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ARETÆUS news Marzo 2008 Centro Lucio Bini Newsletter NUMERO SPECIALE AITEC Anno IV, Numero 1 Seduta AITEC, 21 febbraio 2008 La raccolta delle firme per la petizione Inoltre: appuntamenti, 2 bipolari famosi (Ingmar Bergman), 11 vecchie e nuove glorie del centro bini di cagliari, 12 Durante la seduta parla il Prof. Tom Bolwig del Department of Psychiatry, The Neuroscience Centre, Copenhagen University Hospital, Rigshospitalet, Copenhagen, Denmark. Durante il convegno annuale della SOPSI (Società Italiana di Psicopatologia) che si è svolto dal 19 al 23 febbraio scorso, la AITEC (Associazione Italiana Terapia Elettroconvulsivante) aiuto ha organizzato un incontro dei soci presso l'Hotel Hilton, sede del Convegno. In quell'occasione è stata presentata e discussa una petizione da sottoporre al Ministero della Sanità e con la quale si chiede l'apertura di almeno un servizio di TEC per ogni milione di abitante in tutte le regioni d'Italia. Il testo della petizione è riportato di seguito e disponibile sul sito AITEC: http://www.terapiaelettroconvulsiva.it Nessuno si aspettava che l'iniziativa avesse tanto successo, tanto che buona parte della stampa nazionale, sia su carta, sia online ha dato paura ampio spazio a commenti. Come prevedibile, le opinioni sono spesso di segno opposto, ma questo è poco importante, purché se ne parli. Dispiace anche, come troppo spesso accade in Italia, la discussione su TEC di destra, contrapposta alla NO-TEC di sinistra. Per gli oppositori della TEC dovrebbe valere la considerazione che va fatta anche per altri argomenti attuali associati alla libertà, come ad esempio quella che riguarda la decisione di ricorrere a un aborto terapeutico, oppure far curare farmacologicamente i figli con ADHD. Nessun sostenitore della TEC obbliga i pazienti ad accettarla. D'altro canto, vanno lasciati liberi di decidere di seguire quella terapia, e di poterla ottenere facilmente, quei pazienti per cui il trattamento è utile e talvolta indispensabile. È anche evidente che il trattamento non viene praticato con gusto da psichiatri sadici come sembra venir adombrato da alcune campagne di stampa. A questo proposito pubblichiamo del materiale raccolto dalla stampa e suggeriamo agli interessati di partecipare al forum AITEC (http://www.centrobini.it/forum) per esprimere le loro opinioni. Nella stessa seduta della AITEC, è stato eletto il nuovo presidente, il Prof. Giuseppe Bersani. Il presidente uscente Athanasios Koukopoulos gli ha mandato la seguente lettera: Caro Giuseppe, è superfluo dirti quanto sia contento che sarai tu ora il nostro presidente. Io ho fatto poco ma sono sicuro che tu farai molto meglio. Ti aiuteremo tutti. Spero che la tua posizione di Presidente dell'AITEC non ti crei dei problemi conoscendo gli atteggiamenti radicali e fanatici di molte persone nel mondo della psichiatria pubblica. Comunque, come risulta dalle reazioni della stampa e TV alla nostra petizione, il vento sta cambiando a favore della TEC e questo dovrebbe rendere più facile il tuo lavoro e dell'AITEC in generale. Ti abbraccio con grande affetto e enorme stima. Athanasios La risposta di Bersani: Caro Athanasio, naturalmente ti ringrazio moltissimo sia per il tuo appoggio alla mia involontaria candidatura alla presidenza dell'AITEC che per il tuo affettuoso incoraggiamento. Sono onorato dell'incarico ricevuto e farò del mio meglio per svolgerlo nel modo più utile possibile, nonostante una quantità di impegni professionali attuali obiettivamente massiccia, a cui questo si aggiunge in modo assolutamente imprevisto. So di poter contare sull'appoggio tuo e di tutti i tuoi collaboratori, oltre che su quello dei soci dell'AITEC. La mia prima decisione da Presidente, come Copyright © 2005-2008 Centro Lucio Bini

ARETÆUS news<br />

Marzo 2008<br />

<strong>Centro</strong> <strong>Lucio</strong> <strong>Bini</strong> Newsletter<br />

NUMERO SPECIALE AITEC<br />

Anno IV, Numero 1<br />

Seduta AITEC, 21 febbraio 2008<br />

La raccolta delle firme per la petizione<br />

Inoltre: appuntamenti, 2 bipolari famosi (Ingmar Bergman), 11 vecchie e nuove glorie del centro bini di cagliari, 12<br />

Durante la seduta parla il Prof. Tom Bolwig del Department of Psychiatry,<br />

The Neuroscience Centre, Copenhagen University Hospital, Rigshospitalet,<br />

Copenhagen, Denmark.<br />

Durante il convegno annuale della SOPSI (Società Italiana di<br />

Psicopatologia) che si è svolto dal 19 al 23 febbraio scorso, la<br />

AITEC (Associazione Italiana Terapia Elettroconvulsivante)<br />

aiuto<br />

ha<br />

organizzato un incontro dei soci presso l'Hotel Hilton, sede del<br />

Convegno.<br />

In quell'occasione è stata presentata e discussa una petizione da<br />

sottoporre al Ministero della Sanità e con la quale si chiede l'apertura<br />

di almeno un servizio di TEC per ogni milione di abitante in tutte le<br />

regioni d'Italia. Il testo della petizione è riportato di seguito e<br />

disponibile sul sito AITEC: http://www.terapiaelettroconvulsiva.it<br />

Nessuno si aspettava che l'iniziativa avesse tanto successo, tanto che<br />

buona parte della stampa nazionale, sia su carta, sia online ha dato<br />

paura<br />

ampio spazio a commenti. Come prevedibile, le opinioni sono spesso<br />

di segno opposto, ma questo è poco importante, purché se ne parli.<br />

Dispiace anche, come troppo spesso accade in Italia, la discussione su<br />

TEC di destra, contrapposta alla NO-TEC di sinistra. Per gli oppositori<br />

della TEC dovrebbe valere la considerazione che va fatta anche per<br />

altri argomenti attuali associati alla libertà, come ad esempio quella<br />

che riguarda la decisione di ricorrere a un aborto terapeutico, oppure<br />

far curare farmacologicamente i figli con ADHD. Nessun sostenitore<br />

della TEC obbliga i pazienti ad accettarla. D'altro canto, vanno lasciati<br />

liberi di decidere di seguire quella terapia, e di poterla ottenere<br />

facilmente, quei pazienti per cui il trattamento è utile e talvolta<br />

indispensabile. È anche evidente che il trattamento non viene praticato<br />

con gusto da psichiatri sadici come sembra venir adombrato da alcune<br />

campagne di stampa.<br />

A questo proposito pubblichiamo del materiale raccolto <strong>dalla</strong><br />

stampa e suggeriamo agli interessati di partecipare al forum AITEC<br />

(http://www.centrobini.it/forum) per esprimere le loro opinioni.<br />

Nella stessa seduta della AITEC, è stato eletto il nuovo presidente, il<br />

Prof. Giuseppe Bersani. Il presidente uscente Athanasios<br />

Koukopoulos gli ha mandato la seguente lettera:<br />

Caro Giuseppe,<br />

è superfluo dirti quanto sia contento che sarai tu ora il nostro presidente. Io<br />

ho fatto poco ma sono sicuro che tu farai molto meglio. Ti aiuteremo tutti.<br />

Spero che la tua posizione di Presidente dell'AITEC non ti crei dei problemi<br />

conoscendo gli atteggiamenti radicali e fanatici di molte persone nel mondo<br />

della psichiatria pubblica. Comunque, come risulta dalle reazioni della stampa<br />

e TV alla nostra petizione, il vento sta cambiando a favore della TEC e questo<br />

dovrebbe rendere più facile il tuo lavoro e dell'AITEC in generale.<br />

Ti abbraccio con grande affetto e enorme stima.<br />

Athanasios<br />

La risposta di Bersani:<br />

Caro Athanasio,<br />

naturalmente ti ringrazio moltissimo sia per il tuo appoggio alla mia<br />

involontaria candidatura alla presidenza dell'AITEC che per il tuo affettuoso<br />

incoraggiamento. Sono onorato dell'incarico ricevuto e farò del mio meglio<br />

per svolgerlo nel modo più utile possibile, nonostante una quantità di<br />

impegni professionali attuali obiettivamente massiccia, a cui questo si<br />

aggiunge in modo assolutamente imprevisto.<br />

So di poter contare sull'appoggio tuo e di tutti i tuoi collaboratori, oltre che<br />

su quello dei soci dell'AITEC. La mia <strong>prima</strong> decisione da Presidente, come<br />

Copyright © 2005-2008 <strong>Centro</strong> <strong>Lucio</strong> <strong>Bini</strong>


aretaeusnews@centrobini.it<br />

bersani (<strong>dalla</strong> <strong>prima</strong> <strong>pagina</strong>)<br />

avrai notato, è stata quella di tacere. La sola notizia<br />

dell'iniziativa della petizione ha inevitabilmente<br />

riacceso vecchie polemiche e rinnovato vecchi<br />

climi di contrapposizione, come sempre basata<br />

su posizioni pregiudiziali ed ideologiche. Anche<br />

se fortemente tentato, ho evitato di intervenire<br />

subito nel dibattito. Va di moda fare programmi<br />

elettorali, nel mio caso post-elettorali, e quindi<br />

sto riflettendo su alcuni punti che mi sembra<br />

opportuno portare avanti in modo coerente e<br />

concreto. Se, come è, obiettivo dell'AITEC è<br />

aumentare la disponibilità di usufruire<br />

della TEC per i pazienti che ne abbiano<br />

la necessità clinica, mi sembra prioritario<br />

che questo debba avvenire in un clima<br />

diverso da quello attuale. Anche se sto<br />

ancora riflettendo su questo, avrei<br />

intenzione di fondare le linee-guida del<br />

mio mandato su alcuni punti che mi sembrano essenziali. Il primo obiettivo<br />

da perseguire dovrà a mio avviso essere quello di incrementare il livello di<br />

conoscenza su natura e indicazioni della TEC per colleghi e opinione<br />

pubblica, sia attraverso canali scientifici che divulgativi, ma avendo come<br />

obiettivo <strong>prima</strong>rio a questo proposito quello di abbattere per quanto possibile<br />

il clima di contrapposizione con quei colleghi o quei movimenti di opinione,<br />

che si oppongono, oggi come in passato, alla TEC per motivi essenzialmente<br />

"di principio". Credo che sia assolutamente opportuno tornare a "parlare"<br />

con tutti, soprattutto con i colleghi in disaccordo con noi, per ristabilire<br />

un clima di confronto dialettico e scientifico al posto di quello attuale di<br />

contrapposizione pregiudiziale o politica. Abbiamo molti segnali che<br />

l'atmosfera generale si stia modificando e che siano oggi possibili discussioni<br />

e convergenze più difficili in passato. Dobbiamo lavorare per abbattere le<br />

barricate e rasserenare il clima del confronto. Tutto il nostro lavoro correrà<br />

il rischio di essere vanificato se accetteremo di discutere al di fuori<br />

dell'ambito di nostra competenza, cioè quello medico e scientifico. Ogni<br />

opinione può essere accolta e discussa in modo utile se il dibattito avverrà<br />

tra colleghi che (ovviamente "in buona fede"...) abbiano comunque<br />

l'obiettivo di potenziare i risultati dei trattamenti ai pazienti. A questo<br />

proposito, mi sembra anche importante incrementare la presenza<br />

"scientifica" della TEC nell'ambito del dibattito psichiatrico italiano. Questo<br />

dovrebbe a mio avviso avvenire mediante la presenza a convegni di più<br />

appuntamenti<br />

3-5 aprile 2008 (Milano, Italia)<br />

Il Disturbo Bipolare<br />

2 ARETÆUS news<br />

LUCIO BINI<br />

(1908-1964)<br />

Presidenti del Congresso: C.A. Altamura - A. Koukopoulos - R. Tatarelli<br />

Provder: ARETAEUS (Associazione per lo Studio e la Prevenzione della<br />

Malattia Maniaco-Depressiva)<br />

Co-Provider: A.I.L.A.S ( Associazione Italiana Lotta allo Stigma )<br />

Depressione<br />

La malattia Maniaco Depressiva e il Disturbo Bipolare (F. Goodwin)<br />

Il Paziente Bipolare e la sua cura (A. Koukopoulos)<br />

Il Sonno nel Disturbo Bipolare (T. Wehr)<br />

Depressione Bipolare (N. Ghaemi)<br />

Le terapie Fisiche (U. Albert)<br />

Mania<br />

La Mania negli schizoaffettivi (A. Marneros)<br />

Lo scatenamento della mania con antidepressivi (L. Tondo)<br />

La quietapina nel Disturbo Bipolare (E. Mundo)<br />

Sostanze<br />

Disturbo Bipolare e Psicosi esogena da sostanze (P. Girardi)<br />

Disturbo Bipolare e sostanze (C. Schifano)<br />

Sostanze e induzione da Disturbo Bipolare (R. Murray)<br />

Bipolar Disorder (Gary Sachs)<br />

ampio respiro, non limitati all'incontro tra piccoli gruppi di colleghi già<br />

informati e d'accordo tra di loro. Anche il rapporto con le Società Scientifiche<br />

nazionali dovrà essere considerato un obiettivo<br />

assolutamente prioritario. Lo sviluppo attuale delle<br />

conoscenze ci consente di parlare di TEC<br />

nell'ambito più vasto della neuroscienze e delle<br />

terapie psichiatriche in generale, oltre che in quello<br />

più specifico ed evolutivo delle altre terapie fisiche<br />

dei disturbi mentali. Non dobbiamo<br />

assolutamente dare l'impressione, nè<br />

tantomeno avere naturalmente l'intenzione,<br />

di arroccarci nella difesa di una "vecchia"<br />

terapia, ma valutare se e quanto questa sia<br />

ancora attualmente utile alla luce delle<br />

attuali evoluzioni cliniche e tecnologiche o,<br />

UGO CERLETTI<br />

(1877-1963)<br />

in alcuni casi, insostituibile. È chiaro che<br />

l'unico parametro di riferimento in tal senso<br />

sarà rappresentato dall'obiettivo della<br />

risposta terapeutica dei più difficili e gravi dei pazienti. È altrettanto chiaro<br />

che un riferimento importantissimo può essere rappresentato dal confronto<br />

con altre realtà psichiatriche avanzate, come praticamente tutte quelle<br />

europee e nordamericane, dove la TEC ricopre un ruolo ben diverso da<br />

quello ricoperto in Italia. Avremo tempo di pensare ad iniziative più<br />

specifiche, come ad esempio quella di rispondere alla domanda di molti<br />

colleghi di ricevere informazioni "tecniche" sull'esecuzione della TEC. Ma<br />

mi sembra indispensabile che questo avvenga nell'ambito di un<br />

rinnovamento del rapporto con le Istituzioni, prime tra tutte Regioni e<br />

Ministeri della Salute e dell'Università, con cui dovremo cercare con il<br />

massimo impegno di stabilire canali comunicativi più aperti di quelli attuali.<br />

Si tratta di un compito evidentemente gravoso, rivolto alla ricerca del<br />

conseguimento di obiettivi ambiziosi (naturalmente solo in termini di<br />

"salute pubblca", credo che sul piano personale gli svantaggi di questa<br />

iniziativa possano ampiamente superare i vantaggi), che tenterò di svolgere<br />

nel modo più concreto ed utile possibile.<br />

La collaborazione di tutti i soci dell'AITEC (oltre, naturalmente, di<br />

quella, scontata, del Presidente Onorario) rappresenterà la condizione<br />

essenziale del potenziale successo delle nostre iniziative.<br />

Ringrazio gli "elettori", richiedo a tutti commenti e suggerimenti ed<br />

auguro (e mi auguro...) un buon lavoro.<br />

Giuseppe Bersani<br />

5-9 aprile 2008 (Nizza, Francia)<br />

16th European Congress of Psychiatry<br />

Symposium: Medical Prevention of Suicide<br />

Chairman: Prof. Jules Angst, MD<br />

Lowering Suicide Rates: Realistic or Quixotic (David Healy, MD )<br />

Prediction and prevention of suicide in mood disorders<br />

(Zoltán Rihmer, MD, PhD, DSc)<br />

Suicide Prevention: Updated findings (Leonardo Tondo, MD)<br />

Suicidal Behaviour in the Forthcoming Classifications of Mental Disorders<br />

(Eduard Vieta, MD)<br />

15-17 maggio 2008 (Ventotene, Italia)<br />

Corso ECM<br />

Seminari Psichiatrici Europei di Ventotene<br />

Organizzato da Giuseppe Bersani<br />

Discussant: Athanasios Koukopoulos<br />

4-6 giugno 2008 (Roma)<br />

Convegno di neuroscienze e psicologia del lavoro<br />

Organizzato da ISTITUTO MEDICO-LEGALE A.M. "Aldo di Loreto"<br />

Temperamento e disturbo bipolare (Athanasios Koukopoulos)<br />

Prevenzione del suicidio (Leonardo Tondo)


PETIZIONE DELL'AITEC<br />

(Associazione Italiana per la Terapia Elettroconvulsivante)<br />

All' Onorevole Ministro della Salute Pubblica<br />

Oggetto: Favorire l'installazione di servizi di Terapia<br />

Elettroconvulsivante (TEC) nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura<br />

presso gli Ospedali pubblici italiani.<br />

La TEC, precedentemente chiamata elettroshock, fu inventata a<br />

Roma nel 1938 da Ugo Cerletti e <strong>Lucio</strong> <strong>Bini</strong> e costituisce tuttora il<br />

più efficace trattamento delle sindromi depressive, specialmente<br />

di quelle più gravi, psicotiche e con alto rischio di suicidio. Con la<br />

tecnica moderna della sua applicazione gli effetti idesiderabili<br />

sono irrilevanti. Tale incontestabile efficacia clinica è comprovata<br />

dal largo uso di questa terapia negli ospedali pubblici di tutta<br />

Europa. Ad esempio, in Olanda esistono 35 servizi di TEC, in<br />

Belgio 32, in Danimarca 35, in Germania 159, in Svezia 65, in<br />

Norvegia 44, in Finlandia 40, in Ungheria 34, in Scozia 27, in<br />

Irlanda 16 e nel Regno Unito 160.<br />

In Italia ci sono solo 9 strutture psichiatriche dove un paziente<br />

può essere trattato con la TEC: sei appartengono al Servizio<br />

Nazionale (SPDC di Montechiari-Brescia, SPDC di Oristano,<br />

SPDC presso l'Ospedale SS. Trinità di Cagliari, SPDC di Brunico,<br />

SPDC di Bressanone e la Clinica Psichiatrica della Università di<br />

Pisa). La terapia è disponibile anche in cinque cliniche private<br />

convenzionate con il S.S.N., tra cui la Clinica San Valentino di<br />

Roma; la Clinica Santa Chiara di Verona e la Clinica Barruzziana<br />

a Bologna).<br />

Le ragioni di questa disparità fra l'Italia e gli altri paesi europei<br />

sono i pregiudizi ideologici, le interferenze politiche e una diffusa<br />

ignoranza sia sulla depressione sia sugli effetti di questo<br />

trattamento, a volte necessario e salvavita. Le conseguenze di<br />

questa situazione in Italia sono le gravi sofferenze per molti mesi<br />

e anni dei pazienti e delle loro famiglie.<br />

La scarsissima possibilità di usufruire di questa terapia è<br />

profondamente ingiusta e va a danno dei più deboli. Tale<br />

ingiustizia sarebbe stata tollerata <strong>dalla</strong> società per un'altra cura<br />

che non fosse per una malattia psichica?<br />

Chiediamo che venga istituito un servizio di TEC almeno per<br />

ogni milione di abitanti, un tasso molto inferiore a quello dei<br />

paesi europei, ma sarebbe in grado di fare fronte ai casi più<br />

urgenti.<br />

Dott. Athanasios Koukopoulos<br />

Presidente AITEC<br />

Presidente Aretaeus onlus<br />

16<br />

27<br />

160<br />

35<br />

32<br />

44<br />

35<br />

159<br />

9<br />

65<br />

34<br />

40<br />

risposta alla petizione<br />

Dal Blog Mente e Psiche di Daniela Ovadia su:<br />

http://ovadia-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it<br />

(il blog al 18 marzo è ancora attivo)<br />

"Leggere nella mente: Elettroshock,<br />

depressione<br />

tra scienza ed etica”<br />

Il 21 febbraio scorso, nell'ambito della Società italiana di<br />

psicopatologia, un gruppo di psichiatri italiani, tra cui<br />

Athanasios Koukopoulos e Giovan Battista Cassano, ha fatto<br />

girare tra i colleghi una petizione, indirizzata al ministro della<br />

salute Livia Turco, per sdoganare l'elettroshock (oggi chiamato<br />

con il termine più elegante di terapia elettroconvulsivante o TEC)<br />

nei casi di depressione grave refrattaria alla terapia<br />

farmacologica. Koukopoulos, che è presidente dell'AITEC<br />

(Associazione italiana per la terapia elettroconvulsivante), ha<br />

dichiarato quanto segue all'ADN Kronos: I numeri sono chiari: in<br />

Italia esistono solo 11 strutture che eseguono la TEC, 6<br />

appartenenti al Servizio sanitario nazionale e 5 cliniche private<br />

convenzionate al Ssn. Nel resto d'Europa il panorama è diverso:<br />

in Olanda esistono 35 servizi di Tec, in Belgio 32, in Germania<br />

159, in Svezia 65, in Norvegia 44, in Finlandia 40, in Ungheria 34,<br />

in Scozia 27, in Irlanda 16, nel Regno Unito 160. È paradossale che<br />

proprio in Italia, dove abbiamo inventato l'elettroshock nel 1938,<br />

ci sia questa chiusura. Secondo gli psichiatri che sostengono<br />

l'utilità dell'elettroshock, la ragione per cui in Italia questa tecnica<br />

è poco usata è puramente politica: frutto di una visione "distorta"<br />

della malattia mentale, originata dal movimento<br />

dell'antipsichiatria che "ha provato a sottrarre i disturbi psichici<br />

alla medicina", dice ancora il presidente dell'AITEC. All'incontro<br />

romano era presente anche Tom Bolwig, psichiatra all'università<br />

di Copenhaghen, per raccontare che "in Danimarca vivono 6<br />

milioni di persone eppure vi sono 35 centri specializzati nella<br />

TEC, addirittura uno in Groenlandia". A parte che non vedo<br />

perché il fatto che i groenlandesi possano utilizzare in tutta<br />

comodità questa terapia (che definirei almeno controversa) debba<br />

convincere noi italiani, che abbiamo dato vita, con la legge<br />

Basaglia, a uno degli esperiementi terapeutici della malattia<br />

mentale più ammirati al mondo, a diffonderne la disponibilità, è<br />

la conclusione dell'intervista a Koukopoulos che mi ha<br />

particolarmente colpita: "Come sempre in Italia - conclude - ci si<br />

ferma di fronte a problemi etici. Speriamo però che lo scenario<br />

cambi presto". Ora, nel caso specifico il problemi etici non mi<br />

sembrano irrilevanti: benché la tecnica sia ovviamente cambiata<br />

nel corso degli anni e venga oggi somministrata in modo umano,<br />

sotto anestesia, con l'aiuto di miorilassanti che impediscono le<br />

fratture da contrazione muscolare involontaria e quant'altro,<br />

rimane il fatto che il suo scopo è quello di provocare una crisi<br />

epilettica e un conseguente rilascio quanto più massiccio e<br />

immediato di neurostrasmettitori nel cervello, in particolare<br />

GABA e serotonina, i cui effetti<br />

perplessità<br />

a lungo termine sono ancora<br />

molto controversi.<br />

Ma fermiamoci alla letteratura scientifica: su Clinical Evidence,<br />

il sistema di revisioni della letteratura medica a cura della British<br />

Medical Association (e una delle fonti più autorevoli in materia di<br />

indicazioni ai trattamenti), la revisione sulla TEC (pubblicata nel<br />

giugno 2007 e basata su studi disponibili nell'aprile 2006)<br />

dimostra effettivamente un miglioramento dei sintomi depressivi<br />

gravi nel breve lasso di tempo (1-6 settimane) sia rispetto al<br />

placebo sia rispetto alla terapia farmacologica, ma segnala anche<br />

la scarsa qualità degli studi disponibili, in particolare nella<br />

popolazione più anziana. Alla voce "danni", la revisione getta la<br />

spugna: non ci sono studi di qualità sufficiente ad escludere<br />

danni cognitivi in chi viene sottoposto all'elettroshock, anche se<br />

un'analisi condotta da Evidence Based Mental Health nel 2003<br />

dimostra che un terzo dei pazienti ha perdite pemanenti di<br />

memoria. Conclusioni: la TEC, dice Clinical Evidence, non è una<br />

ARETÆUS news<br />

www.centrobini.it<br />

(Continua a <strong>pagina</strong> 10)<br />

3


aretaeusnews@centrobini.it<br />

commenti<br />

Leonardo Tondo ha scritto (26 febbraio):<br />

Come uno dei firmatari della famosa petizione descritta, vorrei<br />

aggiungere un commento all'opinione di Daniela Ovadia.<br />

Sono ovviamente d'accordo sui dati, ma una terapia che risolve<br />

una depressione grave e a rischio di suicidio dopo che le altre<br />

cure hanno fallito in 1-6 settimane mi pare un risultato clamoroso.<br />

Se poi la percentuale media di remissione è del 50% c'è da<br />

pensare che funzioni veramente e che vada considerata come un<br />

salvavita (d'altro canto è in uso da 70 anni). Le terapie<br />

antidepressive farmacologiche danno risultati di gran lunga<br />

inferiori. Per le tanto ammirate psicoterapie, se vogliamo dire, si<br />

hanno pochissimi dati scientifici (per la psicanalisi nessuno) e<br />

molto controversi e quando non fanno effetto, il paziente viene a<br />

saperlo dopo mesi o anni e dopo aver rinunciato a vacanze, cene<br />

fuori o auto nuova. Lasciamo poi perdere la possibile efficacia di<br />

terapie alternative. Infine, sul modello basagliano tutto si può<br />

dire tranne che sia "sperimentato", nel senso della Clinical<br />

Evidence o dell'Evidence-Based Medicine. È molto seguito,<br />

questo sì, ma soprattutto in alcune regioni italiane. E comunque è<br />

adeguato a disturbi psichiatrici cronici in cui è necessaria più una<br />

riabilitazione che una terapia. A me sembra che sia in atto<br />

un'inutile guerra di religione, tutta a svantaggio dei pazienti che<br />

dovrebbero almeno avere la libertà di sapere che esistono cure<br />

efficaci e di poter decidere se effettuarle <strong>prima</strong> di gettarsi <strong>dalla</strong><br />

finestra.<br />

Replica di Daniela Ovadia (26 febbraio):<br />

Sono contenta che i firmatari della petizione si facciano vivi su<br />

questo blog per rispondere di persona ad alcune delle<br />

perplessità sollevate <strong>dalla</strong> loro iniziativa.<br />

Una premessa doverosa: non sono una psichiatra, ma un<br />

giornalista scientifico. Quindi ho l'abitudine di interrogarmi sulle<br />

questioni a tutto tondo, partendo ovviamente dall'aspetto<br />

scientifico, dal quale non si può prescindere, ma tenendo in<br />

dovuto conto tutte le implicazioni di certe prese di posizione.<br />

Ammetto anche di avere un pregiudizio radicato nei confronti<br />

degli appelli in cui gli specialisti chiedono più attenzione o più<br />

fondi per la malattia o la tecnica di cui si occupano sostenendone<br />

la bontà "a priori", perché ne ricevo praticamente uno al giorno<br />

nella mia mailbox.<br />

E quindi, nel caso specifico, mi sarebbe piaciuto sapere, dal<br />

momento che esistono già in Italia centri che praticano<br />

l'elettroshock, quanti sono i pazienti con depressione grave non<br />

responder ai farmaci e quanti non trovano posto in un centro se<br />

davvero hanno bisogno di questa cura (insomma, se c'è una lista<br />

d'attesa, altrimenti che senso ha chiedere "più centri"?).<br />

Questo per restare alla superficie del problema, perché secondo<br />

me affermare che non esistono prove evidence based del<br />

"modello basagliano" (peraltro non si misura l'efficacia di un<br />

"modello" ma di un singolo intervento) o della psicoterapia (ma<br />

anche in questo campo qualcosa si sta muovendo) è di nuovo un<br />

modo per "ideologicizzare" la psichiatria e la malattia mentale: in<br />

questo momento, per esempio, ho sotto mano dati sul progetto di<br />

prevenzione dei suicidi nella città di Trieste (dove il modello di<br />

intervento sulla malattia mentale è quello della legge 180) che mi<br />

paiono eloquenti, con una netta riduzione dei casi negli ultimi<br />

dieci anni. Certo, la tabella grezza non distingue tra psicosi<br />

croniche e depressioni acute: vedrò se riesco ad avere i dati per<br />

patologia. Anche quelli grezzi, però, qualcosa dicono e sono stati,<br />

peraltro, controllati e confermati da un centro accreditato<br />

dall'OMS.<br />

È incontestabile, come dice il dottor Tondo (che peraltro è<br />

collega del primo firmatario dell'appello), che è meglio che i<br />

4 ARETÆUS news<br />

pazienti abbiano una soluzione al loro grave malessere piuttosto<br />

che buttarsi <strong>dalla</strong> finestra, ma in quanto giornalista non posso<br />

non interrogarmi sulle ricadute sociali di determinati trattamenti,<br />

e anche su quelle etiche: non credo che lo stigma di chi ha preso<br />

psicofarmaci (e chi non ne ha presi, fosse anche solo una<br />

benzodiazepina per farsi un sonno ristoratore) possa essere<br />

minimanente comparabile con quello di chi ha subito<br />

l'elettroshock, e ciò deve, a mio avviso, essere tenuto in conto da<br />

un medico, nella stessa misura in cui si ritiene doveroso proporre<br />

la quadrantectomia alle donne con tumore del seno invece della<br />

mastectomia radicale, e lavorare per estendere l'indicazione al<br />

trattamento meno invasivo, non a quello più demolitivo.<br />

Infine non si può prescindere <strong>dalla</strong> storia di una terapia, se si<br />

vuole valutarne gli aspetti etici e non solo scientifici: se<br />

l'elettroshock ha la fama che ha, la responsabile è la psichiatria<br />

stessa, che nel secolo scorso (quando è nato l'elettroshock) si è<br />

prestata a essere, più che una scienza, uno strumento di controllo<br />

sociale.<br />

Mi chiedo, per esempio, se esistono studi sul destino (nel senso<br />

di qualità della vita, lavoro, relazioni familiari e sentimentali) di<br />

chi ha subito questa terapia versus chi è stato curato con gli<br />

psicofarmaci o la psicoterapia. Io cercherò materiale in merito, ma<br />

se Tondo o Decina (o chi la pensa in modo diametralmente<br />

opposto a loro) vogliono condividere con noi lettori informazioni<br />

più precise in materia, in modo che possiamo farci un'opinione,<br />

mi pare che facciano un utile servizio ai pazienti e<br />

all'informazione.<br />

Paolo Decina ha scritto (27 febbraio):<br />

La lettura dell'articolo solleva la domanda cruciale di come<br />

trattare i casi di depressione grave refrattaria alla terapia<br />

farmacologica quando non sembra esserci altro rimedio, perché,<br />

in fin dei conti, la petizione che ho firmato sottolinea che in questi<br />

casi l'elettroshock possa funzionare, sia pure non sempre e in<br />

maniera definitiva - e neanche senza effetti collaterali -, e debba<br />

Thymatron® System IV - Integrated ECT Instrument


essere disponibile quando necessario. Qualsiasi critica<br />

dell'elettroshock oggi deve prendere in considerazione che<br />

l'indicazione terapeutica principale è la depressione grave, che<br />

comporta il rischio di una continua e atroce sofferenza fino al<br />

suicidio. Nei casi in cui tale depressione non è adeguatamente<br />

curata con la psicoterapia o con la farmacoterapia, cosa fare? La<br />

proposta non è quella di imporre l'elettroshock a nessuno ma<br />

quella di renderlo disponibile a tutti quando i trattamenti psico- e<br />

farmaco-terapeutici hanno fallito e serve un effetto rapido. Se poi<br />

la richiesta dell'AITEC di istituire, in Italia, almeno un centro<br />

specializzato per l'elettroshock ogni milione di abitanti, sia tanto<br />

o sia poco se ne può discutere, preferibilmente con dati alla mano.<br />

I dati allegati alla petizione facevano riferimento al numero di<br />

centri esistenti in Europa.<br />

L'elettroshock è evidentemente una terapia invasiva che rende<br />

necessario un consenso informato dopo ampia discussione col<br />

paziente e con i suoi familiari. In ogni caso, però, la terapia non<br />

può essere screditata scientificamente o perlomeno non più di<br />

quanto si possa fare con tutti gli interventi psichiatrici oggi<br />

disponibili.<br />

Le perplessità scientifiche sull'elettroshock non sono più<br />

imbarazzanti di quelle che circondano qualsiasi trattamento<br />

psicofarmacologico. "La scarsa qualità degli studi disponibili, in<br />

particolare nella popolazione più anziana", e "l'incerta utilità della<br />

cura nel prevenire le ricadute di gravi forme depressive" sono<br />

caratteristiche comuni a tutti gli interventi farmacologici. Se<br />

l'elettroshock causa effetti collaterali o "danni", così fa la<br />

farmacoterapia, perché nessuna medicina che funziona non fa<br />

anche danno. Ovviamente gli effetti collaterali di una terapia<br />

devono essere valutati in base al beneficio. Anche qui il rapporto<br />

rischio-beneficio dell'elettroshock non è peggiore di quello che si<br />

associa alle terapie farmacologiche.<br />

Solamente quando il campo è sgombro da "perplessità"<br />

scientifiche si può affrontare la questione dello stigma associato<br />

all'elettroshock e la conseguente accettabilità individuale e<br />

sociale. Onestamente, lo stigma sembra essere una qualità<br />

specifica del trattamento in aggiunta a quello associato alla<br />

malattia psichiatrica grave, che si verifica indipendente dal<br />

trattamento che si riceve. Perché sia così non so: forse ripugna<br />

l'idea di indurre uno stato di malattia (l'attacco epilettico) per<br />

trattarne un altro o forse offende il pensiero di applicare sul<br />

cranio umano una stimolazione elettrica. Ma la medicina del<br />

corpo, quando necessario, usa terapie che distruggono cellule<br />

sane insieme a quelle malate e applica sul torace una stimolazione<br />

elettrica che azzera per pochi istanti l'attività elettrica del cuore<br />

per far sì che questa riprenda il regolare battito cardiaco.<br />

Leonardo Tondo ha scritto (27 febbraio):<br />

Riprendo la discussione. Come dice Decina, bisogna vedere di<br />

quanti centri si può avere bisogno in Italia. Attualmente sono<br />

9 e lavorano sotto il mitra puntato delle varie ASL che non<br />

aspettano altro che accada qualcosa di grave. Conosco molte<br />

persone che si sono sottoposte alla TEC e non sentono il peso di<br />

alcuno stigma. Magari lo stigma aumenta quando leggono<br />

sconcertanti articoli sulla terapia scritti da persone che non la<br />

conoscono. Si tratta comunque di un intervento che si consiglia<br />

piuttosto raramente. A me capita di consigliarlo non più di cinque<br />

volte l'anno. Nell'ultimo anno, lo hanno fatto due persone che<br />

sono rimaste estremamente soddisfatte dei risultati. I centri di<br />

Salute Mentale, perni del modello basagliano, sono utili per<br />

pazienti cronici. Nessun paziente depresso frequenterebbe quei<br />

centri perché appunto altamente stigmatizzanti. La psichiatria è<br />

stata utilizzata nelle dittature come strumento del potere, ma<br />

stiamo parlando di realtà veramente molto lontane nel tempo e<br />

“Non guardiamo dietro con rabbia e in avanti con paura, ma attorno<br />

con consapevolezza.” -James Thurber<br />

nello spazio. Credo proprio che bisogna prescindere <strong>dalla</strong> storia<br />

delle terapie, perché il tempo passa. Seguendo questa linea, avrei<br />

evitato di mostrare un macchinario per elettroshock degli anni<br />

Sessanta (la foto nella <strong>pagina</strong> precedente mostra un vecchio<br />

macchinario, presente nel blog, e uno nuovo, invece assente)<br />

anzichuno moderno. E comunque, non si può certo dire che le<br />

stesse psicoterapie non abbiano la tendenza a "normalizzare" gli<br />

individui. È un limite e un vantaggio di tutti gli interventi sulla<br />

psiche.<br />

Giuseppe Guaiana ha scritto (3 marzo):<br />

Sono uno psichiatra e ricercatore italiano che lavora ormai da<br />

alcuni anni all'estero (Gran Bretagna <strong>prima</strong> e Svizzera adesso).<br />

Ho praticato nella mia carriera molte sessioni di Terapia<br />

Elettroconvulsivante (TEC) quando lavoravo in Gran Bretagna.<br />

Cito la mia esperienza personale (che vale quel che vale,<br />

ovviamente e va sempre temperata da un adeguato spirito<br />

"Evidence-Based"), che è senza dubbio positiva. La TEC, usata<br />

sempre come estrema ratio e come ultima terapia, resa umana<br />

dall'anestesia generale e dal pieno consenso del paziente, ha<br />

prodotto in certi casi risultati eccezionali, in altri risultati<br />

accettabili. Gli effetti collaterali sono sempre stati sopportati dal<br />

paziente e, soprattutto, transitori. La TEC rappresenta uno<br />

strumento in piú nella cura delle malattie psichiatriche<br />

(depressione ovviamente in primis), che, se usato con attenzione<br />

puó aiutare malati altrimenti poco curabili. È vero, la base di<br />

evidenze non è eccezionale, ma questo è un problema di molti<br />

trattamenti psichiatrici, biologici e non. Si discute ancora, per<br />

esempio, sull'efficacia degli antidepressivi, che hanno percentuali<br />

di risposta non così lontane dal placebo. Cosa fare allora?<br />

Concludere che gli antidepressivi non servono? Sarebbe forse<br />

esagerato.<br />

Una parola poi, per me che vivo all'estero, sui toni della<br />

discussione. Constato sempre, con mio sempre crescente<br />

rammarico, che è impossibile in Italia discutere su argomenti<br />

senza schierarsi ideologicamente. Mi fa molto specie il commento<br />

di Leonardo Tondo sulle psicoterapie e sulla visione<br />

macchiettistica che ne da ("il paziente viene a saperlo dopo mesi o<br />

anni e dopo aver rinunciato a vacanze, cene fuori o auto nuova").<br />

Esistono psicoterapie brevi e di comprovata efficacia come la<br />

Terapia Cognitiva, dove vi è un'ampia letteratura al riguardo,<br />

incluse delle meta-analisi. Sto svolgendo con interesse una<br />

formazione in Psicoterapia cognitiva e, da quello che leggo e<br />

applico, noto che non è che abbiano un'efficacia nulla. Quindi, è<br />

una grave inesattezza dire che le psicoterapie non funzionano o<br />

non funzionano dopo anni, dato che spesso si riesce a risolvere il<br />

problema di 10-15 sedute. Questa è solo una posizione ideologica.<br />

D'altra parte, trovo anche poco utile esaltare la riforma Basaglia,<br />

come se fosse l'unico modello possibile di cura psichiatrica. È una<br />

riforma con indubbi punti di vantaggio ma (e in questo dò<br />

ragione a Leonardo Tondo) focalizzata (anche per ragioni<br />

ideologiche) sulle psicosi e sulle malattie gravi. Per questo, i<br />

servizi hanno dirottato i pazienti con ansia o depressione lievemedia,<br />

o su Cliniche Psichiatriche Universitarie dove gli approcci<br />

di cura erano ideologicamente biologisti (è il male della<br />

psichiatria accademica italiana, purtroppo) o su psichiatri privati<br />

dalle dubbie capacitá psicoterapeutiche.<br />

Vado un po' off-topic, ma mi piacerebbe vedere nella<br />

psichiatria italiana un atteggiamento più pragmatico nei confronti<br />

delle cure: è mai possibile che bisogna sempre schierarsi o con i<br />

biologisti o con i basaglisti o con gli psicoterapisti? Lo spirito<br />

Evidence-Based dovrebbe promuovere questo pragmatismo, ma<br />

vedo che spesso diventa un arma a doppio taglio, utilizzando i<br />

dati per promuovere la propria visione ideologica. Grazie!<br />

ARETÆUS news<br />

www.centrobini.it<br />

5


aretaeusnews@centrobini.it<br />

articoli pubblicati<br />

ELETTROSHOCK, L'HO VISTO FARE E VI DICO: GUARISCE<br />

di Nicola Forcignanò<br />

Le tempie fremono. Dopo pochi minuti, una frase: "Ora sto<br />

bene". Il primo esperimento nel 1938: da allora decenni di<br />

pregiudizi contro la cura. Mi sudano le mani, quando si spalanca<br />

davanti a me la porta della stanza dove viene praticata la terapia.<br />

Indosso indegnamente un camice bianco. Un travestimento che<br />

farebbe sorridere mia moglie, di professione fa il chirurgo. Infatti,<br />

a differenza di un vero medico giro la testa dall'altra parte<br />

quando mi fanno un semplice prelievo del sangue, la sola parola<br />

dentista mi crea panico più di un film di Dario Argento e quelle<br />

rare volte che mi sono ritrovato, mio<br />

malgrado, sdraiato su un lettino operatorio<br />

credo d'essere svenuto <strong>prima</strong> ancora che<br />

l'anestesia facesse effetto. Insomma, diciamo -<br />

a voler parlar bene di me - che non sono un duro. Comunque,<br />

ora, sono qui. Confesso: impaurito ed emozionato. Eppure<br />

maledettamente curioso di sfidare un falso mito fatto di leggende<br />

drammatiche, terrificanti e, allo stesso tempo, una serie di luoghi<br />

comuni imbottiti come panini di ideologie. Da Basaglia fino ai<br />

gulag, nel mezzo migliaia di parole inutili. Ma ora sono qui,<br />

infiltrato in una sala dove intorno a un letto un'équipe di<br />

psichiatri, anestesisti e tecnici si sta preparando a salvare un<br />

omone di una cinquantina d'anni che da troppo soffre di una<br />

forte depressione che alcun tipo di farmaco è riuscito mai a<br />

guarire. È davanti a me, lo sguardo perso, quasi incurante di<br />

quanto gli sta accadendo attorno. Sono anni che vive il suo male:<br />

condannato al dolore, all'apatia e alla solitudine. Ma soprattutto<br />

all'autodistruzione. Come se gli fosse negata qualsiasi altra<br />

possibilità, vede ormai la fine di questa sofferenza nell'unico<br />

tragico gesto che potrebbe liberarlo: il suicidio. Se la parola può<br />

farvi meno effetto, chiamatela voglia di eutanasia. Sono solo<br />

giochi di parole, l'effetto è la morte. Mentre le mani dei medici lo<br />

rassicurano, carezzandolo come si fa con un bambino agitato,<br />

l'anestesista lo prepara a chiudere gli occhi, a lasciarsi<br />

abbandonare al sonno chimico. Ma lui soffre, non per quanto gli<br />

sta accadendo intorno. Non c'è nulla di allarmante, potrebbe<br />

apparire un paradosso, Ma l'ambiente è soft, siamo in una clinica<br />

e non in un salone di bellezza, ma non c'è nulla che possa<br />

procurare ansia. No, l'omone sdraiato sul lettino della terapia,<br />

soffre per quanto sente dentro, per il suo male. E le ultime parole<br />

che biascica <strong>prima</strong> di perdersi nell'anestesia sono di dolore.<br />

Parole di impotenza davanti alla propria disperazione, a quella<br />

maledetta depressione che non lo lascia un istante e lo azzanna<br />

come un cane rabbioso. Chi non l'ha provata mica può capire. La<br />

reazione dei più stupidi (e sono molti più di quanti si possa<br />

immaginare) è disarmante: ma dai, reagisci! Come dire a un<br />

malato terminale: non lasciarti andare. E a gente così, come lo<br />

spieghi l'elettroshock? Come fai a far capire che dietro quella<br />

scossa c'è la vita? L'alternativa è la morte. Ho sfidato il mio<br />

coraggio per questo, per tentare di comprendere. E il mio cuore,<br />

ora, batte forte. Sono lì, in quella stanza, tra monitor che mi<br />

risultano incomprensibili, tra cavi che corrono intorno al letto, tra<br />

mani che si muovono lentamente e sapientemente intorno al<br />

malato, sono qui dicevo, unicamente per curiosità. Voglio vedere<br />

che cos'è veramente l'elettroshock. Per tentare di decifrare qual è<br />

la verità e dove comincia la leggenda, infarcita di racconti<br />

terrificanti, dove si spinge la medicina o se davvero quella è la<br />

stanza degli orrori che sciocche ideologie e, di conseguenza,<br />

pellicole impressionanti ci hanno raccontato con le loro immagini.<br />

Chi non ricorda le sequenze terrificanti e coinvolgenti del film<br />

"Qualcuno volò sul nido del cuculo" e l'espressione ebete di Jack<br />

Nicholson folgorato da una scarica al cervello? E chi non ha mai<br />

6 ARETÆUS news<br />

sentito raccontare i primi esperimenti scientifici all'inizio del<br />

secolo scorso, con i pazienti legati da cinghie di cuoio alle barelle<br />

e le gambe e le braccia che si fratturavano strapazzate dalle scosse<br />

elettriche? So, ho letto, ho perfino cercato di studiare che cos'è<br />

oggi l'elettroshock. Ho avuto la fortuna d'avere un grande amico<br />

psichiatra che ho considerato come un secondo padre. E che -<br />

finché è rimasto in vita - mi ha spiegato quanto la scienza sia<br />

corsa in avanti seppure in un deserto di misteri che è il cervello<br />

dell'uomo e milioni di quei misteri sono ancora inspiegabili. E mi<br />

ha parlato per ore, il mio amico Augusto Guida, uno dei padri<br />

della psichiatria in Italia, dell'evoluzione di questa terapia - un<br />

tempo praticata quasi di nascosto - che ora è in grado di salvare<br />

delle vite umane, di strappare dei malati al suicidio certo, e della<br />

possibilità di ridare loro una vita normale.<br />

Già, ma ora sono qui dentro, in questa<br />

stanza. Ora ho davanti a me quell'omone<br />

disperato che dorme assistito<br />

dall'anestesista, i monitor che lanciano i loro segnali su freddi<br />

schermi verdi e una psichiatra pronta con gli elettrodi tra le mani.<br />

Eccolo, l'elettroshock. Una scossa alle tempie, tre secondi esatti<br />

scanditi da un cronometro. Sul volto del paziente solo una<br />

smorfia. E la sua mano destra, imbrigliata da legacci di gomma,<br />

che inizia a tremare. Un fremito forte. Mi impressiona. Ma subito<br />

mi spiegano che è quello il segnale, l'elettroshock sta facendo il<br />

proprio lavoro, ha effetto: più lunga sarà la reazione, più efficace<br />

sarà stata la terapia. E gli psichiatri accompagnano i secondi che<br />

passano - un count down da Cape Canaveral - scandendo il<br />

tempo senza nascondere la propria soddisfazione: trentacinque,<br />

trentasette, dai ancora - pare implorare, la psichiatra -,<br />

trentanove. Quaranta! È il piccolo gridolino che segnala l'ottimo<br />

esito dell'intervento. La mano del paziente ora non trema più. Le<br />

dita si rilassano lentamente. È già tutto finito, una manciata di<br />

minuti. E anche l'anestesia comincia ad esaurire il proprio effetto.<br />

Qualche domanda, lo chiamano per nome, pian pianino risponde,<br />

si sta riprendendo. E la <strong>prima</strong> frase che dice, mi commuove: "Sto<br />

bene". Io che ovviamente non ho avuto alcun merito, esco da<br />

quella stanza orgoglioso. Come se avessi avuto una piccola parte,<br />

quella ininfluente di uno spettatore, davanti a un miracolo. E<br />

mentre mi sfilo un camice che per nulla mi appartiene, e<br />

passeggio nel lungo corridoio, silenzioso, ovattato della clinica,<br />

mi chiedo perché c'è ancora chi si batte contro l'elettroshock e<br />

agita questa terapia scientifica, che dà risultati provati e<br />

clinicamente indiscutibili, come un mostro da abbattere, come un<br />

nemico da sconfiggere. Certo, come sempre, nelle critiche c'è del<br />

vero. Ma le accuse in questo caso sono anacronistiche: come se il<br />

tempo si fosse fermato al primo esperimento, datato 1938,<br />

pioniere il professor Cerletti, che la inventò, quando l'anestesia<br />

ancora non era in grado di supportare e "annullare" la potenza di<br />

quella scossa elettrica da 220 volt. Una tortura, allora, pur se fatta<br />

a fin di bene. Ma, ora, 2008, l'elettroshock è l'ultimo rimedio al<br />

male del secolo: la depressione. Una terapia senza rischi che entra<br />

in scena solo quando la chimica s'arrende, non dà risultati. Solo in<br />

Italia, dicono le statistiche, ne soffrono dieci italiani ogni mille.<br />

Percentuali sommarie perché, purtroppo, molti di quelli che ne<br />

sono affetti s'affidano all'impreparazione di molti medici di base.<br />

Altri, disgraziatamente, si lanciano con l'automobile fuori strada,<br />

oppure direttamente dal balcone. Quando, addirittura, in un<br />

gesto per noi di inspiegabile affetto, sterminano la famiglia <strong>prima</strong><br />

di togliersi la vita. E davanti a questo c'è ancora chi non ha capito<br />

che cosa sia la depressione. E non accetta che quando la<br />

farmacologia non riesce a guarire rimane la disperata frontiera<br />

dell'elettroshock. Una parola che potrà anche far paura, ma che<br />

vuole dire salvezza, vuole dire vita.<br />

Il Giornale (24 febbraio 2008)


ELETTROSHOCK: TIGRE DI CARTA<br />

di Maria Grazia Giannichedda<br />

Pensiamo alla psichiatria oggi. Favorire l'istituzione nei Servizi<br />

psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC) degli ospedali pubblici,<br />

di almeno un servizio di elettroshock per ogni milione di<br />

abitanti": questa la richiesta indirizzata al ministero della salute<br />

da parte dell'Associazione italiana per le terapie<br />

elettroconvulsivanti (AITEC) che cerca, in questi giorni, la firma<br />

della Società italiana di psicopatologia che tiene a Roma il suo XII<br />

Congresso. La petizione lamenta che in Italia il servizio sanitario<br />

nazionale fornisce questa prestazione solo in sei SPDC e in tre<br />

cliniche convenzionate, lasciando<br />

immaginare strutture oberate di<br />

lavoro per evadere una domanda<br />

che dovrebbe essere enorme, se si<br />

richiede l'ìstìtuzione di una quarantina di centri pubblici. Ma<br />

l'AITEC non fornisce alcun dato sulle persone che in Italia<br />

richiedono l'elettroshock, e non hanno avuto la curiosità di<br />

cercarlo neppure i giornali che in questi giorni hanno diffuso, con<br />

toni per lo più critici, la petizione degli psichiatri e il loro lamento<br />

sull'ostracismo di cui sarebbero vittime. Qualche cifra è invece<br />

assai utile per capire il significato e il peso di questa proposta.<br />

Il più importante tra i centri italiani che praticano l'elettroshock<br />

è la Clinica psichiatrica dell'Università di Pisa diretta da Giovanni<br />

Battista Cassano. Stando ai dati dell'Osservatorio regionale, negli<br />

ultimi anni la clinica ha effettuato cicli di elettroshock su un<br />

centinaio di persone all'anno, con una evidente tendenza al<br />

decremento - da 170 persone nel 2001 a 86 neI 2006 - e una<br />

costante: circa un terzo delle persone provengono <strong>dalla</strong> Toscana.<br />

Difficile credere che questi dati siano l'evidenza di un ostracismo<br />

contro l'università di Pisa: Cassano gode di prestigio scientifico e<br />

popolarità mediatica e ha una forte egemonia culturale nella<br />

psichiatria della sua regione, la cui normativa in questo campo è<br />

tutt'altro che repressiva. La Toscana vieta infatti l'uso<br />

dell'elettroshock solo sui minori e sugli ultrasessantacinquenni,<br />

limitandosi a monitorare il suo uso e a prescrivere procedure per<br />

il consenso informato dei pazienti. Cosa significa allora il fatto che<br />

si facciano così pochi elettroshock nel centro che vanta il maggior<br />

credito internazionale? Significa, innanzi tutto, che I'équipe di<br />

Pisa applica correttamente l'elettroshock solo su quella ristretta<br />

nicchia di situazioni patologiche sulle quali questa tecnica è<br />

ritenuta efficace da coloro che la sostengono (in questo caso, però,<br />

davvero non si capisce perché chiedere che venga quadruplicato il<br />

numero dei centri pubblici per l'elettroshock). C'è poi un secondo<br />

elemento influente, il processo di riforma della psichiatria avviato<br />

in Italia oltre quarant'anni fa, che ha prodotto nei servizi pubblici,<br />

pur tra limiti enormi, un'offerta ampia di tecniche terapeutiche, e<br />

ha tolto di mezzo quell'ospedale psichiatrico che per mezzo secolo<br />

è stato sede di sperimentazione e applicazione massiva<br />

La risposta di Athanasios Koukopoulos al Direttore de Il Manifesto (26 febbraio):<br />

dell'elettroshock La petizione dell'AlTEC è in questo senso<br />

illuminante. Vengono infatti citati come buoni esempi paesi<br />

europei che hanno, insieme, un gran numero di centri di<br />

elettroshock e di ospedali psichiatrici: dall'Ungheria alla<br />

Finlandia, dove esistono solo ospedali psichiatrici, alla Germania<br />

e Inghilterra, dove i servizi comunitari sono sempre più<br />

impoveriti nelle risorse <strong>dalla</strong> prevalenza della psichiatria<br />

manicomiale.<br />

Questo è il punto centrale, il legame profondo tra elettroshock e<br />

cultura manicomiale. Se occorressero prove ulteriori di tale<br />

connessione e dei danni che possono derivarne, queste vengono<br />

da un fatto di questi giorni. Il 18 febbraio sono stati rinviati a<br />

giudizio il direttore e una psichiatra del SPDC di Cagliari per la<br />

morte per embolia di un uomo di<br />

cinquant'anni, che l'anno scorso era<br />

rimasto legato al letto, senza<br />

interruzione, per un'intera settimana.<br />

Quel reparto è uno dei nove centri in cui si pratica l'elettroshock, e<br />

la psichiatra imputata fa riferimento, come altri suoi colleghi di<br />

reparto, al <strong>Centro</strong> <strong>Bini</strong> di Roma, fondato e diretto da Athanasios<br />

Koukopoulos, che è il promotore della petizione citata all'inizio.<br />

Due conclusioni allora. La <strong>prima</strong>: per ora, almeno in Italia, i dati<br />

sul suo uso dimostrano che l'elettroshock è una tigre di carta Si<br />

rischia di attribuirgli un peso che non ha, se si accetta di dar fiato<br />

al dibattito ideologico con cui l'AITEC cerca di uscire dall'angolo<br />

in cui si trova confinata. Ma il fatto di Cagliari obbliga a un'altra<br />

riflessione. Pratiche come la contenzione fisica, le porte chiuse,<br />

l'uso degli psicofarmaci come camicia di forza chimica, con danni<br />

biologici e culturali non minori di quelli dell'elettroshock, fanno<br />

parte dell'armamentario sedicente terapeutico di molti psichiatri e<br />

servizi che non difendono né usano l'elettroshock, e che magari si<br />

apprestano a celebrare, il prossimo 13 maggio, il trentennale di<br />

una legge di riforma di cui smentiscono quotidianamente lo<br />

spirito e la lettera. Di questo, e non dell'elettroshock conviene<br />

parlare, domandandosi come mai sia così lento, sporadico e<br />

precario il processo di trasformazione della psichiatria che pure in<br />

Italia ha messo radici più che altrove e ha mostrato i suoi esiti<br />

positivi, tra i quali il basso ricorso all'elettroshock. Conviene<br />

interrogarsi sulle azioni e le omissioni del variegato mondo degli<br />

psichiatri e sulle responsabilità della politica, a livello regionale e<br />

nazionale. In questi giorni la ministra della salute Turco si<br />

appresta a consegnare alle regioni le "imee strategiche per la<br />

salute mentale", uno sconfortante documento di quaranta pagine,<br />

fitto di indicazioni amministrative che le regioni hanno il potere<br />

di ignorare e del tutto privo di accenni sulle priorità, sui punti<br />

dolenti dei servizi e sulla qualità delle prestazioni, ambiti che<br />

invece sono i soli su cui il ministero potrebbe agire con una<br />

qualche speranza di efficacia. Anche su questo governo senza<br />

qualità converrà ritornare, nei prossimi inevitabifi dibattiti sul<br />

trentennale della "180".<br />

Il Manifesto (23 febbraio 2008)<br />

Egregio Direttore,<br />

Essendo stato citato nell'articolo della Signora Giannichedda del 23 Febbraio, vorrei rispondere almeno a un punto: che in Italia l'elettroshock è poco utilizzato<br />

perchè la sua richiesta è limitata. Non potrebbe essere diversamente data l'insensata campagna di criminalizzazione che dura da mezzo secolo. L'intervento della<br />

signora Giannichedda ne è un mite esempio. I pazienti ne sono terrorizzati e i medici non osano nominarlo. Esiste una proposta di legge in Parlamento, la 7258<br />

del 2000, che chiede il divieto di questa terapia e la carcerazione da cinque a dieci anni per chi la somministra e per chi ne agevola l'attuazione.Quale paziente<br />

accetterebbe una terapia che costituisce un atto criminale?<br />

Circa il reale campo di indicazione dell'elettroshock basta pensare che circa il 6% della popolazione soffre ogni anno di depressione. Il 40% delle depressioni non<br />

risponde agli antidepressivi. Molti guariranno col passare del tempo ma gli altri specie i più gravi hanno il diritto di sapere che esiste una terapia sicura e efficace<br />

al 80% dei casi, <strong>prima</strong> che pensino che l'unica soluzione sia il suicidio.<br />

La signora Giannichedda scrive: "Pensiamo alla psichiatria oggi". Ai malati quando dovremmo pensarci?<br />

La classe politica e particolarmente la sinistra commettono un gravissimo e incomprensibile errore a difendere tesi fondate su pregiudizi invece di pensare ai<br />

malati di depressione che soffrono orribilmente. La classe politica e particolarmente la sinstra non dovrebbe preoccuparsi dei più deboli e dei più sfortunati?<br />

Sarebbe necessario un dibattito obiettivo e approfondito al quale certamente non ci sottraremo. Qui si tratta di un problema molto grande: i diritti del malato.<br />

Cordiali saluti.<br />

Athanasios Koukopoulos MD<br />

ARETÆUS news 7<br />

www.centrobini.it


aretaeusnews@centrobini.it<br />

agenzia adnkronos<br />

Dall'Agenzia Adnkronos Salute:<br />

Gli psichiatri: liberiamo l'elettroshock dai pregiudizi<br />

In Italia la legge Basaglia (la "180" del 1978) impose la chiusura<br />

dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio,<br />

istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. La norma, che<br />

suggellò un movimento culturale. - È un unicum nel mondo, -<br />

spiega l'ideatore della petizione, ilneuropsichiatra e presidente<br />

dell'AITEC Athanasios Koukopoulos - è il frutto di un movimento<br />

anti-psichiatria che a partire dagli anni '60 ha provato a sottrarre i<br />

disturbi psichici alla medicina. In più, - afferma il medico<br />

all'ADNKRONOS SALUTE - si è radicato in Italia un conformismo<br />

ideologico che ha visto nell'elettroshock un abuso di potere<br />

del medico sul paziente. Un ragionamento sbagliato perché - dice<br />

- è come se si contrastasse l'uso del bisturi perchè è stato uno strumento<br />

usato anche da medici come Josef Mengele, il medico delle<br />

SS". Meno drastico è invece unaltro firmatario della petizione,<br />

Paolo Girardi, docente di Psichiatra alla II Facoltà di Medicina e<br />

Chirurgia dell'Università La Sapienza di Roma. - Lo scarso ricorso<br />

all'elettroshock che si fa in Italia affonda le radici in motivi reali.<br />

In passato infatti, - denuncia - se ne è fatto un uso selvaggio e sbagliato.<br />

Dunque oggi viviamo ancora un clima di reazione a un cattivo<br />

utilizzo di questa terapia -. Ricorda Koukopoulos: -<br />

L'elettroshock non è una tortura. Prova ne è il fatto che ancora<br />

oggi si pratica, anche in Italia -.Lo psichiatra rivela che - più o<br />

meno il 20% degli italiani, nel corso della loro vita, dovrà affrontare<br />

almeno un episodio di depressione lieve, ma il 3-4% della popolazione<br />

soffrirà di una forma grave di depressione. Tanto grave<br />

che in genere un quinto di queste persone porta a compimento un<br />

tentativo di suicidio. E - prosegue lo specialista - se per il 50-60%<br />

di questi depressi gravi <strong>prima</strong> o poi si riesce a trovare una terapia<br />

farmacologica efficace, per il restante 40% non c'è altra terapia che<br />

non l'elettroshock -. Non si tratterebbe dunque di applicare gli<br />

elettrodi alla testa di tutti i depressi, chiarisce Koukopoulos.- Oltre<br />

a questi casi, poi- interviene Girardi - l'elettroshock è l'unica terapia<br />

possibile per esempio per le depressioni gravi durante la gravidanza.<br />

O nel caso di persone anziane che non possono essere<br />

imbottite di farmaci. L'importante - spiega - è tornare a parlarne in<br />

chiave scientifica e non con pregiudizi sub-culturali anche qui in<br />

Italia -.Per l'AITEC il problema logistico però non è di secondo<br />

ordine, pochissimi i centri in Italia, e non tutti pubblici.<br />

E le ASL - continua Koukopoulos - ne ostacolano la dif-<br />

pro<br />

fusione perché si tratta di uno strumento terapeutico<br />

che non fa guadagnare nessuno. Neppure le Case di<br />

cura convenzionate a cui - dice - non viene rimborsato<br />

come DRG ad hoc -.Meno drastico, ancora una volta, è<br />

Girardi.- Non c'è alcuna strategia occulta per boicottare<br />

l'elettroshock a favore di altre terapie come quelle farmacologiche -<br />

assicura - perchè in altri Paesi, dove il peso delle aziende farmaceutiche<br />

è anche più forte che in Italia, la TEC è molto più praticata -.<br />

Dunque, per Girardi si tratta - di una delle tante opzioni terapeutiche,<br />

da usare quando necessario e comunque non in alternativa<br />

ai farmaci ma con più attenzione -. All'AITEC l'occasione di<br />

avere circa 3.000 psichiatri riuniti insieme deve essere parsa molto<br />

ghiotta. Da qui l'idea della petizione, - che abbiamo avuto - riprende<br />

Koukopoulos - <strong>prima</strong> che cadesse il Governo. Comunque una<br />

volta raccolte le firme - assicura - la lettera sarà presentata all'attuale<br />

inquilino di Lungotevere Ripa, come pure al successivo -.<br />

Una questione sembra preoccupare soprattutto Girardi. -<br />

L'elettroshock deve essere praticato solo nelle strutture pubbliche<br />

dove ci sono comitati etici strutturati, in grado di tutelare il<br />

paziente. Ci vuole infatti - sottolinea - un consenso informato<br />

vero, non solo per i malati, ma anche per i loro famigliari.<br />

L'importante è che da parte di noi medici non si neghi ai malati<br />

8 ARETÆUS news<br />

anche questa possibilità, evitando il pregiudizio sulle terapie -<br />

.L'elettroshock sostanzialmente induce una crisi epilettica, ma -<br />

prosegue Koukopoulos - non provoca danni. Le vecchie tecniche<br />

potevano causare vuoti di memoria, ma questo inconveniente -<br />

assicura - oggi è scongiurato -. D'accordo Girardi, - La TEC fa<br />

paura anche perchè, nell'immaginario delle persone, si fa riferimento<br />

a tecniche e macchine in uso decine di anni fa. Ma non è<br />

più così. Oggi -precisa - non lo esegue lo psichiatra ma un'equipe<br />

guidata da un anestesista, dunque non da svegli -.Lo psichiatra<br />

dell'Università La Sapienza è convinto che la petizione - incontrerà<br />

resistenze, e darà vita all'ennesima caccia alle streghe. Per<br />

mutare il clima e ricondurlo su 'binari' più scientifici - suggerisce<br />

Girardi - bisognerebbe che venissero fatte campagne informative<br />

per i cittadini. Ma anche nei confronti della classe medica. Io -<br />

racconta - ho quotidianamente a che fare con medici specializzandi<br />

in psichiatria che non sanno più cos'è l'elettroshock. Anche sul<br />

fronte della formazione - conclude - bisognerebbe lavorare".<br />

- Il discorso della depressione è serio e anche grave. Non sono<br />

contrario a questo tipo di pratica, purché sia fatta in centri attrezzati<br />

e con l'assistenza anestesiologica adeguata -.Così Leo Parisi,<br />

neuropsichiatra, docente di malattie del sistema nervoso, giudica<br />

la tecnica dell'elettroshock sulla scia dell'appello lanciato dagli<br />

psichiatri al ministro Livia Turco, affinché si ampli in Italia il<br />

numero di centri che effettuano questa terapia.- Sarei contrario a<br />

farla in maniera ambulatoriale, la preoccupazione è che la tecnica<br />

possa essere utilizzata da mani inesperte, ma se fatta bene resta<br />

valida per le forme depressive gravi che sono resistenti agli antidepressivi<br />

tipici (triciclici, i farmaci tradizionali) e atipici (i più<br />

moderni) perché annullala volontà suicida -. Nel passato, ricorda<br />

Parisi, - è stata una tecnica molto osteggiata e poi abbandonata<br />

anche perchè c'era stata una tendenza a fare numerose applicazioni<br />

senza tenere conto degli effetti collaterali gravi, che sono i<br />

disturbi di memoria. Ma è stato un errore perché invece - conclude<br />

Parisi, - applicata con le dovute cautele e in ambiente ospedaliero<br />

protetto, dà risultati positivi su determinati tipi di pazienti -.<br />

- L'elettroshock? È il trattamento più potente a disposizione<br />

della psichiatria. Di fronte alla disperazione del malato c'è anche<br />

una questione etica, non vedo perchè ci debba essere ancora pregiudizio,<br />

oggi è una terapia che si fa con molta cautela e prudenza".<br />

Giovan Battista Cassano, ordinario di Psichiatria e<br />

direttore del Dipartimento di Psichiatria, Neurologia,<br />

Farmacologia e Biologia dell'Università di Pisa, è tra i<br />

sostenitori dell'uso dell'elettroshock e anche se nega di<br />

essere tra i firmatari della petizione rivolta al ministro<br />

della Salute Turco affinché vengano istituiti più centri<br />

per questo tipo di terapia, è sostanzialmente d'accordo<br />

ed elogia i vantaggi della tecnica. - L'elettroshock fa parte da sempre<br />

dei mezzi di trattamento importanti e non è mai stato messo<br />

da parte - spiega Cassano - è valido nelle forme depressive gravi,<br />

resistenti e croniche, viene abitualmente praticato e descritto<br />

all'interno di tutte le linee guide, in tutti i trattati di psichiatria,<br />

sostenuto dall'OMS, presente nel Libro Bianco dei Diritti del<br />

Malato della Comunità Europea -. Sono pochi, di fatto - dice lo<br />

psichiatra, - i pazienti che ne hanno bisogno, viene indicato nei<br />

casi molto gravi, negli anziani che non possono essere trattati con<br />

i farmaci o in chi è resistente ai trattamenti indicati; in questi casi<br />

è un salvavita -. Cassano ammette che è vero che nel passato - se<br />

ne è fatto un uso improprio, utilizzato anche come strumento<br />

repressivo come nel famoso film di Milos Forman 'Qualcuno volò<br />

sul nido del cuculo'. Ma oggi non è più così -. Con l'anestesia<br />

l'elettroshock non viene eseguito più in quei modi, allora non<br />

veniva fatto neanche un trattamento miorilassante, oggi non ci<br />

sono più le convulsioni -. E poi, sottolinea Cassano, "quell'utilizzo<br />

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nei manicomi era favorito dall'ignoranza e dall'inadeguatezza dei<br />

medici preposti a gestire quei reparti, dall'imperizia e <strong>dalla</strong> mancanza<br />

di trattamenti alternativi". Se oggi, in condizioni totalmente<br />

diverse di applicazione del trattamento, ci sono ancora pochi centri<br />

è perchè, conclude Cassano, il trattamento è stato a lungo visto<br />

- come terapia repressiva per ridurre la violenza, ma anche perchè<br />

questi centri richiedono un grosso impegno anche economico,<br />

responsabilità e medici specializzati: almeno due psichiatri, anestesisti<br />

e tecnici -.<br />

La terapia elettroconvulsivante (TEC), più conosciuta come<br />

elettroshock, è una tecnica terapeutica che si basa sull'induzione<br />

di convulsioni nel paziente ottenute tramite il passaggio di corrente<br />

elettrica attraverso il cervello. Si tratta di una terapia sviluppata<br />

e introdotta negli anni '30 dai neurologi italiani Ugo Cerletti<br />

e <strong>Lucio</strong> <strong>Bini</strong>. In Italia il suo utilizzo è regolato <strong>dalla</strong> circolare del<br />

ministero della Salute del 15 febbraio 1999. Secondo le norme la<br />

tecnica deve essere somministrata esclusivamente nei casi di "episodi<br />

depressivi gravi con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio<br />

[resistenti alle terapie farmacologiche - e psicoterapeutiche - e<br />

con rischio di suicidio, ndr]", dopo avere ottenuto il consenso informato<br />

scritto del paziente. Per indurre le convulsioni viene fatta<br />

passare una corrente elettrica costante (di solito a 0,9 Ampere)<br />

attraverso il cervello per mezzo di due elettrodi applicati in specifici<br />

punti della testa, previa apposizione di un gel, una pasta o<br />

una soluzione salina per evitare bruciature della pelle. Un tempo<br />

gli elettrodi erano collocati sulle tempie, oggi si preferisce l'applicazione<br />

all'emisfero cerebrale non dominante, di solito a destra.<br />

In questo modo si evita il passaggio della corrente direttamente<br />

attraverso le aree della memoria e dell'apprendimento. Poichè<br />

nelle moderne apparecchiature viene somministrata una corrente<br />

costante, la tensione varia fino a un massimo che tipicamente è di<br />

450 volt, ma solitamente si colloca a valori pari a circa la metà.<br />

Spesso le macchine sono programmabili<br />

in joule, in modo che il terapista possa<br />

somministrare la minima energia possibile,<br />

riducendo la durata dello shock. Il<br />

manifestarsi delle convulsioni viene constatato<br />

con un monitoraggio elettroencefalografico.<br />

Le convulsioni indotte sono più intense di quelle prodotte<br />

durante una crisi epilettica e sono necessarie per produrre l'effetto<br />

terapeutico. Terminate le convulsioni si ha un periodo di tempo<br />

durante il quale l'attività corticale è sospesa e il tracciato elettroencefalografico<br />

è piatto.<br />

Gli oppositori della tecnica affermano che questa fase equivalga<br />

alla morte cerebrale e sia causa di danno cellulare, ma secondo i<br />

sostenitori dell'elettroshock non esistono, invece, prove certe di questo.<br />

Al risveglio i pazienti non hanno alcun ricordo delle convulsioni<br />

e dei momenti precedenti la sessione.<br />

Alcuni medici hanno paragonato la TEC e il meccanismo terapeutico<br />

che offre al 'reset' dei computer. Il ciclo terapeutico comprende<br />

da sei a dodici trattamenti somministrati al ritmo di tre<br />

volte a settimana. Secondo gli studi le sedute devono essere separate<br />

da almeno un giorno. Il meccanismo di azione dell'elettroshock<br />

non è conosciuto, ma diversi studi hanno dimostrato che la<br />

ripetuta applicazione del trattamento influisce su diversi neurotrasmettitori<br />

nel sistema nervoso centrale [con un meccanismo simile<br />

a farmaci antidepressivi e stimolanti, ndr].<br />

- Sono assassini... -. Sono queste le prime parole di Antonio<br />

Drommi, presidente di 'Soffio' (Associazione ligure di pazienti<br />

psichiatrici) e padre di un ragazzo sofferente di una patologia<br />

mentale, che commenta la proposta di diversi psichiatri della<br />

SOPSI (Società Italiana di Psicopatologia) di reintrodurre [la terapia<br />

non è mai stata bandita, ndr] l'elettroshock per trattare le sindromi<br />

depressive, psicotiche e a più alto rischio di suicidio. - Ho un<br />

contro<br />

figlio che ha subito 12 volte l'elettroshock e 16 il coma insulinico -<br />

racconta Drommi - le posso assicurare che è un'esperienza orribile.<br />

Fortunatamente il mio ragazzo non ha avuto danni ma molti<br />

pazienti dei manicomi dove ho lavorato come volontario tutta la<br />

vita hanno subito dei danni irreversibili -. Drommi, volontario da<br />

moltissimi anni negli ospedali psichiatrici di Genova, spiega<br />

come l'idea di reintrodurre l'elettroshock - è odiosa, gli psichiatri<br />

che l'hanno proposta forse sono giovani e non ricordano quanto<br />

sia devastante una 'terapia' del genere. Vorrei riuscire ad esprimere<br />

la drammaticità dell'elettroshock, ho visto diversi malati uscire<br />

da queste sedute completamente sconvolti, che si lamentavano.<br />

Non so cosa succeda esattamente, ma sembra che abbiano la testa<br />

completamente fracassata… - [se la TEC fosse letale e i medici che la<br />

praticano degli assassini, il signor Drommi dovrebbe spiegare perché ha<br />

consentito che il figlioi fosse trattato 12 volte. C'è anche da dubitare che<br />

abbia visto pazienti uscire sconvolti dalle sedute e lamentarsi. Inoltre, gli<br />

psichiatri che la propongono sono per la maggior parte ultracinquantenni,<br />

ndr].<br />

- In Italia l'elettroshock si fa poco perché non è utile -. Luigi<br />

Cancrini, psichiatra e psicoterapeuta oltre che deputato dei<br />

Comunisti italiani, boccia come 'stupida' l'iniziativa dell'AITEC<br />

che intende scrivere una petizione al ministero della Salute per -<br />

chiedere l'apertura di almeno un servizio di TEC per ogni milione<br />

di abitanti in tutte le regioni d'Italia. Al di là dei danni fisici<br />

immediati - dice Cancrini all'ADNKRONOS SALUTE - l'elettroshock<br />

comporta anche danni psichici. E spesso fa registrare peggioramenti<br />

importanti -. Lo psichiatra assicura: - Dirò di più, ho<br />

osservato un rapporto evidente tra le persone sottoposte a elettroshock<br />

e il suicidio [sarebbero utili i dati riguardanti i peggioramenti<br />

fisici e psichici e l'aumentato rischio di suicidio, in realtà non confermato<br />

da linee guida e studi in tutto il mondo, ndr]. Per molti, infatti, è<br />

difficile accettare la perdita parziale<br />

della memoria e delle capacità cognitive<br />

-. Secondo Cancrini dunque, - non<br />

c'è alcuna tecnica da sdoganare, la TEC<br />

la fanno gli psichiatri che ci credono.<br />

Ma per fortuna la maggioranza degli<br />

specialisti italiani pensa che sia inutile -. Anzi, contrattacca lo psichiatra-parlamentare,<br />

- credo che a volere una maggiore considerazione<br />

dell'elettroshock siano quegli psichiatri che non riescono<br />

a entrare in contatto con i loro pazienti -. Un meccanismo che<br />

Cancrini spiega come 'agito controtransferale', - cioè il modo di<br />

reagire dello specialista alla propria impotenza di fronte a un<br />

paziente che invece chiederebbe più pazienza -. E spiega che - la<br />

letteratura scientifica evidenzia discreti risultati della TEC solo a<br />

breve termine . L'Italia, che ha inventato l'elettroshock e che ne ha<br />

eseguiti tantissimi, lo ha poi abbandonato perchè non funziona.<br />

Altrimenti - conclude - non avrebbe avuto senso non praticare<br />

una tecnica che funzionava [allora, i risultati esistono… inoltre si<br />

sa che la tecnica funziona, ma sono pochi gli psichiatri disposti ad<br />

accollarsi la responsabilità di una terapia più complicata della<br />

semplice somministrazione di psicofarmaci]. Chiedere più centri<br />

per la terapia con l'elettroshock è una grande sciocchezza.<br />

Quando la si applica si avverte il paziente solo dei rischi fisici,<br />

promettendo una terapeuticità che non esiste, ma non si avvertono<br />

familiari e pazienti che ci sono danni a distanza: dopo una<br />

serie di elettroshock c'è una menomazione della memoria e delle<br />

capacità cognitive -. È la convinzione di Luigi Cancrini, psichiatra<br />

e vicepresidente della commissione bicamerale per l'Infanzia, in<br />

merito alla petizione degli psichiatri al ministro della Salute Livia<br />

Turco per chiedere più centri per l'elettroshock. - L'esperienza<br />

viene vissuta <strong>dalla</strong> persona come un trauma grave - spiega<br />

Cancrini - io ho visto diversi suicidi di persone che gli psichiatri<br />

che amano l'elettroshock avevano rimandato in libertà. Escono<br />

ARETÆUS news<br />

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(Continua alla prossima <strong>pagina</strong>)<br />

9


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adnkronos (<strong>dalla</strong> <strong>pagina</strong> precedente)<br />

<strong>dalla</strong> terapia intontite e un pò euforizzate, poi si rendono conto di<br />

quello che gli è successo, e spesso si uccidono -. Nel passato,<br />

ricorda il parlamentare, - l'elettroshock ha dilagato e se ne facevano<br />

con grande facilità, poi gli psichiatri, a distanza di anni, si sono<br />

resi conto che non era un terapia molto utile e l'hanno abbandonata.<br />

Oltre ad essere di scarsa utilità, aggiunge Cancrini, la terapia<br />

- viene ricordata dal paziente come una violenza e un grande<br />

trauma, e gli fa odiare coloro che si sono occupati di lui, distruggendo<br />

il lavoro di anni di alleanza terapeutica, quando costruire<br />

relazioni di fiducia è il compito più importante di uno psichiatra -<br />

[Gli psichiatri che hanno avuto a che fare con pazienti trattati con la<br />

TEC da loro proposta sono di parere del tutto contrario. Molti pazienti<br />

dicono che la terapia ha salvato la loro vita, ndr]. - Il terapeuta americano<br />

Jay Haley - ricorda Cancrini -dice che l'elettroshock è una<br />

delle cose che più piacciono ai 'pitecantropi' della psichiatria, ed<br />

io sono d'accordo con lui -. E a proposito dell'appello degli specialisti<br />

il parlamentare sottolinea: - Quando sento parlare di queste<br />

petizioni mi vergogno di essere psichiatra, questi colleghi non<br />

capiscono che il punto fondamentale è la relazione terapeutica<br />

che stabiliscono con i pazienti -. Chi non capisce questo, conclude<br />

Cancrini, - non deve fare lo psichiatra, ma purtroppo lo fa e reagisce<br />

ai fallimenti con questo tipo di terapie brutali - [il Prof.<br />

Cancrini che ha sempre svolto campagne contro tutti gli interventi non<br />

psicologici, non accenna alla durata delle psicoterapie indubbiamente<br />

poco adatta nei casi in cui la TEC è la principale indicazione, ndr].<br />

- L'elettroshock sottrae ai pazienti la loro soggettività, il loro<br />

spessore e la loro storia. È il frutto di un approccio esclusivamente<br />

biologico della psichiatria. Ed è inutile -. Giuseppe Dell'Acqua,<br />

psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute Mentale di<br />

Trieste interviene sulla questione sollevata <strong>dalla</strong> lettera degli<br />

psichiatridell'AITEC. Una lettera in cui annunciano di voler scrivere<br />

una petizione al ministero della Salute per - chiedere l'apertura<br />

di almeno unservizio di TEC per ogni milione diabitante, in<br />

tutte le Regioni d'Italia. - Innanzitutto è sbagliato il presupposto -<br />

dice lo psichiatra all'ADNKRONOS SALUTE - perché sono le<br />

Regioni, e non il ministero a dover decidere una pianificazione<br />

territoriale di questo tipo. E poi - aggiunge - l'elettroshock è inutile<br />

perchè non ha risultati così evidenti. Che sia una terapia più<br />

diffusa in Germania o in Gran Bretagna - incalza - rappresenta a<br />

parer mio un problema, e non un'eccellenza. Basti ricordare che in<br />

Germania, come pure in Svezia e Norvegia, il tasso di suicidi è 3-4<br />

volte superiore a quello italiano, che è di 8-9 suicidi ogni 100 mila<br />

abitanti [il principale motivo del più elevato tasso di suicidio nei paesi<br />

nord-europei è la migliore rilevazione dei dati riguardanti il suicidio,<br />

ndr]. Forse dunque - suggerisce - non abbiamo bisogno dell'elettroshock.<br />

In Italia - rivendica lo psichiatra - abbiamo delle forme<br />

di assistenza psichiatrica ben radicate nel territorio. La legge 180<br />

del 1978, la legge Basaglia, ha rimesso in gioco gli psichiatri con<br />

un approccio diverso, che è più psico-relazionale e meno fisiologico<br />

-. Oltre a queste considerazioni, Dell'Acqua spiega che -<br />

l'elettroshock non si può neppure dire un atto medico, perchè -<br />

conclude - i meccanismi con cui agisce sul cervello sono ancora in<br />

parte sconosciuti - [come accade per la maggior parte dei farmaci e per<br />

gli interventi psico-educazionali. Va ancora una volta ricordato che la<br />

TEC non viene imposta, ma proposta ed eseguita soltanto dopo lettura e<br />

firma di un consenso informato. Infine, il motivo della petizione è di<br />

lasciare la libertà ai pazienti di poterla ottenere in luoghi adeguati e non<br />

a centinaia di chilometri dalle loro residenze. Un'abolizione della TEC<br />

costringerebbe i pazienti a cercarla in paesi più avanzati del nostro,<br />

un'emigrazione che sarebbe possibile soltanto a persone più abbienti,<br />

ndr].<br />

“L’opinione sta nel mezzo tra conoscenza e ignoranza.” -Platone<br />

10 ARETÆUS news<br />

risposta (<strong>dalla</strong> terza <strong>pagina</strong>)<br />

cura che viene accettata facilmente dai pazienti e dalle famiglie e<br />

non sembra avere effetti a lungo termine. Viene quindi suggerita<br />

solo in casi di depressione veramente grave, in cui tutti i possibili<br />

trattamenti abbiano fallito e in cui serva un effetto rapido, quasi<br />

salvavita. Come questo si concili con la richiesta dell'AITEC di<br />

istituire, in Italia, almeno un centro per l'elettroshock ogni<br />

milione di abitanti, continua a lasciarmi perplessa.<br />

Andiamo avanti: già nel 2003 il British Medical Journal, in un<br />

editoriale che dava conto delle prime linee guida in materia,<br />

segnalava gli stessi limiti, invitava i servizi psichiatrici britannici<br />

(tra i più attivi nel praticare la TEC in Europa) ad adeguarsi alle<br />

indicazioni e denunciava il rischio di un uso improprio.<br />

Arriviamo all'ultima revisione, comparsa nel novembre scorso<br />

sul New England Journal of Medicine (purtroppo accessibile solo<br />

su abbonamento): in sostanza si conferma l'ultilità della TEC in<br />

alcuni casi molto selezionati, e si segnala però quanto l'efficacia<br />

dipenda <strong>dalla</strong> tecnica utilizzata, con tassi di remissione dei<br />

sintomi assai variabili (da 20 all'80 per cento, in base ai diversi<br />

studi). Negli USA, dice la rivista, il protocollo standard prevede<br />

tre sedute a settimana per 6-12 settimane. Gli effetti collaterali<br />

comprendono amnesia anterograda (di breve durata) e<br />

retrograda, talvolta con buchi di memoria del passato che si<br />

estendono a mesi o anni <strong>prima</strong> del trattamento. L'analisi dice<br />

testualmente: "Benché l'amnesia retrograda spesso migliori nei<br />

mesi dopo l'elettroshock, in molti pazienti il recupero è<br />

incompleto, con amnesie prolungate che riguardano eventi<br />

occorsi nel periodo del trattamento". Tra le aree di incertezza,<br />

anche l'utilità di questa cura nel prevenire le ricadute di gravi<br />

forme depressive e, soprattutto, l'accettabilità individuale e<br />

sociale e il conseguente stigma permanente. Per questo,<br />

sottolineano gli americani, la scelta di procedere con<br />

l'elettroshock deve essere ampiamente discussa col paziente e con<br />

i familiari.<br />

Se mi sono addentrata nelle questioni più prettamente<br />

scientifiche, è perché penso che non bisogna mai avere opinioni<br />

preconcette su nulla: questo è quanto la letteratura medica può<br />

oggi fornire a sostegno di una pratica medica che ha lasciato, in<br />

passato, segni indelebili nella vita di molte persone e che ha<br />

rappresentato incontestabilmente, insieme alla lobotomia, uno dei<br />

punti più bassi della pratica psichiatrica intesa come strumento di<br />

controllo della società sulla morale e sulla "normalità". Che oggi<br />

non la si esegua più nello stesso modo, e forse nemmeno con gli<br />

stessi intenti, è evidente: ma che una società scientifica si<br />

proponga di diffonderla<br />

ulteriormente, malgrado le<br />

perplessità ancora vive dal<br />

punto di vista scientifico, da<br />

quello etico e sociale - e che tutto<br />

ciò accada, guarda caso, nel<br />

trentennale della riforma<br />

Basaglia che ha ridato<br />

(laddove applicata<br />

pienamente) ai malati<br />

psichiatrici una dignità<br />

di pazienti come tutti<br />

gli altri - non mi<br />

pare un<br />

caso.


INGMAR BERGMAN<br />

L'estate scorsa, il 30 luglio 2007 è morto Ingmar Bergman, una<br />

delle personalità più eminenti del panorama cinematografico<br />

e teatrale mondiale del nostro secolo.<br />

Già da vari anni si era definitivamente ritirato a Faroo, la sua isola<br />

piatta e lugubre, priva dei boschi verdi della sua infanzia, luogo<br />

ideale in cui mettere in scena la fase finale della propria vita,<br />

come in un dramma teatrale del suo amato Strindberg. - E io<br />

spero tanto che fosse brutto tempo,- ha affermato in un'intervista<br />

Woody Allen - perché Bergman mi aveva confidato che aveva<br />

paura di morire in un giorno molto molto assolato.<br />

Bergman era nato a Uppsala nel l918 da un pastore luterano,<br />

cappellano della corte reale, uomo severo ed intransigente, i cui<br />

insegnamenti il bambino avrebbe seguito sempre, nel rispetto e<br />

nel timore dei concetti luterani di "peccato, confessione,<br />

punizione, perdono e grazia", classici temi ricorrenti nelle sue<br />

opere.<br />

Da quanto racconta lui stesso nella sua biografia "Lanterna<br />

magica," la famiglia Bergman, composta dai genitori, dal fratello<br />

maggiore e <strong>dalla</strong> sorella minore non era mai stata una famiglia<br />

felice: -Mamma… mamma… voglio sapere - si domanda<br />

sconvolto sul letto di morte della madre - perché la nostra<br />

infelicità fu tanto spaventosa dietro la fragile facciata del prestigio<br />

sociale? Perché io sono stato così a lungo incapace di avere<br />

normali relazioni umane? Abbiamo ricevuto delle maschere<br />

invece di volti, isterismo invece di sentimenti, vergogna e colpa<br />

invece di dolcezza e indulgenza .<br />

Sua madre aveva vissuto una storia d'amore durata vari anni<br />

con uno studente di teologia e vi aveva posto fine solo in seguito<br />

alle disperate preghiere del marito. -Noi non sapevamo che la<br />

mamma stava vivendo un amore appassionato e che il papà<br />

soffriva di una profonda depressione. La mamma era pronta a<br />

rompere il matrimonio, il papà minacciò di togliersi la vita, si<br />

riconciliarono e decisero di rimanere insieme 'per amore dei<br />

bambini', come si diceva a quel tempo. Noi non ci accorgemmo di<br />

nulla, o quasi -.<br />

Ingmar era il più sensibile dei tre figli e ricorderà tutta la vita il<br />

terrore che lo assaliva quando per punirlo lo rinchiudevano nello<br />

sgabuzzino buio dove gli facevano credere che vivesse un<br />

animaletto che mangiava le dita dei piedi. Riuscì a vincere questo<br />

terrore portandosi dentro una piccola torcia e proiettandone la<br />

luce sul muro: questa divenne praticamente la sua <strong>prima</strong><br />

personale scoperta del cinema.<br />

In occasione di un Natale riuscì a strappare al fratello, in<br />

cambio di cento soldatini di stagno, il suo primo, vero proiettore: -<br />

Per me fu l'inizio. Fui assalito da una febbre da cui non guarii mai<br />

più. Le ombre silenziose volgono verso di me i loro volti pallidi e<br />

parlano con voci inudibili ai miei più segreti sentimenti. Sono<br />

passati sessant'anni, non è cambiato nulla, è la stessa febbre -.<br />

bipolari famosi<br />

Bergman non è stato certamente un uomo tranquillo, risolto,<br />

felice, facile, nonostante abbia avuto <strong>dalla</strong> vita quasi tutto:<br />

cinque mogli e svariati amori, nove figli che lavorano<br />

principalmente nell'ambiente del cinema, la possibilità di<br />

realizzare ben 62 film, lavori letterari e moltissimi spettacoli e<br />

direzioni teatrali decisamente geniali anche se intervallati<br />

ciclicamente da numerosi blocchi creativi o da vere e proprie<br />

depressioni come quella che lo colpì nel gennaio '76 in seguito<br />

a un'incresciosa questione fiscale che lo fece perseguitare <strong>dalla</strong><br />

polizia e <strong>dalla</strong> stampa mondiali. La vergogna di questa<br />

situazione fu tale che lo costrinse a vivere all'estero per nove<br />

anni dopo aver subito un ricovero di tre settimane <strong>prima</strong><br />

nell'ospedale Karolinska <strong>prima</strong> e poi al Sophiahemet.<br />

Racconta: - Un'ora più tardi mi trovo al reparto psichiatrico<br />

dell'ospedale Karolinska dove mi fanno un'iniezione e mi<br />

addormento. All'inizio mi sento male e vengo assalito da<br />

violenti crampi alla pancia. Mi torco, bevo, mi trema la<br />

mano,faccio fatica a respirare, mi addormento solo dopo aver<br />

assunto del Valium e del Mogadon. Ma il lunedì mattina arriva il<br />

crollo. Cè nella stanza una luce senza ombre. Ora mi trovo<br />

immerso in un vuoto totale senza dolori né sentimenti, sento che<br />

c'è qualcuno nella stanza: ci sono io che osservo me stesso; sento<br />

me stesso lamentarmi e gemere ad alta voce. Qualche volta, nella<br />

mia vita ho giocato con il pensiero del suicidio, ho messo in<br />

scena qualche goffo tentativo. L'io seduto sulla sedia è quello che,<br />

per ora, controlla le mie reazioni. Questo è il punto d'arrivo, non<br />

c'è ritorno. Non ho mai preso<br />

sul serio i miei giochi. La mia<br />

curiosità e la mia gioia di<br />

vivere sono troppo forti, la mia<br />

paura della morte troppo<br />

infantilmente solida. Però sento<br />

la mia voce piagnucolare come<br />

quella di un cane ferito. Mi<br />

alzo <strong>dalla</strong> sedia per buttarmi<br />

giù <strong>dalla</strong> finestra -.<br />

Da un letto di questo<br />

ospedale sarà concepito e<br />

scritto questa volta "Persona"<br />

uno dei suoi capolavori.<br />

Qualcuno ha commentato, a<br />

proposito dei suoi malesseri ciclici - Sembra quasi che il regista<br />

svedese abbia cercato volutamente i vari attacchi di depressione o<br />

i crolli psicologici per ritagliarsi del tempo inattivo dentro al<br />

biancore di un ospedale -.<br />

Ma rapidamente sia i farmaci che uno o più trattamenti di<br />

elettroshock (come ha riferito il Prof. Renzo Canestrari<br />

dell'Università di Bologna), avrebbero alleviato le sofferenze del<br />

corpo e della mente sconvolta e, come riferisce lo stesso Bergman:<br />

- Lentamente, impercettibilmente, scompare la più fedele<br />

compagna della mia vita: l'inquietudine ereditata sia da mia<br />

madre che da mio padre e che è al centro della mia identità, è il<br />

mio demone ma anche la mia amica. Non solo il dolore, l'ansia e il<br />

senso di irrimediabile umiliazione impallidiscono e svaniscono,<br />

anche la forza propulsiva della mia creatività si incupisce e si<br />

ritrae -.<br />

Lasciati gli ospedali, si trasferisce con la moglie a Faro dove<br />

l'equilibrio 'conquistato ma ancora precario gli permetterà di<br />

riprendere la vita che amava': - Io vivo continuamente nella mia<br />

infanzia, giro negli appartamenti della penombra, passeggio per<br />

le vie silenziose di Uppsala e mi fermo davanti al Sommarhuset<br />

ad ascoltare l'enorme betulla a due tronchi. Mi sposto con la<br />

velocità di secondi e abito sempre nel mio sogno: di tanto in tanto<br />

faccio una visita alla realtà -.<br />

Marina Pellegrino<br />

ARETÆUS news<br />

11<br />

www.centrobini.it


vecchie e nuove glorie del centro bini di cagliari (natale 2007)<br />

Beatrice Lepri e Caterina Visioli<br />

Direttore responsabile<br />

Leonardo Tondo<br />

Design<br />

Joseph Akeley<br />

Riccardo Curreli, Luisa La Croce<br />

ed Enrico Perra<br />

Gianfranco Floris, Francesco Toccafondi, Gino Serra<br />

e Leonardo Tondo<br />

ARETAEUS news ringrazia per tutte le donazioni sin ora ricevute.<br />

ARETÆUS, fondata nel 1999, è un'organizzazione dedicata alla ricerca e avanzamento della conoscenza delle malattie psichiatriche.<br />

Con la pubblicazione e distribuzione di ARETÆUS news speriamo di raggiungere pazienti, psichiatri e psicologi con notizie, curiosità<br />

e aggiornamenti legati al mondo della psichiatria.<br />

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Un'associazione fra professionisti psichiatri, psicologici e psicoterapeuti fondata a Roma nel 1975, a Cagliari nel 1977 e a New York nel<br />

1991. Ci occupiamo dello studio e del trattamento di disturbi psichiatrici e problemi psicologici. I centri sono specializzati nel trattamento<br />

delle varie forme depressive e di ansia, dei disturbi dell'umore, del disturbo dell'attenzione con iperattività e di alcuni problemi sessuali<br />

di origine psicologica. A Roma: Athanasios Koukopoulos, Daniela Reginaldi, Pamela Bruni, Paolo Caliari, Paola Cimbolli, Giorgio De<br />

Cesare, Marco De Murtas, Adele De Pascale, Eleonora De Pisa, Paolo Decina, Vittorio Digiacomoantonio, Paolo Girardi, Rosanna Izzo,<br />

Alexia Koukopoulos, Maurizio Pompili, Gabriele Sani, Rosa Maria Sollazzo. A Cagliari: Leonardo Tondo, Gianfranco Floris, Maria Cantone, Carmen<br />

Ghiani, Beatrice Lepri, Simona Mercenaro, Marco Murtas, Maria Grazia Rachele, Enrico Perra, Marilena Serra. A New York: Gianni Faedda, Nancy Austin,<br />

Ngaere Baxter, Joseph Hirsch<br />

ARETÆUS news<br />

Rivista Ufficiale del <strong>Centro</strong> <strong>Lucio</strong> <strong>Bini</strong><br />

Coordinamento e redazione<br />

Athanasios Koukopoulos, Daniela<br />

Reginaldi, Gabriele Sani, Alexia<br />

Koukopoulos<br />

Stampa<br />

Grafiche Pisano (Cagliari)<br />

info@artigrafichepisano.it<br />

Marilena Serra e Beatrice Lepri<br />

Elisabetta Migoni e Carla Sanjust Elisabetta e Nino Laddomada<br />

Antonello Poddighe<br />

Marco Murtas<br />

Michela Minio Paluello<br />

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Roma: Via Crescenzio 42 · 00193 · Tel.: (+39) 06 6874415/75 · Fax: (+39) 06 68802345<br />

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e Anna Maria Di Siena<br />

Ricerca<br />

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N. 12/05 del 07/04/05<br />

Giulio Ghiani<br />

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