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legal privilege - Studi sull'integrazione europea

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246<br />

Sergio M. Carbone<br />

rietà ad una norma comunitaria secondo l’interpretazione di quest’ultima fornita<br />

dalla Corte di giustizia. Ed al tempo stesso si è eroso anche il conseguente<br />

“divieto di disapplicazione della legge” da parte dei giudici ordinari. Si pensi, ad<br />

esempio, agli effetti provocati nel nostro ordinamento dalla sentenza nel caso<br />

C.I.F. in occasione del quale, come è noto, gli articoli 81 e 82 TCE, che riguardano<br />

esclusivamente la condotta delle imprese, sono stati utilizzati anche nei<br />

confronti degli Stati come limite alla loro potestà normativa e amministrativa.<br />

Infatti, l’art. 10 TCE, che obbliga gli Stati ad “assicurare l’esecuzione degli<br />

obblighi derivanti” dal Trattato e ad “astenersi da qualsiasi misura” che rischi di<br />

comprometterne gli scopi, è stato interpretato ed applicato in modo estensivo<br />

sino ad obbligare gli Stati a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti,<br />

anche di natura legislativa o regolamentare, idonei a condizionare l’operatività<br />

delle norme comunitarie.<br />

La scelta interpretativa ora indicata è stata, infatti, giustificata dalla necessità<br />

di garantire “l’effetto utile delle norme comunitarie” che altrimenti potrebbe<br />

risultare affievolito. Tanto che, per escludere tale possibile “affievolimento”, si<br />

precisa che le autorità competenti devono anche “disapplicare” direttamente<br />

ogni norma o disposizione nazionale che possa attenuare l’accennato effetto<br />

utile, tenendo conto che “il trattato CE prevede espressamente che l’azione degli<br />

Stati membri, nell’ambito della loro politica economica, debba rispettare il principio<br />

di un’economia di mercato e in libera concorrenza”. Ogni norma nazionale<br />

che possa essere considerata contraria a (o anche semplicemente non coerente<br />

con) questo principio, che assurge in tal modo al rango costituzionale del sistema<br />

comunitario e degli Stati membri, si trova, quindi, esposta a rischio di disapplicazione<br />

da parte di autorità giudiziarie ed amministrative al fine di garantire la<br />

massima protezione e la tutela diretta degli interessi privati lesi da comportamenti<br />

di imprese che trovano il loro fondamento nell’adempimento di un obbligo<br />

previsto da una legge. Si conferma, così, con particolare intensità, il primato del<br />

diritto comunitario, ma soprattutto, si attribuisce ai giudici ordinari degli Stati<br />

membri il ruolo di giudice del diritto comunitario, con poteri diretti di disapplicazione<br />

della legge nazionale che violi i principi innanzi enunciati.<br />

4. Nessuno stupore, pertanto, se la Corte di giustizia, da un lato, ha riconosciuto<br />

ai giudici nazionali l’interpretazione e la valutazione di legittimità comunitaria<br />

delle norme e degli atti nazionali di cui si riserva di fornire solo i criteri<br />

valutativi, e, d’altro lato, ha rivendicato fermamente a se stessa la competenza<br />

esclusiva a valutare la legittimità ed a fornire l’interpretazione degli atti comunitari.<br />

In particolare, in merito al giudizio di validità degli atti comunitari, la giurisprudenza<br />

comunitaria si è rivelata, ancora di recente, particolarmente gelosa<br />

delle proprie competenze. Infatti, la Corte di giustizia ha, da ultimo, ribadito con<br />

fermezza (con sentenza del 6 dicembre 2006 nel caso Schul in causa C-441/03)<br />

la sua esclusiva competenza a giudicare in merito alla validità degli atti comunitari<br />

confermando quanto a suo tempo affermato in occasione del caso Foto-Frost<br />

(nella sentenza del 22 ottobre 1987 in causa 314/85). Pertanto, le giurisdizioni

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