legal privilege - Studi sull'integrazione europea
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264 Günther Heydemann 3. Come dimostrano gli eventi richiamati, nell’arco di un anno e mezzo i rapporti tedesco-americani erano entrati in una grave crisi, probabilmente la più grave dalla fine della seconda guerra mondiale. Dopo l’iniziale consenso bilaterale, fino a fine gennaio 2002, fu il messaggio sullo stato dell’Unione di George W. Bush del 29 gennaio 2002 a segnare il punto di svolta, seguito da un periodo pieno di tensioni e da una crescente diffidenza. La decisione del Cancelliere Schröder il 21 gennaio 2003, di non aderire neanche ad un intervento militare legittimato dalle Nazioni Unite, evidenziò ancora di più la gravità del contrasto. Il rapido peggioramento dei rapporti – tradizionalmente buoni – in così poco tempo fu per entrambi i Paesi sorprendente. In particolare per gli USA, dal momento che per loro la Germania era considerato un alleato europeo assai affidabile. Anche se da parte tedesca alcuni errori diplomatici nelle relazioni con il governo americano si sarebbero potuti, anzi si sarebbero dovuti evitare, la previsione generale, che la guerra in Iraq avrebbe avuto delle conseguenze incalcolabili sia per quel Paese, sia per la situazione nel vicino e medio oriente, si è avverata. La rapida vittoria militare – ufficialmente le ostilità sono cessate il 1° maggio 2003 –non ha avuto nessun effetto di stabilizzazione, ed anzi questa guerra non ha portato la pace in Iraq, né nell’intera regione 35 . La strategia originaria dell’amministrazione Bush, di creare con l’occupazione dell’Iraq, l’eliminazione del regime di Saddam e con la successiva democratizzazione dell’Iraq un fattore di stabilizzazione in questa area di crisi, la principale del mondo, si è dimostrata un’illusione 36 . È fallito anche l’obiettivo di limitare o ridurre, con tale intervento armato, il terrorismo islamico. Al contrario, l’Iraq occupato si dimostra una vera calamita per terroristi islamici di tutto il mondo, i quali, con costanti attacchi, rendono nulli i tentativi americani di portare la situazione alla stabilità, sfruttando le ataviche divergenze etniche tra sciiti, sunniti e curdi. L’obiettivo, indebolire il terrorismo islamico eliminando il regime di Saddam, ha quindi portato all’effetto contrario 37 . Infatti, l’Iraq attualmente vive una accompagnata con i mezzi tecnici più sofisticati; vedi anche A. Elter, Die Kriegsverkäufer. Geschichte der US Propaganda 1917 – 2005, Frankfurt a. M., 2005, p. 272. 35 Questo confermano anche i numeri delle vittime, sia militari che civili. Se fino al 1° maggio 2003, data ufficiale della conclusione della guerra, sono morti complessivamente 173 soldati delle truppe della coalizione, le cifre ufficiali parlano complessivamente di 2974 soldati morti al 6 ottobre 2006 (di cui 2737 Americani, 119 Britannici e 118 di altre nazioni); nel frattempo è stata superata la cifra di 3000. Le vittime irachene, invece, fino a tale data, erano circa 45000, ma anche esse, nel frattempo, hanno già superato la cifra di 50000. Vedi anche E. Follath et al., Der Alptraum-Präsident, in Der Spiegel del 9 ottobre 2006, pp. 130-148, a p. 131. 36 Vedi anche i commenti critici dell’ex-Ministro degli esteri J. Fischer, Die Rückkehr der Geschichte. Die Welt nach dem 11. Sepember und die Erneuerung des Westens, Köln, 2005, pp. 9-16. 37 In una relazione del Pentagono al Congresso USA del 19 dicembre 2006, riguardo alla situazione in Iraq, si fa riferimento ad un aumento del numero degli attacchi dall’ottobre 2006 del 22%. Già prima il nuovo Ministro della difesa americano, Robert Gates, durante la cerimonia per il suo insediamento, affermò che un fallimento degli USA in Iraq avrebbe significato “un disastro, che inseguirebbe ancora a lungo la nostra nazione, paralizzerebbe la nostra credibilità e, per decenni,
11 settembre 2001 e rapporti tra Germania e USA guerra civile e rischia di frantumarsi in tre parti. Quanto la situazione geo-strategica nel vicino e medio oriente attualmente sia rimasta instabile, lo dimostrano sia la guerra tra l’esercito israeliano e le unità militari degli hezbollah nel Sud del Libano tra il 12 luglio e il 14 agosto 2006, sia la crescente polemica internazionale intorno alla politica atomica dell’Iran 38 . Nonostante la proposta dell’Iraqi Study Group 39 , creato dall’ex-Ministro degli esteri americano James Baker, di un cambiamento di strategia, che si è fondata prevalentemente con misure militari, ad oggi ciò non si è verificato; anzi, l’amministrazione Bush progetta un aumento delle truppe in Iraq. Quindi, è impossibile fare previsioni su come potrà essere sciolto il nodo gordiano delle crisi, intrecciate tra loro, del vicino e del medio oriente. Nello stesso tempo, il fallimento in Iraq significa per gli USA una notevole perdita di prestigio, in quanto ha messo in dubbio la loro capacità di leader, in quanto unica potenza egemone rimasta. Ciò trova conferma anche in indagini pubbliche, come quella condotta dall’Istituto di demoscopia di Allensbach nel 2003, secondo la quale l’immagine dell’America per i tedeschi è sì fortemente legata all’attacco dell’11 settembre 2001, ma il rifiuto della guerra contro l’Iraq si è dimostrato altrettanto inequivocabile: in Germania il 76% degli intervistati si è espresso contro l’intervento militare 40 . Ulteriori inchieste dell’Istituto di Allensbach, condotte nel 2003 e nel 2007, confermano che, con la guerra in Iraq, per i cittadini tedeschi l’America ha subito la maggiore perdita d’immagine. Nel marzo 2003, infatti, solo 11% considerava gli Stati Uniti il migliore alleato della Germania. Nel 2007 questa percentuale è risalita al 21% 41 . Certo, non bisogna sopravalutare umori passeggeri di questo tipo, ma comunque tali dati mostrano che la guerra in Iraq ha lasciato nella coscienza di ampi settori della cittadinanza tedesca un profondo vulnus nel rapporto con gli USA. 4. Anche se a livello governativo i rapporti sono tornati alla normalità 42 , ci sono due problemi che continuano a pesare sulle relazioni bilaterali. Si tratta, in primo luogo, del ruolo che gli USA avranno o vorranno avere all’interno della comunità internazionale a medio e lungo termine. Attualmente, per esempio, prevale in Europa l’impressione che l’amministrazione neo-conservatrice di renderebbe più insicura la vita di tutti gli Americani”. Vedi Pentagon: Sicherheitslage im Irak deutlich verschlechtert, in Frankfurter Allgemeine Zeitung del 20 dicembre 2006. 38 La risoluzione 1737, adottata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza il 23 dicembre 2006, che impegna l’Iran a rinunciare ad “ogni forma di arricchimento e rigenerazione dell’uranio, inclusa la ricerca e lo sviluppo”, è rimasta inosservata. Già precedentemente l’Iran non aveva rispettato la risoluzione 1696, contenente le stesse richieste. 39 Il rapporto completo è reperibile on line all’indirizzo www.usip.org. 40 E. Noelle, Die Entfremdung. Deutschland und Amerika entfernen sich voneinander, in Frankfurter Allgemeine Zeitung del 23 luglio 2003. 41 E. Noelle, T. Petersen, Ein Hauch von Isolationismus, in Frankfurter Allgemeine Zeitung del 24 gennaio 2007. 42 C. Hacke, Deutsche Außenpolitik unter Bundeskanzlerin Angela Merkel, in Aus Politik und Zeitgeschichte, 2006, n. 43, pp. 30-37. 265
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rapporti tedesco-americani erano entrati in una grave crisi, probabilmente la più<br />
grave dalla fine della seconda guerra mondiale. Dopo l’iniziale consenso bilaterale,<br />
fino a fine gennaio 2002, fu il messaggio sullo stato dell’Unione di George<br />
W. Bush del 29 gennaio 2002 a segnare il punto di svolta, seguito da un periodo<br />
pieno di tensioni e da una crescente diffidenza. La decisione del Cancelliere<br />
Schröder il 21 gennaio 2003, di non aderire neanche ad un intervento militare<br />
legittimato dalle Nazioni Unite, evidenziò ancora di più la gravità del contrasto.<br />
Il rapido peggioramento dei rapporti – tradizionalmente buoni – in così poco<br />
tempo fu per entrambi i Paesi sorprendente. In particolare per gli USA, dal<br />
momento che per loro la Germania era considerato un alleato europeo assai affidabile.<br />
Anche se da parte tedesca alcuni errori diplomatici nelle relazioni con il<br />
governo americano si sarebbero potuti, anzi si sarebbero dovuti evitare, la previsione<br />
generale, che la guerra in Iraq avrebbe avuto delle conseguenze incalcolabili<br />
sia per quel Paese, sia per la situazione nel vicino e medio oriente, si è<br />
avverata. La rapida vittoria militare – ufficialmente le ostilità sono cessate il 1°<br />
maggio 2003 –non ha avuto nessun effetto di stabilizzazione, ed anzi questa<br />
guerra non ha portato la pace in Iraq, né nell’intera regione 35 . La strategia originaria<br />
dell’amministrazione Bush, di creare con l’occupazione dell’Iraq, l’eliminazione<br />
del regime di Saddam e con la successiva democratizzazione dell’Iraq<br />
un fattore di stabilizzazione in questa area di crisi, la principale del mondo, si è<br />
dimostrata un’illusione 36 . È fallito anche l’obiettivo di limitare o ridurre, con tale<br />
intervento armato, il terrorismo islamico. Al contrario, l’Iraq occupato si dimostra<br />
una vera calamita per terroristi islamici di tutto il mondo, i quali, con<br />
costanti attacchi, rendono nulli i tentativi americani di portare la situazione alla<br />
stabilità, sfruttando le ataviche divergenze etniche tra sciiti, sunniti e curdi.<br />
L’obiettivo, indebolire il terrorismo islamico eliminando il regime di Saddam,<br />
ha quindi portato all’effetto contrario 37 . Infatti, l’Iraq attualmente vive una<br />
accompagnata con i mezzi tecnici più sofisticati; vedi anche A. Elter, Die Kriegsverkäufer. Geschichte<br />
der US Propaganda 1917 – 2005, Frankfurt a. M., 2005, p. 272.<br />
35 Questo confermano anche i numeri delle vittime, sia militari che civili. Se fino al 1° maggio<br />
2003, data ufficiale della conclusione della guerra, sono morti complessivamente 173 soldati<br />
delle truppe della coalizione, le cifre ufficiali parlano complessivamente di 2974 soldati morti<br />
al 6 ottobre 2006 (di cui 2737 Americani, 119 Britannici e 118 di altre nazioni); nel frattempo è<br />
stata superata la cifra di 3000. Le vittime irachene, invece, fino a tale data, erano circa 45000, ma<br />
anche esse, nel frattempo, hanno già superato la cifra di 50000. Vedi anche E. Follath et al., Der<br />
Alptraum-Präsident, in Der Spiegel del 9 ottobre 2006, pp. 130-148, a p. 131.<br />
36 Vedi anche i commenti critici dell’ex-Ministro degli esteri J. Fischer, Die Rückkehr der<br />
Geschichte. Die Welt nach dem 11. Sepember und die Erneuerung des Westens, Köln, 2005, pp.<br />
9-16.<br />
37 In una relazione del Pentagono al Congresso USA del 19 dicembre 2006, riguardo alla situazione<br />
in Iraq, si fa riferimento ad un aumento del numero degli attacchi dall’ottobre 2006 del 22%.<br />
Già prima il nuovo Ministro della difesa americano, Robert Gates, durante la cerimonia per il suo<br />
insediamento, affermò che un fallimento degli USA in Iraq avrebbe significato “un disastro, che<br />
inseguirebbe ancora a lungo la nostra nazione, paralizzerebbe la nostra credibilità e, per decenni,