza a<br />

prezzi amministrati, una stampa libera che si censura da sola, la scelta libera<br />

tra marche e aggeggi vari”. 32 Infatti l’integrazione della società industriale<br />

avanzata non avviene, per Marcuse, solo nella politica ma anche nella cultura.<br />

Infatti per il filosofo una caratteristica della nostra società “è l’appiattirsi<br />

dell’antagonismo tra cultura e realtà sociale, tramite la <strong>di</strong>struzione<br />

dei nuclei d’opposizione, <strong>di</strong> trascendenza, <strong>di</strong> estraneità contenuti nell’alta<br />

cultura in virtù dei quali essa costituiva un’altra <strong>di</strong>mensione della realtà. 33<br />

Codesta liquidazione della cultura a due <strong>di</strong>mensioni non ha luogo me<strong>di</strong>ante<br />

la negazione ed il rigetto dei “valori culturali”, bensì me<strong>di</strong>ante il loro inserimento<br />

in massa nell’or<strong>di</strong>ne stabilito. Inoltre egli nota che il ruolo originario<br />

dell’arte e della letteratura <strong>di</strong> preservare la contrad<strong>di</strong>zione, rivelare aspetti<br />

dell’uomo e della natura respinti dalla società ora viene meno: “il potere assimilante<br />

della società svuota la <strong>di</strong>mensione artistica, assorbendone i contenuti<br />

antagonistici. Nel regno della cultura il nuovo totalitarismo si manifesta<br />

precisamente in un pluralismo armonioso dove le opere e le verità più contrad<strong>di</strong>ttorie<br />

coesistono pacificamente in un mare <strong>di</strong> in<strong>di</strong>fferenza”. 34 Anche il<br />

linguaggio è influenzato da tale nuova “cultura”: se prima, in questo ambito,<br />

la contrad<strong>di</strong>zione era considerata come un’offesa alla logica ora è <strong>di</strong>ventata,<br />

secondo Marcuse, il principio della logica della manipolazione. Usato da<br />

molti politici ed economisti il linguaggio <strong>di</strong> oggi che concilia gli opposti si<br />

rende immune a qualsiasi forma <strong>di</strong> rifiuto o protesta ed è espressione del<br />

pensiero acritico e uni<strong>di</strong>mensionale. Nella seconda parte della sua opera<br />

Marcuse analizza il contrasto tra la logica formale <strong>di</strong> Aristotele e la logica<br />

<strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> Platone. Mentre nella prima il pensiero è in<strong>di</strong>fferenziato verso i<br />

propri oggetti, la seconda è determinata dal reale, dal concreto. La logica<br />

formale ha aperto la strada alla razionalità scientifica, alla tecnologia come<br />

forma <strong>di</strong> controllo e dominio. “Oggi, il dominio si perpetua e si estende non<br />

soltanto attraverso la tecnologia ma come tecnologia, e quest’ultima fornisce<br />

una superiore legittimizzazione al potere politico che si espande sino ad<br />

assorbire tutte le sfere della cultura”. 35 Legata a questo tipo <strong>di</strong> società sono<br />

l’empirismo, il positivismo e la filosofia analitica. Wittgenstein afferma che<br />

32 Ibid.<br />

33 Ibid.<br />

34 Ibid.<br />

35 Ibid.<br />

– 290 –


la filosofia lascia tutto come lo trova, esprime l’accettazione della realtà <strong>di</strong><br />

fatto; proprio per questo non può portare avanti un’indagine critica sulla<br />

realtà. Per Marcuse il compito della filosofia è esattamente l’opposto <strong>di</strong><br />

quello della filosofia analitica: deve sovvertire i fatti, “farla finita con le con<strong>di</strong>zioni<br />

che generano la follia”. Nell’era totalitaria il compito della filosofia è<br />

necessariamente <strong>di</strong> stampo politico. Nell’ultima fase del suo lavoro Marcuse<br />

cerca un’alternativa alla società industriale e la in<strong>di</strong>vidua nel mondo dell’arte<br />

riprendendo le tesi esposte in Eros e civiltà, tesi che poi approfon<strong>di</strong>rà nella<br />

fase finale del suo pensiero definita appunto fase estetica. Ma come può l’in<strong>di</strong>viduo<br />

liberarsi dai suoi padroni? Solo controllando la produzione e la successiva<br />

<strong>di</strong>stribuzione dei beni necessari si pongono le basi per un’autodeterminazione<br />

significativa. Tale autodeterminazione “sarà reale nella misura in<br />

cui le masse saranno <strong>di</strong>ssolte in in<strong>di</strong>vidui liberi da ogni propaganda, indottrinamento<br />

e manipolazione, capaci <strong>di</strong> conoscere e <strong>di</strong> comprendere i fatti e <strong>di</strong><br />

valutare le alternative”. Ma, come già precedentemente accennato, la classe<br />

lievito del mutamento sociale si è inserita ed integrata nella società. Gli unici<br />

che possono opporsi (gli stranieri, gli sfruttati...) sono esterni al sistema:<br />

questa via per la liberazione non è più, quin<strong>di</strong>, un’alternativa storica. L’unica<br />

linea <strong>di</strong> comportamento da poter seguire è quella del “grande rifiuto”.<br />

Bibliografia:<br />

H. MARCUSE, L’uomo a una <strong>di</strong>mensione e L’alienazione dell’in<strong>di</strong>viduo nella<br />

società contemporanea secondo gli autori della Scuola <strong>di</strong> Francoforte a<br />

cura <strong>di</strong> Ermanno Arrigoni, e<strong>di</strong>zione Paravia.<br />

N. ABBAGNANO e G. FORIERO, Protagonisti e testi della filosofia, tomo D2,<br />

e<strong>di</strong>zione Paravia.<br />

CAPITOLO III<br />

ROMA PER VIVERE: LE DONNE IN AZIONE.<br />

ILMOVIMENTO FEMMINISTA<br />

L’Illuminismo e la Rivoluzione industriale contribuirono a creare in<br />

Europa un clima favorevole allo sviluppo del femminismo, sull’onda dell’influenza<br />

dei movimenti riformatori a cavallo tra XVIII e XIX sec.. In<br />

Francia, durante la rivoluzione francese, le associazioni repubblicane delle<br />

– 291 –


donne invocarono l’estensione universale dei <strong>di</strong>ritti alla libertà, all’uguaglianza<br />

e alla fraternità senza preclusioni <strong>di</strong> sesso. Durante la rivoluzione<br />

industriale il passaggio dal lavoro artigianale (che le donne avevano svolto<br />

tra<strong>di</strong>zionalmente in casa e senza essere retribuite) alla produzione <strong>di</strong> massa<br />

fece sì che le donne delle classi meno abbienti entrassero in fabbrica come<br />

salariate: ciò rappresentò un primo passo verso l’in<strong>di</strong>pendenza e l’emancipazione,<br />

sebbene i rischi sul lavoro fossero elevati e i salari, inferiori a<br />

quelli degli uomini, fossero amministrati dai mariti.<br />

La situazione delle donne non migliorò neanche sotto il regime napoleonico<br />

dal momento che il Co<strong>di</strong>ce, emanato nel 1804, prevedeva svantaggi<br />

per le donne nell’ambito della vita coniugale nonché nelle relazioni sociali<br />

in genere.<br />

L’unificazione italiana poi, portò alla nascita <strong>di</strong> forti conflitti ideologici<br />

che incidevano profondamente sul tessuto socio-economico ed erano alimentati<br />

da problemi etici e morali, sviluppatisi in conseguenza dello sviluppo delle<br />

nuove tecnologie e del loro impatto sull’opinione pubblica. Tale progresso<br />

produsse nuovi oggetti (macchine da cucire, articoli per la casa, utensili) che<br />

influirono su ritmi e gesti della vita quoti<strong>di</strong>ana femminile: tutto ciò unito allo<br />

sviluppo culturale e alla progressiva presa <strong>di</strong> coscienza da parte delle donne<br />

della loro con<strong>di</strong>zione e, per contrasto, delle loro potenzialità, fece sì che nascesse<br />

un sentire comune per il quale esse cessarono <strong>di</strong> sentirsi un semplice riflesso<br />

dell’uomo, senza una <strong>di</strong>stinta personalità, ma cominciarono a considerarsi<br />

soggetti attivi della società con la forte necessità <strong>di</strong> esprimere la propria<br />

opinione. Nacque dunque nei primi del ’900 l’associazionismo femminista<br />

che si costituì in gran<strong>di</strong> federazioni con sede centrale a Roma.<br />

Già nel 1906 queste federazioni con la collaborazione <strong>di</strong> altre organizzazioni<br />

femminili tennero il primo congresso nazionale italiano femminile<br />

nel quale le partecipanti si autodefinirono espressamente”femministe”.<br />

Questo fu il primo episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> quella grande battaglia per il voto che sarebbe<br />

culminata con la grande vittoria del 2 giugno 1946: “Al voto abbiamo<br />

<strong>di</strong>ritto perché siamo citta<strong>di</strong>ne, perché paghiamo tasse ed imposte, perché<br />

siamo produttrici <strong>di</strong> ricchezze, perché paghiamo l’imposta del sangue dei<br />

dolori della maternità”.<br />

Con lo scatenarsi della prima guerra mon<strong>di</strong>ale, il Movimento Femminista<br />

si inserì nella questione dell’interventismo e dell’astensione dal conflitto:<br />

nel 1915 si erano radunate all’Aja donne <strong>di</strong> tutta Europa per gridare la<br />

propria opposizione alla guerra e <strong>di</strong>chiarare l’esigenza della pace nel<br />

mondo.<br />

– 292 –


Il malessere prorompente nella società italiana coeva dovuto al ritorno<br />

dei reduci con il conseguente riflusso femminile dai posti <strong>di</strong> lavoro ed una<br />

grande povertà generale portò, da una parte, alla nascita del movimento fascista,<br />

dall’altra al rafforzamento <strong>di</strong> quello femminista.<br />

Se in un primo momento il fascismo nel suo periodo formativo esercitò<br />

su molte donne un’innegabile attrazione, dando un’apparente protagonismo<br />

alle loro richieste (Benito Mussolini, nonostante la sua contrarietà al voto<br />

femminile, <strong>di</strong>chiarò al Congresso femminista pro-suffragio del 1923 <strong>di</strong> impegnarsi<br />

per la sua approvazione allo scopo <strong>di</strong> accaparrarsi il favore delle<br />

femministe); successivamente, tuttavia, numerose donne parteciparono attivamente<br />

all’antifascismo, conoscendo esecuzioni e confino; si scontrarono<br />

con la milizia fascista in gran<strong>di</strong> scioperi, continuando a protestare per la<br />

con<strong>di</strong>zione a cui erano condannate. Ad esempio, nel caso in cui qualche italiana,<br />

durante il fascismo, fosse rimasta vedova doveva notificarlo all’apposito<br />

Tribunale che imme<strong>di</strong>atamente assumeva la patria potestà del defunto e<br />

provvedeva all’educazione dei figli: la donna dunque era ostaggio non solo<br />

del proprio marito ma anche dello Stato.<br />

Risulta infatti ambiguo il rapporto tra donne e Fascismo, dal momento<br />

che alla ra<strong>di</strong>cata antifemminilità del pensiero fascista, che si basava su un<br />

equilibrio sociale fondato sull’autorità maschile, si accostava il tentativo <strong>di</strong><br />

Mussolini <strong>di</strong> porre le ra<strong>di</strong>ci anche nel consenso delle donne e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> integrare<br />

queste ultime all’interno delle organizzazioni fasciste. Se quin<strong>di</strong> nella<br />

sfera privata il progetto fascista aveva costruito il mito della donna come<br />

sposa madre e sorella esemplare, attraverso l’esaltazione della funzione<br />

materna (“Lo scopo della vita <strong>di</strong> ogni donna è il figlio. La maternità fisica e<br />

psichica non ha che questo scopo” 36 ), questo avveniva per la preoccupazione<br />

del calo demografico rispetto alle mire espansionistiche e imperialistiche<br />

del Fascismo, e anche per escludere le donne dalla vita pubblica,<br />

definendole con lo slogan: “Madri nuove per figli nuovi”.<br />

All’interno della sfera pubblica, le figure femminili erano relegate ad<br />

attività che si muovevano a favore degli obbiettivi <strong>di</strong> Partito e che avevano<br />

a cuore gli interessi dello Stato. Nascevano dunque vari gruppi, come i<br />

Fasci Femminili, le Massaie rurali, le Sezioni Operaie e le Lavoranti a domicilio.<br />

Tuttavia tali associazioni erano controllate dalle gerarchie maschili<br />

<strong>di</strong> partito, e la loro attività si restringeva spesso al semplice volontariato.<br />

36 Manuale d’igiene, <strong>di</strong>vulgato dal Regime alla fine degli anni ’30.<br />

– 293 –


Ma le azioni delle donne erano frammentarie ed è possibile in<strong>di</strong>viduare<br />

anche nei rotocalchi, nelle riviste cattoliche e nella stessa stampa ufficiale<br />

una certa apertura verso argomenti non in linea con le <strong>di</strong>rettive del Partito,<br />

se non anche un <strong>di</strong>ssenso all’imposizione culturale operata dal Fascismo,<br />

come la demonizzazione dei nuovi modelli estetici provenienti dall’Europa.<br />

Nel ’42 la situazione del “sesso debole” peggiorò, se possibile, ulteriormente<br />

con il Co<strong>di</strong>ce Civile, le cui norme erano ancora più ra<strong>di</strong>cali <strong>di</strong> quelle<br />

presenti nel Co<strong>di</strong>ce napoleonico: il <strong>di</strong>vorzio non era ammesso in nessun<br />

caso, “la separazione <strong>di</strong> fatto” era visto come un fallimento del tutto femminile,<br />

il carcere era previsto per le “adultere” ma non per gli “adulteri”, ed<br />

era inoltre accettato il “delitto d’onore” per il marito (tale situazione persistette<br />

per molti anni, basti pensare alla mitica Dama Bianca, compagna del<br />

famoso ciclista Fausto Coppi, la quale, denunciata dal marito per adulterio,<br />

venne portata via in manette dalla villa del campione a Novi Ligure e costretta<br />

al domicilio coatto ad Ancona).<br />

Roma, in quel tempo, era l’Italia e ciò che avveniva ovunque si evidenziava<br />

con maggiore forza in città, epicentro del potere: la con<strong>di</strong>zione delle<br />

donne nei gran<strong>di</strong> centri, come la capitale, era dunque particolarmente <strong>di</strong>fficile,<br />

considerando anche l’approvazione <strong>di</strong> numerose normative sessiste<br />

come quella che prevedeva l’assunzione delle donne nel pubblico impiego<br />

al 10% dei posti <strong>di</strong>sponibili, dando la possibilità agli impren<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> non assumere<br />

neanche quel 10%, giu<strong>di</strong>candolo inidoneo. Migliaia <strong>di</strong> romane vennero<br />

<strong>di</strong>scriminate e persero l’accesso a quei pochi lavori <strong>di</strong>sponibili in città.<br />

Anche durante la resistenza, nella seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, le donne<br />

ebbero un ruolo non in<strong>di</strong>fferente, sebbene finora posto sempre in secondo<br />

piano. La Resistenza, per quanto potesse essere grande il coraggio degli<br />

uomini, non sarebbe stata possibile senza le donne. Né vi è alcun confronto<br />

con la partecipazione delle donne in altri momenti della Storia, quali le lotte<br />

del Risorgimento o le guerre per l’in<strong>di</strong>pendenza nazionale: si trattò allora <strong>di</strong><br />

un movimento <strong>di</strong> poche elette, ma non <strong>di</strong> fenomeno <strong>di</strong> massa. Caratteristica<br />

fondamentale della resistenza femminile invece è proprio questo suo carattere<br />

collettivo, questo suo avere per protagoniste non alcune figure eccezionali,<br />

ma piuttosto vaste masse appartenenti ai più <strong>di</strong>versi strati della società.<br />

Il movimento dunque non si configurò come il frutto della volontà <strong>di</strong> poche,<br />

ma come il risultato dell’iniziativa spontanea <strong>di</strong> molte.<br />

I primi corrieri ed informatori partigiani furono le donne. Inizialmente<br />

si occupavano <strong>di</strong> procurare viveri, indumenti e notizie da casa e sui movimenti<br />

del nemico, ben presto tuttavia questo lavoro, sorto dall’iniziativa<br />

– 294 –


spontanea <strong>di</strong> queste coraggiose donne, <strong>di</strong>venne organizzato ed ogni <strong>di</strong>staccamento<br />

partigiano formò il proprio corpo <strong>di</strong> “staffette”, che si specializzarono<br />

nel fare la spola tra i centri abitati e i coman<strong>di</strong> delle unità partigiane.<br />

Senza i collegamenti assicurati dalle staffette gran parte delle <strong>di</strong>rettive sarebbe<br />

rimasta lettera morta, e le informazioni e gli or<strong>di</strong>ni non sarebbero mai<br />

arrivati nelle <strong>di</strong>verse zone. Pigiata in treno, serrata tra le assi sconnesse <strong>di</strong><br />

un carro bestiame, la staffetta trascorreva lunghe ore, costretta a passare<br />

notti intere in stazioni o in aperta campagna, correndo il rischio <strong>di</strong> cadere<br />

vittima dei bombardamenti o del nemico tedesco in agguato.<br />

Dopo i combattimenti le staffette si occupavano dei feriti, li vegliavano,<br />

prestavano le cure necessarie e cercavano un me<strong>di</strong>co che potesse organizzare<br />

il loro ricovero. Non <strong>di</strong> rado poi, la staffetta, dopo la battaglia, restava<br />

nel paese occupato per conoscere le mosse del nemico e far pervenire le<br />

informazioni ai coman<strong>di</strong> partigiani. Infaticabile, spesso nella piccola busta<br />

che la staffetta nascondeva in seno vi era la salvezza, la vita o la morte <strong>di</strong><br />

centinaia <strong>di</strong> uomini. Numerose caddero in combattimento o nell’adempimento<br />

delle loro pericolose missioni.<br />

In “Partigiane – Tutte le donne della Resistenza”, la storica Marina<br />

Ad<strong>di</strong>s Saba, evidenza come l’impegno femminile durante la guerra <strong>di</strong> liberazione,<br />

“<strong>di</strong>sconosciuto e poco noto”, si orientò verso due <strong>di</strong>rezioni: l’una<br />

dettata dalla necessità, fu quella <strong>di</strong> dare assistenza ai partigiani; l’altra<br />

è l’impegno politico. Numerosissime donne, da operaie a studentessa, da<br />

casalinghe ad insegnanti, tanto in campagna, quanto in città, organizzarono<br />

veri e propri corsi <strong>di</strong> preparazione politica e tecnica, <strong>di</strong> modo da specializzare<br />

altre donne nell’assistenza sanitaria e nella stampa dei giornali e dei<br />

fogli del Comitato <strong>di</strong> Liberazione Nazionale e nella <strong>di</strong>vulgazione <strong>di</strong> stampe<br />

e volantini <strong>di</strong> propaganda a favore della lotta partigiana.<br />

A esemplificazione della partecipazione delle donne alla Resistenza e<br />

all’antifascismo riportiamo qui alcuni dati:<br />

- Partigiane: 35.000<br />

- Patriote: 20.000<br />

- Gruppi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa: 70.000 iscritte<br />

- Arrestate, torturate: 4.653<br />

- Deportate: 2.750<br />

- Commissarie <strong>di</strong> guerra: 512<br />

- Medaglie d’oro: 16<br />

- Medaglie d’argento: 17<br />

- Fucilate o cadute in combattimento: 2.900<br />

– 295 –


Ecco dunque come fu compiuto un importante passo verso l’emancipazione<br />

femminile. La grande opera delle donne partigiane è ben esemplificata<br />

nel libro “L’Agnese va a morire” <strong>di</strong> Renata Viganò (Nel 1976 ne fu<br />

tratto anche un film con la regia <strong>di</strong> Giuliano Montaldo): “Capiva quello<br />

che ora chiamava cose da uomini, il partito, l’amore per il partito, e che ci<br />

si potesse anche far ammazzare per sostenere un’idea bella, nascosta, una<br />

forza istintiva, per risolvere tutti gli oscuri perché, che cominciano nei<br />

bambini e finiscono nei vecchi quando muoiono”. 37<br />

Il romanzo, dunque, può essere preso a para<strong>di</strong>gma dell’importante attività<br />

delle donne della resistenza: tratta infatti della storia <strong>di</strong> Agnese, che,<br />

vicina alle attività della resistenza grazie alla partecipazione del marito,<br />

intellettuale comunista, partecipa in prima linea, inizialmente facendo la<br />

“staffetta” per procurare cibo, notizie e armi ai partigiani e, successivamente,<br />

dandosi alla vita clandestina, fornendo un importante aiuto agli<br />

uomini che tornavano dalla guerriglia e <strong>di</strong>ventando la loro “mamma”,<br />

seguendo i partigiani ovunque, tra fatiche e pericoli. Agnese si configura<br />

quin<strong>di</strong> come personificazione della donna “nuova” che acquisisce, nella<br />

lotta, una forte coscienza <strong>di</strong> sé e della realtà politica.<br />

Un equilibrio tra i due sessi infatti sembrò essere raggiunto e riconosciuto<br />

da entrambi, ma dopo la guerra la situazione parve regre<strong>di</strong>re: sebbene<br />

le donne avessero acquisito grazie alle esperienze precedenti una coscienza<br />

<strong>di</strong> classe e avessero ottenuto <strong>di</strong>ritti politici uguali agli uomini, ciò non vuole<br />

tuttavia significare che vivessero in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> assoluta parità con gli<br />

stessi, tanto in ambito privato quanto in quello politico e sociale.<br />

Anche se nella società italiana a partire dal secondo dopoguerra si verificheranno<br />

numerosi cambiamenti e trasformazioni ra<strong>di</strong>cali nella costruzione<br />

dell’identità maschile e femminile, tuttavia fino agli anni ’70 la situazione<br />

rimase pressoché invariata.<br />

Persisteva nell’immaginario collettivo la figura della donna de<strong>di</strong>ta<br />

esclusivamente alla casa e alla famiglia: l’aumento progressivo dei salari<br />

permetterà a molte donne <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi totalmente alla valorizzazione ed<br />

esaltazione del ruolo materno; si ra<strong>di</strong>calizzò, soprattutto negli anni ’60, la<br />

<strong>di</strong>visione sessuale dei ruoli con la nascita della figura della casalinga “tout<br />

court” e del procacciatore <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to come figura unicamente maschile. E<br />

comunque, qualsiasi fosse la situazione lavorativa della donna, nella famiglia<br />

urbana, operaia e conta<strong>di</strong>na vigeva ancora un regime patriarcale che<br />

37 Renata Viganò, L’Agnese va a morire (1994), Torino, Einau<strong>di</strong>.<br />

– 296 –


si sarebbe attenuato solo negli anni ’70. Nel periodo della ricostruzione e<br />

dell’espansione economica, prima della riflessione teorica e del <strong>di</strong>battito<br />

politico del neo femminismo, il tema dominante era quello della partecipazione<br />

della donna al lavoro produttivo e del superamento del lavoro domestico<br />

visto come ostacolo ad un’effettiva emancipazione. Si trattava, infatti,<br />

<strong>di</strong> un <strong>di</strong>ffuso progetto <strong>di</strong> emancipazione della con<strong>di</strong>zione femminile attraverso<br />

la possibilità <strong>di</strong> partecipazione paritetica al mercato del lavoro e la<br />

richiesta <strong>di</strong> una parità <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti che non teneva ancora conto delle <strong>di</strong>fferenti<br />

situazioni <strong>di</strong> vita delle donne, in particolare della loro con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> doppio<br />

lavoro, familiare e professionale, se non per la richiesta <strong>di</strong> servizi per<br />

l’infanzia.<br />

Nel secondo dopoguerra, infatti, le donne costituivano gran parte dei due<br />

milioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupati, soprattutto a causa della ristrutturazione dell’industria<br />

tessile e manifatturiera ad altissima composizione operaia femminile.<br />

A partire dalla seconda metà degli anni ’50 le donne espulse dal manifatturiero<br />

tra<strong>di</strong>zionale vennero riassorbite in quei settori dove la meccanizzazione<br />

dei processi produttivi permetteva la sostituzione della manodopera<br />

maschile qualificata; produzione <strong>di</strong> massa e accentuazione della quantità<br />

rispetto alla qualità portarono alla richiesta <strong>di</strong> una manodopera flessibile,<br />

mobile, dequalificata, caratteristiche queste che storicamente connotavano<br />

la forza lavoro femminile.<br />

E se dal ’58 al ’63 si registrò comunque un relativo aumento dell’occupazione<br />

femminile anche in settori come quello del piccolo commercio dove<br />

prevalevano le figure delle coa<strong>di</strong>uvanti familiari e delle commesse, dal ’64,<br />

con l’inizio <strong>di</strong> un periodo <strong>di</strong> recessione e a causa <strong>di</strong> cambiamenti produttivi,<br />

le donne vennero espulse in massa dal mercato del lavoro, nel cui ambito<br />

l’occupazione femminile avrebbe assunto la forma <strong>di</strong> un grafico a “campana”<br />

con un picco <strong>di</strong> un tasso <strong>di</strong> attività per le donne sposate e con la loro<br />

uscita definitiva dal mercato del lavoro alla nascita del primo figlio. Dunque<br />

emerse pienamente la posizione <strong>di</strong> debolezza delle donne.<br />

Non erano soltanto i problemi sociali a spingere le donne alla riven<strong>di</strong>cazione<br />

dei proprio <strong>di</strong>ritti, ma anche problematiche <strong>di</strong> carattere prettamente<br />

politico: la rappresentanza femminile in Parlamento rimase sempre esigua e<br />

le iniziative proposte dalle parlamentari non vennero prese sufficientemente<br />

in considerazione; la popolazione femminile attiva era pari a non più del<br />

30%. I movimenti organizzati riuscirono tuttavia a far sentire la loro voce,<br />

raggiungendo risultati importanti. Le battaglie portate avanti da tali organizzazioni<br />

riven<strong>di</strong>carono una riforma del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> famiglia che sancisse la<br />

– 297 –


piena parità dei coniugi in fatto <strong>di</strong>:<br />

• <strong>di</strong>ritti e doveri<br />

• <strong>di</strong>vorzio<br />

• depenalizzazione della pratica dell’aborto<br />

• libertà delle pratiche contraccettive<br />

Queste due ultime riven<strong>di</strong>cazioni venivano ritenute momenti necessari<br />

per la trasformazione della maternità non in un destino, o una condanna,<br />

ma in una scelta. In Italia, queste battaglie furono favorite anche dal nuovo<br />

clima che s’impose durante il movimento del ’68, quando le donne <strong>di</strong> tutti<br />

i paesi europei riven<strong>di</strong>carono in massa i propri <strong>di</strong>ritti fino ad allora <strong>di</strong>sattesi<br />

e riuscirono con anni <strong>di</strong> lotte a vederli in parte sod<strong>di</strong>sfatti, in nome del riconoscimento<br />

dell’uguaglianza anche morale e, soprattutto, dell’emancipazione.<br />

Il movimento femminista, che aveva la sua sede principale a Roma, in<br />

questi anni era caratterizzato da elementi nuovi rispetto ai precedenti movimenti<br />

dell’emancipazione femminile. Nato dalla riflessione <strong>di</strong> questo secolo<br />

sulla contrad<strong>di</strong>zione fra uomo e donna, il Movimento Femminista sottolineava<br />

l’impossibilità <strong>di</strong> ridurla a una delle <strong>di</strong>suguaglianze esistenti nella<br />

società borghese, destinate ad essere automaticamente eliminate da una rivoluzione<br />

sociale e dalla soppressione delle <strong>di</strong>visioni <strong>di</strong> classe. Innanzitutto,<br />

si osservava come la contrad<strong>di</strong>zione maschile – femminile attraversasse<br />

tutti i ceti, portando anche la donna borghese a subire il desiderio <strong>di</strong> imporre<br />

la supremazia del maschio nell’ambito familiare. La supremazia dell’uomo,<br />

secondo le femministe, tendeva a trovare la sua giustificazione e legittimazione<br />

in quei valori maschili, intimamente gerarchici, competitivi, aggressivi<br />

che si erano fino a quel momento affermati in tutti i campi della storia<br />

umana. Di qui il carattere <strong>di</strong> forte contrapposizione, spesso <strong>di</strong> antagonismo,<br />

che il Movimento Femminile assunse verso la società maschilista e la contemporanea<br />

scoperta della “sorellanza”, intesa come separazione delle<br />

donne dalla società degli uomini per riscoprire fra loro, attraverso la pratica<br />

dell’autocoscienza, la specificità del mondo femminile. La donna, oppressa<br />

e sfruttata dal sistema patriarcale e capitalistico, prendeva coscienza della<br />

sua con<strong>di</strong>zione ed elaborava una strategia rivoluzionaria che, lungi dal farle<br />

accettare le piccole concessioni volte ad accontentarla momentaneamente<br />

per poi, in realtà, non cambiare nulla, mirava ora a conquistare per la prima<br />

volta la sua identità, la sua autonomia, la sua partecipazione alla storia<br />

come protagonista. La femminista era colei che rifiutava il ruolo che le era<br />

– 298 –


stato assegnato dal maschio autoritario, rifiutava <strong>di</strong> essere un oggetto al<br />

quale si può “dare o no un’anima, che si può idolatrare o violentare”. 38 La<br />

sfida del Movimento Femminista Romano e non solo consisteva dunque nel<br />

rimettere in <strong>di</strong>scussione tutti i rapporti sociali alla luce della con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

donne sfruttate e subor<strong>di</strong>nate.<br />

Durante gli anni ’40 e ’50 i successi femminili, compreso l’allargamento<br />

del suffragio anche alle donne nel 1946, si <strong>di</strong>mostrarono, più che<br />

vere conquiste politiche, mere concessioni da parte dell’ambiente ecclesiastico,<br />

il più delle volte interessate. Infatti, il Vaticano era consapevole del<br />

fatto che le donne, data la loro forte religiosità (l’85% frequentava abitualmente<br />

le chiese), avrebbero espresso il loro consenso al partito della Democrazia<br />

Cristiana, qualora questo avesse ascoltato le loro richieste. Invece, a<br />

partire dalla metà degli anni ’60, i Movimenti Femminili cominciarono ad<br />

organizzarsi e a scendere in piazza. Dunque, nel ’68, terminava la “primavera<br />

abbagliante” dei maschi, e, al grido <strong>di</strong> “Siamo Realiste, Vogliamo<br />

Tutto E Subito”, le femministe otterranno la prima vera e propria conquista<br />

politica: l’adulterio della donna non è più considerato reato, e nel frattempo,<br />

viene riconosciuto il <strong>di</strong>ritto alla separazione, se adultero è ora il marito. Ma<br />

la legge si rivelò presto monca, poiché i coniugi potevano separarsi ma non<br />

avevano la possibilità <strong>di</strong> risposarsi, neppure civilmente.<br />

In realtà, queste conquiste costituiscono quasi un paradosso: sebbene in<br />

Italia venissero considerate come enormi passi avanti nel progresso sociale,<br />

nel resto d’Europa, la situazione italiana veniva derisa sui giornali, in cui<br />

queste, assieme al <strong>di</strong>vorzio, erano già realtà consolidate.<br />

Proprio rispetto al <strong>di</strong>vorzio, le donne non si arresero, ed i loro sforzi<br />

vennero finalmente coronati dal successo il 1° <strong>di</strong>cembre 1970, data in cui<br />

<strong>di</strong>venne legge dello Stato Italiano la proposta <strong>di</strong> Loris Fortuna e Antonio<br />

Baslini. La battaglia delle donne tuttavia non si esaurì nel ’70, dal momento<br />

che le femministe si videro impegnate in una decisa campagna nel 1974,<br />

affinché la legge sul <strong>di</strong>vorzio, per la quale così tanto avevano lottato negli<br />

anni precedenti, non venisse abrogata con il referendum del 12 maggio.<br />

Tanto intensa quanto vincente fu l’azione portata avanti dal Movimento<br />

Femminista Romano che, dopo essere sceso in piazza a manifestare, il<br />

27 aprile del ’74 pubblicò, al fine <strong>di</strong> persuadere gli elettori ma soprattutto<br />

le elettrici a votare per la <strong>di</strong>fesa dei propri <strong>di</strong>ritti, il Volantino contro l’abrogazione<br />

del <strong>di</strong>vorzio che qui riportiamo: “Messe <strong>di</strong> fronte alla scelta fra<br />

38 Movimento Femminista Romano, Nuovo Movimento Femminista, Maggio 1973.<br />

– 299 –


un si e un no <strong>di</strong>chiariamo subito che siamo per il NO all’abrogazione della<br />

legge Fortuna-Baslini. Non si può abolire una delle poche timide leggi<br />

laiche del nostro paese. E non si può oggettivamente mettersi dalla parte<br />

della Sacra Rota, del professor Gedda e dei Comitati Civici che consideriamo<br />

per principio nemici della donna. Detto questo, dobbiamo precisare<br />

che, secondo noi, la legge sul <strong>di</strong>vorzio è classista e quin<strong>di</strong> assolutamente<br />

incapace <strong>di</strong> risolvere i problemi della famiglia. Porre, come è stato fatto,<br />

la legge attuale come un principio dalla cui accettazione o dal cui rifiuto<br />

<strong>di</strong>penda il futuro della famiglia ci sembra un imbroglio politico e morale.<br />

Noi rifiutiamo la questione posta in questi termini. Parteciperemo al referendum<br />

e lotteremo per la legge Fortuna-Baslini ma lo faremo soprattutto<br />

per mettere in <strong>di</strong>scussione i rapporti fra uomo e donna all’interno della<br />

famiglia, per denunciare il doppio sfruttamento che subisce la donna, fuori<br />

e dentro casa, uno sfruttamento non riconosciuto, su cui però vive l’intera<br />

società. Sarà anche l’occasione per rimettere in <strong>di</strong>scussione i ruoli sessuali<br />

che sono dati come naturali e sono invece sociali e riguardano il rapporto<br />

fra le classi sfruttatrici e le classi sfruttate. La famiglia secondo noi, così<br />

come è vissuta oggi è un luogo <strong>di</strong> sfruttamento e <strong>di</strong> oppressione per la<br />

donna <strong>di</strong> tutti i ceti. La reclusione, l’isolamento, la mancanza <strong>di</strong> rapporti<br />

col mondo, il cieco duro lavoro senza orari e senza assistenza sono tutte<br />

armi <strong>di</strong> cui si servono le classi <strong>di</strong>rigenti per mantenere la donna nello stato<br />

<strong>di</strong> isolamento in cui è e quin<strong>di</strong> sfruttarla meglio. Perciò noi <strong>di</strong>chiariamo<br />

che ci batteremo contro l’abrogazione, ma ci batteremo anche per rimettere<br />

in <strong>di</strong>scussione il concetto patriarcale, misogino, repressivo e oscurantista<br />

della famiglia, così come è intesa oggi nella società italiana”.<br />

Con la nascita <strong>di</strong> gruppi e <strong>di</strong> collettivi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina e <strong>di</strong> centri per la<br />

salute della donna, tutti autogestiti, si impose anche la risoluzione del problema<br />

dell’aborto avvenuta però definitivamente solo nel ’74 con la legge<br />

194. Quello dell’aborto non è un <strong>di</strong>ritto, così come il <strong>di</strong>vorzio, bensì una<br />

possibilità <strong>di</strong> ricorrere ad una struttura pubblica, dopo anni in cui l’aborto<br />

veniva praticato illegalmente con gran<strong>di</strong> rischi per le donne che vi si sottoponevano.<br />

Le donne inoltre, si trovavano ora nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> decidere<br />

come dei veri soggetti attivi, assumendosi anche le conseguenze e le responsabilità<br />

che derivano dall’esercizio dei <strong>di</strong>ritti acquisiti.<br />

Il Movimento Femminista Romano si mobilitò insieme alle altre associazioni<br />

femminili, affinché le donne venissero finalmente tutelate dallo<br />

Stato in materia <strong>di</strong> aborto, che fino agli anni ’70 veniva ancora considerato<br />

un crimine, come si legge in un documento redatto dalle femministe ro-<br />

– 300 –


mane: “Il 5 Giugno viene processata a Padova Gigliola Pierobon, accusata<br />

<strong>di</strong> aver abortito a 17 anni”. 39 In esso inoltre le rappresentanti del Movimento<br />

Femminista nato a Roma sostenevano come l’aborto, per gli uomini,<br />

fosse una questione <strong>di</strong> scienza, <strong>di</strong> leggi, <strong>di</strong> morale, mentre per le donne si<br />

trattava <strong>di</strong> una questione <strong>di</strong> violenza e <strong>di</strong> sofferenza. L’obiettivo delle femministe<br />

romane, per la realizzazione del quale numerose volte scesero in<br />

piazza nella prima metà degli anni ’70, era l’abrogazione <strong>di</strong> tutte le leggi<br />

punitive sull’aborto e la realizzazione <strong>di</strong> strutture dove sostenerlo in con<strong>di</strong>zioni<br />

ottimali. La prima necessità era quella <strong>di</strong> affrontare questo problema<br />

in relazione a tutti gli altri: la sessualità, la maternità, il lavoro domestico.<br />

Si rifiutava come soluzione alla questione dell’aborto una campagna per la<br />

contraccezione, dal momento che, scrivono le femministe romane nel documento<br />

sopra citato: “l’uso della ricerca scientifica e del suo prodotto<br />

viene sempre misurato sui bisogni e sulle esigenze <strong>di</strong> altri (piani dello<br />

Stato e profitti delle industrie) e non su quelli <strong>di</strong> noi donne”. 40<br />

La proibizione dell’aborto inoltre, veniva considerato come l’ultima <strong>di</strong><br />

una serie <strong>di</strong> ricatti, quali, ad esempio, la negazione del <strong>di</strong>ritto alla vita,<br />

poiché le donne non avevano garanzia <strong>di</strong> un red<strong>di</strong>to sufficiente a vivere<br />

decentemente, il che, il più delle volte, le costringeva a condurre una vita<br />

da mantenute da un uomo che in cambio avrebbe preteso <strong>di</strong> comandare su<br />

<strong>di</strong> loro, sul loro lavoro, sul loro corpo. Questo, secondo il Movimento<br />

Femminista Romano, voleva <strong>di</strong>re che la legge sull’aborto doveva rientrare<br />

in un programma ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> mutamento delle con<strong>di</strong>zioni della donna; e<br />

perciò le femministe proclamavano la loro volontà <strong>di</strong> scendere in lotta per<br />

farsi garanti che l’aborto non <strong>di</strong>ventasse la cinica scelta <strong>di</strong> uno Stato che<br />

cominciava a considerare più economico prevenire la nascita <strong>di</strong> milioni<br />

<strong>di</strong> bambini, scaricandone la responsabilità alla donna, piuttosto che ammazzarli<br />

dopo (in guerra, sul lavoro). Solo in questo senso la possibilità<br />

<strong>di</strong> ricorrere all’aborto sicuro e gratuito poteva essere uno strumento <strong>di</strong><br />

libertà.<br />

Era la prima volta che non solo si affrontava l’argomento ma veniva<br />

pronunciata pubblicamente una parola che, al pari <strong>di</strong> stupro, era tabù. Urlato<br />

nelle piazze produceva uno sgomento che la <strong>di</strong>ceva lunga sulle censure e<br />

inibizioni del linguaggio <strong>di</strong> tutto ciò che riguardava l’esperienza delle<br />

donne: “L’utero è mio lo gestisco io!”.<br />

39 Movimento Femminista Romano, Processo <strong>di</strong> Aborto, Maggio 1973.<br />

40 Ibid.<br />

– 301 –


Un’altra delle principali battaglie del movimento femminile a partire<br />

dalla fine del 1800 fu quella contro la prostituzione organizzata e legalizzata.<br />

In Italia tale lotta fu coronata da successo con l’approvazione, nei primi anni<br />

’60, <strong>di</strong> una legge, nota come Legge Merlin, che chiudeva le case <strong>di</strong> tolleranza<br />

e considerava lo sfruttamento della prostituzione come un reato.<br />

I collettivi <strong>di</strong> lotta femminista si formavano spontaneamente e si componevano<br />

<strong>di</strong> piccoli gruppi <strong>di</strong> 10-15 donne che si riunivano settimanalmente:<br />

tutti i gruppi, poi, si riunivano mensilmente in assemblea per<br />

confrontare i lavori svolti e decidere come agire. Nei collettivi venivano<br />

<strong>di</strong>battuti argomenti specificatamente femminili quali insod<strong>di</strong>sfazione per<br />

la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> madri, <strong>di</strong> casalinghe e <strong>di</strong> lavoratrici umili mandate a<br />

guadagnare solo in caso <strong>di</strong> necessità da parte del processo <strong>di</strong> produzione, e<br />

<strong>di</strong> oggetti sessuali; lamentele per la scarsa informazione riguardo le tecniche<br />

anticoncezionali che in quell’epoca conoscevano i primi sviluppi;<br />

esperienze personali; problemi della donna e le cause che li originavano:<br />

la struttura <strong>di</strong>alogica <strong>di</strong> queste riunioni aveva il vantaggio <strong>di</strong> evitare il formarsi<br />

<strong>di</strong> una gerarchizzazione all’interno del collettivo stesso e <strong>di</strong> favorire<br />

un confronto che portasse ad una crescita del movimento stesso. Ogni<br />

gruppo era libero <strong>di</strong> elaborare una propria metodologia <strong>di</strong> ricerca, analisi e<br />

lotta: in questa prima fase si escludeva la presenza maschile alle riunioni<br />

in quanto proprio allora le donne avevano bisogno <strong>di</strong> incontrarsi e comunicare<br />

senza rischiare una nuova subor<strong>di</strong>nazione all’uomo. Il passaggio<br />

dal momento teorico all’azione concreta era legato all’approvazione dei<br />

membri del gruppo stesso, mentre i gruppi <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nazione avevano<br />

il compito <strong>di</strong> confrontare i risultati raggiunti da ogni collettivo e offrire<br />

informazioni.<br />

Figura simbolo <strong>di</strong> una generazione <strong>di</strong> donne che dovettero lottare per<br />

la propria emancipazione in una società fortemente maschilista e conformista,<br />

è Leonilde (chiamata da tutti Nilde) Iotti che ha rappresentato, rappresenta<br />

e rappresenterà sempre l’incarnazione e la personificazione della<br />

genesi, dello sviluppo e delle trasformazioni dell’Italia, “Repubblica fondata<br />

sul lavoro”, nata dalla libera scelta del popolo e dell’Assemblea Costituente,<br />

frutto della Resistenza democratica ed antifascista. Nata nel 1920 a<br />

Reggio Emilia, da famiglia antifascista, si avvicina al movimento partigiano<br />

e vi partecipa attivamente. Il suo impegno tra i partigiani della sua<br />

città natale le consentì, poco più che ventenne, <strong>di</strong> essere designata come responsabile<br />

dei Gruppi <strong>di</strong> Difesa della Donna, struttura attivissima nella<br />

guerra <strong>di</strong> Liberazione.<br />

– 302 –


Dopo il referendum del ’46, la ventiseienne Nilde Iotti entrò in Parlamento,<br />

dove conobbe il cinquantatreenne Palmiro Togliatti, capo carismatico<br />

del P.C.I. con il quale ebbe una relazione sentimentale, che seppe resistere<br />

a tutti gli attacchi, soprattutto all’interno del Partito, dal momento che<br />

Togliatti era già sposato e con un figlio. Successivamente la Iotti entrò<br />

come membro della “Commissione dei 75” che aveva il compito <strong>di</strong> re<strong>di</strong>gere<br />

la bozza della Costituzione Repubblicana, da sottoporre al voto dell’intera<br />

Assemblea Costituente.<br />

Da segnalare il ruolo svolto da Nilde Iotti a favore dei <strong>di</strong>ritti delle donne<br />

e per le famiglie: “Uno dei coniugi, la donna, era ed è tuttora legata a con<strong>di</strong>zioni<br />

arretrate, che la pongono in stato <strong>di</strong> inferiorità e fanno sì che la vita familiare<br />

sia per essa un peso e non fonte <strong>di</strong> gioia e aiuto per lo sviluppo della<br />

propria persona. Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, in campo<br />

politico, piena uguaglianza, col <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> voto attivo e passivo, ne consegue<br />

che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> arretratezza<br />

in tutti campi della vita sociale e restituita ad una posizione giuri<strong>di</strong>ca tale da<br />

non menomare la sua personalità e la sua <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>na”.<br />

Nel corso <strong>di</strong> mezzo secolo, vissuto all’interno delle istituzioni repubblicane,<br />

la Iotti fu promotrice della legge sul <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> famiglia del ’75, della<br />

battaglia sul referendum per il <strong>di</strong>vorzio (1974), e per la legge sull’aborto<br />

(1978).<br />

Il 4 Dicembre ‘99 morì riconosciuta da tutti come la “Signora della<br />

Repubblica”.<br />

Il <strong>di</strong>battito relativo alla partecipazione politica delle donne è <strong>di</strong>ventato<br />

molto attuale, anche grazie ad una serie <strong>di</strong> iniziative della UE, che negli<br />

ultimi anni ha promosso sondaggi, indagini, iniziative legislative, con l’obiettivo<br />

<strong>di</strong> coinvolgere i governi nazionali, che hanno reso visibile il problema.<br />

Nonostante il riconoscimento formale dei pieni <strong>di</strong>ritti politici, infatti, le<br />

donne non sono riuscite a ad entrare a far parte in misura consistente delle<br />

istituzioni politiche rappresentative. Si tratta <strong>di</strong> un fenomeno trasversale,<br />

dal momento che coinvolge tutti i Paesi del mondo, in<strong>di</strong>stintamente. Il problema<br />

ora non è più, come negli anni ’70, quello <strong>di</strong> riven<strong>di</strong>care <strong>di</strong>ritti negati,<br />

quanto piuttosto quello <strong>di</strong> sensibilizzare un’opinione pubblica e mo<strong>di</strong>ficare<br />

una cultura politica, che, ancora oggi, tende a considerare l’uomo<br />

come l’unico legittimo protagonista della gestione dello Stato.<br />

Considerando che in Italia le donne costituiscono il 52% dell’elettorato,<br />

ma solamente il 10,8% dei parlamentari, è evidente che ci deve essere<br />

– 303 –


qualcosa nella nostra società (sia dal punto <strong>di</strong> vista istituzionale, che da<br />

quello culturale) che influenza negativamente la partecipazione politica<br />

femminile.<br />

Tuttavia, quando si parla <strong>di</strong> basso coinvolgimento delle donne in politica,<br />

ci si riferisce alle se<strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zionali del potere dello Stato, con riferimento<br />

specifico al Parlamento. Se infatti la percentuale delle donne in questo<br />

organo istituzionale è tra le più basse in Europa, ciò non esclude però che<br />

le italiane siano presenti in altre se<strong>di</strong> politiche.<br />

Numerose sono le donne che partecipano nelle amministrazioni locali,<br />

dove prevale un approccio pratico nella gestione del potere dello Stato.<br />

20% Parlamento<br />

18%<br />

16% Province<br />

14%<br />

12% Regioni<br />

10%<br />

8% Parlamento<br />

6%<br />

4% Governo D’Alema<br />

2%<br />

0% Comuni<br />

Le donne, infatti, sono molto presenti nelle organizzazioni <strong>di</strong> utilità<br />

sociale, <strong>di</strong> volontariato, che agiscono <strong>di</strong>rettamente sul territorio. Il contatto<br />

con delle realtà quali la scuola, la parrocchia, gli ospedali, maturato durante<br />

la propria esperienza personale <strong>di</strong> figlia, moglie e madre, ha dato alle donne<br />

una singolare capacità <strong>di</strong> analizzare la società, per capirne i problemi e tentare<br />

<strong>di</strong> risolverli, spesso con successo. Dunque le donne, mostrando ancora<br />

una volta un forte senso civico e grande caparbietà hanno saputo scegliere<br />

altre se<strong>di</strong> politiche in cui operare.<br />

Nei Paesi della UE la composizione <strong>di</strong> genere della rappresentanza politica<br />

è spesso più equilibrata rispetto alla situazione italiana. L’Italia infatti si<br />

pone avanti solo alla Grecia, dove la partecipazione femminile è pari a solo<br />

il 6% degli eletti, e alla Francia.<br />

Nei rimanenti Paesi europei, in particolare in quelli anglosassoni e<br />

scan<strong>di</strong>navi, le donne hanno conquistato spazi politici più ampi, come è<br />

esemplificato da questi dati:<br />

– 304 –


Paesi 1987 1994 oggi Confronti<br />

Austria 11% 21% 25,5% (+)4,5%<br />

Belgio Camera bassa Camera bassa Camera bassa Camera bassa<br />

8% 9% 11,3% (+)2,3%<br />

Camera alta Camera alta Camera alta<br />

11% 23,6% (+)11,3%<br />

Danimarca 29% 33% 26,9% (-)6,1%<br />

Finlan<strong>di</strong>a 32% 39% 34% (-)5%<br />

Francia Assemblea Nazionale Assemblea Nazionale Assemblea Nazionale Assemblea Nazionale<br />

6% 6,1% 10,23% (+)4,1%<br />

Senato Senato Senato<br />

5,6% 5,6% (=)<br />

Germania Rft Dieta Federale<br />

15% 20.7% 26,3% ––<br />

Rdt Consiglio Federale<br />

32 19,1%<br />

Grecia 4% 5,7% 6% (+)0,3%<br />

Attualmente è stata dunque raggiunta la parità dei <strong>di</strong>ritti, ma questa è<br />

<strong>di</strong>versa dall’esercizio degli stessi. Sussiste infatti non poca <strong>di</strong>fferenza tra la<br />

semplice promulgazione <strong>di</strong> una legge e la concreta attuazione <strong>di</strong> essa.<br />

È per questo che ancora oggi numerose donne, femministe e non, continuano<br />

a lavorare assiduamente per portare avanti e perfezionare il processo<br />

<strong>di</strong> emancipazione avviato nel secolo scorso. Un esempio dell’impegno<br />

messo nel conseguire questo obiettivo è la Casa delle Donne, un unicum in<br />

Italia, che fa <strong>di</strong> Roma, più <strong>di</strong> quanto non lo sia già per le gran<strong>di</strong> battaglie<br />

del Movimento Femminista Romano, uno dei più importanti centri <strong>di</strong> riferimento<br />

per le donne italiane. Nata dalla collaborazione <strong>di</strong> 40 tra le più rinomate<br />

associazioni femministe, l’A.F.F.I. (Associazione Federativa Femminista<br />

Internazionale) su tutte, la Casa delle Donne racchiude la storia ed i<br />

successi del movimento <strong>di</strong> liberazione delle donne e svolge, sin dalla sua<br />

inaugurazione nel 1985, l’importante funzione <strong>di</strong> coniugare, attraverso<br />

un’intensa attività <strong>di</strong>vulgativa con conferenze,corsi e seminari, la riflessione<br />

e l’arricchimento culturale con l’azione concreta nella vita <strong>di</strong> tutti i<br />

giorni. È possibile, dunque, nonché doveroso, continuare a lottare, dal momento<br />

che “la storia ha i suoi tempi e non si può, da un giorno all’altro, rovesciare<br />

abitu<strong>di</strong>ni, culture, sentimenti, che sono stati così profondamente<br />

consolidati”. 41<br />

41 Trasmissione Il Grillo, intervista a Miriam Mafai.<br />

– 305 –


Bibliografia:<br />

MARIA PAOLA FIORENSOLI, La città della dea Perenna, Anomaly Press.<br />

Donnità: cronache del movimento femminista romano (1976), pubblicazione<br />

del centro <strong>di</strong> documentazione del Movimento Femminista Romano.<br />

Sitografia:<br />

Http://www.romacivica.net/anpiroma/<br />

Http://www.casainternazionaledelledonne.org<br />

Http://www.url.it/donnestoria/bibliografia/femminismo.htm<br />

Http://www.nelvento.net/archivio/68/femm/<br />

Http://www.cronologia.it/storia/italia/donne01.htm<br />

Altre fonti:<br />

Trasmissione Il Grillo del 04-05-2002, intervista a Miriam Mafai.<br />

– 306 –


MARIA PAOLA MAIONE<br />

Progetto speciale<br />

“La scuola adotta un monumento”<br />

(anno scolastico <strong>2005</strong>-2006)<br />

Il <strong>Liceo</strong> Classico ORAZIO, ormai da molti anni, partecipa al Progetto<br />

“La Scuola adotta un Monumento” promosso dal Comune <strong>di</strong> Roma, Assessorato<br />

alle Politiche Educative e Scolastiche, progetto <strong>di</strong> alto valore culturale<br />

e formativo, finalizzato alla valorizzazione dell’enorme patrimonio artistico<br />

che la città <strong>di</strong> Roma possiede, alla promozione dell’identità collettiva<br />

e della citta<strong>di</strong>nanza attiva <strong>di</strong> tutte le ultime generazioni.<br />

La sostanziale importanza <strong>di</strong>dattica è l’impostazione pluri<strong>di</strong>sciplinare <strong>di</strong><br />

questo progetto, del quale tutti gli alunni e il personale del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong><br />

possono usufruire come utenti e al quale partecipano attivamente come stu<strong>di</strong>osi<br />

e referenti circa 35 studenti <strong>di</strong> un gruppo interclasse del triennio qui <strong>di</strong><br />

seguito elencati.<br />

Studenti partecipanti nell’anno scolastico <strong>2005</strong>-2006:<br />

Classe III C - 1) Ananasso Alessandro, 2) Bufalini Maria, 3) Camellini<br />

Cinzia, 4) Cosentini Irene, 5) Macinante Alessandra, 6) Mancini M.<br />

Cecilia, 7) Muciaccia Erica, 8) Notaro Leonora, 9) Panunzi Chiara,<br />

10) Sagliaschi Veronica, 11) Vastola Sara, 12) Votano Angela.<br />

Classe II C - 13) Carrarini Giulia, 14) Campelli Enrico, 15) D’Angelo<br />

Giulia, 16) Gardelli Giulia, 17) Giammaria Valentina, 18) Giusti<br />

Michela, 19) Greco Silvia, 20) Lo Bello Salvatore, 21) Italiano Federica,<br />

22) Mapelli Laura, 23) Marmo Giovanna.<br />

Classe I C - 24) Carrera Elena, 25) Correrella Susanna, 26) De Bonis<br />

Gloria, 27) De Filippis Sara, 28) Ferrante Valerio, 29) Foschi Federica,<br />

30) Lo Forti Maria Chiara, 31) Martino Chiara, 32) Messina Gianluca.<br />

Classe V M - 33) Duva Federica, 34) Innocenti Alice.<br />

L’esperienza del Progetto, nata nel ’90 a Napoli, culla originaria dell’attività,<br />

viene fatta propria da Roma fin dal 1995, il liceo <strong>Orazio</strong> ha partecipato<br />

fin da allora a questa attività <strong>di</strong>dattica “adottando”nel passato siti<br />

limitrofi alla propria ubicazione territoriale nel V Municipio, quali il Ponte<br />

Nomentano, la Se<strong>di</strong>a del Diavolo, la Villa Torlonia e la Casina delle Civette,<br />

– 307 –


e, negli ultimi bienni, la Basilica e le Catacombe <strong>di</strong> S. Agnese, il Mausoleo<br />

<strong>di</strong> S. Costanza, e, infine, le Terme <strong>di</strong> Diocleziano e la Basilica <strong>di</strong> S. Maria<br />

degli Angeli e dei Martiri.<br />

Con il Progetto “LA SCUOLA ADOTTA UN MONUMENTO” si<br />

afferma, in modo trasversale, pluri<strong>di</strong>sciplinare ed inter<strong>di</strong>sciplinare ai vari<br />

livelli <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, un modello educativo che contribuisce<br />

alla crescita culturale e formativa degli studenti, sviluppa le loro capacità<br />

personali <strong>di</strong> indagine, ricerca ed esposizione, promuove il loro senso civico,<br />

lo spirito <strong>di</strong> collaborazione e <strong>di</strong> iniziativa personale, il rispetto del patrimonio<br />

artistico e ambientale e la sua valorizzazione e <strong>di</strong>ffusione.<br />

Gli studenti, oltre ad approfon<strong>di</strong>re la conoscenza dei beni universali che<br />

la loro città racchiude, contribuiscono a far conoscere, stu<strong>di</strong>andoli e promuovendoli,<br />

siti archeologici <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso interesse, alcuni centrali e molto<br />

noti, altri periferici e più sconosciuti, ma tutti fondamentali per la costruzione<br />

della memoria storica, culturale ed umana della nostra collettività.<br />

In questo modo si costruisce un modello <strong>di</strong>dattico innovativo che vede la<br />

scuola più aperta al mondo e inserita in un contesto allargato in cui si con<strong>di</strong>vidono<br />

esperienze con la comunità esterna e si tende sempre più alla conservazione<br />

e alla valorizzazione dei beni artistici e storici del nostro patrimonio.<br />

Il Progetto rafforza il legame fra la Scuola e la Città, mettendola in<br />

stretto rapporto con i Municipi, le Sovrintendenze e le Associazioni Culturali,<br />

e si avvale del supporto e della specialistica collaborazione degli<br />

esperti della società Zetema “Progetto Cultura”, con i cui archeologi e storici<br />

dell’arte i nostri studenti si sono incontrati più volte nel loro percorso <strong>di</strong><br />

lavoro.<br />

Le metodologie attuate nello svolgimento del Progetto favoriscono e<br />

stimolano la partecipazione <strong>di</strong> più <strong>di</strong>scipline, da quelle letterarie a quelle<br />

scientifiche, a quelle espressive, che trovano forme <strong>di</strong> interscambio e coor<strong>di</strong>namento,<br />

articolando punti <strong>di</strong> osservazione <strong>di</strong>versi.<br />

Il gruppo <strong>di</strong> lavoro del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> è coor<strong>di</strong>nato dalla Prof.ssa M. Paola<br />

Maione, docente <strong>di</strong> materie letterarie, latino e greco e referente del Progetto,<br />

che si occupa <strong>di</strong> organizzare il lavoro all’interno della scuola, <strong>di</strong> rappresentare<br />

il raccordo fra l’Istituto e l’Amministrazione Comunale, <strong>di</strong> creare momenti<br />

e occasioni <strong>di</strong> collegamento con altri Istituti scolastici, con i responsabili<br />

dei siti archeologici e con gli esperti esterni preposti al Progetto.<br />

Concludendo, il presente Progetto consente agli studenti <strong>di</strong> conoscere e<br />

<strong>di</strong>ffondere i vari aspetti <strong>di</strong> Roma e scoprire l’identità <strong>di</strong> una città “aperta” a<br />

molteplici apporti culturali.<br />

– 308 –


FASE DEL PROGETTO 2004-<strong>2005</strong><br />

ADOZIONE: SITO MONUMENTALE SULLA VIA NOMENTANA<br />

COMPRENDENTE<br />

LA BASILICA E LE CATACOMBE DI SANTA AGNESE<br />

E IL MAUSOLEO DI SANTA COSTANZA<br />

La fase del Progetto 2004-<strong>2005</strong> si è conclusa con la pubblicazione e<br />

la <strong>di</strong>ffusione, nel mese <strong>di</strong> giugno <strong>2005</strong>, <strong>di</strong> un volume, scritto dalle Scuole<br />

aderenti al Progetto, intitolato: “Scopri <strong>di</strong> Roma il lato più tuo”, e<strong>di</strong>to da<br />

Palombi E<strong>di</strong>tori, nel quale è presente, fra gli altri, anche un breve saggio<br />

redatto dagli studenti del gruppo <strong>di</strong> lavoro del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> dal titolo: “Il<br />

Mausoleo <strong>di</strong> Santa Costanza, la Basilica <strong>di</strong> Santa Agnese fuori le mura e<br />

le Catacombe”.<br />

In tale saggio gli studenti parlano della loro esperienza <strong>di</strong>dattica, espongono<br />

le motivazioni della scelta <strong>di</strong> quel sito e le finalità del Progetto, descrivono<br />

i seguenti aspetti della zona monumentale:<br />

• l’architettura paleocristiana del Mausoleo e gli splen<strong>di</strong><strong>di</strong> mosaici in<br />

esso contenuti con la simbologia cristiana e la raffigurazione degli<br />

episo<strong>di</strong> della TRADITIO LEGIS e della TRADITIO CLAVIUM;<br />

• le Catacombe con il loro repertorio iconografico paleocristiano e la<br />

funzione <strong>di</strong> culto;<br />

• la Basilica <strong>di</strong> Santa Agnese del IV sec. con le mo<strong>di</strong>fiche apportate da<br />

Papa Onorio nel VII sec.;<br />

• lo Scalone Monumentale <strong>di</strong> accesso alla Basilica, ricco <strong>di</strong> preziosi<br />

reperti archeologici ed epigrafici;<br />

• l’Epigrafe <strong>di</strong> Papa Damaso, carme acrostico inciso in onore <strong>di</strong> Santa<br />

Agnese.<br />

Inoltre, nel saggio vengono proposti collegamenti inter<strong>di</strong>sciplinari con<br />

l’Età <strong>di</strong> Diocleziano e Costantino, contestualizzate storicamente e letterariamente,<br />

con lo stu<strong>di</strong>o agiografico delle martiri cristiane, approfon<strong>di</strong>to dalla<br />

ricerca delle testimonianze della DEPOSITIO MARTYRUM, della PASSIO<br />

GRECA e LATINA, del PERISTEPHANON <strong>di</strong> Prudenzio, dell’INNO<br />

AMBROSIANO AGNES BEATAE VIRGINIS e <strong>di</strong> passi tratti da Ammiano<br />

Marcellino, Lattanzio e Cipriano.<br />

Il saggio è corredato da materiale fotografico prodotto dagli alunni.<br />

A conclusione dell’attività svolta in questo sito archeologico gli studenti<br />

hanno effettuato visite guidate nei mesi <strong>di</strong> aprile (Natale <strong>di</strong> Roma) e<br />

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maggio (settimana dei Beni Culturali) <strong>2005</strong>, illustrando il sito ad altre classi<br />

del <strong>Liceo</strong>, ad utenti esterni e ai Funzionari del Dipartimento XI; hanno collaborato<br />

con gli alunni dell’I.I.S. M. Montessori <strong>di</strong> Via Livenza, che lavoravano<br />

nello stesso sito, e, infine hanno ricevuto la targa simbolica <strong>di</strong><br />

Adozione intestata al nostro <strong>Liceo</strong> consegnata nella cerimonia <strong>di</strong> chiusura<br />

dall’Assessore alle Politiche Scolastiche ed Educative.<br />

FASE DEL PROGETTO <strong>2005</strong>-2007<br />

ADOZIONE: LE TERME DI DIOCLEZIANO<br />

E LA BASILICA DI SANTA MARIA<br />

DEGLI ANGELI E DEI MARTIRI<br />

IN PIAZZA DELLA REPUBBLICA<br />

La fase del Progetto <strong>2005</strong>-2007 è ancora in corso, ma ha già prodotto dei<br />

risultati nella prima parte del suo svolgimento, infatti gli studenti partecipanti<br />

hanno effettuato una visita guidata il 21 aprile 2006 in cui hanno avuto<br />

come utenti anche gli alunni <strong>di</strong> alcune classi della Scuola Me<strong>di</strong>a Di Stefano<br />

<strong>di</strong> via Pintor con i loro insegnanti; inoltre stanno curando la registrazione <strong>di</strong><br />

una intervista televisiva che andrà in onda il 15 <strong>di</strong>cembre 2006 su TELE<br />

LAZIO, in cui riportano questa esperienza <strong>di</strong> lavoro progettuale svolta dal<br />

nostro liceo; infine hanno prodotto il saggio qui <strong>di</strong> seguito presentato.<br />

Si prevede <strong>di</strong> svolgere nel 2007 altra visita guidata e <strong>di</strong> pubblicare il<br />

secondo Volume del Progetto del Comune <strong>di</strong> Roma con i saggi <strong>di</strong> tutti gli<br />

Istituti partecipanti all’esperienza.<br />

La motivazione della scelta del sito monumentale delle Terme <strong>di</strong> Diocleziano<br />

e della loro successiva trasformazione nella michelangiolesca basilica<br />

<strong>di</strong> S. Maria degli Angeli e dei Martiri, con le ulteriori mo<strong>di</strong>fiche vanvitelliane,<br />

e i seguenti apporti otto e novecenteschi, è dovuta, oltre alla importanza<br />

del sito universalmente noto, soprattutto al fatto che la ricerca si basa<br />

sulle stratificazioni plurime tipiche dell’archeologia romana, che consentono<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare molteplici fasi artistiche, letterarie e storiche e lo stu<strong>di</strong>o si<br />

presta a prospettive e angolazioni <strong>di</strong>verse: dall’archeologia alla storia dell’arte,<br />

alle testimonianze dei classici della letteratura latina e greca, alla<br />

storia d’Italia, ai riferimenti alla matematica e alle scienze (per la Meri<strong>di</strong>ana)<br />

e all’epigrafia (per le deco<strong>di</strong>ficazioni).<br />

Il lavoro che segue si vuole proporre come una breve guida, con informazioni<br />

e spunti <strong>di</strong> riflessione, per chiunque si accinga a visitare il sito; si<br />

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tratta <strong>di</strong> un saggio redatto grazie al lavoro <strong>di</strong> equipe degli studenti del gruppo<br />

interclasse delle classi: I - II - III sez. C del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>, che lavorano a<br />

questo Progetto in orario extrascolastico con entusiasmo, impegno e senso <strong>di</strong><br />

collaborazione.<br />

Tale saggio è stato prodotto, per utenza scolastica, come sintesi e rielaborazione<br />

<strong>di</strong> ricerche bibliografiche effettuate e <strong>di</strong> molto materiale raccolto<br />

dall’Archivio Storico e dal sito internet della Basilica, fornitoci grazie alla<br />

preziosa collaborazione del Parroco, Rev. Monsignor Renzo Giuliano, e del<br />

Dottor Giuseppe Valeri, responsabile dell’Archivio, che hanno aiutato, incoraggiato<br />

e apprezzato (anche con una lettera <strong>di</strong> gratificazione pervenutaci nel<br />

maggio 2006) il lavoro dei nostri studenti e pazientemente accettato le loro<br />

“incursioni” culturali scolastiche e le visite guidate effettuate all’interno<br />

della gran<strong>di</strong>osa Basilica romana.<br />

A loro in particolare va il ringraziamento del nostro <strong>Liceo</strong>.<br />

PIAZZA DELLA REPUBBLICA<br />

La Basilica <strong>di</strong> Santa Maria degli Angeli ha il suo ingresso principale su<br />

Piazza della Repubblica, meglio conosciuta come Piazza Esedra. È una<br />

delle più belle piazze aperte a Roma dopo il 1870, la cingono a sud-ovest<br />

due palazzi a portici <strong>di</strong> G. KOCH (1896-1902), i quali ripetono, nell’andamento<br />

curvilineo e nell’ampiezza il perimetro interno della grande esedra<br />

delle TERME <strong>di</strong> DIOCLEZIANO e formano monumentale ingresso alla Via<br />

Nazionale. Al centro della piazza si può ammirare la bella Fontana delle<br />

Naia<strong>di</strong> che costituisce la mostra dell’Acqua Marcia, addotta da Quinto<br />

Marcio Re nel 144 a.C. dall’alta valle dell’Aniene presso Arsoli. La storia<br />

<strong>di</strong> questa fontana inizia nella seconda metà del secolo scorso, quando papa<br />

Pio IX impartì opportune <strong>di</strong>sposizioni per la ricostruzione dell’antico<br />

acquedotto Marcio: l’acqua, in onore del papa, fu denominata Acqua Pia.<br />

La prima mostra, costituita da una modesta vasca circolare a fior <strong>di</strong> terra,<br />

guizzante <strong>di</strong> zampilli sovrastati da quello centrale più potente, era priva<br />

<strong>di</strong> qualsiasi ornamento architettonico o scultoreo e fu posta, alla presenza<br />

del pontefice, presso l’allora piazza Termini, dove è oggi il monumento<br />

ai caduti <strong>di</strong> Dogali. Nel 1855, con l’approvazione del Piano Regolatore e<br />

l’avvio <strong>di</strong> importanti lavori <strong>di</strong> ristrutturazione urbana, venne decisa la<br />

sistemazione della grande piazza dell’Esedra e fu stabilito che la definitiva<br />

mostra dell’Acqua Marcia dovesse sorgere al centro della piazza stessa, a<br />

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sfondo dell’asse <strong>di</strong> via Nazionale. Nel 1888, nell’area designata, venne<br />

costruita l’attuale fontana, su <strong>di</strong>segno dell’ingegnere Guerrieri: quattro<br />

modesti leoni “<strong>di</strong> gesso” furono sistemati sulla fontana, in occasione della<br />

visita a Roma dell’imperatore <strong>di</strong> Germania. Doveva essere una sistemazione<br />

provvisoria, ma vi rimasero ben tre<strong>di</strong>ci anni. Nel 1897, fu approvato<br />

il progetto per l’allestimento della fontana <strong>di</strong> Mario Rutelli, che preparò<br />

quattro colossali gruppi bronzei, raffiguranti quattro ninfe, ognuna <strong>di</strong> esse<br />

sdraiata su un animale acquatico, che simboleggiava l’acqua nelle sue<br />

<strong>di</strong>verse forme: un cavallo marino per la Ninfa degli Oceani, un serpente<br />

d’acqua per la Ninfa dei Fiumi, un cigno per la Ninfa dei Laghi, una<br />

lucertola per la Ninfa dei fiumi sotterranei. Nel 1912, sempre ad opera del<br />

Rutelli, fu aggiunto il gruppo centrale del Glauco (alto 5 metri) che simboleggia<br />

la dominazione dell’uomo sulla forza bruta della natura. È costituito<br />

da un uomo nudo, <strong>di</strong> struttura atletica, che stringe, tra le braccia vigorose,<br />

un guizzante delfino, dalla cui bocca si eleva, altissimo, un getto d’acqua<br />

che ricade sui numerosi zampilli laterali con magnifico effetto, pari all’effetto<br />

spen<strong>di</strong>do che produce, <strong>di</strong> sera, la piazza, abbellita dalla sapiente<br />

illuminazione notturna.<br />

ORIGINE E SVILUPPO<br />

DELLE TERME A ROMA<br />

(TRAMITE LO STUDIO DEGLI SCRITTI DEI GRANDI AUTORI LATINI)<br />

Seppur <strong>di</strong> derivazione ellenistica, le terme sono <strong>di</strong>venute col passare del<br />

tempo uno dei principali “habitus” della romanità. In Roma infatti i primi<br />

bagni pubblici apparvero a partire dalla fine del III secolo a.C., traendo <strong>di</strong>retta<br />

ispirazione dal ginnasio greco; inizialmente costituivano una semplice<br />

alternativa alle abluzioni casalinghe, effettuate in “lavatrinae” (ambienti <strong>di</strong><br />

ridotte <strong>di</strong>mensioni, poco luminosi e generalmente posti in prossimità delle<br />

cucine per sfruttarne il calore emesso, secondo la descrizione contenuta<br />

nella LXXXVI delle “Epistulae morales ad Lucilium” <strong>di</strong> Seneca). In un secondo<br />

momento invece la vastissima <strong>di</strong>ffusione che videro le terme a Roma<br />

determinò la quasi totale scomparsa delle “lavatrinae”, e con queste ultime<br />

il carattere privato del bagno. Era prerogative delle sole classi più agiate<br />

avere all’interno della propria “villa” o “domus” bagni privati, formati però<br />

da pochi ambienti. Al contrario le terme pubbliche erano aperte a tutti:<br />

uomini, donne, anziani, bambini, schiavi...<br />

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DEGENERAZIONE DELLE TERME<br />

Già a partire dal II secolo a.C. nei bagni pubblici vi era la tendenza ad<br />

associare al momento del bagno l’esercizio fisico: compaiono nelle terme le<br />

prime figure <strong>di</strong> maestri <strong>di</strong> ginnastica. Di conseguenza con il passare del<br />

tempo i “balnea” persero la loro funzione <strong>di</strong> luoghi esclusivamente finalizzati<br />

all’igiene e alla pulizia del corpo per <strong>di</strong>venire dei veri e propri centri<br />

ricreativi polifunzionali. La maggior parte delle terme includeva palestre,<br />

biblioteche, teatri, ristoranti... erano una città nella città, costituivano il principale<br />

luogo <strong>di</strong> incontro per la popolazione romana. Ma a tale ampliamento<br />

della funzione delle terme corrispose una graduale degenerazione degli<br />

e<strong>di</strong>fici termali dove gli elementi decorativi e quin<strong>di</strong> inutili all’architettura del<br />

luogo erano <strong>di</strong> gran lunga maggiori rispetto a quelli strettamente funzionali:<br />

“Quantum statuari, quantum columnarum est nihil sustinientium sed in<br />

ornamentum positarum impensae causa!” (Quante statue, quante colonne<br />

che non sostengono niente, ma sono solo elemento ornamentale e <strong>di</strong>mostrazione<br />

della spesa sostenuta!) (Seneca, Epistulae 86.7).<br />

Ed è sempre Seneca che tramite un confronto tra i “mores Scipionis ac<br />

nostros”, i costumi <strong>di</strong> P. Cornelio Scipione Africano e quelli della Roma del<br />

I secolo d.C., sottolinea i profon<strong>di</strong> mutamenti che le terme hanno subito.<br />

Infatti “ex consuetu<strong>di</strong>ne antiqua” le terme erano anguste e oscure,<br />

“balneolum angustum, tenebricosum...”.<br />

Inoltre se “At olim et pauca erant balnea nec ullo cultu exornata” (Ma<br />

un tempo i bagni erano pochi e <strong>di</strong>sadorni), adesso invece sono considerati<br />

poveri “nisi parietes magnis et pretiosis orbibus refulserunt, nisi Alexandrina<br />

marmora Numi<strong>di</strong>cis crustis <strong>di</strong>stincta sunt, nisi illis un<strong>di</strong>que operosa<br />

et in picturae modum variata circumlitio praetexitur...” (Se le pareti non risplendono<br />

<strong>di</strong> gran<strong>di</strong> e preziosi specchi, se i marmi alessandrini non sono<br />

adornati <strong>di</strong> rivestimenti numi<strong>di</strong>ci e la vernice, data con perizia e varia come<br />

un <strong>di</strong>pinto, non li ricopre da ogni parte...).<br />

Interessante è la netta contrapposizione tra le “minimae... fenestrae”<br />

della lavatrina <strong>di</strong> Scipione e le “fenestris amplissimis” dei contemporanei<br />

bagni pubblici, che paradossalmente consentono <strong>di</strong> vedere contemporaneamente<br />

la campagna e il mare (“agros ac maria prospiciunt”).<br />

A sottolineare la completa degenerazione dei balnea possiamo anche<br />

citare la temperatura delle terme del I sec. d.C. “similis incen<strong>di</strong>o” a <strong>di</strong>ffe-<br />

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enza <strong>di</strong> quella giusta e salubre, tipica delle antiche lavatrine:<br />

“Utilem ac salubrem temperaturam” (Seneca, Epistulae 86.4-12).<br />

Le terme <strong>di</strong>vennero inoltre luogo <strong>di</strong> ostentazione della propria ricchezza.<br />

Infatti i più facoltosi vi si recavano accompagnati da moltissimi servi, massaggiatori,<br />

untrici..., maggiore era il numero <strong>di</strong> questi, maggiore la ricchezza<br />

del signore.<br />

Assistiamo ad esempio nel Satyricon <strong>di</strong> Petronio all’entrata <strong>di</strong> Trimalchione,<br />

uno dei personaggi principali del famoso romanzo latino, alle terme<br />

accompagnato da numerosi schiavi:<br />

“Intravimus balneum... Tres interim latraliptae... phaleratis cursoribus<br />

quattuor...” (tre massaggiatori... quattro lacché in livrea...) (Satyricon 28.4<br />

Petronio).<br />

E proprio nelle terme del I secolo ad.C. che lo stesso Seneca in<strong>di</strong>vidua<br />

una delle cause principali della degenerazione dei costumi in Roma:<br />

“Tanta incre<strong>di</strong>bilium vitiorum copia” (Seneca, De Brevitate Vitae 12.7).<br />

LA FREQUENTAZIONE DELLE TERME<br />

La frequenza<br />

Inizialmente, anche in età repubblicana, non si riteneva necessario più<br />

<strong>di</strong> un bagno ogni otto giorni:<br />

“Non coti<strong>di</strong>e lavabatur” (Seneca, Epistulae 86.12).<br />

Si assiste invece più tar<strong>di</strong>, verso la fine del II secolo d.C., a veri e propri<br />

eccessi, come nel caso dell’imperatore Gor<strong>di</strong>ano I (238 d.C.), il quale si<br />

lavava quattro o cinque volte al giorno in estate, e due in inverno(!):<br />

“Lavan<strong>di</strong>, ita ut et et lavaret”, (Adriano, Historia Augusta Gor<strong>di</strong>ani 6.6).<br />

Lo stesso Cicerone condannerà questa intemperanza invitando ad amare<br />

la pulizia, non affettata né ricercata, ma quanto basta per schivare la rustica<br />

e incivile trascuratezza:<br />

“Adhibenda praeterea mun<strong>di</strong>tia est non o<strong>di</strong>osa neque exquisita nimis,<br />

tantum quae fugiat agrestem et inhumanam neglegentiam”. (De Officiis<br />

1.130 Cicerone)<br />

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E<strong>di</strong>fici separati per uomini e donne<br />

Di rilievo è la questione riguardante la separazione <strong>di</strong> ambienti destinati<br />

alle donne e agli uomini nelle terme. I primi e<strong>di</strong>fici termali con strutture<br />

separate apparvero a partire dal II secolo a.C. come attesta Varrone nel<br />

“De lingua latina”, ma fino all’età <strong>di</strong> Adriano (117-138) tale separazione non<br />

verrà rispettata: è forte infatti il <strong>di</strong>ssenso <strong>di</strong> autori come Cicerone, Quintiliano<br />

e Plinio il Vecchio.<br />

Cicerone arriverà perfino a sostenere la separazione nel momento del bagno<br />

non solo tra uomini e donne, ma anche tra figli e padri, tra generi e suoceri,<br />

riaffermando un principio a lui molto caro: la “verecun<strong>di</strong>a” (pu<strong>di</strong>cizia):<br />

“Nostro quidem more cum parentibus puberes filii, cum soceris generi<br />

non lavantur”. (Cicerone, De Officis 1.129)<br />

Quintiliano definirà ad<strong>di</strong>rittura adultere le donne che si lavano con gli<br />

uomini:<br />

“Nam si est signum adulterae lavari cum viris” (Quintiliano, Institutio<br />

Oratoria 5.9.14)<br />

Anche Marziale si pronuncia su tale questione ma con un tono completamente<br />

<strong>di</strong>verso, con epigrammi licenziosi, pronunciandosi a favore dei<br />

“communia balnea”, poiché la donna nuda è bellissima (!):<br />

“Pulcherrima nuda es”. (Marziale, Epigrammata 3.72)<br />

Solo con Adriano tale situazione mutò. Egli infatti emise una vera e<br />

propria legge come attesta Adriano nella omonima Vita: “pro sexibus”. Sarà<br />

Marco Aurelio a riconfermare tale legge: “mixta”. Ed anche la chiesa, nel<br />

concilio <strong>di</strong> Lao<strong>di</strong>cea del 320 d.C., si pronuncerà a favore della separazione<br />

delle strutture femminili e maschili.<br />

L’importanza che, nonostante tutto, ebbero i bagni pubblici a Roma è<br />

attestata dal seguente epitaffio <strong>di</strong> età imperiale:<br />

“Balnea vina venus corrumpunt corpora nostra sed vitam faciunt”.<br />

In età romana gli e<strong>di</strong>fici pubblici (come ci <strong>di</strong>ce Vitruvio nel trattato “De<br />

Architectura”) dovevano rispettare tre requisiti: quello <strong>di</strong> firmitas (soli<strong>di</strong>tà),<br />

<strong>di</strong> utilitas (utilità) e <strong>di</strong> venustas (bellezza). Dovevano cioè essere resistenti<br />

(vi erano leggi molto severe in merito), dotati <strong>di</strong> una struttura agevole e<br />

basati su canoni <strong>di</strong> simmetria ed equilibrio.<br />

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Gli e<strong>di</strong>fici termali venivano costruiti da notabili, magistrati, senatori o<br />

imperatori: gente facoltosa che poteva permettersi il grande onere. Occuparsi<br />

della costruzione delle terme dava però grande prestigio ed era un<br />

modo per conquistare il favore del popolo. I balnea venivano gestiti <strong>di</strong>rettamente<br />

dal costruttore o venivano dati in appalto (locatio) a un impresario<br />

(conductor), che pagava al proprietario una somma determinata e aveva una<br />

ren<strong>di</strong>ta dalle tariffe <strong>di</strong> ingresso. Molte persone lavoravano all’interno delle<br />

terme: troviamo ad esempio la figura del capsarius, custode d’ingresso e<br />

addetto al guardaroba; il fornacator, addetto al riscaldamento; l’unctor,<br />

addetto al massaggio e alle unzioni; l’alipilus, addetto alla depilazione.<br />

In età imperiale, più precisamente a metà del IV secolo, c’erano a Roma<br />

ben un<strong>di</strong>ci gran<strong>di</strong> stabilimenti termali e più <strong>di</strong> novecento balnea. Le prime<br />

gran<strong>di</strong> terme furono fatte costruire nel 33 a.C. nel Campo Marzio dall’allora<br />

e<strong>di</strong>le Agrippa. Poi furono inaugurate quelle <strong>di</strong> Nerone nel 62 d.C., quelle<br />

<strong>di</strong> Traiano nel 109 d.C. Sull’Aventino, dove abitavano gli aristocratici del<br />

tempo, c’erano due piccoli ma eleganti stabilimenti: le Thermae Surae e<br />

quelle Decianae. Le famigerate terme <strong>di</strong> Caracalla furono costruite tra<br />

il 212 e il 217, mentre le più gran<strong>di</strong> <strong>di</strong> tutte, quelle <strong>di</strong> Domiziano, furono<br />

e<strong>di</strong>ficate tra il 298 e il 306, nei pressi dei Castra Praetoria e delle porte<br />

urbane della Via Nomentana e della Via Salaria.<br />

GLI AMBIENTI DELLE TERME<br />

Il caldarium (o calidarium)<br />

Il calidarium era la stanza a<strong>di</strong>bita al bagno caldo. La pianta <strong>di</strong> esso poteva<br />

assumere forme <strong>di</strong>verse a seconda della grandezza e dell’importanza<br />

delle terme (pianta rettangolare con un abside su uno dei lati corti o piante<br />

più complesse movimentate a absi<strong>di</strong> e nicchie). Tre erano gli elementi<br />

essenziali per lo svolgimento del bagno caldo: il sistema <strong>di</strong> riscaldamento,<br />

la vasca per il bagno ad immersione (alveus) e la fontana per le abluzioni<br />

fredde (labrum).<br />

L’alveus era costruito in muratura, rivestita <strong>di</strong> marmo. La sua lunghezza<br />

non doveva essere inferiore a m 1.80; la larghezza coincideva usualmente<br />

con quella dell’ambiente in cui era inserito. Il parapetto a gra<strong>di</strong>ni doveva<br />

essere abbastanza spesso (almeno 60 cm) da poter reggere la spinta dell’acqua;<br />

lungo le pareti interne della vasca correvano uno o più gra<strong>di</strong>ni, in<br />

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modo che i bagnanti potessero sedersi nell’acqua calda. L’alveus era riscaldato<br />

da un prefurnio sottostante ad esso; l’acqua calda proveniente dalla<br />

caldaia arrivava nella vasca per mezzo <strong>di</strong> fistole <strong>di</strong> piombo. Per mantenere<br />

costante la temperatura dell’acqua venne inserito nella muratura tra l’alveus<br />

ed il prefurnio una testudo (una caldaia a forma <strong>di</strong> testuggine). Si trattava <strong>di</strong><br />

un semicilindro <strong>di</strong> bronzo riscaldato dall’aria calda del prefurnio; l’acqua<br />

raffreddata nella vasca vi passava attraverso, tornando a riscaldarsi. Era<br />

inoltre possibile fare bagni singoli, ma non ad immersione: vi erano delle<br />

bocche in<strong>di</strong>pendenti d’acqua calda, munite <strong>di</strong> rubinetti, poste lungo le pareti.<br />

Dopo il bagno caldo era necessario rinfrescarsi. Nell’estremità opposta della<br />

stanza, nell’abside, era collocato il labrum. In questo bacino arrivava continuamente<br />

acqua fredda, addotta da una fistola apposita. Vasche e pavimenti<br />

potevano essere rivestiti da lastre <strong>di</strong> metallo per mantenere il calore. Per ovvi<br />

motivi <strong>di</strong> sfruttamento del calore naturale il caldarium era orientato a Sud-<br />

Ovest, in modo che i raggi del sole provenienti da Ovest battessero sulla<br />

stanza (le terme erano frequentate soprattutto nel pomeriggio). I caldaria<br />

erano spesso illuminati (e riscaldati) dalla luce che entrava da finestre <strong>di</strong><br />

varie <strong>di</strong>mensioni, inserite al <strong>di</strong> sopra delle pareti o nelle volte. L’introduzione<br />

dei vetri da finestra, avvenuta nei primi decenni del I secolo d.C., rese possibile<br />

l’entrata della luce nell’ambiente senza <strong>di</strong>spersione <strong>di</strong> calore.<br />

Il tepidarium<br />

Il tepidarium, o cella tepidaria, era un ambiente a temperatura me<strong>di</strong>a, <strong>di</strong><br />

norma utilizzato come sala <strong>di</strong> passaggio fra gli ambienti a temperatura alta<br />

(calidarium) e bassa (frigidarium); il tepidarium era usato anche come stanza<br />

per le unzioni. L’ambiente era riscaldato per mezzo <strong>di</strong> bracieri sino alla fine<br />

del II-inizio I secolo a.C., quando fu introdotto il sistema hypocaustum (intercape<strong>di</strong>ni<br />

parietali). Talvolta all’interno era collocata una vasca in cui vi si<br />

trovava acqua tiepida, riscaldata da una caldaia (testudo). Secondo Celso (De<br />

me<strong>di</strong>cina 1.4) i frequentatori si ungevano nel tepidarium prima <strong>di</strong> accedere al<br />

calidarium. Gli arre<strong>di</strong> tipici dei tepidaria erano i bracieri e le panche. Il tepidarium,<br />

come gli altri ambienti termali, era <strong>di</strong> norma decorato.<br />

Il frigidarium<br />

Il frigidarium era l’ambiente riservato ai bagni fred<strong>di</strong>. Ad esso si accedeva,<br />

<strong>di</strong> norma, dopo le sale riscaldate, e dopo la pausa nel tepidarium, per<br />

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permettere al corpo <strong>di</strong> abituarsi progressivamente ad una temperatura più rigida.<br />

Nell’antichità il bagno freddo era vivamente consigliato: dopo aver<br />

fatto un bagno caldo era necessario bagnarsi con acqua fredda per detergere<br />

il sudore e fortificare il corpo. La pianta poteva essere circolare, circolare<br />

con absi<strong>di</strong>, raramente rettangolare, o, come accadeva nelle gran<strong>di</strong> terme imperiali<br />

delle province romane, con forme più articolate. Nel frigidarium si<br />

trovava una vasca d’acqua fredda, riservata ai bagni ad immersione; la sua<br />

forma poteva variare da rettangolare, a circolare, anche con absi<strong>di</strong>. All’interno<br />

la vasca aveva gra<strong>di</strong>ni che permettevano una comoda <strong>di</strong>scesa e che<br />

venivano utilizzati anche come se<strong>di</strong>li. Il bacino ed i gra<strong>di</strong>ni potevano essere<br />

rivestiti <strong>di</strong> marmo, mentre il pavimento era spesso ricoperto <strong>di</strong> mosaici. Nei<br />

complessi termali si trovava frequentemente anche una piscina per nuotare<br />

(natatio), <strong>di</strong> solito annessa ad una palestra. A Roma la natatio era sempre<br />

presente: situata accanto al frigidarium,la sua facciata aveva un aspetto monumentale,<br />

con nicchie per statue, giochi d’acqua, etc. La copertura era<br />

spesso costituita da una cupola con la volta a crociera come è tuttora visibile<br />

nella basilica <strong>di</strong> S. Maria degli Angeli, dove un tempo sorgevano le imponenti<br />

Terme <strong>di</strong> Diocleziano. L’illuminazione dell’ambiente era assicurata<br />

da un lucernario al centro della cupola e dalle finestre nelle pareti. Il frigidarium<br />

presentava <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> decorazione, quali pitture parietali, rivestimenti<br />

in stucco o marmi; il pavimento era spesso ricoperto <strong>di</strong> mosaici.<br />

BREVE CRONOLOGIA E NOTIZIE STORICHE<br />

SULLE TERME DI DIOCLEZIANO<br />

E LA CHIESA DI S. MARIA DEGLI ANGELI<br />

Nell’area pianeggiante dove le colline del Quirinale e del Viminale si<br />

<strong>di</strong>vidono, sorgono i resti delle Terme <strong>di</strong> Diocleziano. Prima della costruzione<br />

delle terme, venne livellato il terreno e vennero demoliti numerosi<br />

e<strong>di</strong>fici.<br />

298 d.C. - Iniziano i lavori ad opera <strong>di</strong> Diocleziano e dureranno circa 7-<br />

8 anni (305-306 d.C.): le terme occuperanno circa 356×316m ed ospiteranno,<br />

stando alle fonti, 3000 persone.<br />

537 d.C. - Il taglio degli acquedotti ad opera <strong>di</strong> Vitige durante la guerra<br />

greco-gotica decreta la fine dell’utilizzo delle terme e l’inizio della sua spoliazione.<br />

Vengono inoltre aperte sotto le fondamenta dell’e<strong>di</strong>ficio delle cave<br />

<strong>di</strong> pozzolana che ne minacciano la staticità.<br />

– 318 –


Inizi del XVI sec. - Giuliano da Sangallo e Baldassarre Peruzzi realizzarono<br />

progetti per la trasformazione degli ambienti centrali delle terme in<br />

chiesa. Intanto tali spazi sono utilizzati come sala <strong>di</strong> equitazione ad uso dei<br />

giovani aristocratici romani.<br />

1541 - Il sacerdote siciliano Antonio Del Duca, venuto a Roma per<br />

costruire una chiesa de<strong>di</strong>cata agli Angeli, ha una visione che gli suggerisce<br />

<strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficare tale luogo nelle decadute terme, ma non viene accontentato<br />

dagli allora papi Leone X e Giulio III.<br />

1555 - Parte degli Horti Belleiani si installano nel lato Sud-Ovest del<br />

recinto delle terme.<br />

27 luglio 1561 - Finalmente papa Pio IV avvia i lavori per la costruzione<br />

delle chiesa <strong>di</strong> Santa Maria degli Angeli, commissionati a Michelangelo.<br />

1564 - Muore Michelangelo e pochi mesi dopo Antonio Del Duca.<br />

1565 - Iniziano i lavori per la costruzione del chiostro ad opera dei Certosini.<br />

Fino al 1600 viene realizzata la pavimentazione della chiesa, vengono<br />

sistemate numerose cappelle, etc.<br />

1700 - Nell’anno giubilare vengono fatte le più gravi alterazioni e viene<br />

chiuso l’accesso michelangiolesco.<br />

1727 - Vengono tradotte nella chiesa le pale d’altare della basilica vaticana<br />

che vengono tradotte in mosaico.<br />

1749 - Al Vanvitelli vengono affidati i lavori <strong>di</strong> rior<strong>di</strong>no e ampliamento<br />

della basilica dal car<strong>di</strong>nale Bichi. Con l’occasione viene girato l’asse delle<br />

chiesa ed il suo orientamento.<br />

1809-1814 - Durante l’occupazione francese <strong>di</strong> Napoleone il chiostro<br />

(la Certosa) è a<strong>di</strong>bito a caserma.<br />

1863 - Viene costruita la stazione Termini.<br />

1885 - Viene realizzata la moderna piazza su <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> G. Koch, che<br />

rispetta l’andamento dell’esedra con la Fontana delle Nerei<strong>di</strong> del Guerrieri<br />

(1888).<br />

1911 - Viene smantellata la facciata vanvitelliana per mettere in mostra<br />

la nicchia del calidarium.<br />

2006 - Vengono realizzate delle nuove porte in bronzo sulla facciata<br />

della chiesa.<br />

– 319 –


LE PORTE DI BRONZO DI IGOR MITORAJ<br />

La cerimonia <strong>di</strong> inaugurazione delle nuove porte <strong>di</strong> bronzo della BASI-<br />

LICA, scolpite dallo scultore polacco IGOR MITORAJ, in sostituzione delle<br />

precedenti porte lignee, è avvenuta il 26 febbraio 2006, alla presenza delle<br />

più alte cariche religiose e civili dello stato, essendo la Basilica la Chiesa<br />

Ufficiale dello Stato Italiano.<br />

IGOR MITORAJ polacco, è uno dei maggiori esponenti della scultura <strong>di</strong><br />

questi ultimi decenni. Attualmente vive e lavora a Pietrasanta (Lucca).<br />

Forza e leggerezza si mescolano nelle sue sculture in un perfetto equilibrio.<br />

Un’altra famosa scultura romana del MITORAJ è la Fontana con statua<br />

<strong>di</strong> travertino alta 6 metri della DEA ROMA, situata in Piazza Monte Grappa,<br />

all’inizio <strong>di</strong> Viale Mazzini.<br />

Porta <strong>di</strong> destra: ANNUNCIAZIONE<br />

Ha come tema il mistero dell’Annunciazione dell’Angelo a Maria<br />

Vergine: un angelo dall’alto (anta sinistra) e Maria in ascolto (anta destra).<br />

Uno sfondo <strong>di</strong>ffuso fa intravedere lo spazio del mondo. Sulla lunetta, in<br />

maniera sobria e sparsa, alcune figure che evidenziano la presenza degli<br />

Angeli: figure <strong>di</strong> sole teste, a volte bendate e un corpo giovanile privo del<br />

capo. In fondo la porta è attraversata dalla scritta: Ecce ancilla domini fiat<br />

mihi secundum verbum tuum.<br />

Porta <strong>di</strong> sinistra: RESURREZIONE<br />

Anta sinistra<br />

Simbolizza il Cristo Risorto, rappresentato da una figura che porta<br />

incisa nel corpo una Croce, segno <strong>di</strong> naturale amalgama e <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione.<br />

La figura del Cristo Risorto si fa tutt’uno con la Croce che penetra in<br />

profon<strong>di</strong>tà nel suo stesso corpo, la Resurrezione è vista come il trionfo della<br />

Croce sulla Morte e sul Male. Gesù è concepito come una figura giovane e<br />

bella, ormai purificata dalle sofferenze. In fondo una testa bendata e la palma<br />

<strong>di</strong> una mano. Anche qui, sulla lunetta, figure sobrie e sparse intendono rappresentare<br />

i Martiri.<br />

Anta destra<br />

In fondo, due teste bendate e sopra la firma dell’artista: Igor Mitoraj,<br />

A.D. (nell’Anno del Signore <strong>2005</strong>).<br />

– 320 –


I pannelli sono sostanzialmente lisci, ma il bronzo ha splen<strong>di</strong>de sfumature<br />

<strong>di</strong> patine <strong>di</strong>fferenti: una verde, una color ruggine e una terracotta.<br />

Le figure nelle lunette richiamano così il titolo della Basilica: Angeli e<br />

Martiri. All’interno <strong>di</strong> ambedue le porte, gran<strong>di</strong> figure intere <strong>di</strong> “Arcangeli”.<br />

Nei battenti per l’apertura, due piccole teste bendate, ravvicinate.<br />

Nell’interno della Basilica, nei mesi <strong>di</strong> febbraio e marzo 2006 è stata<br />

allestita una dettagliata mostra “Gli Stu<strong>di</strong> Preparatori delle Genesi delle<br />

Porte degli Angeli”, ricca <strong>di</strong> materiale scultoreo e fotografico dello scultore.<br />

Emerge molto chiaramente, in queste opere, la tecnica scultorea che per<br />

certi aspetti riprende e ripropone, in un continuum straor<strong>di</strong>nario, il messaggio<br />

del “finito-non finito” michelangiolesco.<br />

ANTONIO LO DUCA<br />

La Basilica <strong>di</strong> Santa Maria degli Angeli e dei Martiri si deve soprattutto<br />

alla volontà incrollabile <strong>di</strong> Antonio Lo Duca (Duca o Del Duca), sacerdote<br />

siciliano, nato a Cefalù nel 1491 e morto a Roma nel 1564, devoto al culto<br />

degli angeli. A questo culto si era votato fin da quando (1513-15), nominato<br />

maestro <strong>di</strong> canto della cattedrale <strong>di</strong> Palermo, aveva scoperto nella chiesetta<br />

<strong>di</strong> Sant’Angelo, ove si radunava con i chierici per tale insegnamento, un antico<br />

<strong>di</strong>pinto dei Sette Principi degli Angeli riemerso quasi per miracolo<br />

dopo secoli d’incuria. Venuto a Roma, sembra nel 1572, con la segreta<br />

intenzione <strong>di</strong> ottenere il riconoscimento della devozione ai Sette Principi<br />

angelici, <strong>di</strong>venne cappellano del car<strong>di</strong>nale A. Del Monte, zio del futuro<br />

Papa Giulio III, con il quale con<strong>di</strong>vise tale culto e per il quale compose la<br />

Messa dei Sette Angeli.<br />

Dopo la morte del suo protettore (1533), Antonio fu fino al 1537 cappellano<br />

del conte Cifuentes, ambasciatore dell’Imperatore Carlo V. In questi<br />

anni cercò invano <strong>di</strong> fare approvare ufficialmente la Messa dei Sette Angeli.<br />

Anche il suo intervento presso Papa Paolo III Farnese fu vano; da lui ricevette<br />

soltanto cariche e prebende che lo riportarono alla natia Sicilia. Dopo<br />

un breve periodo, ritornò nuovamente a Roma dove <strong>di</strong>venne cappellano in<br />

Santa Maria <strong>di</strong> Loreto al Foro <strong>di</strong> Traiano.<br />

Qui, un mattino d’estate del 1541, ebbe una visione straor<strong>di</strong>naria: vide<br />

“una luce più che neve bianca” scaturire dalle rovine delle Terme <strong>di</strong> Diocleziano<br />

con al centro i Sette Martiri (Saturnino, Ciriaco, Largo, Smaragdo,<br />

Sisinnio, Trasone e Marcello papa) collegati alla costruzione dell’immensa<br />

– 321 –


fabbrica. Da questa visione Antonio ebbe la certezza che un tempio de<strong>di</strong>cato<br />

ai sette Angeli doveva sorgere proprio in quelle maestose rovine termali.<br />

Recatosi nel luogo della visione, segnò col nome dei sette Angeli (Michele,<br />

Raffaele, Gabriele, Jeu<strong>di</strong>ele, Salatiele, Barachiele e Uriele) le colonne della<br />

grande sala dell’antico tepidarium. Cominciò così a delinearsi l’idea <strong>di</strong> trasformare<br />

la grande sala in una chiesa da de<strong>di</strong>care ai Sette Angeli e ai Sette<br />

Martiri. Il solerte Antonio incominciò subito a pensare all’e<strong>di</strong>ficazione, ma<br />

invano inoltrò suppliche all’allora pontefice Paolo III.<br />

Si conserva una lettera <strong>di</strong> Antonio del Duca alla Signora Lucrezia<br />

Rovere-Colonna perché intercedesse da Paolo III il permesso <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care al<br />

culto cristiano l’aula centrale delle Terme <strong>di</strong> Diocleziano.<br />

Nel 1543, dopo un pellegrinaggio alla Santa Casa <strong>di</strong> Loreto, recatosi a<br />

Venezia per far stampare il libretto con la sua Messa, le orazioni e le immagini<br />

angeliche, si fece <strong>di</strong>pingere un quadro con la Vergine tra i Sette Angeli,<br />

copia <strong>di</strong> un mosaico esistente nella Basilica <strong>di</strong> San Marco, che adorna oggi<br />

il centro dell’abside <strong>di</strong>etro l’altare maggiore della nostra Basilica. Tornato a<br />

Roma ed accettato il rettorato degli Orfanelli <strong>di</strong> Santa Maria in Aquiro, continuò<br />

a frequentare le Terme sempre con l’idea <strong>di</strong> trasformarle in Chiesa, ma<br />

inutilmente propose a Paolo III la consacrazione della gran<strong>di</strong>osa fabbrica<br />

alla “Beatissima Vergine dei Sette Arcangeli” e la creazione <strong>di</strong> un collegio<br />

per gli orfanelli.<br />

Fu alla morte <strong>di</strong> Papa Farnese che il nuovo pontefice Giulio III Del<br />

Monte, amico <strong>di</strong> Antonio fin dai tempi in cui era stato cappellano dello zio,<br />

nel 1550 or<strong>di</strong>nò al Vicario <strong>di</strong> Roma, monsignore Filippo Archinto, che fu<br />

poi Arcivescovo <strong>di</strong> Milano, <strong>di</strong> firmare il decreto <strong>di</strong> consacrazione della<br />

Chiesa con il titolo <strong>di</strong> Santa Maria dei Sette Angeli. Il vescovo <strong>di</strong> Sebaste<br />

bene<strong>di</strong>sse e consacrò il nuovo tempio.<br />

L’entusiasmo per la realizzazione del suo sogno, però, fu infranto dai<br />

nipoti del papa che scacciarono Antonio dalle Terme, facendole <strong>di</strong>ventare<br />

loro terreno <strong>di</strong> caccia e luogo <strong>di</strong> maneggio per i cavalli.<br />

Dopo il breve pontificato (22 giorni) <strong>di</strong> Marcello II e quello <strong>di</strong> Paolo IV<br />

Carafa, il nuovo pontefice Pio IV Me<strong>di</strong>ci realizzò finalmente nella maniera<br />

più maestosa e solenne il sogno <strong>di</strong> Antonio. Con una Bolla datata 27 Luglio<br />

1561, il Papa or<strong>di</strong>nava, infatti, la nascita <strong>di</strong> una chiesa nelle antiche Terme<br />

<strong>di</strong> Diocleziano, che intitolava alla “Beatissimae Virgini et omnium Angelorum<br />

et Martyrum”.<br />

– 322 –


LA BASILICA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI E DEI MARTIRI<br />

Fu Pio IV, Giovan Angelo de’ Me<strong>di</strong>ci (1559-1565) che accolse il travagliato<br />

desiderio del sacerdote, non essendo questi riuscito a convincere i<br />

quattro papi cui si era rivolto e che avevano preceduto Pio IV, a costruire<br />

una chiesa entro le Terme <strong>di</strong> Diocleziano.<br />

Della costruzione fu incaricato il grande Michelangelo, ormai 86enne,<br />

che ne stese il progetto ed ebbe la felice intuizione <strong>di</strong> lasciare intatte le<br />

strutture romane dell’aula rettangolare delle Terme (per alcuni archeologi si<br />

sarebbe trattato dell’antico Tepidarium, per altri del Frigidarium). Per creare<br />

l’abside il <strong>di</strong>segno prevedeva <strong>di</strong> utilizzare la “natatio” (o piscina scoperta ad<br />

acqua fredda).<br />

Alla morte del grande architetto, avvenuta il 18 febbraio 1564, i lavori<br />

non erano ancora terminati ma furono continuati dal suo allevo, Jacopo Del<br />

Duca, nipote del propugnatore del culto degli angeli, il quale trovò il modo<br />

<strong>di</strong> dare il suo parere sulla forma della chiesa da inserire entro il Tepidarium<br />

(o Frigidarium che <strong>di</strong>r si voglia) delle Terme. Naturalmente Antonio Lo<br />

Duca fu guidato da un principio simbolico e mistico, ma comunque il desiderio<br />

<strong>di</strong> de<strong>di</strong>care sette cappelle agli angeli da un lato e sette cappelle ai martiri<br />

dal lato opposto, poneva con chiarezza il principio della chiesa a navata<br />

unica con cappelle laterali ed affermava la necessità <strong>di</strong> estendere oltre i<br />

limiti del tepidarium vero e proprio l’inse<strong>di</strong>amento della chiesa. Progetto<br />

che non venne mai realizzato, così come era stato pensato.<br />

Il punto <strong>di</strong> partenza fu sì l’idea iniziale del sacerdote siciliano, ma limitata<br />

allo scopo <strong>di</strong> ridurre la spesa altrimenti ingentissima e <strong>di</strong> rispettare al<br />

massimo la particolarità dell’ambiente romano.<br />

Michelangelo previde <strong>di</strong> includere nella nuova chiesa il tepidarium,<br />

compresi i vani angolari delle vasche (le attuali due cappelle dopo l’aula rotonda<br />

e le altre due prima del presbiterio) oltre i due ambienti attigui sui lati<br />

corti (aula rotonda e parte della natatio poi trasformata in coro rettangolare<br />

con una volta a botte). Lasciò intatte le otto enormi colonne <strong>di</strong> granito e aprì<br />

due porte all’estremità dell’aula, assegnando, come accesso principale,<br />

quello che dava su Termini (attuale cappella Albergati chiusa poi dall’Orlan<strong>di</strong>)<br />

in modo che chi entrasse avesse la splen<strong>di</strong>da visione d’infilata, dell’aula<br />

rettangolare lunga oltre 90 metri. Nel corso del 1700 intervenne sulla<br />

chiesa l’architetto Clemente Orlan<strong>di</strong> che alterò profondamente il progetto<br />

michelangiolesco chiudendo le due entrate del transetto, lasciando solo<br />

quella su piazza Esedra e murando tre degli arconi all’intersezione dei<br />

– 323 –


acci e riducendo, <strong>di</strong> conseguenza, gli enormi finestroni romani che davano<br />

luce alla chiesa. E ciò per aderire al desiderio dei pontefici Benedetto<br />

XIII Pier Francesco Orsini (1724-1730) e Clemente XII Lorenzo Corsini<br />

(1730-1740), che vollero trasferire in S. Maria degli Angeli, a partire dall’anno<br />

1727, le do<strong>di</strong>ci gran<strong>di</strong> pale d’altare della vecchia basilica vaticana<br />

man mano che esse venivano tradotte in mosaico per essere sistemate nella<br />

nuova. All’Orlan<strong>di</strong> successe Luigi Vanvitelli che cercò <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are agli insensati<br />

interventi del collega riuscendovi solo in parte e apportando anche<br />

lui altre mo<strong>di</strong>fiche più o meno criticabili, rispetto al <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Michelangelo.<br />

Spariti ormai i vestiboli laterali trasformati in cappelle, chiusi tre dei<br />

quattro archi dei vani delle vasche, il Vanvitelli rior<strong>di</strong>nò l’aula rotonda con<br />

l’aggiunta del cassettonato <strong>di</strong>pinto e <strong>di</strong> un lanternino sopra la cupola, aumentò<br />

la navata longitu<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> otto colonne in muratura che dovevano<br />

fare riscontro a quelle <strong>di</strong> granito del transetto e completò la trabeazione<br />

della chiesa ripetendo le sagome dei tratti <strong>di</strong> quella romana aggettanti sulle<br />

colonne stesse. Ideò la nuova facciata su Piazza Esedra, unica entrata rimasta<br />

per accedere alla chiesa. Nel 1703 Francesco Bianchini, prelato con<br />

gli or<strong>di</strong>ni minori ed eru<strong>di</strong>to <strong>di</strong> cultura eclettica, tracciava intanto sul pavimento<br />

della chiesa, allora in cotto, la nota Meri<strong>di</strong>ana con i segni zo<strong>di</strong>acali,<br />

ispirandosi ai lavori del grande astronomo Gian Domenico Grassini.<br />

Di scarso rilievo sono i lavori compiuti nella chiesa dopo il restauro del<br />

Vanvitelli. Intorno al 1772 fu sostituito all’antico altare in legno nel presbiterio,<br />

quello attuale in marmo, che forse risale ad un <strong>di</strong>segno vanvitelliano.<br />

Altri lavori furono compiuti nel 1847 con la sistemazione <strong>di</strong> un nuovo organo<br />

<strong>di</strong>etro l’altar maggiore nel presbiterio. Nel 1855 fu installato un nuovo<br />

ciborio sempre sullo stesso altare. Nel 1864, su <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Francesco Fontana,<br />

fu eretto l’altare della cappella <strong>di</strong> S. Brunone in sostituzione <strong>di</strong> quello<br />

settecentesco in legno. Nel 1896 furono eliminati i gra<strong>di</strong>ni previsti dal<br />

Vanvitelli all’entrata dell’Esedra per raggiungere il piano michelangiolesco<br />

dell’interno.<br />

Infine nel 1911 fu demolita la facciata vanvitelliana su Piazza Esedra e<br />

ciò per rimettere in vista la nicchia del calidarium, con mattoncini romani<br />

recuperati, che rivelano comunque un rifacimento moderno che non ha<br />

giovato alle vicine Terme e danneggiato la visibilità della chiesa scambiata<br />

dal passante <strong>di</strong>stratto per un semplice rudere. Nel contempo fu demolito il<br />

lanternino vanvitelliano dell’aula rotonda, sostituito da altri non adatti che<br />

lasciavano filtrare l’acqua durante le piogge, finché nel 2001 fu installato<br />

quello, modernissimo, in vetro istoriato, ideato dall’artista italo-americano<br />

– 324 –


Narcissus Quagliata, allievo <strong>di</strong> De Chirico. L’opera d’arte è una grande<br />

struttura a vetrata <strong>di</strong> cinque metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, posta ad un’altezza <strong>di</strong> 23 e<br />

funge anche da meri<strong>di</strong>ana, per cui i visitatori possono seguire il movimento<br />

della terra attorno al sole, riflesso sul pavimento dell’aula rotonda.<br />

Nel 1998, infine, viene regalato dal Comune <strong>di</strong> Roma, un nuovo monumentale<br />

Organo, realizzato dall’organaro Bartolomeo Formentelli, artigiano <strong>di</strong><br />

Verona, che installato nella cappella <strong>di</strong> S. Brunone, rompe la linearità architettonica<br />

della gemella cappella Albergati che le sta <strong>di</strong> fronte. Infatti, per<br />

installare questo possente e maestoso strumento, si è dovuto togliere dalla<br />

parete sinistra, il cartone gemello del pittore Francesco Trevisani e sistemarlo<br />

nell’oscura cappella <strong>di</strong> S. Teresa del Bambin Gesù, liberata dalle<br />

sovrastrutture barocche che hanno riportato a nudo gli imponenti muri<br />

romani e dove è allestita una interessantissima mostra permanente sulla<br />

storia delle Terme <strong>di</strong> Diocleziano e della loro trasformazione michelangiolesca<br />

in chiesa, il tutto corredato da grafici, <strong>di</strong>segni e belle fotografie <strong>di</strong>dascaliche<br />

in bianco e nero. Si è inoltre dovuto spostare sulla parete destra una<br />

delle copie delle statue in gesso i cui originali si trovano all’esterno del portico<br />

d’entrata al Cimitero del Verano. Le alterazioni non impe<strong>di</strong>scono tuttavia<br />

<strong>di</strong> apprezzare della concezione michelangiolesca la complessa e ricca<br />

articolazione spaziale, la singolarità della planimetria, l’apertura verso gli<br />

inse<strong>di</strong>amenti urbani attraverso i due vestiboli. Gran<strong>di</strong>oso restava l’effetto<br />

delle immense arcate, intenso il giuoco della ombre e delle luci, pienamente<br />

in rilievo la plasticità dei pilastri e delle colonne libere sormontate dal frammento<br />

<strong>di</strong> trabeazione, lievi e quasi aeree le volte a crociera come vele gonfiate<br />

dal vento. I valori architettonici essenziali, fondati sulle masse murarie<br />

e sui vuoti non erano turbati da un rivestimento cromatico o da sistemi <strong>di</strong><br />

ornamentazioni. Essi realizzavano in sé la loro unità e la loro nota <strong>di</strong> colore,<br />

delle colonne <strong>di</strong> granito rosso e dei bianchi capitelli <strong>di</strong> marmo, risaltava sul<br />

fondo intonacato, con tocchi <strong>di</strong> una ricchezza adeguata alla severa solennità<br />

dell’insieme.<br />

IL PROGETTO DI MICHELANGELO<br />

L’adattamento della sala termale a chiesa fu realizzato su progetto <strong>di</strong><br />

Michelangelo Buonarroti al quale Pio IV affidò questo <strong>di</strong>fficile compito,<br />

considerato il grande prestigio dell’artista che in quel tempo era anche<br />

architetto della fabbrica <strong>di</strong> San Pietro.<br />

– 325 –


Scrive G. Vasari: “...e il medesimo (Michelagnolo) fece, richiesto dal<br />

medesimo pontefice (Pio IV), per far la nuova chiesa <strong>di</strong> Santa Maria degli<br />

Angioli nelle terme Diocleziane per ridurle a tempio a uso dei cristiani, e<br />

prevalse un suo <strong>di</strong>segno, che fece, a molti altri fatti da eccellenti architetti, con<br />

tante belle considerazioni per como<strong>di</strong>tà de’ frati Certosini, che l’hanno ridotto<br />

oggi quasi a perfezione, che fè stupire sua Santità e tutti i prelati e signori <strong>di</strong><br />

corte delle bellissime considerazioni che aveva fatte con giu<strong>di</strong>zio, servendosi<br />

<strong>di</strong> tutte l’ossature <strong>di</strong> quelle terme; e se ne vedde cavato un tempio bellissimo,<br />

ed una entrata fuor dell’opinione <strong>di</strong> tutti gli architetti; dove ne riportò lode e<br />

onore infinito” (Le vite dei più celebri pittori, scultori e architetti, II).<br />

L’antico tepidarium, attuale transetto, fu il vasto ambiente su cui Michelangelo<br />

intervenne con più attenzione, lasciando, però, quale asse ortogonale,<br />

il vestibolo (in origine ninfeo <strong>di</strong> passaggio verso il calidarium) ed il coro (ricavato<br />

nell’arena del frigidarium) in modo da ottenere una pianta a croce greca.<br />

La nuova chiesa ebbe tre ingressi: due ai lati del transetto ed una verso<br />

l’esedra. I lavori iniziarono subito e proseguirono dopo la morte <strong>di</strong> Michelangelo<br />

(1564) seguiti dal nipote <strong>di</strong> Antonio Lo Duca, Jacopo, che era stato<br />

allievo ed aiuto del grande artista fiorentino.<br />

Si prolungarono, comunque, per secoli concludendosi verso la metà del<br />

’700 quando, dopo la chiusura dell’entrata <strong>di</strong> sinistra, sull’attuale via Cernaia,<br />

con la grande cappella <strong>di</strong> San Bruno, <strong>di</strong>segnata da Carlo Maratta, fu<br />

chiamato l’architetto Clemente Orlan<strong>di</strong> a dare sistemazione ai primi gran<strong>di</strong><br />

quadri provenienti dalla Basilica Vaticana ed a chiudere l’ingresso sulla destra<br />

del transetto con la cappella de<strong>di</strong>cata al beato Niccolò Albergati.<br />

IL PROGETTO DI VANVITELLI<br />

Intervenne Luigi Vanvitelli con un progetto risolutivo che ebbe lo scopo<br />

<strong>di</strong> ricreare quell’unità architettonica ormai andata perduta nel corso delle<br />

varie fasi costruttive. Il suo fu un lavoro simile a quello che il Bernini aveva<br />

operato un secolo prima in San Pietro: amalgamò con un lavoro, soprattutto<br />

<strong>di</strong> decorazione plastica, i vari corpi <strong>di</strong> fabbrica.<br />

Con otto colonne in muratura, identiche alle originali del transetto, realizzò<br />

un’unità compositiva anche nel passaggio dal vestibolo rotondo alla<br />

grande crociera ed in quello che immette nel presbiterio. Con l’esclusione<br />

<strong>di</strong> questi due ambienti, legò con un’unica trabeazione, identica a quella in<br />

parte esistente nel transetto, l’intero perimetro dell’e<strong>di</strong>ficio basilicale.<br />

– 326 –


Sulla piazza dell’ex esedra realizzò una facciata non monumentale con<br />

un portale timpanato e ben adatta alla struttura romana termale che con lesene<br />

e fasce orizzontali poco aggettanti raccordò all’a<strong>di</strong>acente fabbricato. Curò nei<br />

minimi particolari, attraverso altre decorazioni architettoniche (archi ribassati,<br />

mensole) e plastiche (finti cassettoni nella cupola e nelle volte dei passaggi,<br />

festoni ed angeli nelle finestre del transetto), l’intera fabbrica.<br />

Infine si occupò della definitiva sistemazione dei gran<strong>di</strong> quadri provenienti<br />

da San Pietro, sia con le cornici sia con le paraste <strong>di</strong>visorie e le altre<br />

ornamentazioni plastiche che decorano le pareti.<br />

A questo proposito si fa notare che per adornare due nicchie ricavate in<br />

seguito ai lavori <strong>di</strong> ristrutturazione del Vanvitelli furono commissionate<br />

all’allora giovanissimo artista Giovanni Battista HOUDON, nel 1796, due<br />

gran<strong>di</strong> statue: San Brunone, fondatore dei Certosini, e S. Giovanni Battista,<br />

simbolo dei valori morali dell’Or<strong>di</strong>ne, esse furono posizionate oltre il vestibolo<br />

della chiesa. La statua <strong>di</strong> San Brunone è in marmo, alta m. 3,15; quella<br />

<strong>di</strong> S. Giovanni, che occupava la nicchia opposta a quella <strong>di</strong> S. Brunone, andò<br />

in pezzi ed è ora nota solo tramite la copia della galleria Borghese <strong>di</strong> Roma.<br />

La geniale opera del Vanvitelli, grazie anche alla lungimiranza dei Padri<br />

Certosini che lo scelsero per tale intervento progettuale, valorizzò ed ingentilì<br />

un e<strong>di</strong>ficio che si era venuto formando con gran<strong>di</strong> idee (Michelangelo) e con<br />

<strong>di</strong>scutibili interventi <strong>di</strong> ristrutturazione (Orlan<strong>di</strong>), attraverso quasi due secoli.<br />

L’unità d’Italia (1870) allontanò i Padri Certosini dalla loro chiesa e<br />

dall’attiguo convento lasciandola in uso ai militari prima, ai frati minimi<br />

<strong>di</strong> San Francesco <strong>di</strong> Paola poi, e finalmente al clero <strong>di</strong>ocesano. Le nozze del<br />

futuro Vittorio Emanuele III, l’allora Principe <strong>di</strong> Napoli, nel 1896, elevarono<br />

la chiesa <strong>di</strong> Santa Maria degli Angeli al ruolo <strong>di</strong> sede <strong>di</strong> cerimonie religiose<br />

promosse dallo Stato Italiano, che tuttora detiene.<br />

Infine, il 20 Luglio 1920, Papa Benedetto XV innalzava la Chiesa <strong>di</strong><br />

Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Basilica.<br />

PROPOSTA DI VISITA INTERNA DELLA BASILICA<br />

Dopo l’esposizione delle varie fasi costruttive si propone il seguente<br />

itinerario <strong>di</strong> visita.<br />

All’entrata della Basilica, il vestibolo è la sala <strong>di</strong> passaggio a pianta<br />

rotonda con cupola, che forse ospitava un ninfeo delle antiche Terme. Iniziando<br />

la visita non si può tralasciare uno sguardo alla moderna Cupola <strong>di</strong><br />

– 327 –


vetro che sovrasta la Basilica. Questa parte, al tempo dei Romani, era una<br />

apertura circolare a cielo aperto che raccoglieva la pioggia per la piscina<br />

sottostante. Quando si è operata la trasformazione delle terme in chiesa necessitava<br />

un’altra soluzione. Michelangelo e Vanvitelli istallarono sull’oculo<br />

romano delle lanterne, che vennero poi demolite nel XX sec., dopo <strong>di</strong>versi<br />

tentativi <strong>di</strong> lucernari, è stata istallata questa straor<strong>di</strong>naria cupola <strong>di</strong><br />

vetro, realizzata dall’artista italo-americano Narcissus QUAGLIATA (opera<br />

realizzata fra il 1994 e il 2001), su commissione <strong>di</strong> innovatori che hanno<br />

preso collaborativamentae questa decisione, fra cui il Car<strong>di</strong>nale W.Keeler,<br />

il Parroco Mons. Renzo Giuliano, Lorenzo Zichichi e Norberto Giorgio<br />

Kuri. Il Quagliata, numero uno nel mondo per il trattamento delle<br />

vetrate,ha compiuto un felice connubio fra vecchio e nuovo. Inoltre, nel vestibolo<br />

sono attualmente inserite alcune e<strong>di</strong>cole timpanate contenenti monumenti<br />

funebri, uno a Salvator Rosa, uno a Carlo Maratta, uno al Car<strong>di</strong>nale<br />

Francesco Alciati. Inoltre è qui posizionato l’Angelo della Luce,<br />

bronzo con patina grigio-ferro gremita <strong>di</strong> crepe e fessure ottenute con aci<strong>di</strong>,<br />

dello scultore Ernesto Lamagna, che ha voluto renderlo simile alle opere <strong>di</strong><br />

Michelangelo e lo ha terminato per il grande Giubileo del 2000. Il transetto<br />

è stato ricavato dall’antico tepidarium delle Terme <strong>di</strong>oclezianee che, prima<br />

Michelangelo e Jacopo Del Duca, poi Vanvitelli, adattarono con opere <strong>di</strong><br />

restauro, ristrutturazione e decorazione plastica, portandolo all’aspetto attuale.<br />

La visione d’insieme è maestosa e solenne, nel rispetto che questi<br />

gran<strong>di</strong> architetti ebbero per la primitiva costruzione imperiale, serbando le<br />

misure originali nelle altezze e nella scansione spaziale e decorativa. Per<br />

avere un’idea delle imponenti <strong>di</strong>mensioni basta riportare l’altezza della<br />

chiave delle volte a crociera: oltre 29 metri, mentre le colonne, compresa la<br />

base ed il capitello, più la trabeazione, raggiungono 17,14 metri. La circonferenza<br />

delle colonne è <strong>di</strong> 5,10 metri ed il <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 1,62 metri. Le pareti,<br />

scan<strong>di</strong>te da paraste e lesene in finto marmo rosso <strong>di</strong> Cottanello, presentano<br />

riquadrature e cornici con decorazioni plastiche che accolgono gli enormi<br />

otto <strong>di</strong>pinti provenienti dalla Basilica <strong>di</strong> San Pietro e qui collocati nella<br />

prima metà del ’700.<br />

L’immensa sala è illuminata da finestroni a tre luci, negli arconi d’accesso<br />

alle cappelle <strong>di</strong> San Bruno e del beato Niccolò Albergati, soltanto i finestroni<br />

che si aprono sui gran<strong>di</strong> archi d’accesso al vestibolo e al presbiterio,<br />

già esistenti all’epoca degli interventi vanvitelliani, si <strong>di</strong>fferenziano<br />

dagli altri per la forma curveggiante delle modanature a doppia voluta e per<br />

la più ricca decorazione plastica.<br />

– 328 –


In questa zona <strong>di</strong> destra della Basilica sono posizionati degli importanti<br />

Monumenti funebri, <strong>di</strong> grande rilevanza per la Storia dell’Italia del 1900.<br />

IL MONUMENTO FUNEBRE AD ARMANDO DIAZ, scolpito dall’architetto<br />

Antonio Munoz nel 1920 e de<strong>di</strong>cato al Generale vincitore della<br />

Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale; si evidenzia l’architettura Liberty del monumento,<br />

arricchito da marmi pregiati <strong>di</strong> varie tonalità e dalla stele de<strong>di</strong>catoria centrale.<br />

IL MONUMENTO FUNEBRE ALL’AMMIRAGIO THAON DE<br />

REVEL, realizzato nel 1948 per il Duca del Mare, Ammiraglio Paolo<br />

Thaon De Revel dallo scultore piemontese Pietro Canonica; il sarcofago è<br />

a forma <strong>di</strong> nave rostrata, sostenuto da una base rossa e nera.<br />

IL MONUMENTO FUNEBRE A VITTORIO EMANUELE OR-<br />

LANDO, eseguito nel 1953 dallo scultore Pietro Canonica in onore del<br />

“Presidente della Vittoria” della prima guerra mon<strong>di</strong>ale; il monumento è addossato<br />

alla parete ed è composto da un sarcofago in giallo <strong>di</strong> Siena con un<br />

medaglione bronzeo e rilievi scolpiti in marmo <strong>di</strong> Carrara.<br />

Nel pavimento settecentesco, opera dell’architetto Giuseppe Barberi, si<br />

nota, nel braccio destro del transetto, la celebre “Meri<strong>di</strong>ana” voluta da Papa<br />

Clemente XI Albani e commissionata al canonico Francesco Bianchini<br />

(1662-1729) per il Giubileo del 1700. Questi, famoso astronomo ma altrettanto<br />

insigne matematico, archeologo, storico e filosofo, la realizzò in pochi<br />

anni con l’aiuto anche dell’astronomo G.F. Maral<strong>di</strong>, nipote <strong>di</strong> G.D. Cassini,<br />

autore <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> San Petronio a Bologna.<br />

LA MERIDIANA<br />

Sul pavimento della crociera <strong>di</strong> S. Maria degli Angeli e dei Martiri,<br />

<strong>di</strong> fronte alla tomba del Maresciallo Diaz si vede la Meri<strong>di</strong>ana o Linea Clementina.<br />

Dettero luogo all’esecuzione della Meri<strong>di</strong>ana gli stu<strong>di</strong> che Papa Albani,<br />

cioè Clemente XI, fece compiere verso il 1700 da una Commissione presieduta<br />

dal Car<strong>di</strong>nale Norris e della quale era segretario il Canonico Francesco<br />

Bianchini, matematico, astronomo, archeologo e storico, allo scopo <strong>di</strong> verificare<br />

ulteriormente la vali<strong>di</strong>tà della Riforma Gregoriana del Calendario,<br />

anche ai fini della determinazione della data della Pasqua nella migliore<br />

concordanza possibile con i moti del Sole e della Luna e con le regole date<br />

dai Padri del Concilio <strong>di</strong> Nicea.<br />

– 329 –


Conformemente a queste regole la Pasqua deve essere celebrata nella<br />

prima domenica dopo il Plenilunio che segue l’Equinozio <strong>di</strong> Primavera.<br />

Questa è l’enunciazione corrente e più facilmente comprensibile, mentre<br />

quella della tra<strong>di</strong>zione ecclesiastica è più complessa, ma non è necessario<br />

riportarla in questa sede perché richiede spiegazioni articolate e non congeniali<br />

ad un’esposizione <strong>di</strong>vulgativa.<br />

Gli eventi astronomici che determinano la data della Pasqua devono essere<br />

comunque conosciuti con la migliore precisione possibile, onde evitare<br />

errori che avrebbero come conseguenza anche lo spostamento delle date <strong>di</strong><br />

tutte le feste mobili della Chiesa.<br />

Il metodo concreto <strong>di</strong> calcolo <strong>di</strong> questa fondamentale data ecclesiastica<br />

rimase quello proposto da Luigi Giglio e promulgato da Gregorio XIII,<br />

metodo che aveva il pregio dell’ingegnosa semplicità <strong>di</strong> applicazione, pur<br />

potendo essere, in teoria, sostituito da altri meto<strong>di</strong>. Bianchini stesso, senza<br />

fare riferimento alla Meri<strong>di</strong>ana, propose un metodo sottilmente alternativo<br />

che tuttavia nella sua applicazione pratica avrebbe sollevato numerosi problemi<br />

e rimase perciò confinato nel campo delle speculazioni teoriche, pur<br />

se non mancano <strong>di</strong> tanto in tanto tentativi, anche molto recenti, <strong>di</strong> riportarlo<br />

alla luce.<br />

La Meri<strong>di</strong>ana fu costruita con esattezza scientifica e inaugurata dallo<br />

stesso Clemente XI il 6 ottobre del 1702; è una grande linea <strong>di</strong> bronzo inserita<br />

in una fascia <strong>di</strong> marmo imezio, a sua volta contornata da una cornice <strong>di</strong><br />

giallo <strong>di</strong> Verona, <strong>di</strong>stesa quasi <strong>di</strong>agonalmente per circa 45 metri se si considera<br />

come punto virtuale <strong>di</strong> partenza quello su cui cade la perpen<strong>di</strong>colare<br />

proveniente dal centro del foro gnomonico. A destra della linea sono rappresentate,<br />

con intarsi <strong>di</strong> antichi marmi policromi, i segni zo<strong>di</strong>acali delle costellazioni<br />

estive e autunnali; a sinistra quelli delle costellazioni primaverili<br />

e invernali. Alle due estremità figurano i segni delle costellazioni del<br />

Cancro e del Capricorno. I segni zo<strong>di</strong>acali furono realizzati su cartoni <strong>di</strong><br />

Maratta, tratti da immagini <strong>di</strong> “Uranometria Nova” <strong>di</strong> Mayer.<br />

L’immagine del Sole, penetrando per il centro dello stemma aral<strong>di</strong>co <strong>di</strong><br />

Clemente XI, percorre durante l’anno, a mezzogiorno solare vero, tutta la<br />

Linea, partendo dal Cancro al Solstizio d’Estate, raggiungendo il Capricorno<br />

al Solstizio d’Inverno e compiendo successivamente il percorso inverso.<br />

L’immagine del Sole, in forma <strong>di</strong> ellisse, si allunga, nel suo asse maggiore,<br />

da circa 21 centimetri al solstizio estivo a circa 111 centimetri al solstizio<br />

invernale, compiendo il percorso tra i due tropici, i limiti entro i quali<br />

– 330 –


il ministro maggior della natura, come <strong>di</strong>ce Dante, allunga o restringe il suo<br />

apparente corso perenne.<br />

IL PRESBITERIO<br />

Attraverso il grande arco trionfale si entra nel vero e proprio presbiterio<br />

che si presenta, nella prima parte, con la veste architettonica ideata dall’architetto<br />

Clemente Orlan<strong>di</strong> in occasione dei primi arrivi delle gran<strong>di</strong> composizioni<br />

pittoriche provenienti dalla Basilica Vaticana. Il coro è invece opera<br />

del Vanvitelli che curò anche la decorazione dell’insieme presbiteriale.<br />

Il grande architetto <strong>di</strong>ede forme poligonali all’abside nel cui centro addossò<br />

il nuovo altare maggiore, simile a quello da lui creato nella chiesa<br />

della Reggia <strong>di</strong> Caserta, impreziosito da una ricca scelta <strong>di</strong> marmi pregiati.<br />

Il crescendo decorativo verso il <strong>di</strong>pinto con la “Madonna degli Angeli” fu<br />

interrotto nel 1867 quando l’altare venne collocato nell’attuale posizione per<br />

far posto al coro protetto dalle transenne metalliche ornate con la sigla e le<br />

stelle certosine dorate ed i cancelli a forma d’arpa, opera <strong>di</strong> Angelo Santini.<br />

Gli ornati della cancellata sono stati <strong>di</strong>segnati da Giuseppe della Riccia.<br />

Prima dell’altare sono poste due opere del 1866 dello scultore Innocenzo<br />

Orlan<strong>di</strong>: “L’angelo con l’aquila” e la “Cattedra” sostenuta da un toro<br />

ed un leone; simboleggiano la presenza evangelica della liturgia eucaristica.<br />

Troviamo, infatti, i quattro simboli degli evangelisti: l’angelo per San Matteo,<br />

l’aquila per San Giovanni, il toro per San Luca e il leone per San Marco.<br />

Alle pareti, sulla destra, troviamo: Presentazione <strong>di</strong> Maria al tempio, <strong>di</strong><br />

Giovanni Francesco Romanelli e Martirio <strong>di</strong> San Sebastiano del Domenichino;<br />

sulla sinistra, Battesimo <strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong> Carlo Maratta e Morte <strong>di</strong> Anania<br />

e Safira del Pomarancio.<br />

A questo punto bisogna aggiungere delle informazioni riguardanti<br />

queste opere pittoriche.<br />

Carlo MARATTA, pittore marchigiano (1625-1713) nella Basilica progettò<br />

la Cappella <strong>di</strong> San Brunone, il monumento funebre in cui è sepolto e che fu<br />

realizzato dal fratello Francesco, e inoltre questo <strong>di</strong>pinto: IL BATTESIMO<br />

DI GESÙ, dove l’episo<strong>di</strong>o religioso è rappresentato con marcata plasticità.<br />

DOMENICO ZAMPIERI, detto IL DOMENICHINO (1581-1614),<br />

allievo <strong>di</strong> Annibale Carracci, raffigura in questo <strong>di</strong>pinto il MARTIRIO<br />

DI SAN SEBASTIANO, avvenuto ad opera <strong>di</strong> Diocleziano. Qui si pone<br />

l’attenzione sul momento in cui Cristo accoglie il Santo, circondato dalla<br />

– 331 –


folla, si notano, fra gli altri personaggi, un centurione a cavallo e un angelo<br />

con la palma e la corona, simboli del martirio.<br />

MADONNA IN TRONO TRA I SETTE ANGELI<br />

Nell’abside della Basilica, al centro, in una gloria <strong>di</strong> angeli e cherubini<br />

scolpita da Bernar<strong>di</strong>no Ludovisi campeggia il quadro con la MADONNA<br />

DEGLI ANGELI, che Antonio Lo Duca fece eseguire a Venezia nel 1543.<br />

Non si conosce l’autore, anche se la maniera, l’epoca ed il luogo dell’esecuzione<br />

fanno venire in mente Lorenzo Lotto. Nel <strong>di</strong>pinto, la Vergine con<br />

il Bambino al seno (Madonna del latte) viene incoronata dagli Arcangeli<br />

Michele, a sinistra, e Gabriele, a destra, che, con gli altri Prìncipi degli Angeli,<br />

reggono lo scettro ed il cartiglio in<strong>di</strong>cante il compito <strong>di</strong> ognuno <strong>di</strong> essi.<br />

In particolare, iniziando dall’alto a destra e scendendo, troviamo Gabriele,<br />

Uriele, Barachiele, Salatiele (in ginocchio al centro), Jeu<strong>di</strong>ele, Raffaele e<br />

Michele. In alto, negli spicchi, i due profeti David e Isaia.<br />

Nell’abside è posizionato il sepolcro dell’ideatore della Basilica, padre<br />

Antonio Lo Duca, con una lapide su cui è iscritta un’epigrafe in latino, in<br />

cui si ricorda l’operato del sacerdote.<br />

Segue una breve esposizione in Lingua inglese, che è stata proposta<br />

dagli studenti per illustrare sinteticamente le caratteristiche della Basilica ai<br />

numerosi visitatori stranieri, sempre presenti sul posto e richiedenti qualche<br />

chiarimento e spiegazione.<br />

THE BASILICA OF SAINT MARY OF THE ANGELS AND THE MARTYRS<br />

The Basilica of Saint Mary of the Angels and the Martyrs was realised<br />

through the will of Antonio Lo Duca, a Sicilian priest devoted to the cult of angels.<br />

When he became chaplain of Saint Mary of Loreto in Rome he saw a “light whiter<br />

than snow” emerging from the Diocletian Thermal Baths, and in its centre the<br />

Seven Martyrs. Antonio was convinced that a temple de<strong>di</strong>cated to the Seven<br />

Angels had to be built in the middle of those “majestic thermal ruins”. But he <strong>di</strong>dn’t<br />

receive the support of Pope Paul III and he had to wait until the election<br />

of Pope Pius IV, who finally accomplished Antonio’s dream in the most majestic<br />

and solemn way: the Pope ordered the construction of a church in the ancient<br />

Diocletian Thermal Baths.<br />

– 332 –


Therefore, Pius IV entrusted Michelangelo Buonarroti to transform the<br />

Thermal Baths into a church. Major works of the master were done in the area<br />

where the actual transept is. Then Luigi Vanvitelli’s intervention was decisive in<br />

order to recreate the architectonical unity that had been lost during the various<br />

phases of construction.<br />

Vanvitelli’s brilliant work gave an enormous value to the buil<strong>di</strong>ng, which was<br />

formed through great ideas and by interventions of restoration over two centuries.<br />

The 1896 wed<strong>di</strong>ng of the future Vittorio Emanuele III raised the church to the<br />

seat for religious ceremonies, promoted by the Italian state, which it still holds.<br />

Finally in 1920, Pope Bene<strong>di</strong>ct XV raised the status of the church to Basilica.<br />

Bibliografia:<br />

J. CARCOPINO, La vita quoti<strong>di</strong>ana a Roma, Laterza<br />

F. COARELLI, Guida archeologica <strong>di</strong> Roma, A. Mondadori.<br />

N. CARDANO, Rione XIII Castro Pretorio, Palombi.<br />

G. CHENIS, Le Porte degli Angeli, Il Cigno.<br />

C. COSTANTINI, Conversazioni con Igor Mitoraj, Il Cigno.<br />

G.B. CONTE-E. PIANEZZOLA, Storia e testi della Letteratura Latina, Le Monnier.<br />

E. PARATORE, Profilo della Letteratura Latina, Sansoni.<br />

G. PONTIGGIA - M.C. GRANDI, Letteratura Latina, Principato.<br />

R. PISANI, Basilica <strong>di</strong> S. Maria degli Angeli e dei Martiri, Il Cigno.<br />

A. SCHIAVO, La Meri<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> S. Maria degli Angeli, Ist. Poligrafico.<br />

TCI, Roma e <strong>di</strong>ntorni – Guida d’Italia,Touring Club Italiano.<br />

G. GIARDINA, Roma sotterranea, ed. Palombi.<br />

– 333 –


MAURIZIO CASTELLAN<br />

Miscellanea <strong>di</strong> matematica<br />

INTRODUZIONE<br />

La presente raccolta rappresenta la risposta da parte <strong>di</strong> alcuni allievi (IV<br />

<strong>Ginnasio</strong> (P.N.I) Sez. D e H) alla proposta dell’insegnante <strong>di</strong> Matematica <strong>di</strong><br />

affrontare la <strong>di</strong>sciplina in maniera più autonoma, in un rapporto più <strong>di</strong>retto e<br />

coinvolgente.<br />

Si è cercato soprattutto <strong>di</strong> guidare gli studenti in un’attività che avesse<br />

“in piccolo” le medesime caratteristiche della ricerca in Matematica, rispecchiandone<br />

tempi, fasi e meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> indagine. Elemento formativo caratterizzante<br />

è stato il costante richiamo al rigore logico, alla correttezza e alla<br />

chiarezza del linguaggio scientifico.<br />

In questo scenario gioca un ruolo decisivo la “pratica <strong>di</strong>mostrativa”, generalmente<br />

utilizzata solo nello stu<strong>di</strong>o della geometria euclidea, con il rischio<br />

<strong>di</strong> limitarne la portata; occorre invece estendere tale pratica che rappresenta<br />

il “pane quoti<strong>di</strong>ano” <strong>di</strong> ogni matematico in ogni ambito della <strong>di</strong>sciplina<br />

(algebra, teoria degli insiemi, teoria dei numeri, ...). È evidente che a<br />

causa del livello elementare dei contenuti previsti dai programmi, molti dei<br />

teoremi saranno semplici e provati ancora più semplicemente; tuttavia<br />

questo non deve frenare l’iniziativa dell’insegnante, perché la semplicità in<br />

questo caso gioca a favore e rende più agevole un appren<strong>di</strong>stato che lo studente<br />

non si aspetta ma che può far crescere la sua curiosità, la sua fantasia<br />

e il piacere per la Ricerca.<br />

GEOMETRIA<br />

Il seguente teorema rientra tra quelle affermazioni della geometria<br />

sintetica che possono essere provate utilizzando <strong>di</strong>rettamente gli assiomi, e<br />

che rappresentano quin<strong>di</strong> le pietre iniziali del “castello” della geometria.<br />

Questa posizione privilegiata permette uno stu<strong>di</strong>o attento nella scelta degli<br />

assiomi mirato alla correttezza e all’eleganza della <strong>di</strong>mostrazione. In particolare<br />

occorre dare risposta alle seguenti esigenze:<br />

– 334 –


1. ogni affermazione (anche la più evidente) deve essere giustificata da<br />

un assioma (o da un teorema già incluso nella teoria);<br />

2. gli assiomi e i teoremi utilizzati devono rispondere ad un criterio <strong>di</strong><br />

economia: ci si deve dotare cioè del minimo in<strong>di</strong>spensabile <strong>di</strong> verità<br />

in grado <strong>di</strong> implicare la tesi.<br />

Gli assiomi scelti ed elencati prima dell’enunciato sono una rielaborazione<br />

<strong>di</strong> quelli scelti da David Hilbert nei “Fondamenti <strong>di</strong> Geometria”<br />

(“Grundlagen der Geometrie”) pubblicato nel 1899, lavoro che formalizza<br />

in maniera rigorosa (e moderna) la geometria fondata da Euclide nel 300 a.C.<br />

Assiomi <strong>di</strong> appartenenza<br />

0) Esistono almeno due punti <strong>di</strong>stinti.<br />

1) Ogni coppia <strong>di</strong> punti A e B <strong>di</strong>stinti appartiene ad una e una sola retta.<br />

2) Data una retta r, esiste almeno un punto che non appartiene ad r.<br />

3) Data una retta r, esistono almeno due punti <strong>di</strong>stinti che appartengono<br />

ad r.<br />

Teorema<br />

Dato un punto esiste almeno una retta che non passa per quel punto.<br />

Dimostrazione:<br />

Partiamo da un punto che chiamiamo P.<br />

Pren<strong>di</strong>amo una retta r (esiste per l’assioma 0 e l’assioma 1).<br />

1° ipotesi:<br />

se questa retta non passa per P abbiamo <strong>di</strong>mostrato il teorema.<br />

P<br />

• P<br />

– 335 –<br />

r


2° ipotesi:<br />

se contrariamente questa retta passa per P otteniamo:<br />

P<br />

• P<br />

ma allora per gli assiomi 2 e 1 esistono un punto Q e una retta s tali che:<br />

s<br />

Q •<br />

P<br />

• P<br />

Se ora consideriamo gli assiomi 3 e 1, possiamo affermare che esistono<br />

un punto R su r e una retta t tali che:<br />

s<br />

Q •<br />

P t<br />

• R<br />

•<br />

r<br />

A questo punto per finire <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare il teorema dobbiamo poter affermare<br />

che la retta t non può passare per P; ma se la retta t passasse per il<br />

punto P per l’assioma 1 tutte le rette coinciderebbero;<br />

P Q R<br />

• • •<br />

– 336 –<br />

r s t<br />

r<br />

r


e questo non è possibile perché il punto Q (per l’assioma 2) non può<br />

appartenere alla retta r. Abbiamo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrato che almeno una retta<br />

(in questo caso t) non passa per P.<br />

C.V.D.<br />

Silvia Fe<strong>di</strong> - Classe IV <strong>Ginnasio</strong> (P.N.I.) Sez. H<br />

TEORIA DEGLI INSIEMI<br />

In questa sezione si prende in esame una proprietà dell’operazione<br />

<strong>di</strong>fferenza tra insiemi: così come per l’operazione aritmetica <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza<br />

la proprietà commutativa vale solo nel caso banale in cui minuendo e sottraendo<br />

sono uguali.<br />

L’interesse per la tecnica <strong>di</strong>mostrativa è qui dovuto all’uso “simmetrico”<br />

del metodo <strong>di</strong> reductio ad absurdum.<br />

Definizione<br />

Dati due insiemi A e B si definisce <strong>di</strong>fferenza A-B l’insieme <strong>di</strong> tutti gli<br />

elementi <strong>di</strong> A che non appartengono a B; cioè<br />

A-B={x|x∈Ae x∉B}<br />

Ipotesi: A-B = B-A<br />

Tesi: A=B<br />

Teorema<br />

La proprietà commutativa, nella <strong>di</strong>fferenza tra insiemi, vale solo se gli<br />

insiemi sono uguali.<br />

Dimostrazione (per assurdo):<br />

Se A ≠ B allora o esiste un elemento x che appartiene ad A ma non a B,<br />

– 337 –


oppure viceversa un x che appartiene a B ma non ad A. Vedremo che in<br />

ognuno dei due casi arriveremo ad un assurdo.<br />

1° caso: esiste un elemento x che appartiene ad A ma non a B.<br />

Quin<strong>di</strong> x∈ A-B = B-A ⇒ x∈ B<br />

ma questo è assurdo perché per ipotesi x non appartiene a B.<br />

2° caso: esiste un elemento x che appartiene a B ma non ad A.<br />

Quin<strong>di</strong> x∈ B-A = A-B ⇒ x∈ A<br />

ma questo è assurdo perché per ipotesi x non appartiene ad A.<br />

Francesco Aliberti - Classe IV <strong>Ginnasio</strong> (P.N.I.) Sez. D<br />

TEORIA DEI NUMERI<br />

L’allievo mosso dalla curiosità si è calato in una attività <strong>di</strong> ricerca nell’ambito<br />

della teoria dei numeri, la parte della matematica che stu<strong>di</strong>a le proprietà<br />

dei numeri naturali (<strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> grande interesse sia nella ricerca<br />

pura sia nelle sue applicazioni nella sicurezza della trasmissione dei dati).<br />

Ha inizialmente formulato delle congetture sui numeri primi gemelli che<br />

successivamente ha <strong>di</strong>mostrato. L’intero percorso si è svolto in maniera<br />

pressoché autonoma.<br />

Notazione<br />

In<strong>di</strong>chiamo con N l’insieme <strong>di</strong> numeri naturali: 0,1,2,3,4, ...<br />

Definizione 1<br />

Un numero naturale maggiore <strong>di</strong> 1 si <strong>di</strong>ce primo se è <strong>di</strong>visibile solo per<br />

se stesso e per 1.<br />

– 338 –


Definizione 2<br />

Una coppia <strong>di</strong> primi gemelli è una coppia <strong>di</strong> numeri primi della forma<br />

p e p+2 (es: (3;5), (5;7), (11;13), ...)<br />

Teorema 1<br />

Per ogni coppia <strong>di</strong> numeri primi gemelli p e p+2 con p>3 si ha:<br />

p+1 è <strong>di</strong>visibile per 6.<br />

Dimostrazione:<br />

È sufficiente mostrare che p+1 è <strong>di</strong>visibile per 3 (p+1 è pari).<br />

D’altra parte se così non fosse si avrebbe:<br />

1° caso: Resto(p+1:3) = 1 ⇒ p+1 = 3 k+1 per qualche κ∈N ⇒ p=3k⇒ p è<br />

<strong>di</strong>visibile per 3, e questo è assurdo perché p è un numero primo maggiore <strong>di</strong> 3.<br />

2° caso: Resto(p+1:3)=2 ⇒ p+1 = 3 k+2 per qualche κ∈N ⇒ p+2 = 3 k+3 =<br />

3(k+1) ⇒ p+2 è <strong>di</strong>visibile per 3, e questo è assurdo perché p+2 è un numero<br />

primo maggiore <strong>di</strong> 3.<br />

Teorema 2<br />

Per ogni coppia <strong>di</strong> numeri primi gemelli p e p+2 con p>5 si ha:<br />

p+1 non può terminare con 4 e con 6.<br />

Dimostrazione:<br />

Se così non fosse si avrebbe:<br />

1° caso: p+1 termina con 4 ⇒ p+2 termina con 5 ⇒ p+2 è <strong>di</strong>visibile per 5, e<br />

questo è assurdo perché p+2 è un numero primo maggiore <strong>di</strong> 5.<br />

2° caso: p+1 termina con 6 ⇒ p termina con 5 ⇒ p è <strong>di</strong>visibile per 5, e<br />

questo è assurdo perché p è un numero primo maggiore <strong>di</strong> 5.<br />

Q.E.D.<br />

– 339 –


Osservazioni<br />

- Per p ≤ 3 si ha una sola coppia <strong>di</strong> primi gemelli per la quale si ha:<br />

p = 3; p+1 = 4 (non <strong>di</strong>visibile per 6); p+2 = 5.<br />

- Per p ≤ 5 si hanno due sole coppie <strong>di</strong> primi gemelli per le quali si ha:<br />

p = 3; p+1 = 4 (termina con 4); p+2 = 5.<br />

p = 5; p+1 = 6 (termina con 6); p+2 = 7.<br />

- Esistono coppie <strong>di</strong> primi gemelli per le quali p+1 termina con 0, con<br />

2 e con 8:<br />

p = 11; p+1 = 12 (termina con 2); p+2 = 13.<br />

p = 17; p+1 = 18 (termina con 8); p+2 = 19.<br />

p = 29; p+1 = 30 (termina con 0); p+2 = 31.<br />

- È banale verificare che il teorema 1 non si può invertire, cioè non è<br />

vero che se p+1 è un multiplo <strong>di</strong> 6 allora p e p+2 sono numeri primi<br />

gemelli: basta considerare il caso p = 23; p+1 = 24; p+2 = 25.<br />

Andrea Di Lorenzo - Classe IV <strong>Ginnasio</strong> (P.N.I.) Sez. D<br />

ALGEBRA<br />

I due teoremi che seguono sono casi particolari <strong>di</strong> un teorema <strong>di</strong> Algebra<br />

più generale che prende il nome <strong>di</strong> “Principio <strong>di</strong> identità dei polinomi”<br />

che sarà trattato nel prossimo anno scolastico:<br />

Se due polinomi <strong>di</strong> grado n nella variabile x sono equivalenti, allora i<br />

coefficienti sono or<strong>di</strong>natamente uguali:<br />

cioè se anx n +an-1x n-1 +... a1x+a0 ≈ bnx n +bn-1x n-1 +... b1x+b0 allora<br />

an =bn; an-1 =bn-1; ...; a1 =b1; a0 =b0.<br />

Le prime allieve, utilizzando la matematica appresa durante l’anno scolastico,<br />

<strong>di</strong>mostrano il caso n = 1, le seconde seguendo ed ampliando la tecnica<br />

usata nella prima <strong>di</strong>mostrazione provano il caso n = 2.<br />

– 340 –


Definizione<br />

Due espressioni letterali si <strong>di</strong>cono equivalenti quando, per ogni sostituzione<br />

delle variabili presenti, esse hanno uguale valore numerico.<br />

Notazione<br />

≈ è il simbolo dell’equivalenza;<br />

Q è il simbolo dei numeri razionali;<br />

→ è il simbolo della sostituzione.<br />

Proprietà invariantive<br />

(i) iPer ogni a,b,c ∈ Q, a = b sse a+c = b+c<br />

(ii) Per ogni a,b,c ∈ Q con c ≠ 0, a = b sse a ⋅ c=b⋅ c<br />

Teorema 1<br />

Se ax+b ≈ cx+d, dove a, b, c, d ∈ Q,<br />

allora: a = c; b = d<br />

Dimostrazione:<br />

1° passo: proviamo che b = d<br />

Se x → 0, allora:<br />

ax+b ≈ cx+d<br />

↓<br />

a(0)+b = c(0)+d<br />

↓<br />

0+b = 0+d<br />

↓<br />

b=d<br />

– 341 –


2° passo: proviamo che a = c<br />

per il 1° passo e per la proprietà invariantiva (i) possiamo scrivere: ax ≈ cx<br />

Se x → 1, allora:<br />

ax ≈ cx<br />

↓<br />

a(1) = c(1)<br />

↓<br />

a=c<br />

Conclusione<br />

Come volevasi <strong>di</strong>mostrare: a = c; b = d.<br />

Giulia Filippo, Giulia Campana - Classe IV <strong>Ginnasio</strong> (P.N.I.) Sez. D<br />

Teorema 2<br />

Se ax 2 +bx+c ≈ dx 2 +ex+f, dove a, b, c, d, e, f ∈ Q,<br />

allora: a = d; b = e; c = f.<br />

Dimostrazione:<br />

1° passo: proviamo che c = f<br />

Se x → 0, allora:<br />

ax 2 +bx+c ≈ dx 2 +ex+f<br />

↓<br />

a(0) 2 +b(0)+c = d(0) 2 +e(0)+f<br />

↓<br />

0+0+c = 0+0+f<br />

↓<br />

c=f<br />

– 342 –


2° passo: proviamo che a = d<br />

per il 1° passo e per la proprietà invariantiva (i) abbiamo ax 2 +bx ≈ dx 2 +ex<br />

Se x → 1, allora:<br />

Se x → -1, allora:<br />

ax 2 +bx ≈ dx 2 +ex<br />

↓<br />

a(1) 2 +b(1) = d(1) 2 +e(1)<br />

↓<br />

a+b = d+e<br />

ax 2 +bx ≈ dx 2 +ex<br />

↓<br />

a(-1) 2 +b(-1) ≈ d(-1) 2 +e(-1)<br />

↓<br />

a-b = d-e<br />

Utilizzando la proprietà invariantiva (i), possiamo scrivere che:<br />

3° passo: proviamo che b = e<br />

(a+b)+(a-b) = (d+e) + (d-e)<br />

↓<br />

a+b+a-b = d+e+d-e<br />

↓<br />

2a = 2d<br />

↓ (per la proprietà invariantiva (ii))<br />

a=d<br />

per 2° passo e per la proprietà invariantiva (i) possiamo scrivere: bx ≈ ex<br />

Se x → 1, allora:<br />

bx ≈ ex<br />

↓<br />

b(1) = e(1)<br />

↓<br />

b=e<br />

– 343 –


Conclusione<br />

Come volevasi <strong>di</strong>mostrare: a = d; b = f; c = f.<br />

Marta Rossi, Benedetta Rovigatti e Corinna Tarlantini - Classe IV <strong>Ginnasio</strong> (P.N.I.) Sez. D<br />

Bibliografia:<br />

M. RE FRASCHINI - G. GRAZZI, Geometria, Bergamo, E<strong>di</strong>zioni Atlas, 2003.<br />

A. TRIFONE - M. BERGAMINI, Manuale <strong>di</strong> Matematica, Bologna, Zanichelli,<br />

2003.<br />

– 344 –


VALENTINA PELLEGRINI - CONSIGLIO DI CLASSE DELLA IF<br />

Progetto Bullismo<br />

Questo lavoro nasce dall’esigenza dei ragazzi della I F <strong>di</strong> documentarsi, <strong>di</strong><br />

riflettere e <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere sugli atti <strong>di</strong> cosiddetto “bullismo”, verificatisi in alcune<br />

scuole italiane. Hanno così formulato un “pacchetto” <strong>di</strong> domande da sottoporre<br />

ai loro genitori e ai loro insegnanti che hanno dato come risultato un materiale<br />

informativo molto utile ai fini della comprensione <strong>di</strong> questo fenomeno<br />

e della considerazione che i genitori hanno del ruolo educativo della scuola.<br />

Tutte le risposte, ben motivate, mai generiche o superficiali, segnalano un<br />

profondo interesse da parte dei genitori nei riguar<strong>di</strong> del problema sollevato.<br />

Quasi tutte le risposte riconducono questi fenomeni alla crisi della famiglia<br />

come fondamentale agenzia educativa, alla società da cui non provengono modelli<br />

educativi forti, al permissivismo a cui molti ragazzi sono abbandonati. Un<br />

altro elemento ricorrente è la richiesta <strong>di</strong> maggiore severità da parte della scuola;<br />

quasi tutti i genitori affermano che questi fenomeni devono assolutamente<br />

essere puniti ed alcuni suggeriscono <strong>di</strong> attivare processi educativi alternativi.<br />

Facendo riferimento alle loro esperienze, essi domandano un recupero <strong>di</strong> autorevolezza<br />

da parte della scuola, un riposizionamento su basi educative e <strong>di</strong>dattiche<br />

più visibili e capaci <strong>di</strong> incidere sui comportamenti dei ragazzi.<br />

Un altro motivo con<strong>di</strong>viso dalla totalità dei genitori della I F intervistati,<br />

è un maggiore coinvolgimento delle famiglie nella vita della scuola, un confronto<br />

più serrato su tematiche che non siano quelle esclusivamente legate al<br />

profitto; tutti offrono la loro collaborazione, ciascuno ha una proposta da<br />

fare e in molti esprimono la loro fiducia e il loro apprezzamento per il lavoro<br />

svolto dagli insegnanti. Lo <strong>di</strong>mostra anche la pronta adesione e la impegnata<br />

partecipazione a questa iniziativa. Ai genitori della I F, ai ragazzi che hanno<br />

lavorato alacremente, va il ringraziamento del Consiglio <strong>di</strong> Classe.<br />

INTERVISTE AI DOCENTI<br />

1) Le è mai capitato in passato <strong>di</strong> assistere o ricevere azioni <strong>di</strong> “bullismo”?<br />

Docente n. 1: No, mai e mi ritengo fortunata perché non avrei saputo come<br />

reagire.<br />

– 345 –


Docente n. 2: No, non mi è mai capitato.<br />

Docente n. 3: No.<br />

Docente n. 4: No, mai.<br />

Docente n. 5: No, non ho mai assistito ad azioni <strong>di</strong> “bullismo”.<br />

2) Nella sua carriera scolastica ha mai avuto bulli in classe?<br />

Docente n. 1: No e anche se fosse non saprei come comportarmi.<br />

Docente n. 2: Sì.<br />

Docente n. 3: Una sola volta mi è capitato e chiesi alla psicologa della scuola<br />

<strong>di</strong> intervenire. Ma comunque questo ragazzo aveva problemi psicologici<br />

e non è mai arrivato a livelli gravi.<br />

Docente n. 4: No.<br />

Docente n. 5: Sì, ho avuto un alunno che si atteggiava da “bullo”.<br />

3) A cosa pensa sia dovuto il comportamento <strong>di</strong> questi ragazzi?<br />

Docente n. 1: Credo che questo comportamento sia dovuto soprattutto ad un<br />

<strong>di</strong>sagio psicologico dei ragazzi.<br />

Docente n. 2: Penso sia dovuto a vari fattori, prima <strong>di</strong> tutto all’educazione a<br />

casa, poi alla situazione familiare ed infine perché vorrebbero imitare i<br />

compagni più forti ed alcuni personaggi televisivi.<br />

Docente n. 3: Penso sia dovuto a grossi <strong>di</strong>sagi interiori e grossi problemi<br />

psicologici.<br />

Docente n. 4: Secondo me i motivi sono due: uno <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne generale, dovuto<br />

alla caduta <strong>di</strong> moralità e <strong>di</strong> senso <strong>di</strong> responsabilità in molti settori importanti<br />

della società. Io avverto un senso <strong>di</strong> per<strong>di</strong>ta dei doveri che ogni citta<strong>di</strong>no<br />

dovrebbe garantire alla comunità a cui appartiene, un pericoloso<br />

ripiegamento sugli interessi in<strong>di</strong>viduali, una maleducazione <strong>di</strong>ffusa.<br />

Inoltre dai canali più pervasivi proviene un certo numero <strong>di</strong> “cattivi”<br />

esempi che certamente ha una sua influenza negativa. Il secondo motivo<br />

è <strong>di</strong> origine familiare, dovuto all’assenza <strong>di</strong> modelli <strong>di</strong> comportamento,<br />

<strong>di</strong> punti <strong>di</strong> riferimento forti. E poi io ho l’impressione che questi ragazzi<br />

siano terribilmente annoiati.<br />

Docente n. 5: Il comportamento <strong>di</strong> questi ragazzi penso sia dovuto principalmente<br />

al fatto che non vengono sufficientemente ascoltati dalla famiglia,<br />

quin<strong>di</strong> si tratta già <strong>di</strong> soggetti deboli.<br />

4) Secondo lei un ragazzo sottoposto a <strong>di</strong>sagi familiari è più vittima <strong>di</strong><br />

questo comportamento, atteggiamento, chiamato “bullismo”?<br />

– 346 –


Docente n. 1: Certo, il <strong>di</strong>sagio familiare favorisce il “bullismo”.<br />

Docente n. 2: Sì, credo <strong>di</strong> sì.<br />

Docente n. 3: Sì, è proprio quello a cui mi riferisco.<br />

Docente n. 4: Non so rispondere a questa domanda.<br />

Docente n. 5: Finora la “norma” era questa, ovvero magari vedevano delle<br />

litigate da parte dei genitori e quin<strong>di</strong> tendevano ad imitarli. Ora invece<br />

gli episo<strong>di</strong> riguardano anche molte famiglie che appartengono a ceti<br />

sociali più abbienti.<br />

5) Secondo il suo parere per migliorare il comportamento dei ragazzi è<br />

utile il <strong>di</strong>alogo o crede che ci siano altri meto<strong>di</strong>?<br />

Docente n. 1: Assolutamente penso che il <strong>di</strong>alogo sia fondamentale, nonché<br />

il più utile.<br />

Docente n. 2: Il <strong>di</strong>alogo soprattutto, ma affiancato anche da regole <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina.<br />

Docente n. 3: Il <strong>di</strong>alogo è una strada che abbiamo l’obbligo <strong>di</strong> percorrere,<br />

perché nessun uomo è un “mostro” e a tutti deve essere garantita la possibilità<br />

<strong>di</strong> correggere i propri comportamenti; ma, accanto a questo, le<br />

istituzioni scolastiche devono essere in grado <strong>di</strong> far rispettare le regole,<br />

ed ogni regola per essere efficace deve prevedere una sanzione.<br />

Docente n. 4: Il <strong>di</strong>alogo credo sia più utile, ma non solo tra il ragazzo e il<br />

professore, perché non sarebbe sufficiente. Bisognerebbe quin<strong>di</strong> che nel<br />

<strong>di</strong>alogo intervenissero la famiglia, il corpo docente e il gruppo classe. Il<br />

tutto dovrebbe essere supportato magari da uno psicologo che trasformi<br />

l’atteggiamento negativo in positivo.<br />

6) Come vi sentite voi professori nel venire a conoscenza <strong>di</strong> tutto ciò che<br />

sta accadendo nelle scuole?<br />

Docente n. 1: Mi sento molto a <strong>di</strong>sagio ascoltando tutti questi fatti accaduti e<br />

allo stesso tempo solidale verso i colleghi che vivono queste esperienze,<br />

sicuramente non facili da affrontare.<br />

Docente n. 2: Molto a <strong>di</strong>sagio perché non sempre abbiamo la possibilità, i<br />

mezzi e le conoscenze per intervenire con i ragazzi e le famiglie.<br />

Docente n. 3: Credo fermamente che un docente non abbia solo il <strong>di</strong>rittodovere<br />

all’insegnamento, ma mi sento però preoccupata e con dei limiti<br />

perché non siamo formati per intervenire in questi casi.<br />

Docente n. 4: Male... perché la scuola italiana viene messa nel “tritacarne”<br />

me<strong>di</strong>atico e, spesso, ne esce malconcia; la scuola deve riappropriarsi<br />

– 347 –


della sua autorevolezza, gli insegnanti del loro orgoglio professionale,<br />

gli allievi del senso <strong>di</strong> appartenenza ad una comunità <strong>di</strong> cui si con<strong>di</strong>vidono<br />

le scelte, gli in<strong>di</strong>rizzi e, soprattutto, gli obiettivi educativi. Tutti<br />

insieme dobbiamo fare uno sforzo se cre<strong>di</strong>amo che il futuro del nostro<br />

paese sia garantito anche da una scuola che funzioni!<br />

Docente n. 5: Mi sento profondamente sconcertata anche perché prima le<br />

violenze avvenivano tra i ragazzi, invece ora i soggetti deboli sono<br />

anche gli insegnanti e questo deve far riflettere.<br />

7) A chi crede che vadano le maggiori colpe? Alla scuola o alla famiglia?<br />

Docente n. 1: Non credo che la scuola abbia maggiori colpe rispetto alla<br />

famiglia e viceversa, ma credo che vadano attribuite ad entrambi al 50%.<br />

Docente n. 2: Io credo che in primis c’è la famiglia che a questa età avrebbe<br />

già dovuto dare ai ragazzi la giusta educazione, ma, come ho risposto<br />

nella domanda precedente, molte volte non c’è <strong>di</strong>sponibilità da parte dei<br />

genitori.<br />

Docente n. 3: Ad entrambi, forse con una tendenza verso la famiglia.<br />

Docente n. 4: Non mi sento <strong>di</strong> attribuire colpe, non saprei a chi darle.<br />

Docente n. 5: La famiglia spesso non è sufficientemente attenta all’esigenze<br />

del figlio e non costruisce con lui un <strong>di</strong>alogo proficuo, perciò se tutto<br />

questo non avviene, la scuola può far poco, anche perché il ragazzo<br />

avrebbe già dovuto avere la giusta educazione e la scuola può formare<br />

il ragazzo professionalmente e solo in parte personalmente. Perciò se<br />

<strong>di</strong>etro non c’è una famiglia solida e che ha nei riguar<strong>di</strong> del figlio le<br />

dovute attenzioni, la scuola può fare molto poco.<br />

8) Prendendo spunto da alcune risposte dei genitori, ritiene giusto che<br />

questi ragazzi siano costretti a lasciare l’ambiente scolastico?<br />

Docente n. 1: Secondo me lasciare la scuola non li aiuta perché li allontanerebbe<br />

sempre <strong>di</strong> più e sarebbe <strong>di</strong>fficile riavvicinarli. Credo però che sia<br />

utile e necessario avviare un percorso <strong>di</strong> recupero all’interno della<br />

scuola stessa.<br />

Docente n. 2: Dipende dal tipo <strong>di</strong> “bullismo”, il “bullismo” violento sì, gli<br />

altri tipi <strong>di</strong> “bullismo” no.<br />

Docente n. 3: Non ritengo sia giusto allontanarli, però bisogna fare i conti<br />

con la realtà e la scelta <strong>di</strong> allontanarli o meno deve essere calibrata <strong>di</strong><br />

caso in caso.<br />

Docente n. 4: Per fatti <strong>di</strong> particolare gravità, sì, devono essere allontanati.<br />

– 348 –


Docente n. 5: Penso ci sia bisogno <strong>di</strong> un periodo <strong>di</strong> riflessione per comprendere<br />

le cause e per un’osservazione più specifica del fenomeno per poi<br />

reinserirli adeguatamente nell’ambiente scolastico.<br />

9) Durante la sua carriera scolastica se le capitasse <strong>di</strong> subire azioni <strong>di</strong><br />

“bullismo” come si comporterebbe?<br />

Docente n. 1: Inizierei sicuramente col prendere il problema nella maniera<br />

giusta e seria, aiutandomi con il <strong>di</strong>alogo e poi cercando <strong>di</strong> mettermi<br />

accanto al ragazzo, nel senso che cercherei <strong>di</strong> capire le motivazioni per<br />

cui il ragazzo assume determinati atteggiamenti.<br />

Docente n. 2: Innanzitutto cercherei <strong>di</strong> intervenire, poi una volta riuscita,<br />

metterei una nota e farei chiamare il bidello e il preside o il vicepreside.<br />

Docente n. 3: Sono convinta che in ogni situazione bisogna trovarcisi, <strong>di</strong><br />

certo non me ne starei con le braccia conserte e nemmeno scapperei<br />

dalla classe, cercherei <strong>di</strong> chiamare i collaboratori.<br />

Docente n. 4: Adopererei tutti gli strumenti a mia <strong>di</strong>sposizione per contenere<br />

questo fenomeno. Sicuramente non starei a guardare.<br />

Docente n. 5: In primo luogo avvertirei la famiglia e poi la scuola e tutte le<br />

altre persone coinvolte.<br />

INTERVISTE AI GENITORI<br />

1) Secondo voi, perché accadono questi fenomeni all’interno della scuola?<br />

Genitore n. 1: Secondo me sono sempre accaduti, soltanto che il potere dei<br />

mass-me<strong>di</strong>a è aumentato notevolmente, per cui anche le notizie meno<br />

significative <strong>di</strong>ventano gravissime.<br />

Genitore n. 2: Secondo il mio parere questi fatti sono dovuti alla mancanza <strong>di</strong><br />

rispetto e <strong>di</strong> educazione degli alunni nei confronti dei professori (principalmente<br />

alla mancanza <strong>di</strong> rispetto nei confronti anche e soprattutto nella<br />

famiglia) e a volte dalla troppa <strong>di</strong>sponibilità dei professori nei confronti<br />

dei ragazzi anche quelli che avrebbero bisogno <strong>di</strong> maggiore severità.<br />

Genitore n. 3: Perché viviamo in un mondo <strong>di</strong> cattivi esempi, come la televisione<br />

e i giochi violenti. La famiglia ha perso terreno. Non segue i<br />

propri figli, non li educa al rispetto degli altri ed al rispetto delle regole.<br />

I genitori, quando entrambi lavoratori, non hanno il tempo <strong>di</strong> seguire i<br />

figli. In parole povere, se i figli sbagliano in quel modo, la famiglia<br />

risulta assente e responsabile della mancanza <strong>di</strong> trasmissione <strong>di</strong> valori.<br />

– 349 –


2) Che cosa vi aspettate che la scuola faccia per porre rime<strong>di</strong>o a questi<br />

fenomeni?<br />

Genitore n. 1: L’unico rime<strong>di</strong>o è la prevenzione: oltre le nozioni della<br />

lingua, della matematica o della storia servirebbe lo spazio ed il tempo<br />

educativo riguardo la vita quoti<strong>di</strong>ana, il rapporto con se stessi ed il relazionarsi<br />

con gli altri.<br />

Genitore n. 2: La scuola deve migliorare, prevenire e <strong>di</strong>alogare con i ragazzi.<br />

Ovviamente non può sostituirsi alla famiglia, ma collaborare alla<br />

risoluzione dei problemi. Fossi io un insegnante, nei casi in cui la famiglia<br />

chiamata più volte al dovere, non risponde agli appelli della scuola,<br />

proverei a sostituirmi alla famiglia in questione educando e cercando <strong>di</strong><br />

recuperare il ragazzo con problemi al fine <strong>di</strong> renderlo alla società civile<br />

più responsabile ed attento ai valori umani.<br />

Genitore n. 3: Mi aspetto che la scuola faccia quadrato nei confronti <strong>di</strong><br />

questi atteggiamenti assolutamente negativi e si attivi al fine <strong>di</strong> evitare<br />

il ripetersi <strong>di</strong> questi episo<strong>di</strong> che sono assolutamente da deprecare e che<br />

sono lesivi per l’immagine della scuola e dei professori.<br />

3) Per le esperienze trascorse e presenti che voi avete nella scuola italiana,<br />

che idea vi siete fatti in or<strong>di</strong>ne all’efficacia del suo sistema educativo?<br />

Genitore n. 1: Ancora una volta la risposta è: troppe nozioni teoriche che i<br />

ragazzi non riescono a riportare nella vita pratica <strong>di</strong> tutti i giorni. La<br />

frustrazione degli insegnanti (per mancanza <strong>di</strong> autonomia, per troppe<br />

<strong>di</strong>rettive, per troppa per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tempo, per mancanza <strong>di</strong> fon<strong>di</strong> e spesso<br />

per mancanza <strong>di</strong> volontà <strong>di</strong> fare questo mestiere tra i più importanti)<br />

viene trasmessa ai ragazzi. Qualunque cambiamento e innovazione<br />

viene fermato dalla tra<strong>di</strong>zione religiosa <strong>di</strong> questo paese. Il sistema <strong>di</strong><br />

valutazione dell’appren<strong>di</strong>mento scolastico non è affatto gratificante, per<br />

cui agli studenti mancano gli stimoli!<br />

Genitore n. 2: Un’idea ben precisa. Forte con i deboli e debole con i forti.<br />

Spesso al <strong>di</strong>alogo si contrappone arroganza del potere e potere delle<br />

decisioni che non educa ma intimorisce.<br />

Genitore n. 3: Per quanto riguarda il sistema educativo della scuola italiana,<br />

era carente in passato e lo è adesso a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> anni, vedo un grande<br />

abbandono dal passaggio delle scuole me<strong>di</strong>e alle superiori, dovuto non<br />

solo alle strutture ma anche al livello degli insegnanti, che a volte a<br />

causa <strong>di</strong> mille problemi perdono quella voglia che hanno <strong>di</strong> insegnare a<br />

causa della presenza <strong>di</strong> questi soggetti.<br />

– 350 –


4) Questi comportamenti, secondo voi, da cosa scaturiscono?<br />

Genitore n. 1: Nascono dalla mancanza <strong>di</strong> affetto e rispetto verso gli altri e<br />

dalla mancanza <strong>di</strong> accettazione della <strong>di</strong>versità del prossimo. La globalizzazione<br />

non solo economica ma anche quella mentale porta alla<br />

paura <strong>di</strong> esprimere le proprie in<strong>di</strong>vidualità e personalità: ecco i ragazzi<br />

in branco a fare quello che uno singolo non farebbe mai.<br />

Genitore n. 2: Mancanza <strong>di</strong> valori, famiglia assente e scuola poco umana e<br />

comprensiva.<br />

Genitore n. 3: Sicuramente dalla mancanza <strong>di</strong> educazione all’interno della<br />

famiglia e dalla sicurezza che intanto non vengono scoperti.<br />

5) Avete delle proposte da fare?<br />

Genitore n. 1: Valorizziamo in ogni senso il potere educativo degli insegnanti<br />

dando loro tutto l’occorrente che serve per svolgere il loro mestiere con<br />

la massima serenità, non <strong>di</strong>menticando che la scuola con il suo insegnamento<br />

può arrivare a coprire le lacune dell’educazione della singola<br />

famiglia.<br />

Genitore n. 2: Non usare l’arma del potere e del coltello dalla parte del<br />

manico per intimorire i più deboli, renderli vulnerabili e meno sicuri,<br />

ma adottare l’arma del <strong>di</strong>alogo, della comprensione e del rispetto reciproco.<br />

Genitore n. 3: Bisognerebbe che la scuola fosse più rigida nei confronti <strong>di</strong><br />

persone come queste che meriterebbero solo <strong>di</strong> essere allontanate dalla<br />

scuola e dando loro un curriculum stu<strong>di</strong>orum altamente negativo nel<br />

caso cercassero <strong>di</strong> andare presso altre scuole.<br />

6) Se questi fenomeni accadono, secondo te, come si dovrebbe comportare<br />

un insegnante che si trova ad assistere ad essi?<br />

Genitore n. 1: È secondo la gravità che viene valutata la situazione e quin<strong>di</strong><br />

il provve<strong>di</strong>mento e l’intervento rieducativi.<br />

Genitore n. 2: Un insegnante che assiste ad uno dei fenomeni in oggetto<br />

dovrebbe in quel momento sostituirsi al genitore assente. Dovrebbe<br />

essere severissimo e risoluto in quel frangente a <strong>di</strong>fesa dell’oppresso e<br />

del più debole. Convocare successivamente i genitori per metterli al<br />

corrente della situazione. Se si comprende che il ragazzo responsabile<br />

dei fatti possa essere recuperato, lavorare per recuperarlo, caso contrario<br />

prendere decisioni serie e proporzionate al caso.<br />

Genitore n. 3: Secondo me gli insegnanti dovrebbero avere il polso e l’auto-<br />

– 351 –


ità per farsi rispettare anche nelle peggiori situazioni, punendo gli<br />

alunni che lo meritano e tutelando gli alunni più esposti a certi atti.<br />

INTERVISTA AGLI ALUNNI DELLA I F<br />

1) Vi è mai capitato <strong>di</strong> assistere o ricevere azioni <strong>di</strong> bullismo?<br />

Alunno n. 1: Quando ero bambino stavo giocando con la bicicletta nel parco.<br />

Mi si avvicina un ragazzo e mi <strong>di</strong>ce: “Dammi la bicicletta”. Io istintivamente<br />

gli ho detto <strong>di</strong> no e me ne sono andato correndo con la bici e lui<br />

che mi inseguiva <strong>di</strong>etro. Quando andavo alle me<strong>di</strong>e, precisamente in 3ª<br />

me<strong>di</strong>a, avevo dei ragazzi che venivano da altre scuole e si erano trasferiti<br />

lì, che erano dei bulli. Io avevo nella mia classe una quasi <strong>di</strong>ciottenne.<br />

Una volta lei ha aperto la finestra e ha cominciato a fumare in classe<br />

con la professoressa presente che non è intervenuta perché aveva paura<br />

<strong>di</strong> questi personaggi. Una ragazza, siccome era inverno, ha chiuso la<br />

finestra perché sentiva freddo. Lei l’ha riaperta e l’altra l’ha richiusa.<br />

La <strong>di</strong>ciottenne con molta “delicatezza” le ha sbattuto il viso sul banco.<br />

La storia <strong>di</strong> questi ragazzi è andata avanti perché nessuno interveniva.<br />

I professori avevano paura e il preside <strong>di</strong>chiarava che avevano dei problemi<br />

familiari.<br />

Alunno n. 2: Qualche giorno fa, sull’autobus, due amiche stavano raccontando<br />

<strong>di</strong> una ragazza molto in<strong>di</strong>sciplinata che esce tutti i giorni da<br />

scuola a mezzogiorno, e normalmente si dovrebbe uscire alle due.<br />

Questa ragazza tutti i giorni va dalla preside e le <strong>di</strong>ce che o la fa uscire<br />

oppure lei avrebbe combinato guai alla scuola. La preside la fa uscire<br />

dalla scuola per “tutelare” i suoi alunni.<br />

Alunno n. 3: Anche io quando andavo in 3° me<strong>di</strong>a avevo dei compagni<br />

“bulli”. Alla fine dell’anno mi volevano bocciare perché, in un certo<br />

senso, facevo quello che facevano loro. Infatti, la paura mi portava a<br />

fare tutto quello che mi chiedevano.<br />

2) Secondo voi il <strong>di</strong>alogo è utile per migliorare il comportamento dei<br />

ragazzi? Oppure credete ci siano altri meto<strong>di</strong>?<br />

Alunno n. 1: Ci deve essere il <strong>di</strong>alogo, ma anche una punizione che <strong>di</strong>sciplina<br />

i ragazzi.<br />

Alunno n. 2: Io penso che il <strong>di</strong>alogo sia poco utile perché loro non ti ascoltano.<br />

Pensano che quello che fanno sia giusto.<br />

– 352 –


4) Ritenete giusto che questi ragazzi siano costretti a lasciare l’ambiente<br />

scolastico?<br />

Alunno n. 1: Secondo me non bisogna allontanarli ma prendere delle posizioni<br />

e dare delle regole.<br />

4) Secondo te perché accadono questi fenomeni?<br />

La risposta dei ragazzi sul fenomeno del bullismo all’interno della scuola<br />

ha dato questo esito:<br />

- Scarsa partecipazione all’educazione dei ragazzi da parte della famiglia<br />

e della scuola.<br />

- Eccesso <strong>di</strong> permissivismo o <strong>di</strong> atteggiamento repressivo da parte<br />

della famiglia.<br />

- Gli atteggiamenti tracotanti sono un mezzo per acquistare popolarità<br />

nel gruppo.<br />

5) Cosa ti aspetti che la scuola faccia per porre rime<strong>di</strong>o a questi problemi?<br />

Alunno n. 1: Noi ragazzi pensiamo sia doveroso affrontare questi problemi<br />

favorendo il <strong>di</strong>alogo con i soggetti interessati, ma un altro compito che<br />

deve svolgere la scuola è l’introduzione <strong>di</strong> corsi <strong>di</strong> volontariato per aiutarli.<br />

Inoltre i professori dovrebbero comportarsi nei riguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> questi<br />

ragazzi con più rigore e severità.<br />

6) Per le esperienze trascorse e presenti che tu hai della scuola italiana,<br />

che idea ti sei fatta in or<strong>di</strong>ne all’efficacia del suo sistema educativo?<br />

Alunno n. 1: L’esperienza vissuta fino ad ora ci ha fatto maturare l’opinione<br />

che la scuola promette molte cose, offre molte opportunità, ma spesso<br />

non riesce a mantenere gli impegni, creando così <strong>di</strong>sagio, <strong>di</strong>spersione <strong>di</strong><br />

energia e anche delusione. Speriamo che le nostre riflessioni spingano i<br />

professori ad intervenire sulle questioni da noi sollevate.<br />

7) Hai delle proposte da fare?<br />

Alunno n. 1: La maggior parte dei ragazzi suggerisce <strong>di</strong> sensibilizzare questi<br />

ragazzi, proponendo <strong>di</strong> mandarli in centri in cui possono capire i propri<br />

errori e correggere i loro comportamenti violenti.<br />

8) Questi comportamenti secondo te, da che cosa scaturiscono?<br />

Alunno n. 1: Secondo noi, il bullismo è determinato dalla scarsa attenzione<br />

dei genitori verso i ragazzi che, sentendosi soli, sfogano la loro rabbia<br />

– 353 –


su persone più piccole e più deboli, a causa anche <strong>di</strong> esempi negativi<br />

presi dal mondo reale ed in particolare dai mass-me<strong>di</strong>a.<br />

9) Se questi fenomeni accadono, secondo te, come si dovrebbe comportare<br />

un insegnante che si trova ad assistere ad essi?<br />

Alunno n. 1: Per noi un insegnante dovrebbe mantenere la calma, cercando<br />

<strong>di</strong> far ragionare il ragazzo attraverso un <strong>di</strong>alogo collettivo e coinvolgendo<br />

la famiglia, facendogli capire il suo errore.<br />

– 354 –


CLAUDIO JANKOWSKI<br />

Laboratorio teatrale 2006-2007<br />

PRESENTAZIONE<br />

Nella nostra scuola, ormai da molti anni, è presente un laboratorio <strong>di</strong><br />

teatro che anche quest’anno sta realizzando un progetto che andrà in scena<br />

il 25 maggio 2007 al teatro Greco <strong>di</strong> Roma.<br />

I ragazzi partecipanti: 1) Abraham Angelica, 2) Abraham Isabella,<br />

3) Bencivenga Angela, 4) Bucciarelli Maya, 5) Carrera Elena, 6) Cobzarenco<br />

Ilinca, 7) Crescentini Giulia, 8) Consiglio Stefano, 9) De Angelis Lorenzo,<br />

10) De Luca Federico, 11) Denaro Francesca Romana, 12) Di Lorenzo<br />

Flaminia, 13) Lai Federica, 14) Oliva Francesca, 15) Oliva Valeria, 16) Paesani<br />

Bruno, 17) Rossetti Fabiana, 18) Sorrentino Arianna, 19) Staffa Silvia,<br />

20) Tomei Chiara, 21) Torelli Flavia, 22) Tucci Francesca, rappresenteranno<br />

un’antologia delle più importanti scene tratte dalle opere <strong>di</strong> Shakespeare.<br />

Il copione è stato realizzato da un laboratorio <strong>di</strong> scrittura nel quale<br />

hanno lavorato alcuni studenti all’interno del gruppo: 1) Carrera Elena,<br />

2) Lai Federica, 3) Rossetti Fabiana.<br />

Ha collaborato alla realizzazione anche il prof. Gianfranco Bartalotta<br />

docente della facoltà <strong>di</strong> Storia del Teatro e dello Spettacolo dell’università<br />

“Roma tre”.<br />

Come sappiamo, all’interno della scuola, sono presenti anche altri laboratori<br />

tra i quali anche un altro <strong>di</strong> teatro.<br />

Quest’anno è stato deciso <strong>di</strong> utilizzare lo spettacolo che verrà realizzato dai<br />

ragazzi del secondo laboratorio, come introduzione allo spettacolo del primo.<br />

Questo secondo spettacolo sarà una raccolta <strong>di</strong> monologhi tratti anche<br />

essi da opere <strong>di</strong> Shakespeare scelti dai ragazzi consigliati dal prof. Jankowski<br />

a cui è affidata la conduzione dei due laboratori. Le scene degli spettacoli sono<br />

state scelte per celebrare la grandezza <strong>di</strong> un artista significativo ed importante<br />

per il teatro <strong>di</strong> tutti i tempi, qual’è Shakespeare, che ha particolarmente interessato<br />

i ragazzi e che ancora oggi ritroviamo <strong>di</strong> grande attualità.<br />

Il laboratorio si prefigge <strong>di</strong> favorire e sviluppare, attraverso le tecniche<br />

teatrali, la crescita in<strong>di</strong>viduale, artistica e umana <strong>di</strong> ogni ragazzo, favorendo<br />

in questo modo un migliore rapporto con gli altri e con il gruppo.<br />

– 355 –


Lo stu<strong>di</strong>o delle tecniche teatrali e l’esperienza del teatro servirà poi a<br />

sviluppare e consolidare l’identità personale e il proprio sé, bisognoso in età<br />

adolescenziale <strong>di</strong> conferme, verifiche e affermazioni, e ad incrementare le<br />

capacità <strong>di</strong> espressione, interlocuzione e <strong>di</strong> comunicazione intesa nelle sue<br />

varie forme (Verbale, Non verbale e Paraverbale).<br />

Frequentando il laboratorio, inoltre, l’alunno potrà venire a contatto, in<br />

prima persona, con una particolare realtà del periodo storico a cui l’opera si<br />

riferisce, avrà modo così <strong>di</strong> farne esperienza e <strong>di</strong> comprenderla nelle sue<br />

caratteristiche, grazie alla grande capacità del teatro <strong>di</strong> rendere la realtà più<br />

chiara e comprensibile.<br />

Entrambi gli spettacoli saranno <strong>di</strong>retti dal prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski che<br />

ne curerà la regia.<br />

Il copione che segue è un estratto <strong>di</strong> quello del primo spettacolo.<br />

...Siamo fatti della stessa stoffa <strong>di</strong> cui son fatti i sogni<br />

(ANTOLOGIA DA SHAKESPEARE)<br />

PERSONAGGI<br />

Starveling<br />

Flute<br />

Quince<br />

Snug<br />

Bottom<br />

Edgar: Amleto<br />

Arold: <strong>Orazio</strong><br />

Fleaver: Marcello<br />

Gloubert: Bernardo<br />

Megan: Spettro<br />

Pinky: Re<br />

Tarzio: Polonio<br />

Glade: Regina<br />

Claire: Ofelia<br />

Philip: Attore re<br />

Dalida: Attrice regina<br />

Laky: Attore Luciano<br />

Sharp: Laerte<br />

Spike: Gentiluomo<br />

Maxell: Osric<br />

– 356 –<br />

} “Sogno <strong>di</strong> una notte<br />

<strong>di</strong> mezz’estate”<br />

}<br />

“Amleto”


Marion: Giulietta<br />

Dict: Romeo<br />

Na<strong>di</strong>ne: Balia <strong>di</strong> Giulietta<br />

Dolly: Caterina<br />

Sally: Bianca<br />

Harry: Battista<br />

Alby: Petruccio<br />

Tranio: Licenzio<br />

Plump: Gloucester<br />

Fance: Lady Anna<br />

ATTO I - SCENA II<br />

Entrano Quince, Snug, Bottom, Starveling e Flute.<br />

STARVELING: Ci siamo tutti?<br />

FLUTE: Tutti presenti, e questo sembra un luogo fatto apposta per provare<br />

il nostro dramma.<br />

QUINCE: Perfetto allora non per<strong>di</strong>amoci in chiacchiere e iniziamo...<br />

Signori, al lavoro! Partiamo dalla scena madre... Snug ripeti tu i ruoli,<br />

io l’ho già fatto troppe volte.<br />

SNUG: Come al solito la parte del muro spetta a me. Bottom e Flute voi<br />

sarete Piramo e Tisbi. Starveling tu invece ci aiuterai nella narrazione<br />

della storia.<br />

Gli attori si preparano e inizia la scena.<br />

STARVELING: Gentili signori, iniziamo con il prologo... Se vi offenderemo<br />

è con il nostro intento, se vi annoieremo non sarà per errore perché<br />

questo è il nostro proposito. Non siamo qui per allietarvi e <strong>di</strong>vertirvi ma<br />

per mostrarvi la nostra incapacità.<br />

SNUG: Il nostro non è un semplice racconto scritto con inchiostro indelebile,<br />

bensì una storia d’amore che non si può raccontare perché è la<br />

magia l’inchiostro con cui è stata scritta.<br />

STARVELING: Tutte queste caratteristiche sembrano riferirsi ad un Sogno,<br />

ma visto che la luna è stata nostra ispiratrice e complice potremo chiamarlo<br />

Sogno Di Una Notte.<br />

SNUG: Durante i sogni gli occhi si chiudono e il cuore si apre verso suoni e<br />

profumi che rievocano in noi la magia dell’estate.<br />

– 357 –<br />

}<br />

}<br />

}<br />

“Romeo e Giulietta”<br />

“Bisbetica domata”<br />

“Riccardo III”


STARVELING: È proprio questo che volevamo rappresentare, non la<br />

magia <strong>di</strong> un semplice sogno ma la magia <strong>di</strong> quel Sogno <strong>di</strong> una notte <strong>di</strong><br />

mezza estate.<br />

QUINCE: Bene ragazzi, il prologo andava bene. Adesso Bottom, Flute in<br />

scena. Snug mi raccomando, il muro deve avere una fessura, attraverso<br />

la quale parleranno in segreto i due amanti, quin<strong>di</strong> quelle due <strong>di</strong>ta tienile<br />

bene aperte.<br />

Entrano Bottom e Flute, Snug in posizione.<br />

BOTTOM: Grazie cortese muro che raccogli le mie lacrime, che dalla tua<br />

fessura mi lasci intravedere il volto della mia bella. Come il profumo <strong>di</strong><br />

o<strong>di</strong>osi fiori.<br />

QUINCE: (rimproverando) Odorosi, Odorosi!!!<br />

BOTTOM: ...D’odorosi fiori, così è il tuo fiato, mia amata! Come le primule<br />

gialle così sono soffici le tue guance, mio astro splendente! Oh eccoti<br />

finalmente, <strong>di</strong>vina Tisbi.<br />

FLUTE: Oh muro che gemere mi senti tanto spesso, perché <strong>di</strong>vi<strong>di</strong> il mio<br />

Piramo da me?!... Mio dolce amore raggiungimi stanotte alla tomba<br />

<strong>di</strong> Ninnolo.<br />

QUINCE: (rimproverando) ...Di Ninno, Ninno è il nome!!!<br />

FLUTE: ...Alla tomba <strong>di</strong> Ninno, dove il chiaro <strong>di</strong> luna potrà scaldare i nostri<br />

cuori.<br />

BOTTOM: Per la vita, per la morte, a te verrò senz’altro (esce).<br />

SNUG: A questo punto io, il muro, ho qui finito la mia parte. E avendola<br />

finita, ecco il muro che se ne va.<br />

QUINCE: A questo punto, io tengo la luna, Starveling, fai tu il leone che<br />

con i denti sporchi <strong>di</strong> sangue macchia il mantello <strong>di</strong> Tisbi? Flute tu sei<br />

il primo ad entrare nel bosco. Dài, coraggio continuiamo...<br />

FLUTE: L’amor mio non è ancora arrivato?!<br />

Il leone ruggisce, Tisbi lascia cadere il mantello mentre scappa. Entra<br />

Bottom.<br />

BOTTOM: Oh luna soave, grazie dei tuoi raggi chiar... (si accorge che la<br />

lanterna è spenta) Grazie luna del tuo fulgente splendore! Ma cosa<br />

vedo? Oh <strong>di</strong>sdetta. Il mantello della mia bella lordo <strong>di</strong> sangue? Oh me<br />

infelice, sgorga e inonda il mio pianto, ferisci e trafiggi mia spada, che<br />

il vento si plachi, che la luna si spenga. (Quince rimane impassibile)<br />

Ho detto che la luna si spenga! (Quince esce <strong>di</strong> corsa) Perché il nobile<br />

Piramo già vola via, è in cielo lassù l’anima mia.<br />

– 358 –


Muore Piramo, entra Flute nel ruolo <strong>di</strong> Tisbi.<br />

FLUTE: Assopito amor mio? Oh no, è sangue questo che ti copre il petto.<br />

Mai più brilleranno i tuoi dolci occhi. Mai più baceranno le tue labbra<br />

<strong>di</strong> giglio. Ma a nulla serve levare al cielo i miei lamenti. Lingua non<br />

un’altra parola. Vieni mio ferro fedele, vieni mio pugnale. Trapassami il<br />

petto. E amici miei ad<strong>di</strong>o, questa è la fine <strong>di</strong> Tisbi.<br />

ATTO II - SCENA I<br />

QUINCE: Allora devo <strong>di</strong>re che sono abbastanza sod<strong>di</strong>sfatto del lavoro<br />

svolto... ma ora vedremo con gli altri ragazzi come andrà... Edgar,<br />

Arold, Fleaver, partiamo con la scena dell’Amleto. Dunque Edgar sarà<br />

Amleto, Arold e Fleaver <strong>Orazio</strong> e Marcello, ...<br />

Ma dov’è Gloubert?<br />

GLOUBERT: Eccomi, che ruolo mi spetta? L’orribile spettro che spaventa<br />

tutti?<br />

QUINCE: No, quello è il ruolo <strong>di</strong> Megan.<br />

MEGAN: Ah, ok...<br />

QUINCE: Tu, Gloubert sarai... Chi resta... Mh...Ah sì, Bernardo! Ok, iniziamo<br />

con la scena...<br />

Entrano Amleto, <strong>Orazio</strong>, Marcello, Bernardo e lo spettro.<br />

BERNARDO: Chi è là?<br />

ORAZIO: Amici <strong>di</strong> questo regno!<br />

MARCELLO: Ehilà, Bernardo! Siamo <strong>Orazio</strong> e Marcello!<br />

BERNARDO: Benvenuto, <strong>Orazio</strong>! Benvenuto, buon Marcello!<br />

MARCELLO: Ebbene, quella cosa è apparsa <strong>di</strong> nuovo stanotte?<br />

BERNARDO: Non ho visto niente.<br />

MARCELLO: <strong>Orazio</strong> <strong>di</strong>ce che è soltanto frutto della nostra immaginazione<br />

e fa capire che non ha alcuna intenzione <strong>di</strong> prestare fede al pauroso<br />

spettacolo che abbiamo già visto due volte.<br />

BERNARDO: Ingenuo <strong>Orazio</strong>, sie<strong>di</strong> un momento e ascolta cosa ho da <strong>di</strong>rti.<br />

ORAZIO: Va bene, se<strong>di</strong>amo e ascoltiamo<br />

BERNARDO: La notte scorsa, quando la stella che ve<strong>di</strong> posizionata lì,<br />

aveva fatto tutto il suo percorso, per posizionarsi dove è ora, Marcello e<br />

io...<br />

MARCELLO: Zitto! Nemmeno una parola, guarda là!<br />

BERNARDO: Non sembra proprio il re? GUARDALO BENE, ORAZIO!<br />

– 359 –


ORAZIO: Sembra proprio lui! Inizio ad avere paura!<br />

BERNARDO: Vuole che qualcuno gli parli! <strong>Orazio</strong>, parlagli tu!<br />

ORAZIO: Chi sei tu, che vieni a quest’ora <strong>di</strong> notte con le stesse sembianze<br />

del nostro defunto re? Ti or<strong>di</strong>no <strong>di</strong> parlare!<br />

MARCELLO: L’hai offeso!<br />

BERNARDO: Guarda! Si allontana con passo sdegnato! Ebbene <strong>Orazio</strong>,<br />

tu che ora tremi, impalli<strong>di</strong>sci, non era forse qualcosa <strong>di</strong> più semplice<br />

dell’immaginazione?<br />

ORAZIO: Giuro che non sarei mai riuscito a crederlo, senza vederlo con i<br />

miei occhi.<br />

MARCELLO: Non sembrava proprio il re?<br />

ORAZIO: Come tu sembri te stesso, dobbiamo avvertire Amleto.<br />

MARCELLO: Sì, an<strong>di</strong>amo ad informarlo, so io dove lo possiamo trovare.<br />

Escono.<br />

ORAZIO: Salute alla tua signoria.<br />

AMLETO: Sono contento <strong>di</strong> vedere che stai bene. Oh!... ma c’è anche<br />

Marcello!<br />

MARCELLO: Mio buon signore...<br />

AMLETO: Ah, sono proprio contento <strong>di</strong> vedervi, ma come mai da queste<br />

parti?<br />

ORAZIO: Per una brutta faccenda, mio signore<br />

AMLETO: Quale brutta faccenda?<br />

MARCELLO: Noi... abbiamo visto il re!<br />

AMLETO: Il re?<br />

MARCELLO E ORAZIO: Sì.<br />

AMLETO: E che grande novità sarebbe? Io lo vedo sempre.<br />

MARCELLO E ORAZIO: Davvero?<br />

AMLETO: Sì, ma non capisco la vostra meraviglia.<br />

ORAZIO: Beh, mio signore, con tutto il rispetto, non è da tutti vedere un<br />

morto!<br />

AMLETO: Un morto? Ma cosa state farneticando? Il re è vivo e vegeto e lo<br />

vedo sempre con la regina, mia madre!<br />

MARCELLO: Ma no, principe! Non questo re! Vostro padre!<br />

AMLETO: Mio padre? Cioè, voi mi <strong>di</strong>te <strong>di</strong> aver visto il mio defunto padre?<br />

MARCELLO E ORAZIO: Sì.<br />

ORAZIO: Per ben due notti <strong>di</strong> seguito Marcello e Bernardo l’hanno visto,<br />

questa notte l’ho visto anche io, con questi occhi.<br />

– 360 –


AMLETO: Dov’è successo?<br />

ORAZIO: Dove montavamo la guar<strong>di</strong>a.<br />

AMLETO: Stanotte siete <strong>di</strong> ronda?<br />

MARCELLO E ORAZIO: Sì.<br />

AMLETO: Bene, verrò con voi.<br />

Escono.<br />

AMLETO: Fa molto freddo questa sera.<br />

ORAZIO: Che ore sono?<br />

MARCELLO: Le un<strong>di</strong>ci.<br />

ORAZIO: Guarda mio signore, eccolo là.<br />

AMLETO: Angeli o spiriti <strong>di</strong> grazia, <strong>di</strong>fendeteci! Ah spirito, rispon<strong>di</strong> alle<br />

mie domande: perché, da cadavere nella tomba che eri, ora sei <strong>di</strong> nuovo<br />

su questa terra? Tra l’altro spaventando anche tutti?<br />

Lo spettro fa un cenno ad Amleto.<br />

ORAZIO: Ti fa cenno <strong>di</strong> andare con lui, forse vuole <strong>di</strong>rti qualcosa in privato.<br />

MARCELLO: Ti fa cenno <strong>di</strong> andare con lui in un luogo nascosto, ma non<br />

seguirlo!<br />

ORAZIO: Non farlo, mio signore.<br />

AMLETO: E perché mai? Di cosa potrei aver paura? Del mio corpo non<br />

m’importa nulla, e quanto alla mia anima, che può farle, dal momento<br />

che come lui stesso, è cosa immortale? Lo seguirò.<br />

Amleto e lo spettro escono.<br />

MARCELLO E ORAZIO: Seguiamolo.<br />

Escono ed entrano Amleto e lo spettro.<br />

AMLETO: Dove vuoi condurmi? Parla! Io non procederò oltre.<br />

SPETTRO: Ascolta bene quel che sto per <strong>di</strong>rti.<br />

AMLETO: Ascolterò.<br />

SPETTRO: Fra non molto dovrò tornare da dove sono venuto, alle fiamme<br />

e ai tormenti.<br />

AMLETO: Oh, povero spirito!<br />

SPETTRO: Non compatirmi, ma presta orecchio a ciò che sto per <strong>di</strong>rti!<br />

AMLETO: Parla, sono pronto ad ascoltarti.<br />

SPETTRO: E allo stesso modo sarai pronto alla vendetta, dopo che avrai<br />

ascoltato le mie parole.<br />

AMLETO: Che cosa?<br />

– 361 –


SPETTRO: Io sono lo spirito <strong>di</strong> tuo padre e sono condannato a vagare<br />

<strong>di</strong> notte, finché i turpi delitti commessi quando ero vivo non verranno<br />

ven<strong>di</strong>cati. Amleto, ascolta, se tu hai mai amato tuo padre, ven<strong>di</strong>ca il suo<br />

turpe assassino!<br />

AMLETO: Assassino!?<br />

SPETTRO: Sì, hai capito bene, assassino, tuo padre è stato assassinato!<br />

AMLETO: Sbrigati a <strong>di</strong>rmi il nome <strong>di</strong> quello schifoso, così che io possa<br />

presto ven<strong>di</strong>carmi.<br />

SPETTRO: Si <strong>di</strong>ce che mentre dormivo una serpe mi abbia punto, ma la<br />

vera serpe, ora porta sul capo la corona!<br />

AMLETO: Mio zio?<br />

SPETTRO: Proprio così, quella bestia adultera e incestuosa, che con ingegnose<br />

stregonerie conquistò la volontà della mia regina. Andò così...<br />

mentre io dormivo in giar<strong>di</strong>no, come facevo abitualmente dopo pranzo,<br />

tuo zio arriva e mi inietta nell’orecchio una fiala <strong>di</strong> veleno... cosa<br />

orribile! Troppo orribile! Se tieni ancora un po’ <strong>di</strong> pietà, non dovresti<br />

sopportare ciò. Ma in qualsiasi modo tu intenda punire questo atto, non<br />

permettere che il tuo spirito trami alcunché ai danni <strong>di</strong> tua madre. Lascia<br />

che a punirla sia il cielo e le stesse spine che tiene in seno. Ora devo<br />

andare, il mattino si avvicina, ad<strong>di</strong>o Amleto! Ricordati <strong>di</strong> me!<br />

AMLETO: Ricordarmi <strong>di</strong> te? Ma certo povero spirito, finché non mi abbandonerà<br />

la memoria, ricordarmi <strong>di</strong> te? Dalla mia memoria, cancellerò tutti i<br />

ricor<strong>di</strong> stupi<strong>di</strong> e inutili e l’unico ricordo che vivrà sarà il tuo! Oh canaglia,<br />

canaglia <strong>di</strong> uno zio! Ma ora ti ho scoperto e terrò fede alla mia promessa!<br />

Entrano <strong>Orazio</strong> e Marcello.<br />

ORAZIO: Ehilà mio signore!<br />

MARCELLO: Che cosa accadde signore?<br />

ORAZIO: Ci sono novità?<br />

AMLETO: Sì, molte novità.<br />

MARCELLO: Di cosa si tratta, mio signore?<br />

AMLETO: Non posso <strong>di</strong>rvelo, ma giuratemi una cosa, che non <strong>di</strong>rete a<br />

nessuno <strong>di</strong> aver visto lo spettro. Giurate?<br />

MARCELLO E ORAZIO: Certamente giuriamo.<br />

ORAZIO: Ma non si può proprio sapere cosa vi siete detti?<br />

AMLETO: No, miei buoni amici, questo desiderio <strong>di</strong> sapere cercate <strong>di</strong><br />

dominarlo. An<strong>di</strong>amo via, è stata una lunga notte, abbiamo tutti bisogno<br />

<strong>di</strong> riposare.<br />

– 362 –


ATTO II - SCENA II<br />

QUINCE: Bravi ragazzi, molto meglio dell’ultima volta... ora ve<strong>di</strong>amo che<br />

scena ci resta da riprovare, lo spettacolo è vicino...ah, sì, la scena della<br />

pantomima... (tra sé) a me sembra tutto una pantomima... allora voglio<br />

in scena: Pinky, che sarà il re, Tarzio, che interpreterà Polonio, Glade, la<br />

regina, Claire, Ofelia, Philip e Dalida, voi attore Re e attrice Regina, e<br />

infine quello zuccone <strong>di</strong> Laky, tu farai l’attore Luciano... forza in scena...<br />

LAKY: Attore chi?<br />

QUINCE: L’attore Luciano. Secondo me, la tua stupi<strong>di</strong>tà aumenta <strong>di</strong> giorno<br />

in giorno...<br />

RE: Come sta il mio caro nipote?<br />

AMLETO: Benissimo a <strong>di</strong>re il vero, non vedo l’ora che cominci la rappresentazione.<br />

POLONIO: Signore, quando vuole, noi siamo pronti.<br />

AMLETO: Perfetto, cominciate pure.<br />

REGINA: Vieni qui, mio buon Amleto, sie<strong>di</strong>ti vicino a me.<br />

AMLETO: No, madre, c’è un posto che mi attrae <strong>di</strong> più (si siede vicino<br />

ad Ofelia).<br />

POLONIO: (al re) Hai visto?<br />

AMLETO: Posso giacervi in braccio?<br />

OFELIA: No, mio signore!<br />

AMLETO: Voglio <strong>di</strong>re, col mio capo sul vostro grembo.<br />

OFELIA: Ah, allora sì, mio signore.<br />

AMLETO: Pensi che io volessi intendere qualcos’altro?<br />

OFELIA: Non penso nulla, mio signore, penso solo che siete più allegro<br />

del solito.<br />

AMLETO: O Dio! Sono solo uno scrittore <strong>di</strong> farse, che dovrebbe fare un<br />

uomo se non <strong>di</strong>vertirsi un po’? Guarda là mia madre, com’è allegra, e<br />

mio padre è morto da soli due giorni!<br />

OFELIA: Veramente sono già trascorsi due mesi dalla morte del re!<br />

AMLETO: Come passa in fretta il tempo...<br />

I musicisti cominciano a suonare ed entrano l’attore re e l’attrice regina<br />

che si abbracciano in maniera molto affettuosa.<br />

RE: Ben trenta volte il carro <strong>di</strong> Febo è andato attorno e <strong>di</strong> nettuno al salso<br />

flutto fe’ suo ritorno da quando amore i cuori nostri ed imen le mani<br />

unirono mutuamente in no<strong>di</strong> non pur vani<br />

– 363 –


REGINA: Ed altrettanti viaggi possa il sole e la luna farci contare innanzi<br />

che l’amor ne consuma! Ma pur, <strong>di</strong> questi giorni, voi foste un po’<br />

malato, remoto alla letizia e al primier vostro stato, così che per voi<br />

temo, questo timore sconfortarvi non deve, o amato mio signore. Dove<br />

l’amore è grande, più grande è lo spavento che in cuore ne <strong>di</strong>laga<br />

d’amoroso tormento.<br />

RE: In fede, lasciar ti devo, <strong>di</strong>letta e anche fra breve. E tu vivrai nel mondo<br />

bello, dopo <strong>di</strong> me. Né, amata ed onorata, mi tormenterai la fe’, ché un<br />

novello consorte...<br />

REGINA: Non voglio più saperne <strong>di</strong> intrattenere amanti. Da ragion d’interesse<br />

e non d’amor, dettate sono le seconde nozze, d’affetti desolate.<br />

E ben due volte uccido il defunto marito se, col secondo, sazio <strong>di</strong> baci<br />

l’appetito.<br />

RE: Credo ben che pensiate quel che state <strong>di</strong>cendo, ma non tutti si adoperano<br />

per mantenere l’intento.<br />

REGINA: Contrarietà che il volto della gioia scolora si incontri al mio desiderio<br />

e lo <strong>di</strong>strugga ogni ora, e sempre ai miei calcagni segua perpetua<br />

rissa se io riprenda marito, né ai voti resti fissa.<br />

RE: Questo è un solenne giuramento, mia <strong>di</strong>letta, si fanno gravi gli spiriti e<br />

il riposo ne alletta; ingannerò con il sonno il te<strong>di</strong>o.<br />

REGINA: Il tuo cervello culli il sonno. Propizio sia <strong>di</strong> sorte il suggello.<br />

Esce.<br />

AMLETO: Madre, come vi pare questo dramma?<br />

REGINA: Mi sembra che la donna nelle sue pretese d’amore, insista un po’<br />

troppo.<br />

AMLETO: Sì, ma manterrà fede alle sue parole.<br />

RE: Ma c’è qualcosa <strong>di</strong> cui potrei offendermi, in questo dramma?<br />

AMLETO: No, è tutta finzione. Avvelenano per finta. Non c’è offesa alcuna,<br />

<strong>di</strong> nessun genere.<br />

RE: Come si intitola?<br />

AMLETO: “La trappola per sorci”, volete sapere perché? È detto in senso<br />

metaforico. Il dramma tratta <strong>di</strong> un assassinio. Lo vedrete fra poco, si<br />

tratta <strong>di</strong> una vera vigliaccheria. Ma a noi cosa ci importa? Noi abbiamo<br />

l’animo innocente, questa cosa non ci tocca.<br />

Entra l’attore Luciano.<br />

AMLETO: Questo è un certo Luciano, <strong>di</strong>venuto re dopo la morte del fratello.<br />

– 364 –


OFELIA: Sei molto bravo a fare la parte del coro!<br />

AMLETO: Saprei fare da interprete fra te e il tuo amore, se solo riuscissi a<br />

sorprendere l’agitato palpitare dei tuoi seni.<br />

OFELIA: Sei molto, molto incisivo.<br />

LUCIANO: Tu, fetida miscela raccolta a mezzanotte fra le erbe che la maga<br />

ha più guaste e corrotte, con naturale fattura e proprietà crudele usurpa<br />

della vita il succo in <strong>di</strong>ro fiele.<br />

Versa il veleno nelle orecchie <strong>di</strong> quello che dorme.<br />

AMLETO: Lo avvelena per occupare il trono. Vedrai che fra poco l’assassino<br />

otterrà l’amore della moglie del morto.<br />

OFELIA: Guarda, il re si è alzato.<br />

AMLETO: Come mai si è fatto spaventare da una finzione del genere?<br />

REGINA: Mio signore, come ti senti?<br />

POLONIO: Fate interrompere la recita.<br />

RE: Lasciatemi stare, via! Via!<br />

Escono tutti tranne Amleto e <strong>Orazio</strong>.<br />

AMLETO: <strong>Orazio</strong>, hai visto tutto?<br />

ORAZIO: Non mi sono perso niente.<br />

AMLETO: Anche il punto in cui si parlava del veleno?<br />

ORAZIO: Ho visto tutto.<br />

AMLETO: Il fantasma aveva ragione!<br />

QUINCE: Mi raccomando, bisogna lavorare meglio sulla morte... Ok, Philip?<br />

PHILIP: Ci proverò!<br />

ATTO II - SCENA III<br />

QUINCE: Ma nel complesso è andata bene ragazzi, devo <strong>di</strong>re che siete stati<br />

bravi... ora però, Claire, tu farai ancora Ofelia, ma in maniera un po’<br />

<strong>di</strong>versa...te la ricor<strong>di</strong> la storia, sì?<br />

CLAIRE: Certamente.<br />

QUINCE: Bene, quin<strong>di</strong> saprai che Amleto per errore uccide suo padre e <strong>di</strong>ciamo<br />

che lei non la prende molto bene... anzi, precisamente, impazzisce!<br />

CLAIRE: Cosa? Io dovrei fare il ruolo <strong>di</strong> una pazza?!?! Ma non ci penso<br />

nemmeno! Io non mi abbasso a certi livelli, sono una persona <strong>di</strong> classe<br />

io! Finché dovevo fare la giovane fanciulla bella e seducente, innamorata<br />

dell’affascinante principe, mi stava pure bene, ma fare la parte <strong>di</strong><br />

una folle??? State scherzando???<br />

– 365 –


QUINCE: Dài Claire, calmati, non è mica una trage<strong>di</strong>a!<br />

CLAIRE: Questo lo <strong>di</strong>ci tu!<br />

QUINCE: Va bene, va bene, allora ve<strong>di</strong>amo un po’... qualcuno <strong>di</strong> voi vuole<br />

cambiare la parte con quella <strong>di</strong> Claire?<br />

TARZIO: Beh, se vuoi posso darti la mia parte e io faccio quella <strong>di</strong> Ofelia...<br />

QUINCE: Guarda, Claire, che carino Tarzio, cederebbe la sua parte per<br />

darla a te...<br />

CLAIRE: Ma qui siete tutti pazzi! Quince, ma ti sei <strong>di</strong>menticato che parte<br />

fa Tarzio??? Fa la parte <strong>di</strong> Polonio!!! A questo punto preferisco fare la<br />

parte <strong>di</strong> una pazza che quella <strong>di</strong> un vecchio!<br />

QUINCE: Ah, meno male... perfetto, tutto risolto. Allora, sapete tutti cosa<br />

dovete fare, manca solo <strong>di</strong> stabilire un ultimo personaggio... mmmh...<br />

ve<strong>di</strong>amo, ve<strong>di</strong>amo... ma sì, Sharp, tu farai Laerte, il fratello <strong>di</strong> Ofelia!<br />

Ti sta bene, o hai anche te qualcosa da ri<strong>di</strong>re?<br />

SHARP: No, no... nessun problema.<br />

QUINCE: Ottimo allora, forza! Preparatevi!<br />

Entrano in scena.<br />

ORAZIO: Mia regina, Ofelia, dopo l’uccisione <strong>di</strong> suo padre da parte<br />

<strong>di</strong> Amleto, è fuori <strong>di</strong> sé, bisogna avere compassione della sua situazione.<br />

REGINA: Ma che vuole?<br />

ORAZIO: Parla in modo vago e sconnesso, con parole prive <strong>di</strong> senso e i suoi<br />

<strong>di</strong>scorsi inducono la gente a pensar male!<br />

REGINA: Sarebbe meglio evitare... le voglio parlare, fatela entrare.<br />

Entra Ofelia.<br />

OFELIA: Dov’è lo splen<strong>di</strong>do principe <strong>di</strong> Danimarca?<br />

REGINA: Ebbene, Ofelia!<br />

OFELIA: (impazzita) L’amor tuo veritiero, come riconoscere a mille miglia?<br />

Dai sandali, dal bardone, dal cappellaccio a conchiglia.<br />

REGINA: Ahimè, cara fanciulla, cosa stanno a significare queste parole?<br />

OFELIA: Non capisci? Allora, <strong>di</strong> grazia, stai attenta. È morto, signora, e non<br />

torna mai più, supino giace nell’ombra laggiù.<br />

REGINA: Ma no, Ofelia...<br />

Entra il re.<br />

OFELIA: Per favore, silenzio!<br />

REGINA: Ahimè, amore mio, guarda!<br />

– 366 –


OFELIA: Lo riveste can<strong>di</strong>da coltre, del colore <strong>di</strong> neve alpina e fioriscono<br />

accanto a lui la viola e la pratolina. Ma non vi fu un tenero pianto, qualche<br />

lacrima che consola e accompagna i morti nella tenebra fredda e sola.<br />

RE: Come stai figliola?<br />

OFELIA: Bene. Dicono che il barbagianni fosse la figlia <strong>di</strong> un fornaio.<br />

Signore, noi sappiamo ciò che siamo, ma non quel che potremo essere.<br />

Dio sieda alla vostra tavola!<br />

RE: Farnetica pensando alla morte del padre!<br />

OFELIA: Vi prego, non parliamo più <strong>di</strong> questo; ma quando vi chiederanno<br />

cosa vuol <strong>di</strong>re, voi rispondete così: domani è il giorno <strong>di</strong> San Valentino<br />

presto al mattino, e io sono la ragazza con la gonna <strong>di</strong> trina, sono la tua<br />

Valentina. E la ragazza, una ragazza era, ma poi la sera quando uscita<br />

fu, una ragazza ahimè non era più!<br />

RE: O cara Ofelia.<br />

OFELIA: Suvvia, voglio finirla senza aggiungere brutte parole. Se la<br />

fanciulla vuole, il giovane ci sta, e ad<strong>di</strong>o verginità, ad<strong>di</strong>o pudore. E ti<br />

sposavo sì, se tu con me così non ti giacevi. Spero che tutto andrà bene.<br />

Dobbiamo portare pazienza. Ma io non posso fare a meno <strong>di</strong> piangere al<br />

pensiero che lo metteranno a tacere sotto terra, al freddo.<br />

RE: Ma da quanto tempo è in questo stato? Mi raccomando, non perderla<br />

d’occhio. Fagli buona guar<strong>di</strong>a (rivolto a <strong>Orazio</strong>).<br />

Entra Laerte.<br />

LAERTE: Ebbene? Che cos’è questo frastuono? (vede Ofelia) O cara<br />

fanciulla, sorella <strong>di</strong>letta, dolce Ofelia. O Dio, è possibile che il senno <strong>di</strong><br />

una fanciulla sia esposto alla morte, quanto la vita <strong>di</strong> un vecchio?<br />

OFELIA: A viso scoperto giace nell’ombra, e piovono lacrime sulla sua<br />

tomba.<br />

LAERTE: Questo suo parlare a vuoto è più eloquente <strong>di</strong> quanto non lo<br />

sarebbe parlare da sani.<br />

OFELIA: C’è il rosmarino: è per il ricordo. Amore ti prego, ricorda. Ci<br />

sono le viole: sono per i pensieri.<br />

LAERTE: Un insegnamento anche nella follia. Ofelia mette insieme i<br />

pensieri malinconici e le afflizioni, la sofferenza e l’inferno stesso.<br />

OFELIA: Non ritornerà, chi è morto non ritorna. Vattene nella tomba!<br />

Aveva la barba come la neve, la chioma come il lino e se ne è andato e<br />

giace nella tomba. Non serve piangerlo. Dorma in pace! Io prego per<br />

tutte le anime. Dio vi assista.<br />

– 367 –


Esce.<br />

LAERTE: O dei, osservate tutto questo!<br />

RE: Laerte, devo prendere parte al tuo dolore, altrimenti mi negheresti un<br />

<strong>di</strong>ritto che mi è dovuto.<br />

LAERTE: Grazie, caro amico. Apprezzo molto il tuo affetto!<br />

QUINCE: Claire, sei stata bravissima, devo <strong>di</strong>re che la parte della pazza ti<br />

riesce molto bene...<br />

CLAIRE: Molto, molto spiritoso, Quince!<br />

ATTO II - SCENA IV<br />

QUINCE: Allora, miei cari amici, questa che stiamo per rappresentare è<br />

una scena molto importante, quin<strong>di</strong> voglio il massimo impegno da parte<br />

<strong>di</strong> tutti. Glade, sei tra noi??? Ti vedo un po’ <strong>di</strong>stratta, guarda che hai una<br />

parte importante, sei una regina, mi raccomando!<br />

GLADE: Sì, sì, stai tranquillo.<br />

QUINCE: Mah, speriamo bene. Allora ricordate bene, che è una scena<br />

drammatica, facciamo sentire del sentimento! Facciamo provare una<br />

qualche emozione al nostro pubblico. Glade, ma mi stai ascoltando? Ma<br />

mi spieghi a che stai pensando?<br />

GLADE: A nulla, semplicemente che credo <strong>di</strong> avere un vuoto <strong>di</strong> memoria,<br />

boh, sarà il panico, ma non ricordo più la mia battuta.<br />

QUINCE: O santo cielo! Datele un copione presto! (tra sé) Qui veramente<br />

ci vorrà un miracolo. Allora l’hai ripassata? Te la ricor<strong>di</strong>?<br />

DALIDA: Sì, era solo un piccolissimo vuoto <strong>di</strong> memoria.<br />

QUINCE: Speriamo che ora sia colmato questo vuoto e non <strong>di</strong>venti poi una<br />

voragine! Allora Spike, in questa scena farai il gentiluomo e Maxell, te,<br />

invece, farai Osric... tutti pronti? Bene partiamo.<br />

Silenzio.<br />

EDGAR: Ehm ehm... (sotto voce) Maxell, tocca a te cominciare.<br />

MAXELL: Ah, davvero?!?! Scusate, mi ero <strong>di</strong>menticato!<br />

QUINCE: Eccone un altro con un vuoto <strong>di</strong> memoria! Maxell, sei impossibile,<br />

devi <strong>di</strong>re tre battute e te le <strong>di</strong>mentichi pure!! Ma come si fa!!<br />

MAXELL: No, no, è tutto a posto, possiamo iniziare, non agitarti...<br />

QUINCE: Vabbè, proviamo a cominciare...<br />

GENTILUOMO: Mio signore, sua maestà mi invia da parte del giovane<br />

Osric per sapere se sei sempre d’accordo a batterti subito con Laerte o<br />

se preferisci prendere tempo.<br />

– 368 –


AMLETO: Rimango fedele ai miei propositi, che sono anche quelli del re.<br />

GENTILUOMO: Il re e la regina e tutti gli altri stanno scendendo.<br />

AMLETO: Bene.<br />

GENTILUOMO: Alla regina farebbe piacere, che tu salutassi gentilmente<br />

Laerte prima <strong>di</strong> iniziare lo scontro.<br />

AMLETO: Il consiglio è buono.<br />

Entrano tutti.<br />

RE: Vieni, Amleto, stringi la mano <strong>di</strong> Laerte.<br />

AMLETO: E tu dammi il tuo perdono. Ti ho fatto un torto, ma perdonami da<br />

gentiluomo quale sei. Tutti sanno come io sia già punito da una dolorosa<br />

insania. Tutto quello che ho potuto fare e che potè urtare i tuoi sentimenti<br />

e il tuo onore, riconosco ora che fu soltanto follia. Amleto ha mai<br />

fatto torto a Laerte? Non certo Amleto. E allora chi è stato a farlo? È<br />

stata la sua pazzia. E se è così, vuol <strong>di</strong>re che Amleto appartiene piuttosto<br />

alla parte che ha ricevuto il torto. La pazzia è nemica ad Amleto. Laerte,<br />

permetti che io sconfessi ogni maligno proposito e, nel tuo generoso<br />

giu<strong>di</strong>zio, questa sconfessione mi possa scagionare.<br />

LAERTE: Sono sod<strong>di</strong>sfatto, nonostante i miei impulsi dovrebbero indurmi<br />

alla vendetta. Ma per quanto riguarda l’onore, non intendo riconciliarmi,<br />

ma comunque accetto l’amore che mi offri.<br />

AMLETO: Bene. Dateci i fioretti, incominciamo.<br />

LAERTE: Incominciamo. Datemene uno anche a me.<br />

RE: Da’ a loro i fioretti, giovane Osric.<br />

Si preparano all’incontro.<br />

RE: Mettete le coppe <strong>di</strong> vino su questa tavola. Se Amleto vincerà, il re<br />

berrà alla sua vittoria. Suvvia, cominciate, e voi arbitri, osservate bene.<br />

AMLETO: Avanti, signore.<br />

LAERTE: Avanti, mio signore.<br />

AMLETO: Toccato!<br />

LAERTE: No.<br />

AMLETO: Chie<strong>di</strong> all’arbitro.<br />

OSRIC: Toccato, toccato in modo evidentissimo.<br />

LAERTE: Bene, ricominciamo.<br />

RE: Aspettate, datemi da bere. Amleto, bevo alla tua salute. Date anche lui<br />

una coppa.<br />

AMLETO: Mettetela là sopra, ora devo prima pensare allo scontro. Avanti.<br />

Toccato un’altra volta. Vero?<br />

– 369 –


LAERTE: Toccato, lo confesso.<br />

RE: Nostro figlio vincerà certamente.<br />

REGINA: Non è in esercizio e ha il fiato piuttosto corto. Amleto, pren<strong>di</strong><br />

questo fazzoletto e asciugati la fronte. La regina beve alla tua vittoria,<br />

Amleto.<br />

AMLETO: Grazie.<br />

RE: Gertrude, non bere!<br />

REGINA: Berrò invece. Ti prego <strong>di</strong> perdonarmi.<br />

RE: È la coppa avvelenata, è troppo tar<strong>di</strong> ormai.<br />

AMLETO: È meglio che ancora non beva, signora. Fra poco.<br />

REGINA: Avvicinati, lascia che ti asciughi il viso.<br />

LAERTE: Mio signore, adesso ti ho toccato io.<br />

RE: Non credo.<br />

LAERTE: Sento <strong>di</strong> averlo fatto quasi contro la mia coscienza.<br />

AMLETO: Forza, continuiamo. Laerte, sembra che tu faccia per scherzo.<br />

Mettiti <strong>di</strong> impegno.<br />

LAERTE: Lo cre<strong>di</strong>? Avanti!<br />

Si battono.<br />

OSRIC: Nulla da entrambe le parti.<br />

AMLETO: An<strong>di</strong>amo! Avanti! Ancora!<br />

Entrambi sono feriti.<br />

RE: Separateli! Sono fuori <strong>di</strong> sé!<br />

ORAZIO: Come ti senti, mio signore? (ad Amleto)<br />

OSRIC: Come ti senti, Laerte?<br />

LAERTE: Osric, sono ucciso, dal mio stesso inganno, come era giusto.<br />

AMLETO: Come sta la regina?<br />

RE: È svenuta alla vista del sangue.<br />

REGINA: No, no! Il vino! O caro Amleto, il vino, il vino! Mi hanno avvelenata!<br />

(muore)<br />

AMLETO: Scellerati! E come è potuto accadere? Trovate il colpevole!<br />

LAERTE: Amleto, sei stato ucciso! Nessuna me<strong>di</strong>cina può salvarti.<br />

Non hai neanche mezz’ora <strong>di</strong> vita. La causa della tua morte, ce l’hai<br />

in mano, è il fioretto che ha la punta avvelenata! L’infame stratagemma,<br />

mi si è rivolto contro. Guarda: anch’io sono caduto, per non<br />

risollevarmi più. Tua madre è stata avvelenata! È stato, è stato... è stato<br />

il re!<br />

AMLETO: Anche la punta avvelenata! E allora.. veleno all’opera!<br />

– 370 –


Colpisce il re con la spada.<br />

RE: O amici, proteggetemi, sono solo ferito!<br />

AMLETO: (costringe il re a bere dalla coppa avvelenata) Tieni, maledetto<br />

assassino! Manda giù tutto il bicchiere! Segui mia madre!<br />

Il re muore.<br />

LAERTE: È servito a dovere. Il veleno l’aveva preparato lui. Scambia con<br />

me il perdono, nobile Amleto. La mia morte e quella <strong>di</strong> mio padre, non<br />

ricadano su <strong>di</strong> te, né su me la tua (muore).<br />

AMLETO: Il cielo te ne scagioni. Ti seguo. <strong>Orazio</strong>, muoio, tu vivi. Racconta<br />

<strong>di</strong> me e della mia storia in modo onesto a coloro che non la conoscono.<br />

ORAZIO: Ah, non contarci! Qui è rimasto ancora qualcosa da bere.<br />

AMLETO: Se sei un uomo, dammi il calice, lascialo! Finirò <strong>di</strong> berlo io! E se<br />

è vero che mi hai voluto bene, astieniti ancora per un poco dalla felicità<br />

e continua a respirare in questo mondo crudele, se non altro per raccontare<br />

la mia storia (rumori <strong>di</strong> marcia <strong>di</strong> sottofondo). Che cos’è questo<br />

suono <strong>di</strong> guerra?<br />

Osric esce a controllare e rientra subito.<br />

OSRIC: Il giovane Fortebraccio è tornato or ora dalla Polonia.<br />

AMLETO: Muoio, <strong>Orazio</strong>, il veleno si sta impossessando del mio corpo.<br />

Non vivrò tanto da u<strong>di</strong>re le notizie portate da Fortebraccio; ma posso<br />

dedurre che sarà lui ad essere eletto. Egli ha il mio voto da moribondo.<br />

Informalo <strong>di</strong> questo e anche delle circostanze che hanno condotto a<br />

tale... il resto è silenzio (muore).<br />

ORAZIO: Si spezza in questo momento un nobile cuore. Buona notte mio<br />

dolce principe, che gli angeli ti accompagnino al tuo riposo.<br />

QUINCE: Ragazzi, potete fare <strong>di</strong> più, ma non era male... Arold, ti è morto<br />

il tuo migliore amico, magari se ci metti un po’ più <strong>di</strong> pathos nell’ultima<br />

battuta...<br />

ATTO III - SCENA I<br />

QUINCE: Come avevo promesso, ora faremo la scena del balcone... <strong>di</strong><br />

Romeo e Giulietta. Dunque, Marion, tu farai Giulietta e... Dict, tu sarai<br />

Romeo... già questa scena necessita anche una balia, la balia <strong>di</strong> Giulietta,<br />

che la farà Na<strong>di</strong>ne...<br />

NADINE: Ok, siamo pronti vero?<br />

– 371 –


MARION: Sì, sì, eccomi.<br />

DICT: Psicologicamente non tanto, ma meglio levarsi subito questo senso<br />

<strong>di</strong> ansia.<br />

ROMEO: Solo colui che non ha mai sofferto ride del dolore altrui.<br />

Giulietta si affaccia.<br />

ROMEO: Ma... silenzio. Cos’è quella luce da quella finestra? Quello è l’oriente<br />

e Giulietta è il sole. È la mia signora, il mio amore. Oh, se lei potesse<br />

sapere che è il mio amore. Lei parla ma non <strong>di</strong>ce nulla. Com’è possibile?<br />

Sono i suoi occhi a parlare per lei ed io a loro risponderò. Ma che illusione:<br />

non è a me che lei parla! I suoi occhi come due fra le più belle stelle<br />

in cielo brillerebbero d’un tale splendore che gli uccelli si metterebbero<br />

a cantare credendo finita la notte. Guarda come lei poggia la sua guancia<br />

sulla sua mano! Oh se mi fosse concesso <strong>di</strong> toccare quella guancia...<br />

GIULIETTA: Ahimè!<br />

ROMEO: Lei parla. Oh, parla ancora, dolce angelo! Poiché tu, da lassù,<br />

illumini questa notte <strong>di</strong> uno splendore immenso.<br />

GIULIETTA: O Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre<br />

e rinuncia al tuo nome. Ma se proprio non vuoi, legami a te con un<br />

giuramento d’amore ed io non sarò più una Capuleti.<br />

ROMEO: (a parte) Debbo continuare ad ascoltare, o debbo rispondere a<br />

quel che ha detto?<br />

GIULIETTA: È solo il tuo nome ad essermi nemico: tu saresti sempre te<br />

stesso anche se non fossi un Montecchi. Cosa può significare la parola<br />

“Montecchi”? Non è una mano, non è un piede, non un braccio, né un<br />

volto né alcun’altra parte che appartenga ad un uomo. Oh sì, qualche<br />

altro nome! Cosa c’è in un nome? Quel che noi chiamiamo col nome <strong>di</strong><br />

rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, conserverebbe lo<br />

stesso il suo dolce profumo. E così Romeo, pur se non fosse chiamato<br />

più Romeo, conserverebbe lo stesso quella cara perfezione ch’egli<br />

possiede anche senza quel nome. Rinuncia dunque al tuo nome, Romeo,<br />

e in cambio <strong>di</strong> quello, che non è parte <strong>di</strong> te, accogli tutta me stessa.<br />

ROMEO: Ti prendo in parola: chiamami soltanto amore, e io sarò ribattezzato.<br />

D’ora in poi non sarò più Romeo.<br />

GIULIETTA: E quale uomo sei tu, così nascosto dalla notte, che ascolti i<br />

miei segreti?<br />

ROMEO: Non so <strong>di</strong>rti chi sono, con un nome. Il mio nome mi è inviso,<br />

poiché a te è nemico.<br />

– 372 –


GIULIETTA: Ma io riconosco la tua voce: non sei forse tu Romeo, uno dei<br />

Montecchi?<br />

ROMEO: Non sono né l’uno né l’altro, fanciulla, se l’uno e l’altro ti <strong>di</strong>spiacciono.<br />

GIULIETTA: E come sei venuto fin qui? Suvvia, <strong>di</strong>mmi come e perché.<br />

Le mura del giar<strong>di</strong>no sono alte e <strong>di</strong>fficili da scalare, e il luogo, se si<br />

considera chi sei tu, ti può portare alla morte, se qualcuno della mia<br />

famiglia ti scoprirà.<br />

ROMEO: Ho superato quelle mura con le ali leggere dell’amore, poiché<br />

non c’è ostacolo <strong>di</strong> pietra che possa fermare il passo dell’amore: è<br />

questo il motivo per cui i tuoi familiari non possono fermarmi.<br />

GIULIETTA: Se ti vedranno ti uccideranno.<br />

ROMEO: Oh, ci sono più pericoli nei tuoi occhi che in venti delle loro<br />

spade. Basterà un tuo dolce sguardo ed io sarà protetto dal loro o<strong>di</strong>o.<br />

GIULIETTA: Non voglio, per tutto il mondo, che ti scoprano qui.<br />

ROMEO: La notte mi nasconderà ai loro occhi. Se tu mi ami non mi importa<br />

se mi scoprono. Preferirei essere ucciso da loro piuttosto <strong>di</strong> vivere una<br />

vita senza il tuo amore.<br />

GIULIETTA: Chi ha saputo portarti qui?<br />

ROMEO: È stato l’Amore che mi ha guidato fin qui.<br />

GIULIETTA: Per fortuna la maschera della notte copre il mio volto impedendo<br />

ai tuoi occhi <strong>di</strong> vedere il rossore nascere sul mio viso per quel che<br />

mi hai sentito <strong>di</strong>re stanotte. Ma bando alla vergogna. Mi ami? So già che<br />

<strong>di</strong>rai <strong>di</strong> sì e che io crederò alle tue parole. O nobile Romeo, se è vero che<br />

mi ami <strong>di</strong>chiaralo schiettamente. Devo confessarti però che in verità sarei<br />

stata un po’ più riservata, se tu non avessi sentito le parole appassionate<br />

del mio amore sincero. E perdonami questo arrendermi al tuo amore.<br />

ROMEO: Fanciulla, per quella sacra luna, giuro...<br />

GIULIETTA: Oh, non giurare sulla luna, lei che cambia ogni mese, perché<br />

temo che il tuo amore possa cambiare come lei.<br />

ROMEO: E su cosa dovrei giurare?<br />

GIULIETTA: Non giurare affatto, ma se proprio vuoi farlo giura sulla tua<br />

persona: ed io non potrò fare a meno <strong>di</strong> crederti.<br />

ROMEO: Se il caro amore del mio cuore...<br />

GIULIETTA: Non giurare. Non riesco a credere al patto stipulato stanotte<br />

perché troppo precipitoso. Quin<strong>di</strong> non mi resta altro che <strong>di</strong>rti: Buonanotte<br />

amore mio. Buonanotte, Buonanotte! Il dolce riposo e la pace<br />

scendano nel tuo cuore come quelli che confortano il mio seno.<br />

– 373 –


ROMEO: Mi vuoi forse lasciare così?<br />

GIULIETTA: E cosa vorresti avere stanotte?<br />

ROMEO: Il tuo voto d’amore in cambio del mio.<br />

GIULIETTA: Ti ho dato il mio molto prima che tu me lo chiedessi.<br />

ROMEO: Beh, non vorrai mica ritirarlo?! Pentita d’avermi giurato amore?<br />

GIULIETTA: Solo per potertelo dare <strong>di</strong> nuovo. Non desidero altro se non<br />

quello che possiedo: la mia generosità è sconfinata come il mare, e il<br />

mio amore come esso è profondo. E più te ne concedo e più ne possiedo<br />

perché entrambi sono infiniti (la balia chiama Giulietta) Sento una<br />

voce. Ad<strong>di</strong>o, Amor mio! Arrivo, balia. O mio caro Montecchi, aspetta...<br />

arrivo subito!<br />

ROMEO: O notte beata, ho paura che tutto questo sia solo un sogno, troppo<br />

dolce per essere la realtà.<br />

Rientra Giulietta.<br />

GIULIETTA: Tre parole, o mio dolce amore, e poi l’ultima buonanotte. Se il<br />

tuo amore è vero e se la tua intenzione è quella <strong>di</strong> sposarmi, fammi<br />

sapere, domani, dove e quando. Così ch’io possa venire da te e ti seguirò<br />

come mio sposo per tutto il mondo.<br />

BALIA: (da dentro) Madamigella.<br />

GIULIETTA: Vengo subito... ma se le tue intenzioni non sono così belle, io<br />

ti supplico...<br />

BALIA: (da dentro) Madamigella!<br />

GIULIETTA: Sono subito da te... cessa la tua corte e lasciami sola nel mio<br />

dolore. Domani manderò qualcuno.<br />

ROMEO: E così si possa salvare la mia anima.<br />

GIULIETTA: Mille volte buonanotte (esce).<br />

ROMEO: Maledetta mille volte la notte ora che mi toglie la tua luce.<br />

Rientra Giulietta.<br />

GIULIETTA: Romeo!<br />

ROMEO: Diletta?<br />

GIULIETTA: A che ora vuoi che man<strong>di</strong> il mio messaggero domani?<br />

ROMEO: Alle nove.<br />

GIULIETTA: Non ti farò aspettare. Mi è passata <strong>di</strong> mente la ragione per<br />

cui ti ho richiamato.<br />

ROMEO: Rimarrò finche non te ne sarai ricordata.<br />

GIULIETTA: Ma così vorrò <strong>di</strong>menticarla altre volte per farti rimanere qui<br />

con me.<br />

– 374 –


ROMEO: Ed io continuerò a restare qui per costringerti a non ricordare né<br />

vorrò ricordarmi <strong>di</strong> un’altra <strong>di</strong>mora all’infuori <strong>di</strong> questa.<br />

GIULIETTA: È quasi giorno. Buonanotte, buonanotte! Il <strong>di</strong>vidersi è un<br />

dolore così dolce che continuerei a darti la buonanotte fino a domattina.<br />

ROMEO: Che il sonno scelga come sua <strong>di</strong>mora i tuoi occhi e scenda nel<br />

tuo cuore la pace. Ah, se potessi essere io il sonno e la pace per poter<br />

riposare tanto dolcemente.<br />

DICT: Ho sempre o<strong>di</strong>ato le scene sdolcinate... non le sopporto proprio...<br />

QUINCE: Si vedeva, Dict... prova a metterci un po’ più <strong>di</strong> passione quando<br />

provi... Altrimenti non ti abituerai mai e non lo farai neanche allo spettacolo!<br />

ATTO IV - SCENA I<br />

QUINCE: Dunque, cosa vogliamo provare ora?<br />

DOLLY: Ascolta, Quince, visto che io sono una donna molto impegnata e<br />

dopo avrei un impegno, possiamo provare la scena in cui ci sono anche io?<br />

QUINCE: Bene, questo conferma l’ottima scelta <strong>di</strong> ruolo che ho fatto per<br />

te... ok, ragazzi proviamo la scena della “Bisbetica domata”... Dolly,<br />

sarai Caterina la bisbetica, Sally sarai, sarai... Bianca la sorella, Harry,<br />

sarai Battista e Alby, farai Petruccio e Tullio sarà Gremio.<br />

HARRY: (ride a voce altissima) che razza <strong>di</strong> nome... PETRUCCIO... ah ah<br />

ah ah<br />

QUINCE: Non c’è nulla da ridere, ve<strong>di</strong>amo cosa sapete fare... avanti!<br />

BIANCA: Cara sorella, non trattatemi come una serva, toglietemi questi<br />

fronzoli <strong>di</strong> dosso e saprò ugualmente servire una sorella maggiore.<br />

CATERINA: Va bene. Dimmi allora, qual è l’uomo su cui hai puntato gli<br />

occhi?<br />

BIANCA: Credetemi, non ne ho ancora trovato uno.<br />

CATERINA: Bugiarda, non è Ortensio?<br />

BIANCA: Oh, sorella, se piace a voi farò il possibile per farvelo avere.<br />

CATERINA: ...e così tu potresti prenderti il ricco Gremio...<br />

BIANCA: E per lui, dunque, sareste così gelosa <strong>di</strong> me? Oh, smettetela con<br />

questo scherzo, perché è uno scherzo vero? Cate, ti prego, lasciami le<br />

mani.<br />

CATERINA: Te lo faccio vedere io, lo scherzo. (Bianca piange)<br />

BATTISTA: Cosa succede?! Dovresti avere più rispetto per tua sorella, non<br />

ti ha mai trattato male.<br />

– 375 –


CATERINA: È proprio questo che mi urta, ora ti faccio vedere io (rincorre<br />

Bianca e Battista la blocca). Si sa che l’avete con me, lei è il vostro<br />

pupillo, quella che si sposerà prima e io rimarrò a farvi da tappezzeria.<br />

Ora me ne andrò in un angolo a piangere, ma verrà il momento in cui<br />

potrò ven<strong>di</strong>carmi.<br />

LUCENZIO: Buongiorno, mio caro Battista.<br />

BATTISTA: Buongiorno a voi.<br />

PETRUCCIO: Salve, signori. Battista, non avete una figlia <strong>di</strong> nome Caterina,<br />

bella e virtuosa?<br />

LUCENZIO: Che sfacciata irruenza!<br />

PETRUCCIO: Voglio esser il primo e voglio arrivare subito al dunque.<br />

BATTISTA: Vi capisco, ma sicuramente Caterina non farebbe al caso vostro.<br />

PETRUCCIO: Forse vi sono poco simpatico.<br />

BATTISTA: Assolutamente no...<br />

LUCENZIO: Ehm, ehm... Signori scusatemi, ma anche io avrei voluto<br />

chiedere al celeberrimo, esimio, egregio, <strong>di</strong>stinto...<br />

PETRUCCIO: (interrompendolo) ...Arriviamo al dunque ché io non ho<br />

ancora terminato ciò che avevo da <strong>di</strong>re!<br />

LUCENZIO: Dunque, prima che mi interrompesse questo scostumato e<br />

perfido signor... Pietraccia, Petraccia, Putriccia...<br />

PETRUCCIO: Petruccio, prego...<br />

LUCENZIO: ...Ecco, sì, già... Petruccio... volevo chiedervi con estrema<br />

gentilezza la mano della vostra seconda figlia Bianca, se non sbaglio...<br />

BATTISTA: Dunque... visto che il signor Petruccio è professore <strong>di</strong> matematica<br />

e il signor Licenzio <strong>di</strong> musica e queste sono le materie in cui le mie<br />

due figlie sono più carenti, vi chiedo per cortesia <strong>di</strong> andarle ad aiutare...<br />

LUCENZIO: Con piacere...<br />

BATTISTA: Mi raccomando, signor Petruccio, lei faccia attenzione a Caterina,<br />

ha un carattere piuttosto <strong>di</strong>fficile...<br />

Escono.<br />

Nella stanza <strong>di</strong> Caterina.<br />

PETRUCCIO: Salve, Caterina, giusto?<br />

CATERINA: Giusto per quelli con cui parlo...<br />

PETRUCCIO: Eppure sono in molti a chiamartici, tanto che mi hanno<br />

spinto fin qui per chiederti in moglie.<br />

CATERINA: Spinto? E chi è stato? Sapevo che eravate un mobile...<br />

PETRUCCIO: E che tipo <strong>di</strong> mobile?<br />

– 376 –


CATERINA: Uno sgabello.<br />

PETRUCCIO: Allora vieni qui a sederti su questo sgabello (le sue ginocchia).<br />

DOLLY: ... Se mi pren<strong>di</strong> così forte mi farai cadere e mi farò del male!<br />

ALBY: Ma devo fare per forza così, tu scappi!<br />

QUINCE: Ragazzi, ma che vi prende oggi... va beh... (rassegnato)<br />

ATTO V- SCENA I<br />

QUINCE: Allora, mi sono <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> farvi provare il “Riccardo III”:<br />

Plump, tu sarai Riccardo e tu, Fance, sarai Lady Anna che verrà<br />

sedotta... Ok, che la scena abbia inizio.<br />

HARRY: Paparapapapa (come fosse una tromba).<br />

QUINCE: Harry, non c’è bisogno <strong>di</strong> fare l’ironico.<br />

Passa il corpo <strong>di</strong> re Enrico VI, scortato da gentiluomini con alabarde.<br />

Lady Anna lo segue come lamentatrice.<br />

ANNA: Posate a terra il corpo <strong>di</strong> mio suocero Enrico VI e fate in modo che<br />

io, Anna moglie del suo defunto figlio, Edoardo, possa dargli il mio<br />

ultimo saluto. Povera immagine <strong>di</strong> un santo re, fredda, pallida... che sia<br />

maledetto colui che ha aperto queste ferite! Maledetto colui che non<br />

ebbe cuore nell’uccidere una così buona persona, su <strong>di</strong> lui ricada la più<br />

crudele sorte... lui, aborto mostruoso, che fece paura persino alla sua<br />

stessa madre... oh! Portate il feretro nella chiesa <strong>di</strong> San Paolo, dove sarà<br />

sepolto.<br />

Entra Gloucester.<br />

GLUCESTER: Voi che portate la bara, fermatevi!<br />

ANNA: Viscido mostro, come vi permettete <strong>di</strong> bloccare in tale modo il<br />

funerale <strong>di</strong> un re?<br />

GLOUCESTER: Mettetelo giù, o ve ne pentirete, è un or<strong>di</strong>ne!<br />

ANNA: Guardate, vi rispettano ed eseguono i vostri or<strong>di</strong>ni. Non siete altro<br />

che un demonio! Vattene, orribile demonio, hai reso la terra un luogo<br />

d’inferno... solo la tua presenza fa aprire le ferite del defunto Enrico e<br />

fa colare dalle sue vuote vene un sangue freddo. Che il cielo ti fulmini,<br />

assassino! Che la terra non provi più pietà per te! Non provi proprio<br />

nessuna pietà nel vedere un re ridotto in questo stato?<br />

GLOUCESTER: Assolutamente no.<br />

ANNA: Non esiste belva tanto feroce che non provi alcun senso <strong>di</strong> pietà.<br />

GLOUCESTER: Ma io non ne provo alcuno, quin<strong>di</strong> non sono una belva.<br />

– 377 –


ANNA: Sei solo un demonio venuto sulla terra a far del male agli uomini<br />

innocenti...<br />

GLOUCESTER: Ma suvvia, Lady Anna, non siate così piena d’ira, concedetemi<br />

un po’ della vostra pazienza affinché io possa giustificarmi.<br />

ANNA: Non puoi trovare altra scusa valida se non impiccandoti.<br />

GLOUCESTER: E se ti <strong>di</strong>cessi che non li ho uccisi io?<br />

ANNA: Avresti il coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>re una cosa simile? Ti hanno visto con il<br />

pugnale ancora sporco <strong>di</strong> sangue. Sei ancora convinto <strong>di</strong> voler giurare<br />

<strong>di</strong> non aver ucciso il re?<br />

GLOUCESTER: Fu la vostra bellezza a provocare tutto ciò. Credevo così<br />

<strong>di</strong> poter vivere almeno un’ora sul vostro petto.<br />

ANNA: Allora preferirei sfigurarmi piuttosto che stare con te anche solo per<br />

un attimo.<br />

GLOUCESTER: Ascoltate, signora, voi siete rimasta sola e dovreste<br />

cercarvi un marito migliore come... me!<br />

ANNA: Solo una pazza potrebbe innamorarsi <strong>di</strong> un essere ignobile quale<br />

sei!<br />

GLOUCESTER: Non parlare <strong>di</strong> me con <strong>di</strong>sprezzo. Se il tuo cuore cerca<br />

vendetta, tieni, questa è una spada con la quale potrai trafiggere il corpo<br />

<strong>di</strong> questo essere che ti adora. (Lady Anna esita e lascia cadere la spada)<br />

Non esitare sono stato io a uccidere tuo marito ma lo feci solo per te.<br />

ANNA: Ripren<strong>di</strong>ti la tua spada... (rassegnata)<br />

GLOUCESTER: Se vuoi che mi uccida lo farò, basterà che me lo coman<strong>di</strong>ate...<br />

ANNA: L’ho già detto.<br />

GLOUCESTER: Sì, ma con l’ira dentro...<br />

ANNA: Riponi quell’arma.<br />

GLOUCESTER: E tu pren<strong>di</strong> quest’anello, segno della mia devozione...<br />

ANNA: Prenderlo non vuole <strong>di</strong>re per forza ricambiare il tuo amore.<br />

GLOUCESTER: Vi prego <strong>di</strong> credere che mi pentirò sulla sua tomba (in<strong>di</strong>ca<br />

Enrico VI) e poi tornerò da voi...<br />

ANNA: Solo allora sarò pronta ad accogliervi.<br />

GLOUCESTER: Ma allora avrò qualche speranza?<br />

ANNA: Non meritate tanto, ma visto che mi insegnate ad adularvi, immaginate<br />

che vi abbia già detto ad<strong>di</strong>o e poi... vedremo...<br />

– 378 –


FRANCESCA RUBINI - CLASSE III L<br />

L’ultimo sguardo cieco<br />

Il racconto nasce dalla rielaborazione personale della “Rime<br />

of the Ancient Mariner” <strong>di</strong> S.T. Coleridge e coglie il nesso<br />

profondo tra la violenza cieca che è al centro della ballata e la<br />

furia omicida che ha originato la strage della Columbine High<br />

School il 20 aprile 1999.<br />

Prof.ssa Simonetta Clementi<br />

Il motore è fermo. Ascolto le foglie secche sussurrare sotto le ruote<br />

della macchina. La luce del mattino sfiora la scuola come un muto velo<br />

bianco. L’orologio è tre minuti avanti.<br />

“Da quel momento, a un’ora precisa, quell’angoscia mi torna...”.<br />

Ricordo la sua voce. E le sue parole: “...e fino a che non ho detta la mia<br />

storia <strong>di</strong> morti, dentro mi brucia il cuore”. La scorsa notte un vecchio mi ha<br />

fermato davanti al bowling – il mio orologio va tre minuti avanti: c’è ancora<br />

molto tempo. Stava accasciato sulle gambe, mi fissava catturando invisibili<br />

mosche con le <strong>di</strong>ta unte.<br />

“Chi sei vecchio? Che stai facendo?”<br />

“Come la notte, passo <strong>di</strong> terra in terra, e ho una strana potenza <strong>di</strong><br />

parola”. Il suo corpo sembrava sul punto <strong>di</strong> sbriciolarsi come una statua <strong>di</strong><br />

cenere, ma i suoi occhi bruciavano agitati.<br />

Sono le un<strong>di</strong>ci. Finalmente attraverso il cortile. Entriamo in azione. La<br />

borsa è pesante, non importa. Perché dovrei essere spaventato? Non c’è<br />

nulla da temere se non la paura. Che poi è niente.<br />

La sua bocca appiccicosa mi dava i brivi<strong>di</strong>, così gli ho detto: “Mi fai<br />

paura, Vecchio Marinaio! Ho paura <strong>di</strong> te e dei lampi nei tuoi occhi e della<br />

tua mano ossuta, tanto bruna”. Si era nascosto <strong>di</strong>etro il cappotto macchiato:<br />

“O ragazzo! Quest’anima è stata tutta sola su <strong>di</strong> un mare grande grande,<br />

talmente sola che Dio stesso a momenti sembrava non esserci”. Cominciava<br />

a raccontarmi la sua storia.<br />

Lasciamo la borsa nera nella caffetteria. Il locale è affollato, sembrano<br />

tutti sconosciuti. C’è odore <strong>di</strong> mostarda e un brusio insopportabile, come se<br />

la stanza avesse il singhiozzo.<br />

“C’era una nave. Allegramente prendemmo il largo”.<br />

– 379 –


Non c’è modo <strong>di</strong> tornare in<strong>di</strong>etro. Seguo Dylan fino all’entrata principale.<br />

I corridoi sono puliti, lisci. I ragazzi camminando si specchiano nelle<br />

bacheche, non riesco a sentire il suono dei loro passi. Non riesco a capire<br />

perché le bombe non siano ancora esplose. Sono sicuro <strong>di</strong> aver fatto tutto<br />

bene! Non posso più aspettare: prendo per mano la mia in<strong>di</strong>fferenza.<br />

“Ci piombò addosso la tempesta, ed era forte e tirannica: c’investì con<br />

le sue ali rapinose”.<br />

Dylan stringe il Tech-9, io afferro il fucile a pompa e la semiautomatica.<br />

Porto anche un paio <strong>di</strong> pistole. E un coltello. Tutto è bianco e freddo come i<br />

miei pensieri.<br />

“Ghiaccio qui, ghiaccio là, era dovunque, il ghiaccio: e scrosciava,<br />

ringhiava, ruggivo e ululava, i rumori che inten<strong>di</strong> da svenuto!”<br />

Il primo che incontro sarà il primo a morire.<br />

“Alla fine incrociammo un Albatro, sbucò <strong>di</strong> tra la bruma; lo salutammo<br />

in nome del Signore, quasi che fosse un’anima cristiana”.<br />

Ragazzi arrivano dalla palestra. Li colpiamo alle braccia, al petto, alle<br />

gambe. Continuiamo a sparare. Il sangue continua a scorrere.<br />

“Per colui che morì crocifisso, con la mia cruda balestra stesi secco<br />

l’albatro innocente”.<br />

“Perché l’hai fatto? – gli ho chiesto mentre le luci del bowling <strong>di</strong>ventavano<br />

nere. Ma lui non faceva che sussurrare con la usa voce lontana: “Con<br />

la mia balestra io abbattei quell’albatro”.<br />

Dylan torna in<strong>di</strong>etro fino alla caffetteria. Vuole capire perché non ci<br />

sono state esplosioni. Io continuo a camminare, sparo ai vetri: grida terrorizzate.<br />

Questo palazzo <strong>di</strong> plastica adesso è il mio videogioco. Giochiamo.<br />

“Vento a favore,sfuggiva bianca la spuma,la scia s’apriva libera e franca”.<br />

Rincorro una ragazza lungo le scale che portano al secondo piano. Qui<br />

tutte le aule sembrano vuote, neanche il vento entra dalle finestre. Tutti<br />

hanno lasciato la scuola. Chiede aiuto, le scivola un libro dalle <strong>di</strong>ta. Non c’è<br />

via <strong>di</strong> fuga, la colpisco alla testa.<br />

“Intorno a noi, sciami vorticanti, fuochi <strong>di</strong> morte ballavano a notte”.<br />

Dylan è tornato. La biblioteca è piena. Cambio il caricatore. Davvero<br />

tutto questo accade? Tutto questo è reale?<br />

“Quella è la Morte? E quella è l’orrida Vita nella Morte?”<br />

Urlano, cercano riparo sotto i banchi. Un tipo nero, robusto, con indosso<br />

una maglia gialla, mi chiede: “Che fai? Perché?” Proiettili piovono sugli<br />

scaffali e sulle fotocopiatrici. Tutti cadono. Birilli.<br />

– 380 –


“Ognuno voltò la faccia in uno spasimo atroce e con gli occhi mi maledì”.<br />

Si agitano sul pavimento come pesci caduti dalla vasca. Qualcuno implora<br />

con le mani in alto. Tiro il grilletto: voglio tutti giù.<br />

“Uomini vivi (e non intesi rantolo o sospiro), con tonfo greve, come<br />

ciocchi secchi, l’uno dopo l’altro, caddero: lo sguardo con cui m’avevano<br />

guardato non era mai trapassato”.<br />

Sordo, il silenzio riempie la stanza. Pace spettrale. Serpenti <strong>di</strong> sangue<br />

scorrono vivaci. Guardo intorno: corpi (colli, rossetti, capelli, occhiali,<br />

tatuaggi, unghie, jeans) stesi sul pavimento. Gli ultimi respiri esplodono in<br />

mille frammenti cercando il mio orecchio.<br />

“E ciascun’anima accanto mi passò come il frullo della mia balestra”.<br />

Sangue sui libri, sulle matite, sui muri, sugli schedari. Sangue, sangue da<br />

per tutto. Posso ancora sparare. Deve esserci qualcun altro in questo labirinto<br />

obbe<strong>di</strong>ente.<br />

“E mille e mille cose da schifo continuavano a vivere, e così io”.<br />

Esco dalla libreria. Comincio a correre per i corridoi stringendo il fucile.<br />

Potrei continuare a correre così, per sempre. Niente cibo o riposo, le mie<br />

gambe sono cavalli ingor<strong>di</strong> che <strong>di</strong>vorano lo spazio intorno. Scopro gli angoli<br />

e male<strong>di</strong>co le pareti. Solo vetrate, cestini della carta, <strong>di</strong>stributori <strong>di</strong> lattine.<br />

Sparo appena qualcosa si muove. Non c’è nessuno. Solo io e il racconto del<br />

marinaio.<br />

“Oltre l’ombra della nave io spiavo i serpenti marini: felici cose viventi!<br />

Lingua non c’è che possa <strong>di</strong>chiararne la bellezza. Un’acqua d’amore mi<br />

fiottò dal cuore”.<br />

Minuti, minuti, vago inchiodato ai miei passi. Torno nella caffetteria, la<br />

voce del vecchio mi segue.<br />

“Lo spirito che vive solitario nella terra della bruma e della neve, egli<br />

amava l’uccello che amò l’uomo. L’uomo ha fatto penitenza e penitenza<br />

ancora farà”.<br />

Sui tavoli i resti delle colazioni. Siedo, assaggio un caffè freddo. Il<br />

grosso cadavere flaccido della cameriera è abbandonato vicino alla porta<br />

della cucina. Indossa l’uniforme bianca. Guardo il suo terribile occhio.<br />

La strada deserta. Sentivo freddo e ho urlato: “Dimmi su: chi ha lavato<br />

il sangue dell’albatro?”. “È stato il buon eremita”.<br />

Il corpo della cameriera sembra un’enorme medusa.<br />

“Dimmi su, t’or<strong>di</strong>no <strong>di</strong> <strong>di</strong>rmi: che genere <strong>di</strong> uomo sei mai tu?”. Mi ha<br />

fissato ancora una volta mormorando: “Come la notte passo <strong>di</strong> terra in<br />

terra, e ho una strana potenza <strong>di</strong> parola; l’istante che gli pianto gli occhi<br />

– 381 –


in faccia, conosco l’uomo che mi dovrà ascoltare: a lui insegno la mia<br />

storia”.<br />

“Perché a me? Perché mi hai raccontato tutto questo?” Il Marinaio<br />

dall’occhio fulminante, dalla barba brinata dall’età se n’era andato. Sono<br />

rimasto solo davanti al bowling addormentato. Sono solo in questo inferno<br />

confezionato.<br />

“Fermati! Non andare... Salvami, Marinaio! Dai <strong>di</strong>avoli che mi torturano<br />

così! Non lo ve<strong>di</strong>? Quest’anima è tutta sola su <strong>di</strong> un mare grande grande,<br />

talmente sola da <strong>di</strong>menticare anche la stessa illusione del <strong>di</strong>o degli uomini!”<br />

Cumuli <strong>di</strong> vassoi rossi salgono dal silenzio. La scuola dorme silenziosa,<br />

<strong>di</strong>pinta sulla tela del mattino. Tutto questo spazio autistico.<br />

No, non puoi salvarmi, vecchio. Il vuoto intorno è lo stesso <strong>di</strong> sempre.<br />

Non ho storie da raccontare. Questa gente non può ascoltare.<br />

Serro le palpebre, né più le sollevo. I globi degli occhi mi battono come<br />

polsi nel mio ultimo sguardo cieco.<br />

– 382 –

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