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legal privilege - Studi sull'integrazione europea

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244<br />

Sergio M. Carbone<br />

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione <strong>europea</strong> – integrata nell’ambito del<br />

Trattato di Lisbona, all’art. 6 TUE – il cui art. 47 stabilisce: “ogni individuo i cui<br />

diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto<br />

ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice”.<br />

Nessun dubbio, quindi, che in tal modo i criteri rivolti a garantire una maggior<br />

tutela giurisdizionale degli interessi individuali rispetto all’attuale testo<br />

dell’art. 230 TCE entrano a far parte a pieno titolo del sistema europeo. In virtù<br />

della nuova formulazione di tale norma adottata nel Trattato di Lisbona, infatti,<br />

non sarà più necessario, in presenza di un atto comunitario di portata generale e<br />

direttamente applicabile senza ulteriori misure nazionali, che il soggetto interessato<br />

a farne valere l’illegittimità sia costretto a violarlo per poter eccepire tale<br />

illegittimità incidentalmente, nel successivo procedimento instaurato nei suoi<br />

confronti a seguito della relativa violazione.<br />

In particolare, così, il ricorso individuale di legittimità dinanzi ai giudici<br />

comunitari sarà regolato in modo da garantire ai singoli l’azione diretta davanti<br />

alla Corte di giustizia in tutti i casi di lesione, da parte di un qualsiasi atto comunitario,<br />

anche di portata generale, dei loro diritti, allorché al conseguimento di<br />

tale effetto non sia necessario alcun ulteriore “atto di esecuzione”. Resta, peraltro,<br />

tutt’ora incerta l’esatta nozione degli atti ora indicati. Infatti, il Trattato di<br />

Lisbona li identifica ancora come “atti regolamentari” pur essendo tale nozione<br />

notoriamente rimossa rispetto al Trattato costituzionale. Si ritiene, pertanto, che<br />

in tal modo non si sia voluta estendere la nozione in esame sino a comprendere<br />

quegli atti che il Trattato di Lisbona definisce come “atti legislativi”: e cioè<br />

quegli atti adottati con la c.d. procedura di codecisione. Tali argomentazioni<br />

sembrano condivisibili, anche se nel sistema delle fonti previsto dal Trattato di<br />

Lisbona non solo non è facile tracciare una chiara distinzione sostanziale e degli<br />

effetti tra atti legislativi ed atti non legislativi. Tanto più che, a volte, si riscontra<br />

anche la presenza di atti di natura mista (come ad esempio gli atti di cui agli<br />

articoli 57 e 58). È evidente, quindi, che in questa situazione di incertezza le<br />

scelte definitive spetteranno, ancora una volta, alla Corte di giustizia ed è auspicabile<br />

che la direzione che da essa sarà adottata possa essere quella della massima<br />

tutela dei diritti individuali oggetto di una qualsiasi disposizione comunitaria<br />

“che non comporti alcuna misura di esecuzione” allorché leda direttamente<br />

situazioni giuridicamente protette a favore delle persone fisiche o giuridiche.<br />

3. In ogni caso, il rimedio giurisdizionale tutt’ora più ricorrente previsto dal<br />

diritto comunitario a tutela degli interessi individuali è sicuramente il procedimento<br />

volto ad accertare, in pendenza di un giudizio nazionale, l’interpretazione<br />

e/o la legittimità degli atti comunitari oltreché la legittimità degli atti interni<br />

rispetto alla valutazione della loro coerenza con una corretta applicazione del<br />

diritto comunitario. È noto, infatti, come tale tipo di procedura abbia svolto un<br />

ruolo essenziale nel contribuire (i) all’uniforme e certa applicazione del diritto<br />

comunitario negli ordinamenti interni, nonché (ii) al mantenimento della <strong>legal</strong>ità<br />

comunitaria, consentendo di far valere l’eventuale illegittimità di atti comunitari<br />

da parte dei singoli allorché, per le ragioni innanzi esposte, non possono farla

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