Nelle Valli Bolognesi N° 61

Il numero della primavera 2024 della rivista su natura, cultura e tradizioni locali tra bassa e appennino Il numero della primavera 2024 della rivista su natura, cultura e tradizioni locali tra bassa e appennino

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Nelle NATURA, CULTURA, TRADIZIONI E TURISMO SLOW TRA LA MONTAGNA E LA PIANURA Anno XVI - numero 61 - APRILE - MAGGIO - GIUGNO 2024 il poster centrale In regalo la foto della mitica formazione che fece l’impresa PRIMAVERA Indimenticabile ‘64 Il doping, Dall’Ara, lo spareggio e lo scudetto: il ricordo sessant’anni dopo quella splendida stagione

<strong>Nelle</strong><br />

NATURA, CULTURA, TRADIZIONI E TURISMO SLOW TRA LA MONTAGNA E LA PIANURA<br />

Anno XVI - numero <strong>61</strong> - APRILE - MAGGIO - GIUGNO 2024<br />

il poster centrale<br />

In regalo la foto<br />

della mitica formazione<br />

che fece l’impresa<br />

PRIMAVERA<br />

Indimenticabile ‘64<br />

Il doping, Dall’Ara, lo spareggio e lo scudetto:<br />

il ricordo sessant’anni dopo quella splendida stagione


Diamo vita<br />

alle emozioni<br />

Hotel-Ristoranti Cerimonie<br />

ed eventi Congressi<br />

Via Santa Margherita, 21<br />

40050 Loiano Bologna<br />

Tel.: 051 6544040 info@palazzo-loup.it<br />

www.palazzo-loup.it


Periodico edito da<br />

Numero registrazione Tribunale<br />

di Bologna - “<strong>Nelle</strong> <strong>Valli</strong> <strong>Bolognesi</strong>”<br />

n° 7927 del 26 febbraio 2009<br />

Direttore responsabile:<br />

Filippo Benni<br />

Hanno collaborato:<br />

Stefano Lorenzi<br />

William Vivarelli<br />

Claudia Filipello<br />

Katia Brentani<br />

Gianluigi Zucchini<br />

Claudio Evangelisti<br />

Gian Paolo Borghi<br />

Paolo Taranto<br />

Guido Pedroni<br />

Serena Bersani<br />

Marco Tarozzi<br />

Andrea Morisi<br />

Francesca Biagi<br />

Francesca Cappellaro<br />

Mario Chiarini<br />

Ciro Gardi<br />

Linda Cavicchi<br />

Elena Boni<br />

Silvano Ventura<br />

Fausto Carpani<br />

Sandra Sazzini<br />

Giuliano Musi<br />

Gianluigi Pagani<br />

Alessio Atti<br />

Anna Magli<br />

Sofia Barbi<br />

Lucio Piana<br />

Glauco Guidastri<br />

Nadia Berti<br />

Alice Boldri<br />

Anna Maria Galliani<br />

Elena Boni<br />

Paola Verini<br />

Alessandra Testa<br />

Foto di:<br />

William Vivarelli<br />

Archivio Bertozzi<br />

Archivio AppenninoSlow<br />

Paolo Taranto<br />

Guido Barbi<br />

e altri in pagina<br />

Progetto Grafico:<br />

Studio Artwork Grafica & Comunicazione<br />

Roberta Ferri - 347.4230717<br />

Pubblicità:<br />

distribuzione.vallibolognesi@gmail.com<br />

051 6758409 - 334 8334945<br />

Rivista stampata su carta ecologica<br />

da Rotopress International<br />

Via Mattei, 106 - 40138 Bologna<br />

Per scrivere alLA REDAZIONE:<br />

vallibolognesi@emilbanca.it<br />

Per abbonamenti e pubblicità contattare appenninoslow:<br />

distribuzione.vallibolognesi@gmail.com - 051 6758409 - 334 8334945<br />

Questa rivista<br />

è un prOdotto editoriale<br />

ideato e realizzato da<br />

In collaborazione con<br />

CITTÀ<br />

METROPOLITANA<br />

DI BOLOGNA<br />

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Gli scatti di William Vivarelli<br />

Faina<br />

In dialetto si dice....<br />

Petross e Limalen dal fred<br />

La nostra cucina<br />

Il fungo di San Giorgio<br />

Erbe di casa nostra<br />

Strigoli<br />

Fino alla fine Forza Bologna<br />

Quell’incredibile 1964<br />

Tante partite in una partita<br />

Formidabili quegli anni<br />

SOMMARIO<br />

Marconi Days<br />

I giorni del Genio<br />

In giro con AppenninoSlow<br />

La Via della Lana e della Seta<br />

La Via Medicea<br />

Le grotte di Labante<br />

In giro con ConfGuide<br />

Continua L’Ottocento a Bologna e dintorni<br />

Il posterino rossoblù<br />

La formazione che fece l’impresa<br />

Personaggi<br />

Gentile Budrioli e la caccia alle streghe (Prima parte)<br />

Tenente Colonnello Giorgio Ercolani<br />

In giro per la Bassa - Sant’Agata Bolognese<br />

Il Parco Lamborghini<br />

La nostra storia - Pianoro<br />

Santa Maria del Mileto<br />

Bologna Montana Art Trail<br />

Moccus, il cinghiale celtico<br />

Da vedere<br />

Lo zafferano di Castel de’ Britti<br />

Questo lo faccio io - Sustenia<br />

Lo stagno<br />

Biosostenibile<br />

La rivoluzione nell’orto<br />

Alle origini del vino<br />

Il trebbiano<br />

Fotonaturalismo<br />

Fotocamere, videocamere e obiettivi<br />

Entomologia<br />

La sfinge della qurecia<br />

Movimento lento di Gianfranco Bracci<br />

Poetica del camminare<br />

Racconti<br />

La brutta idea di un mezzadro - Lucio Piana<br />

Il Ponte della Bionda - Fausto Carpani<br />

Arvaddres, amico Zuffi - Fausto Carpani<br />

I Pianeti della Fortuna - Gian Paolo Borghi<br />

3


GLI SCATTI DI WILLIAM VIVARELLI<br />

FAINA<br />

Martes foina<br />

4


L’ALFABETO di VIVARELLI<br />

Misura 45–50 cm, a cui vanno sommati 25 cm di coda, per un peso medio<br />

di un paio di chilogrammi. Frequenta ambienti assai vari, dalla pianura alla<br />

montagna, fino ad altitudini di 2.000 m s.l.m. È diffusa nelle zone forestali,<br />

cespugliati, ambienti rurali, mentre evita le vaste aree aperte. Per quanto sia<br />

abile nell’arrampicarsi, vive di norma sul terreno e trova rifugio tra le radici<br />

degli alberi, tra le rocce ed anche in fienili, sottotetti, cantine o ambienti non<br />

utilizzati di edifici. È attiva soprattutto durante la notte. Si ciba principalmente<br />

di frutta (è il piccolo rappresentante europeo dell’Ordine dei Carnivori in<br />

assoluto più frugivoro), piccoli Mammiferi, Uccelli, Insetti ed altri Invertebrati,<br />

uova e rifiuti. Il periodo degli amori è compreso tra luglio e agosto, e nella<br />

primavera successiva, tra fine marzo e inizio aprile, la femmina partorisce<br />

da 2 a 7 piccoli all’interno di un nido predisposto in un luogo tranquillo e<br />

sicuro. La gestazione dura in realtà un mese, in quanto dopo l’accoppiamento<br />

le uova fecondate arrestano il proprio sviluppo per circa 7-8 mesi. I piccoli<br />

alla nascita e fin oltre il primo mese di vita hanno gli occhi chiusi; vengono<br />

allattati per circa 8 settimane, quindi inizia la fase di svezzamento e seguono<br />

la madre apprendendo le tecniche di caccia. Il nucleo familiare si disperde<br />

con la fine dell’estate e per i giovani inizia la ricerca di un proprio territorio.<br />

La maturità sessuale viene raggiunta ad un’età compresa tra i 12 ed i 24 mesi.<br />

La durata massima della vita accertata in cattività è di 14 anni.<br />

Nei numeri precedenti:<br />

Albanella Autunno 2010<br />

Allocco Inverno 2010<br />

Assiolo Primavera 2011<br />

Allodola Estate 2011<br />

Airone cenerino Autunno 2011<br />

Averla maggiore Inverno 2011<br />

Averla piccola Primavera 2012<br />

Aquila reale Estate 2012<br />

Ballerina bianca Autunno 2012<br />

Ballerina gialla Inverno 2012<br />

Barbagianni Primavera 2013<br />

Beccamoschino Estate 2013<br />

Balestruccio Autunno 2013<br />

Calandro Inverno 2013<br />

Capriolo Primavera 2014<br />

Capinera Estate 2014<br />

Cervo Autunno 2014<br />

Cinghiale Inverno 2014<br />

Canapiglia Primavera 2015<br />

Canapino Estate 2015<br />

Cannaiola comune Autunno 2015<br />

Canapino maggiore Inverno 2015<br />

Cannareccione Primavera 2016<br />

Cardellino Estate 2016<br />

Cavaliere d’Italia Autunno 2016<br />

Cinciallegra Inverno 2016<br />

Cincia bigia Primavera 2017<br />

Cincia dal ciuffo Estate 2017<br />

Cincia mora Autunno 2017<br />

Cinciarella Inverno 2017<br />

Cesena Primavera 2018<br />

Cicogna bianca Estate 2018<br />

Civetta Autunno 2018<br />

Cornacchia grigia Inverno 2018<br />

Cormorano Primavera 2019<br />

Codibugnolo Estate 2019<br />

Codirosso comune Autunno 2019<br />

Codirosso spazzacamino Inverno 2019<br />

Colubro di Esculapio Primavera 2020<br />

Coronella Girondica Estate 2020<br />

Covo Imperiale Autunno 2020<br />

Corriere piccolo Inverno 2020<br />

Cuculo Primavera 2021<br />

Culbianco Estate 2021<br />

Cutrettola Autunno 2021<br />

Daino Inverno 2022<br />

Chirotteri Primavera 2022<br />

Cinghiale Estate 2022<br />

Cigno Autunno 2022<br />

Canapiglia Inverno 2023<br />

Uccello combattente Primavera 2023<br />

Codirossone Estate 2023<br />

Colombaccio Autunno 2023<br />

Fagiano comune Inverno 2023<br />

Tutte le foto sono state scattate nel bolognese.<br />

I PDF degli arretrati della rivista si possono scaricare<br />

da www.nellevalli.it. Per altri scatti di William Vivarelli<br />

si può consultare il sito: www.vivarelli.net<br />

5


In dialetto si dice...<br />

LA FAUNA LOCALE NELLA TRADIZIONE<br />

DELLA BASSA BOLOGNESE<br />

Foto e testi a cura di Mario Chiarini<br />

Pettirosso – PETROSS/PITAREN DAL FRED<br />

Nella raccolta poetica I canti di Castelvecchio, Giovanni Pascoli trasforma la<br />

leggenda del pettirosso, allora chiamato Pittiere, in poesia dal titolo “Il compagno<br />

dei taglialegna”. Narra la leggenda che Giuseppe, si proprio lui il Santo, intento<br />

a svolgere il suo lavoro di falegname, dovesse tagliare un bel toppo di cipresso<br />

mentre Maria restava al focolare e dava il latte a Gesù. Il pittiere era lì nei pressi<br />

e Giuseppe lo chiamò dicendogli di tenere il capo mentre lui intingeva la spugna<br />

di un colore rossastro per tracciare l’asso da segare. Stava per completare il lavoro<br />

quando Maria con Gesù in braccio uscì di casa e salutò. Il pittiere si voltò netto,<br />

torto venne il segno rosso, la spugna gli gettò nel petto San Giuseppe; e fu così<br />

che l’uccelletto è diventato pettirosso. Conclude il poeta dicendo: “viene sempre,<br />

gira intorno al toppo, guarda e frulla, guarda e vola; ma ora non s’accosta troppo,<br />

ch’ora non si fida più…”. Il Poeta chiama il pettirosso pittiere che è il nome<br />

in uso in un ampio territorio italiano, prima della definizione convenzionale ed<br />

univoca dei nomi italiani degli uccelli. Ed in dialetto, riportato sia dai dizionari<br />

che dai lavori scientifici degli ornitologi di inizio Novecento, diventava PITAREN<br />

DAL FRED, anche per la sua abitudine di trascorrere nel nostro territorio i freddi<br />

mesi invernali. Oggi questo termine dialettale è quasi estinto e sostituito con il più<br />

banale PET-ROSS; anche se il termine PITAREN è stato in alcuni casi assegnato, a<br />

mio avviso erroneamente allo scricciolo.<br />

Ascolta il canto<br />

del pettirosso<br />

Scricciolo – ARIATEN /LIMALEN dal FRED<br />

Ascolta il canto<br />

dello scricciolo<br />

Quel giorno stavo ispezionando un’ampia area che oggi offre un interessante grado di<br />

biodiversità. Lungo il lato che separa l’area dalla strada, c’è una lunga siepe di cespugli<br />

di carpino che, pur essendo una specie a foglia caduca, le foglie non si staccano dai<br />

rami fino alla ripresa vegetativa primaverile. E questo fornisce un riparo per tanti piccoli<br />

passeriformi proteggendoli dai predatori, sparviere in primis, e contemporaneamente<br />

offre loro una possibilità alimentare dovuta al fatto che tanti piccoli insetti scelgono<br />

questo ambiente per svernare. Ed è proprio dall’interno della siepe che mi arriva un<br />

verso; scrii-tri scrii- tri; capisco subito che si tratta di uno scricciolo, dopo il regolo, il<br />

più piccolo passeriforme europeo. Alcuni ornitologi del secolo scorso ritengono che il<br />

suo nome, scricciolo, derivi proprio da questo suo verso di contatto che altro non è che<br />

un avviso ai “naviganti” della sua presenza ed una difesa del territorio. Di color marron<br />

rossiccio sul dorso, bruno bianco sporco con piccole gocce scure sul petto ed addome<br />

e presenta una caratteristica coda corta, generalmente sollevata in alto. Erano i primi<br />

giorni di ottobre, il calendario ci aveva appena portato nelle stagione autunnale, anche<br />

se la temperatura era ancora estiva, ma lui che viene a svernare nella bassa bolognese,<br />

puntuale era già arrivato ed aveva già preso possesso di un territorio per lui adatto<br />

al superamento dell’inverno. Il suo nome dialettale, riportato in tutti i testi consultati<br />

è ARIATEN, anche se questo nome è, come altri, decisamente estinto nel dialetto<br />

bolognese attualmente parlato. Ma allora da dove deriva? Troviamo una attendibile<br />

spiegazione consultando un vecchio, vecchissimo libro pubblicato nell’anno 1622 di<br />

un illustre ornitologo Giovanni Pietro Olina (1585-1645) “Ucceliera, overo discorso<br />

della natura e proprietà di diversi uccelli e in particolare di qei’ che cantano, con<br />

il modo di prenderli, conoscergli, allevarli e mantenergli”. Questo libro è ritenuto il<br />

primo tentativo programmatico di repertorio ornitologico nella storia della scienza. In<br />

esso si parla del Reattino detto Re degli uccelli con una precisa, puntuale ed articolata<br />

descrizione dello scricciolo; da qui si deduce che a quel tempo il nome italiano<br />

della scricciolo era Reattino da cui dialettizzato era diventato ARIATEN. Oggi questo<br />

termine è estinto: nelle diverse interviste fatte a vecchi cacciatori, contadini, fattori di<br />

grandi aziende agricole nessuno ha ricordato il citato nome dialettale, ma per tutti era<br />

l’uccellino che viene con il freddo e quindi lo Scricciolo “l’è al limalen dal fred.”<br />

7


LA NOSTRA CUCINA<br />

Curiosità, consigli e ricette<br />

della tradizione<br />

culinaria bolognese,<br />

dalla Montagna alla Bassa<br />

a cura di Katia Brentani<br />

Il Prugnolo (Calocype Gambosa)<br />

matura in aprile, è ottimo soprattutto<br />

se cucinato con cotture rapide.<br />

Se fresco, è buono anche a crudo<br />

Il Fungo di San Giorgio<br />

Si narra che l’eroe greco Perseo, di<br />

ritorno da un lungo viaggio, trovò ristoro<br />

nell’acqua raccolta dal cappello di un<br />

fungo, incontrato per caso sulla sua via.<br />

Grato dell’aiuto inaspettato e necessario,<br />

fondò una colonia e le diede il nome di<br />

Micene, ovvero “fungo” in greco.<br />

I funghi hanno dimensioni e forme<br />

diverse. Ci sono funghi giganteschi e<br />

altri microscopici. Per quel che riguarda<br />

la forma, al classico fungo con il gambo<br />

e il cappello, si contrappongono funghi<br />

che assomigliano a spugne o coralli, altri<br />

che ricordano una clava. Non bisogna<br />

dimenticare i funghi tuberiformi, come<br />

i tartufi, che crescono sotto terra e<br />

che hanno una forma a tubero. Nella<br />

maggior parte dei casi i funghi usati<br />

in cucina sono quelli con gambo e<br />

cappello.<br />

Fra i vari funghi troviamo il Prugnolo<br />

(Calocype Gambosa). Questo fungo<br />

cresce nei prati o ai margini del bosco,<br />

spesso in cerchi. Lo si trova spesso<br />

tra i cespugli di piante spinose come<br />

il biancospino, la rosa canina, il ginepro e<br />

il prugnolo da cui deriva il nome<br />

volgare Prugnolo oppure Spinarolo. Il<br />

Prugnolo viene chiamato anche Fungo<br />

di San Giorgio perché matura secondo<br />

la tradizione popolare il 23 aprile,<br />

giorno della ricorrenza del Santo, ma<br />

ovviamente può anticipare o posticipare<br />

la sua comparsa a seconda dell’altitudine<br />

o dell’andamento stagionale.<br />

Il Prugnolo si trova sia in pianura che in<br />

montagna. È molto comune in pianura e<br />

in media montagna e molto più raro in<br />

alta quota. Questo fungo ama il terreno<br />

calcareo. Il suo cappello nella prima fase<br />

dello sviluppo sembra saldato al gambo<br />

e di forma rotondeggiante, poi prende<br />

forma emisferica, quasi piana. É di colore<br />

bianco, ma si possono trovare esemplari<br />

di color nocciola chiaro, simile alla crosta<br />

di pane. Le sue lamelle sono smarginate<br />

al gambo oppure sinuoso-uncinate, fitte,<br />

intercalate da lamelle di colore bianco<br />

tendenti al crema. Il suo gambo è sodo<br />

e massiccio, talvolta tozzo. Ha una<br />

carne molto soda e compatta, bianca<br />

con odore e sapore di farina lievitata. È<br />

un gran fungo e trovare una prugnolaia<br />

dà una soddisfazione unica tanto che,<br />

certe volte fortunate, bastano pochi passi<br />

per riempire la gerla fino al quantitativo<br />

consentito. Anche se è un saprofago,<br />

lo troviamo spesso vicino al Prunus<br />

spinosa, il prugnolo selvatico, un arbusto<br />

spinoso con foglie ovate che produce dei<br />

caratteristici frutti rotondi e bluastri, le<br />

prugne selvatiche.<br />

L’uso del prugnolo in cucina è molteplice,<br />

il buon profumo che ci inonda quando<br />

lo stiamo raccogliendo si mantiene bene<br />

anche una volta pulito e cotto. Meglio<br />

cucinarlo con una cottura rapida, mai<br />

eccessiva proprio per mantenere al<br />

massimo il sapore. Se abbiamo dei funghi<br />

belli giovani e sani, è ottimo grattarli a<br />

crudo su una buona tagliatella fresca in<br />

bianco. Lo possiamo anche essiccare,<br />

per poi ridurlo in polvere, utilizzandolo<br />

a piacere nelle ricette, basta che siano<br />

delicate per non alterare l’ottimo sapore<br />

di questo fungo.<br />

8


Curiosità e ricette sono tratte<br />

da Funghiamo? di Massimo<br />

Tramontano edito da I<br />

Quaderni del Loggione<br />

Le RICETTE<br />

RICETTA<br />

DELLA MONTAGNA<br />

TAGLIOLINI AI PRUGNOLI<br />

Ingredienti: 300 gr. di tagliolini - 200<br />

gr. di prugnoli – aglio - Parmigiano<br />

Reggiano q.b. - timo fresco - vino<br />

bianco fermo - olio evo - sale – pepe.<br />

Procedimento: pulire bene i funghi,<br />

tagliarli a listerelle sottili non più<br />

di mezzo centimetro, se i funghi<br />

sono piccoli basta tagliarli a metà.<br />

Utilizzando una padella di adeguate<br />

dimensioni, tanto da contenere i<br />

tagliolini per 4 persone, mettere lo<br />

spicchio d’aglio schiacciato con<br />

un filo d’olio che ricopra il fondo.<br />

Appena diventato caldo mettere i<br />

funghi in padella. Regolare di sale.<br />

Far rosolare bene i funghi a fuoco<br />

medio aggiungendo di tanto in tanto<br />

il vino bianco in cucchiai: non più di<br />

2. Non tenere in cottura per più di<br />

10 minuti, togliendo a metà cottura<br />

l’aglio in modo che non bruci.<br />

Lasciar riposare la salsa mentre,<br />

nel frattempo, mettere in cottura i<br />

tagliolini. Rimettere la salsa al fuoco,<br />

aggiungere qualche cucchiaio di<br />

acqua di cottura e i tagliolini bene<br />

al dente. Terminare la cottura dei<br />

tagliolini, aggiungendo due rametti<br />

di timo, il Parmigiano Reggiano<br />

grattugiato e impiattare.<br />

RICETTA<br />

DELLA PIANURA<br />

RISOTTO AI PRUGNOLI E SILENE<br />

Sono belli gli accoppiamenti in<br />

cucina, quando funzionano, fra<br />

piante e funghi raccolti nello stesso<br />

periodo. In questo caso abbiamo una<br />

pianta molto comune: la silene, Silene<br />

vulgaris, chiamata comunemente<br />

strigolo, ma anche cavoletto, verzino,<br />

schioppettino, fischio e chissà in<br />

quanti altri modi. Come preparazione,<br />

le foglioline della silene basta lavarle,<br />

lasciandole intere. Andando a<br />

prugnoli è praticamente impossibile<br />

non passare accanto a questa erba<br />

ottima in cucina.<br />

Ingredienti: 200 gr. di prugnoli - 100<br />

gr. circa di silene - 360 gr. di riso - 1<br />

cipolla bianca media - 150 ml di vino<br />

bianco - 2 uova - un cucchiaio di latte<br />

- sale - pepe - olio evo.<br />

Procedimento: mettere a bollire<br />

2 litri circa di acqua, immergere la<br />

silene solo sbollentandola. Estrarla<br />

senza buttare l’acqua di bollitura.<br />

Tritare finemente la cipolla e metterla<br />

in pentola con un filo d’olio che<br />

ricopra il fondo. Farla dorare, quindi<br />

aggiungere il riso. A fuoco medio<br />

bagnare con il vino e farlo evaporare<br />

completamente. Preparare i prugnoli<br />

tritandone la maggior parte; lasciare<br />

alcuni prugnoli fra i più piccoli solo<br />

tagliati a metà. Aggiungere il trito di<br />

prugnoli e la silene al riso. Allungare<br />

piano piano il riso con l’acqua di<br />

cottura della silene e regolare di sale<br />

e pepe. Aggiungere poco prima di<br />

fine cottura i piccoli prugnoli. Visto<br />

che sia la silene che il prugnolo sono<br />

ottimi con l’uovo, quando la cottura<br />

del riso sarà terminata, aggiungere<br />

le uova sbattute col latte al riso fuori<br />

dalla fiamma, amalgamando bene.<br />

NERO GIARDINI<br />

STONEFLY<br />

CAFE’ NOIR<br />

IGI & CO<br />

ECCO<br />

FRAU<br />

S.LAZZARO DI SAVENA (Bo)<br />

via Jussi 6 051 . 46 13 18 via Roma 9/b 051 . 45 18 79<br />

TIMBERLAND<br />

MEPHISTO<br />

MELLUSO<br />

CLARKS<br />

GEOX<br />

ALBANO<br />

9


ERBE DI CASA NOSTRA<br />

Con una naturopata<br />

per conoscere le leggende,<br />

gli usi medici e quelli tradizionali<br />

delle piante della nostra provincia<br />

La Silene Vulgaris è una delle prime<br />

specie spontanee della primavera. Si<br />

raccolgono i germogli e gli apici delle<br />

piante più grandi, anche i fiori sono<br />

commestibili: sono ottimi infarinati e fritti<br />

Gli STRIGOLI<br />

Testo di Claudia Filipello - www.naturopatiabologna.it<br />

Silene Vulgaris o Strigoli o Stridoli: la spontanea<br />

commestibile e dai tanti benefici<br />

La Silene rigonfia o Silene vulgaris è una piccola e delicata<br />

creatura, che si esprime nel mondo per un’altezza non più<br />

di 60-70 cm fino ad un massimo di 100 cm; è una perenne<br />

e glabra, dai caratteristici fiori chiamati “bubbolini”<br />

ed appartiene alla famiglia delle Caryophyllaceae. Il<br />

nome “Silene”, secondo alcuni studiosi, deriva dal greco<br />

“Silenòs”, nome dato, nella mitologia greca, ad un essere<br />

semidivino compagno di Dioniso e padre dei Satiri, per<br />

metà uomo e per metà cavallo, caratterizzato da un<br />

ventre rigonfio (che rimanda alla forma a calice del fiore).<br />

Secondo altri studiosi, deriva invece, dal greco “Sialon”,<br />

che significa “saliva, muco”, in riferimento alla sostanza<br />

bianca e appiccicosa presente nel fusto e nel calice.<br />

Altri ancora lo fanno risalire a “Selene”, “Luna”, poiché<br />

alcune specie hanno fiori che si aprono la notte, alla luce<br />

lunare. Il termine “Vulgaris” proviene dal latino e significa<br />

“comune”, per l’ampia distribuzione di questa specie.<br />

La Silene vulgaris è presente in Europa, Asia, Africa<br />

settentrionale, America meridionale ed in Italia è comune<br />

in tutte le regioni, soprattutto nella nostra Emilia-Romagna.<br />

In Italia la si può trovare su prati, arbusteti, boschi radi<br />

e ai margini dei sentieri. La pianta è frequente in zone<br />

ruderali ricche di azoto, o anche nei prati fertili concimati<br />

e antropizzati. In alcuni casi può essere considerate erba<br />

infestante. Se andiamo a ricercare il significato di “erba<br />

infestante”, il vocabolario ci racconta che, un’infestante<br />

è una pianta che non ha alcun ha valore agricolo, che si<br />

diffonde a danno delle coltivazioni sottraendo loro luce,<br />

spazio e sostanze nutritive del terreno. In verità, ritengo<br />

che questa definizione sia data partendo dal punto di vista<br />

dell’uomo, che ha sempre il bisogno assoluto di controllare<br />

ogni aspetto della Natura, affinché essa possa esistere<br />

solo ad uso e consumo dell’uomo stesso. A mio parere,<br />

nell’osservazione e nell’amore che sento verso la Natura,<br />

ritengo che le creature cosiddette “infestanti”, al contrario,<br />

abbiano un loro valore e una loro funzione in relazione<br />

alla vastità dell’armonia del Creato.<br />

Esse giungono in questa dimensione con un disegno preciso<br />

e mirato, rispetto la loro funzione; crescono, mettono<br />

radici spontaneamente, con forza e determinazione. Mi<br />

piace chiamarle erbe spontanee, appunto. A livello pratico,<br />

esse hanno un loro linguaggio soprattutto con l’ambiente<br />

circostante; le erbe spontanee, infatti, sono in grado di<br />

indicare ciò di cui ha bisogno un terreno e nella maggior<br />

parte dei casi sono anche in grado di fornirlo. Prendiamo<br />

ad esempio il Cardo Mariano, una pianta diffusissima nel<br />

Centro e Sud Italia e che viene generalmente estirpata dalla<br />

maggior parte degli agricoltori. Il Cardo Mariano ha in verità<br />

un compito vitale rispetto la rigenerazione del terreno. Le<br />

sue radici, profondissime e potenti infatti, bucano la terra<br />

permettendole di respirare, specialmente dopo grandi<br />

piogge che potrebbero compattarla. In questo modo il<br />

terreno può tornare morbido e rigenerarsi da solo, senza la<br />

necessità di interventi esterni da parte dell’uomo. Il Cardo<br />

Mariano, inoltre, opera anche in altro modo più indiretto.<br />

La sua presenza, infatti, attrae tantissimi insetti: loro sono<br />

tra gli attori protagonisti e principali della fertilizzazione<br />

del terreno, portatori di diversità e prosperità.<br />

La Silene vulgaris è molto ricercata in gastronomia,<br />

conosciuta a questo proposito con il nome di Strigoli,<br />

Stridoli, Carletti, Strisci, Scrissioi, S-ciopit, S-ciopetin,<br />

Cuiet in Piemonte e nell’Appennino Umbro Marchigiano,<br />

meglio conosciuti con il nome di Concigli. Ci sono inoltre,<br />

altri termini adottati fra cui: Bubbolini, Crepaterra, Erba<br />

del Cucco, Minuto, Sciopeti, Stridoli, Stringoli, Sgrizoi,<br />

Tagliatelle della Madonna, Verzuli, Lacitt. Tutti questi nomi<br />

dimostrano che questa pianta spontanea, è fra le migliori<br />

erbe selvatiche commestibili che da sempre accompagnano<br />

la donna nelle sue ricerche quale addetta all’accudimento<br />

10


Silene Vulgaris<br />

e al nutrimento dei famigliari.<br />

È una delle prime specie spontanee di prato che si trovano<br />

in primavera, insieme al tarassaco. Si raccolgono i germogli<br />

e gli apici delle piante più grandi. Le foglie si possono<br />

raccogliere anche in estate; infatti, nei prati ricresce<br />

tenerissima, dopo lo sfalcio, avendo cura di eliminare<br />

il fusto che, crescendo, diventa legnoso. Spesso cresce<br />

vicina a Silene dioica o Silene alba, con cui condivide<br />

l’habitat. Vanno raccolte sempre prima della fioritura, nel<br />

mese di aprile; dopodiché le foglie basali diventano troppo<br />

coriacee. Si possono mangiare crude, cotte (come gli<br />

spinaci), in risotti, minestre, ripieni, ravioli e frittate. Hanno<br />

un sapore delicato e dolce. Sempre a scopo alimentare, si<br />

possono raccogliere le giovani cimette che se, strofinate<br />

delicatamente, producono il caratteristico stridìo. È molto<br />

ricercata dal bestiame ed è ottima come foraggio. I fiori di<br />

Silene, conosciuti anche con il nome di fiori a palloncino,<br />

sono commestibili, ottimi infarinati e fritti, il cui sapore<br />

ricordano lontanamente il gusto degli asparagi.<br />

Un tempo veniva utilizzata per le sue funzioni diuretiche<br />

e anche come un rimedio contro la gotta, il fuoco di<br />

S. Antonio e l’anemia. Anche se lo Strigolo è un’erba<br />

commestibile antichissima, non è mai stata oggetto di<br />

studi scientifici. Questo spiega il motivo per cui non<br />

è inserita nell’elenco ufficiale delle piante officinali<br />

e non usata in fitoterapia e naturopatia. Ho imparato,<br />

però, a considerare che l’uso delle piante secondo la<br />

tradizione antica si poggia su una saggezza ancestrale,<br />

la cui conoscenza ha origine fin dalla notte dei tempi,<br />

dall’osservazione e dallo studio delle comparazioni e<br />

dell’interazione sottile che la pianta ha con il suo habitat<br />

e le sue caratteristiche di forma (Legge della Segnatura).<br />

Generalmente quindi, quando si applica uno studio nei<br />

confronti di una pianta, si riscontra la conferma degli<br />

aspetti già rilevati dalla medicina tradizionale.<br />

Le proprietà nutritive conosciute della Silene vulgaris<br />

comprendono un buon contenuto di vitamina C, e<br />

un’elevata presenza di sali minerali, i fenoli, composti<br />

antiossidanti utili per la salute; infatti, il contenuto di<br />

questi micronutrienti è molto più alto di quello negli<br />

spinaci. Inoltre, sono presenti acidi grassi, fra cui<br />

acido oleico, linoleico e stearico. Per quanto riguarda<br />

le proprietà terapeutiche, le uniche informazioni note<br />

che abbiamo sono che gli estratti di questa pianta sono<br />

particolarmente emollienti; per questo motivo, la specie<br />

Silene vulgaris è usata per la preparazione di saponi per<br />

la pelle e per la creazione di rimedi per le affezioni agli<br />

occhi.<br />

A questa pianta sono spesso associati i ricordi infantili<br />

della generazione passata, soprattutto se vissuta in<br />

campagna. I ragazzi, infatti, facevano le “scattiole” con<br />

il fiore, che avendo la forma a palloncino, si prestava<br />

in una pratica divertente; il fiore, infatti, dopo essere<br />

stato chiuso con le dita, all’apertura del calice, poiché<br />

vescicoloso, schiacciandolo sul dorso della mano o sulla<br />

fronte, si produceva un sonoro scoppio, da cui i nomi<br />

volgari di Schioppettini o Schioppetti. Lo stesso suono lo<br />

si ottiene sfregandoli insieme.<br />

La primavera è alle porte, le giornate si sono allungate,<br />

la bella stagione ci permette di iniziare ad uscire di casa:<br />

quale occasione migliore per avventurarsi nei boschi e<br />

raccogliere un po’ di erbe selvatiche, fra cui la gentile<br />

Silene vulgaris. Portare lo sguardo verso di loro, alla<br />

ricerca di fiorellini o foglioline da utilizzare per qualche<br />

semplice, ma gustosa e antica ricetta, significa entrare<br />

nuovamente in quel legame speciale ed unico che solo<br />

Madre Terra è in grado di evocare e donare.<br />

11


FINO ALLA FINE FORZA BOLOGNA<br />

La “ricostruzione”, il tocco magico di Bernardini, l’accusa<br />

di doping, la morte di Dall’Ara. Alla fine, il trionfo sul prato<br />

dell’Olimpico<br />

Quell’incredibile 1964<br />

Testo di Marco Tarozzi<br />

Era stata una ricostruzione, quella<br />

di Dall’Ara. Partita nella seconda<br />

metà degli anni Cinquanta, quando il<br />

presidente rossoblù, già vincitore di<br />

quattro scudetti negli anni d’oro, si era<br />

messo in testa di riportare ai vertici il<br />

Bologna proprio mentre subiva le più<br />

dure contestazioni dalla piazza, arrivata<br />

a sperare che il petroliere ravennate<br />

Attilio Monti gli subentrasse al timone.<br />

Strada facendo, il numero uno aveva<br />

ritrovato l’entusiasmo di un tempo, e<br />

soprattutto la velocità d’esecuzione che<br />

lo faceva arrivare per primo a chiudere<br />

operazioni di mercato decisive. Aveva<br />

puntato sui giovani, non potendo<br />

arginare diversamente lo strapotere<br />

delle società milanesi: era ancora<br />

un imprenditore solido, ma contro il<br />

petroliere Moratti o la famiglia Agnelli<br />

bisognava giocare d’astuzia.<br />

RICOSTRUZIONE. Così nel tempo<br />

erano arrivati Pascutti, Pavinato, Furlanis,<br />

Tumburus, tutti talenti in sboccio che<br />

sul momento non avevano soddisfatto le<br />

attese dei tifosi, ma erano andati via via<br />

Dall’Ara<br />

maturando. E poi il Bologna si era trovato<br />

in casa una fortuna: quel Giacomo<br />

Bulgarelli, un ragazzo di Portonovo di<br />

Medicina esile ma nato per il calcio,<br />

come subito aveva capito Istvan Mike<br />

vedendolo giocare e consigliandolo a<br />

Gyula Lelovics, allora responsabile del<br />

vivaio. Infine, la scelta più azzeccata:<br />

mettere le sorti della squadra nelle mani<br />

di Fulvio Bernardini, il tecnico che già<br />

aveva saputo tener testa alle “grandi”<br />

nella stagione 1955-56, vincendo lo<br />

scudetto con la Fiorentina.<br />

MANICO. Bernardini arriva nell’estate<br />

del 19<strong>61</strong> e spiega subito che per arrivare<br />

al tricolore serve un progetto triennale.<br />

Non si prendono, il Dottor Pedata e il<br />

Commendator Paradiso, hanno caratteri<br />

troppo diversi. Però si rispettano, al di là<br />

di qualche frecciata scambiata a mezzo<br />

stampa. Il presidente mantiene pazienza<br />

e impegni, anche perché il Bologna<br />

inizia a mostrare un gioco brillante<br />

anche se non sempre redditizio, e con<br />

altri due colpi da maestro consegna al<br />

suo tecnico anche gli stranieri giusti<br />

per tentare la scalata decisiva: Harald<br />

Nielsen nel 19<strong>61</strong>, Helmut Haller un<br />

anno dopo.<br />

MOSAICO. Serve ancora qualcosa,<br />

a questo Bologna-cicala che<br />

generosamente si produce in attacco,<br />

ma traballa pericolosamente dietro.<br />

Esemplificativo il quarto posto della<br />

stagione ‘62-63, con 58 reti fatte, due<br />

più dei campioni dell’Inter, e 39 subite,<br />

20 più dei nerazzurri: il Bologna bello<br />

da vedere, che gioca come si fa “solo in<br />

Paradiso”, ha bisogno di un ennesimo<br />

ritocco. A chiudere la saracinesca<br />

rossoblù nell’estate del ’63 arriva<br />

dunque, dal Mantova, William Negri,<br />

detto “Carburo”. Una delle mosse<br />

decisive verso il settimo sigillo. Insieme<br />

alla decisione di mettere Romanino<br />

Fogli più aggrappato alla mezza punta<br />

avversaria. E’ la quadratura del cerchio<br />

I giocatori del BFC<br />

accusati di doping<br />

e nella stagione 1963-64 il Bologna<br />

parte forte, già il 9 febbraio è in testa<br />

alla classifica. Il primo marzo, battendo<br />

il Milan a San Siro con reti di Nielsen<br />

e Pascutti, viaggia con due lunghezze<br />

sull’Inter e tre sui rossoneri. Sembra<br />

un volo inarrestabile. Invece tre giorni<br />

dopo scoppia il caso destinato a<br />

dividere tifoserie e addetti ai lavori tra<br />

innocentisti e colpevolisti, a rompere di<br />

colpo amicizie consolidate.<br />

L’ACCUSA. Il 4 marzo la Federazione<br />

emette un comunicato in cui si parla<br />

di analisi positive “all’esame per le<br />

sostanze anfetamine-simili” per cinque<br />

giocatori rossoblù. I cinque, secondo<br />

l’accusa, sono Fogli, Pavinato, Pascutti,<br />

Perani e Tumburus. Il controllo si<br />

riferisce alla partita Bologna-Torino del<br />

2 febbraio, vinta 4-1 incassando anche<br />

i complimenti di Rocco, allenatore<br />

granata. Poco più di due settimane<br />

più tardi, il 20 marzo, la giustizia<br />

sportiva emette il verdetto: sconfitta<br />

a tavolino col Torino, un punto di<br />

penalizzazione, 18 mesi di squalifica a<br />

Bernardini e assolti i giocatori perché,<br />

secondo la commissione giudicante, la<br />

somministrazione delle sostanze illecite<br />

era avvenuta a loro insaputa. La città<br />

scende in piazza, il sindaco Dozza si<br />

schiera accanto a società e squadra.<br />

La stampa bolognese fa quadrato, con<br />

12


le migliori firme in circolazione (e<br />

quelle che lo diventeranno) impegnate<br />

in una caparbia ricerca della verità.<br />

Ma la mossa più importante la fanno<br />

tre avvocati bolognesi. Si chiamano<br />

Gabellini, Cagli e Magri. Chiedono<br />

l’intervento della magistratura ordinaria,<br />

che sequestra le provette incriminate per<br />

le controanalisi. È la svolta.<br />

SOLLIEVO. Intanto, la stagione va<br />

avanti: Bernardini guida Cervellati dalla<br />

tribuna con la radiolina a transistor<br />

delle polemiche, all’Olimpico contro la<br />

Roma; il Bologna perde in casa contro<br />

l’Inter in quella che i giornali milanesi<br />

annunciano come una “Pasqua di<br />

sangue”, e che invece una volta di più<br />

mostra il grado di civiltà della tifoseria<br />

bolognese. Poi, un po’ alla volta, la<br />

squadra riprende a viaggiare spedita,<br />

dando la sensazione di intravvedere una<br />

luce in fondo al tunnel. E quella luce,<br />

in effetti, esiste davvero. Le controanalisi<br />

ordinate dalla magistratura dimostrano<br />

senza ombra di dubbio che nelle<br />

provette sigillate non esisteva traccia<br />

di anfetamina, né di qualsiasi altra<br />

droga. Quella trovata (in dosi buone per<br />

abbattere un cavallo da corsa) era soltanto<br />

nelle provette del primo controllo,<br />

senza chiusura ermetica e alla portata<br />

di chiunque. Diventa chiara a tutti una<br />

verità inquietante: i campioni controllati<br />

in un primo momento avevano subito<br />

una manomissione, certamente dolosa.<br />

Il 16 maggio 1964 la Caf, alla quale il<br />

Bologna si era appellato, assolve tutti<br />

e il Bologna, innocente come i suoi<br />

cinque incriminati, riottiene i suoi tre<br />

punti e si ritrova in cima alla classifica,<br />

a pari merito con l’Inter. Mancano due<br />

giornate alla fine e la volata finale non<br />

cambia la situazione: il 31 maggio 1964<br />

la cavalcata finisce in parità a quota<br />

54 punti. Dopo una serie di proposte,<br />

alcune decisamente discutibili, si<br />

sceglie la strada dello spareggio: la sfida<br />

che deciderà il campionato viene fissata<br />

per domenica 7 giugno, all’Olimpico di<br />

Roma.<br />

TRAGEDIA. Sono giorni di tensione.<br />

Ma all’improvviso l’attesa viene scossa<br />

da una tragedia. Mercoledì 3 giugno, a<br />

Milano, nella sede della Lega Calcio,<br />

Renato Dall’Ara e Angelo Moratti,<br />

presidenti di Bologna e Inter, sono<br />

impegnati in una discussione sui premipartita<br />

alla presenza del presidente<br />

della stessa Lega, Giorgio Perlasca.<br />

Dall’Ara ha il cuore malandato e lo sa,<br />

è salito a Milano accompagnato dalla<br />

moglie e dal dottore di fiducia, non può<br />

affrontare un viaggio stancante senza<br />

prendere precauzioni. Ma lo fa per il<br />

bene del Bologna. E con la passione di<br />

sempre si fa prendere dalla discussione,<br />

si accalora, si accende. Finché, di colpo,<br />

si accascia tra le braccia di Moratti.<br />

Infarto fulminante.<br />

La notizia arriva a Bologna in un attimo<br />

e la sconvolge. La società chiede un<br />

rinvio, che viene respinto. Si deve<br />

giocare il 7, non c’è tempo per elaborare<br />

il lutto. Destino assurdo: Dall’Ara non<br />

potrà vedere il capolavoro finito, dopo<br />

tanti anni di sofferenza, di critiche, di<br />

lavoro per riportare il Bologna ai vertici.<br />

Ma ora la squadra ha un motivo in più<br />

per ribaltare una sorte fin qui spietata, e<br />

portarsi a casa il settimo scudetto.<br />

TRIONFO. «Quel giorno non ci<br />

avrebbe battuti nessuno», dirà poi<br />

per anni Romano Fogli, che quel<br />

giorno all’Olimpico gioca la partita<br />

perfetta: gol dell’1-0 su punizione<br />

deviata da Facchetti nella propria<br />

rete, assist vincente per il 2-0 di<br />

Nielsen. I tifosi sugli spalti a Roma<br />

non dimenticheranno mai più quel<br />

pomeriggio, mentre su Bologna<br />

aleggia un irreale silenzio fino al gol<br />

di Romanino. Alle 16.45 per le strade<br />

della città esplode la festa: nella gioia il<br />

popolo rossoblù ripensa agli anni duri<br />

e a quel presidente che non ha mai<br />

mollato, nemmeno negli anni della<br />

contestazione: che voleva riportare il<br />

Bologna in alto e c’è riuscito, pagando<br />

con la vita una passione infinita.<br />

13


FINO ALLA FINE FORZA BOLOGNA<br />

Aneddoti e curiosità prima e dopo lo Spareggio. Bernardini<br />

a Corradi, in odore di prendere il posto di Pascutti<br />

infortunato: “Ragazzo non posso farti giocare perché<br />

voglio fare un brutto scherzo ad Herrera”. Giocò Capra e<br />

sappiamo come andò a finire....<br />

Tante partite in una partita<br />

Testo di Giuliano Musi<br />

Lo spareggio di Roma è stato vissuto in<br />

due modi molto diversi dal club e dai<br />

tifosi. Determinante in tal senso fu anche<br />

la scomparsa del presidente Dall’Ara<br />

stroncato da un infarto a Milano mentre<br />

discuteva, a dir poco animatamente col<br />

presidente dell’Inter Moratti, l’ammontare<br />

del premio partita da assegnare alla<br />

squadra vincitrice.<br />

Appena saputa la tragica notizia la squadra<br />

fu subito compatta nel voler tornare a<br />

Bologna per partecipare ai funerali del<br />

presidente che si sarebbero svolti durante<br />

i giorni del ritiro pre-partita. Ciò avrebbe<br />

comportato lo slittamento dello spareggio<br />

ma l’allenatore Bernardini preferì restare<br />

in ritiro a Fregene, al caldo e in pineta,<br />

per abituarsi al clima già estivo di Roma<br />

(all’Olimpico si giocò nelle ore più calde<br />

del pomeriggio) e per non turbare ancora<br />

di più il morale del gruppo. Pascutti<br />

(infortunato) l’unico titolare presente al<br />

funerale di Dall’Ara che vide l’intera città<br />

partecipare commossa e unita con il centro<br />

storico irraggiungibile per ore. Tornata da<br />

Roma, tutta la squadra andò alla Certosa<br />

per rendere omaggio al presidente.<br />

Scelta opposta a quella del Bologna la fece<br />

l’Inter che essendo reduce dalla vittoria di<br />

Vienna in Coppa dei Campioni con il Real<br />

Madrid andò subito in ritiro ad Appiano<br />

Gentile per ritrovare freschezza fisica. Il<br />

risultato però non fu quello sperato.<br />

L’Inter giocò il secondo tempo dello<br />

spareggio con fazzoletti pieni di ghiaccio<br />

intorno al collo per assicurarsi ristoro e<br />

vigore muscolare ma non servì perché i<br />

nerazzurri terminarono la partita con un<br />

netto calo fisico che non consentì loro il<br />

recupero del risultato firmato da Fogli e<br />

Nielsen.<br />

Appena l’arbitro Lo Bello fischiò il fine<br />

partita tra i tanti tifosi non bolognesi<br />

che corsero in campo all’Olimpico<br />

per festeggiare il Bologna le riprese Tv<br />

immortalarono anche Vanni Canepele,<br />

ex campione della Virtus nel tennis ed ex<br />

capitano della Nazionale italiana in Davis.<br />

Nei filmati RAI si vede Canepele che a fine<br />

gara vola in campo per abbracciare tutto<br />

il gruppo del Bologna. Con lui molti dei<br />

personaggi che erano in tribuna allo stadio<br />

Olimpico che inseguirono Bernardini,<br />

issato sulle spalle dei giocatori sul terreno<br />

di gioco, per congratularsi coi dirigenti, il<br />

DS Bovina e il dottor Dalmastri.<br />

Terminato lo spareggio si verificarono<br />

i primi cortei spontanei con vetture,<br />

moto e bici per le strade di Bologna con<br />

appuntamento iniziale allo stadio, poi in<br />

Piazza Maggiore e davanti al Bar Otello<br />

sede naturale di ritrovo dei fans rossoblù.<br />

Grandi feste furono fatte anche sulla riviera<br />

romagnola dove molti tifosi del Bologna<br />

erano già in vacanza.<br />

I tifosi hanno vissuto a ranghi compatti lo<br />

spareggio andando in migliaia a Roma e<br />

puntando anche su metodi atipici come la<br />

….. preveggenza<br />

LA MATTA PORTAFORTUNA<br />

Legato al Club Fogli-Rio Bar c’è un<br />

simpaticissimo avvenimento che si è<br />

verificato il giorno dello spareggio a<br />

Roma. Il Club Fogli, come molti altri<br />

club bolognesi, organizzò la trasferta<br />

all’Olimpico per vivere da vicino la grande<br />

avventura-scudetto.<br />

Dalla sede di Via Massarenti presero la via<br />

di Roma due pullman con circa cento tifosi<br />

armati di bandiere. Raggiunta la Capitale<br />

venne spontaneo cercare un ristorante e<br />

un posto sicuro per i mezzi. In poco tempo<br />

si risolsero entrambi i problemi e così la<br />

comitiva, in fila indiana, si diresse dal<br />

garage verso un vicino ristorante. Il vice<br />

presidente Bambini che guidava a piedi il<br />

gruppo era un tipo molto superstizioso e<br />

in una giornata così particolare prestava la<br />

massima attenzione ad ogni particolare.<br />

Fu proprio lui, a due passi dall’entrata<br />

del ristorante, a notare a terra una carta<br />

appartenuta ad un mazzo da ramino.<br />

Fermò tutti e prima di raccoglierla disse:<br />

“Se è una matta vuoi dire che vinciamo la<br />

partita e ci portiamo a casa lo scudetto”.<br />

Si fece un silenzio assoluto e la tensione<br />

salì di colpo mentre Bambini allungava<br />

la mano. Dopo pochi secondi aveva la<br />

carta ben stretta ma con la faccia ancora<br />

rivolta al suolo. Appena la girò si sentì un<br />

boato ed un applauso lunghissimo perché<br />

si trattava proprio di una matta. Nessuno<br />

ebbe più dubbi, il Bologna avrebbe vinto<br />

lo spareggio e all’Olimpico giunse la<br />

conferma che Bambini aveva visto giusto.<br />

Il ritorno a Bologna della squadra fu<br />

ovviamente trionfale con centinaia di<br />

tifosi riuniti alla stazione Centrale che<br />

con bandiere e cori portarono in trionfo i<br />

giocatori sulle spalle.<br />

Il sostanzioso premio scudetto (oltre<br />

un milione di lire) venne impiegato<br />

con grande intelligenza da quasi tutti i<br />

giocatori del Bologna. Fogli acquistò un<br />

immobile a Santa Maria a Monte, sua città<br />

natale, molti altri investirono il danaro in<br />

immobili e Janich che era appassionato<br />

di arte comperò alcune opere di artisti<br />

internazionali.<br />

La scomparsa di Dall’Ara portò alla<br />

presidenza Goldoni, noto industriale del<br />

settore sanitario, già presente in società,<br />

che per pareggiare il deficit societario<br />

che ammontava a circa 450 milioni (cifra<br />

rilevante nel 1964) cedette Haller alla<br />

Juventus.<br />

Alcune dichiarazioni della vigilia sono<br />

emblematiche dello stato d’animo che<br />

pervadeva Bologna e la squadra prima<br />

dello spareggio<br />

Ezio Pascutti: “Dall’Ara è stato un<br />

14


Il gol di Nielsen<br />

Bernardini portato<br />

in trionfo<br />

grandissimo presidente per me è stato un<br />

padre. Mi ha dato anche “le botte” quando<br />

le meritavo.... La sua morte per me è stato<br />

un colpo troppo duro”<br />

Helmut Haller è stato tra i primi a voler<br />

lasciare il ritiro di Fregene per fare ritorno a<br />

Bologna e partecipare al funerale facendo<br />

slittare lo spareggio. “Non voglio giocare<br />

per onorare la memoria di Dall’Ara che<br />

per me è stato come un padre”.<br />

La moglie di Dall’Ara, Nella, non ha<br />

avuto il minimo dubbio nel dichiarare che<br />

secondo lei Dall’Ara, in particolare nella<br />

sua veste di presidente, avrebbe chiesto<br />

espressamente ai suoi giocatori di dare il<br />

massimo giocando lo spareggio nei tempi<br />

previsti e conquistato lo scudetto rendergli<br />

omaggio alla Certosa di Bologna.<br />

I protagonisti del fantastico anno scudetto<br />

hanno ancora ricordi vivissimi e li<br />

raccontano con grande gioia anche se non<br />

manca qualche rimpianto.<br />

Sidio Corradi, che nell’anno dello scudetto<br />

ha debuttato in A, ha solo sfiorato la<br />

grande passerella come protagonista dello<br />

spareggio all’Olimpico e il rammarico di<br />

non essere sceso in campo ancora non<br />

l’abbandona.<br />

“Eravamo in ritiro a Fregene per lo<br />

spareggio scudetto con l’Inter – ricorda -<br />

Pascutti era infortunato, Renna non stava<br />

bene ed io ero in ballottaggio con Pace<br />

per il ruolo di ala sinistra. Tutti pensavano<br />

che avrei giocato io ma Bernardini ebbe<br />

la grande intuizione di lanciare Capra<br />

che annullò completamente Suarez. Il<br />

“dottore” me lo comunicò con grande<br />

imbarazzo ma con parole chiare ‘Ragazzo<br />

non posso farti giocare perché voglio<br />

fare un brutto scherzo ad Herrera’. Capii<br />

che era giusto così, ci rimasi comunque<br />

male. Sarei stato il più giovane schierato<br />

in campo nello spareggio scudetto, che<br />

comunque ho contribuito a conquistare;<br />

il ruolo di più giovane scudettato d’Italia<br />

comunque l’ho avuto. Ricordo che andai<br />

in campo a fine partita e abbracciai tutti.<br />

In quegli anni chi non giocava andava in<br />

tribuna, non c’erano le sostituzioni, e la<br />

rosa della prima squadra era al massimo<br />

di 16 elementi (i titolari più 4 della<br />

De Martino) non 30 come è normale<br />

adesso”.<br />

Anche Rino Rado, riserva di William<br />

Negri in porta, ha un ricordo di<br />

particolare intensità della fantastica<br />

giornata all’Olimpico.<br />

“Nello spareggio scudetto di Roma del<br />

1964 ero in tribuna ma cinque minuti<br />

prima della fine sono sceso in campo.<br />

Appena l’arbitro ha fischiato sono corso<br />

da Negri e prima di fare festa con gli<br />

altri ci siamo abbracciati a lungo, come<br />

fratelli, mentre l’Olimpico esplodeva di<br />

gioia. La nostra era vera amicizia sincera<br />

non spettacolo”.<br />

Romano Fogli è stato subito uno dei<br />

pochi protagonisti che ha saputo capire<br />

ed apprezzare la intelligente scelta tattica<br />

di Bernardini che lanciò Capra all’ala<br />

sinistra nel doppio ruolo di difensore<br />

con il compito di cancellare Suarez e in<br />

quello di ala pura in fase di attacco del<br />

Bologna.<br />

Fogli aveva conosciuto e visto Capra<br />

giocare come ala sinistra, proveniente<br />

dal Bolzano, durante un provino fatto<br />

dal Torino a cui aveva partecipato<br />

anche Romano che fu preso dai granata<br />

e in seguito scambiato da Dall’Ara<br />

con Bonifaci più soldi. La decisione<br />

di Bernardini quindi fu intelligente ma<br />

anche supportata da una indiscutibile<br />

base tecnica.<br />

Uno dei più delusi da questa scelta di<br />

Bernardini fu Renna che era attaccante<br />

e spesso si alternava con Perani all’ala<br />

destra. Sperava di giocare ma non era in<br />

condizioni ottimali e così l’allenatore lo<br />

spedì in tribuna. In quegli anni non erano<br />

ammesse le sostituzioni e chi non partiva<br />

subito non andava neppure in panchina.<br />

Il gol di Fogli<br />

15


FINO ALLA FINE FORZA BOLOGNA<br />

Il Baby Boom, le candid camera di Nanni Loy girate in un<br />

bar della città, l’Autosole, il Nobel a Martin Luther King<br />

ma anche il Piano Solo e il carcere per Mandela<br />

Formidabili quegli anni<br />

Testo di Serana Bersani<br />

Era l’anno in cui si poteva ancora<br />

guardare lontano. E sperare. Nel 1964<br />

raggiunge l’apice (e poi si arresta)<br />

il cosiddetto miracolo italiano ed è<br />

l’anno del Novecento in cui nascono<br />

più bambini in Italia (oltre un milione,<br />

sono i figli del Baby Boom, gli attuali<br />

“boomer”), a dimostrazione che a<br />

vent’anni dalla fine della guerra il<br />

futuro che si intravvede è roseo e<br />

carico di prospettive.<br />

Il 19 marzo viene inaugurato il primo<br />

traforo stradale alpino, quello del<br />

Gran San Bernardo, e si apre così<br />

una strada verso la Francia e verso<br />

l’Europa. E il 4 ottobre il presidente<br />

del consiglio Aldo Moro taglia il<br />

nastro dell’Autostrada del Sole, la<br />

Milano-Napoli che congiunge l’Italia<br />

da nord a sud. Il 21 agosto muore<br />

a Yalta uno dei fondatori del più<br />

grande partito comunista del mondo<br />

occidentale, Palmiro Togliatti. Ai<br />

suoi funerali partecipa un milione di<br />

persone e con lui finisce un’epoca.<br />

Mentre nelle segrete stanze si trama<br />

per attuare un colpo di stato (il<br />

Piano Solo), di cui si saprà solo<br />

anni dopo, l’Italia spensierata va al<br />

mare sulle Fiat 600 (ne circolano<br />

due milioni) e la riviera romagnola<br />

diventa la valle dell’eden su cui si<br />

riversano le famiglie. È la rampa di<br />

lancio del consumismo. Costa tutto<br />

relativamente poco, anche il ceto<br />

medio può rimanere in vacanza fino<br />

a un intero mese. Lo stipendio medio<br />

di un operaio è di 86.000 lire al<br />

mese, con mille lire si sta un giorno<br />

a pensione completa a Rimini, con<br />

cinque stipendi si può comperare<br />

un’utilitaria. Il giornale costa 50 lire,<br />

la benzina 120 lire al litro, per un<br />

ghiacciolo (a Bologna il cof) bastano<br />

dieci lire. I bimbi partono per le<br />

colonie, spesso a quasi totali spese<br />

delle grandi aziende che le hanno<br />

costruite, da Milano Marittima a<br />

Cattolica.<br />

A Bologna la giunta del sindaco<br />

Dozza vede, tra gli altri, Renato<br />

Zangheri, Giuseppe Campos Venuti<br />

e Armando Sarti. Nessuna donna.<br />

Sotto le torri, in senso letterale, nasce<br />

la libreria Feltrinelli in locali scelti<br />

da Giangiacomo con l’assessore<br />

alla Cultura Zangheri. Per la prima<br />

volta i libri sono esposti e disponibili<br />

allo sfoglio e alla consultazione dei<br />

clienti. E, a proposito di libri, nel<br />

1964 apre i battenti anche la Fiera<br />

del libro per ragazzi, che nei decenni<br />

diventerà una delle più importanti<br />

rassegne internazionali.<br />

Al Festival di Sanremo vince la<br />

giovanissima Gigliola Cinquetti con<br />

“Non ho l’età”, ma l’hit parade del<br />

1964 è saldamente dominata dal<br />

ragazzo di Monghidoro, Gianni<br />

Morandi, con “In ginocchio da te”<br />

(con la quale vincerà il Cantagiro)<br />

e “Non son degno di te”. Nei night<br />

(non c’erano ancora le discoteche) si<br />

balla stretti al suono di “Una lacrima<br />

sul viso” di Bobby Solo e di “Una<br />

rotonda sul mare” di Fred Bongusto<br />

I juke boxe suonano “E’ l’uomo per<br />

me” e “Città vuota” di Mina. Le hit<br />

dell’estate sono “Sei diventata nera”<br />

dei Los Marcellos Ferial , “Con te<br />

sulla spiaggia” di Nico Fidenco e<br />

“Amore scusami” di John Foster, che<br />

infatti si classificano nelle prime tre<br />

posizioni a “Un disco per l’estate”,<br />

presentato dal casinò di Saint Vincent<br />

da Pippo Baudo. Le ragazze vanno<br />

Il sindaco<br />

DOZZA<br />

pazze per quattro (per l’epoca)<br />

“capelloni” di Liverpool che cantano<br />

“She loves you” cavalcando la moda<br />

Yéyé. Comincia la stagione del Beat,<br />

incarnata in Italia dal “casco d’oro”<br />

Caterina Caselli.<br />

Il numero di “Noi Donne” in edicola<br />

l’8 giugno si interroga sul tema “La<br />

parità è tutto?”. Intanto Mary Quant<br />

aveva tagliato gli orli e le ragazze<br />

sono libere di mostrare le gambe<br />

sotto minigonne destinate a diventare<br />

sempre più corte.<br />

A tingere di nero le cronache della<br />

dolce vita è il delitto Bebawi,<br />

avvenuto a Roma nel gennaio di<br />

quell’anno e destinato a rimanere<br />

uno dei più controversi e famosi<br />

casi giudiziari italiani. Al centro<br />

della vicenda due agiati coniugi<br />

egiziani residenti in Svizzera,<br />

16


che si accusano vicendevolmente<br />

dell’uccisione del giovane amante di<br />

lei, riuscendo alla fine a farla franca.<br />

Ma a Bologna risuona ancora l’eco<br />

del caso Nigrisoli, “il delitto del<br />

curaro”, avvenuto l’anno precedente<br />

nell’appartamento del figlio del<br />

proprietario dell’omonima clinica. La<br />

città è già spaccata in innocentisti e<br />

colpevolisti, in vista del processo che<br />

l’anno successivo si concluderà con<br />

la condanna all’ergastolo di Carlo<br />

Nigrisoli per l’uccisione della moglie<br />

Ombretta Caleffi.<br />

Al cinema esordisce Sergio Leone<br />

con “Per un pugno di dollari”, mentre<br />

Bernardo Bertolucci propone “Prima<br />

della rivoluzione” e il bolognese Pier<br />

Paolo Pasolini esce con “Il Vangelo<br />

secondo Matteo” mentre gira il<br />

documentario “Comizi d’amore”,<br />

nel quale intervista anche i giocatori<br />

della sua squadra del cuore.<br />

Gli italiani hanno ormai tutti la<br />

televisione e guardano “La biblioteca<br />

di studio uno” o lo stupefacente<br />

(per l’epoca) format della candid<br />

camera, importata dagli Stati Uniti<br />

quell’anno da Nanni Loy per la<br />

trasmissione “Specchio segreto”, con<br />

la celeberrima scena della zuppetta<br />

girata proprio in un bar di Bologna,<br />

tra gli sconcertati avventori nostrani.<br />

Ma a tenere inchiodati gli italiani<br />

sulle poltrone la domenica sera c’è<br />

“La cittadella”, sceneggiato televisivo<br />

di Anton Giulio Majano con uno<br />

strepitoso Alberto Lupo, trasmesso<br />

sul programma nazionale. Nei sabati<br />

d’autunno arriva invece “Il giornalino<br />

di Gian Burrasca” per la regia di<br />

Lina Wertmuller, con Rita Pavone<br />

nei panni del terribile ragazzino.<br />

Nel 1964 inizia anche la serie di<br />

grandissimo successo “Le inchieste<br />

del commissario Maigret”, con il<br />

bolognese Gino Cervi interprete<br />

perfetto dell’investigatore di<br />

Simenon. In quello stesso anno Cervi<br />

è protagonista, insieme a Fernandel,<br />

anche di un celebre carosello che<br />

pubblicizza la Vecchia Romagna<br />

etichetta nera, “il brandy che crea<br />

un’atmosfera” (prodotto dalla Buton,<br />

alle porte di Bologna). Per i bambini<br />

la trasmissione di punta è “Lo<br />

zecchino d’oro” con il Piccolo Coro<br />

dell’Antoniano di Bologna diretto da<br />

Mariele Ventre e la conduzione di<br />

Cino Tortorella nei panni di Mago<br />

Zurlì. Quell’anno vince “Il pulcino<br />

ballerino”, il disco dello Zecchino<br />

che ha venduto il maggior numero<br />

di copie.<br />

In libreria arrivano “La califfa” di<br />

Alberto Bevilacqua e “Le due città”<br />

di Mario Soldati, mentre il Premio<br />

Strega va a Giovanni Arpino per<br />

“L’ombra delle colline”, il Premio<br />

Viareggio a Giuseppe Berto per<br />

“Il male oscuro”, il Bancarella a<br />

Giulio Bedeschi per “Centomila<br />

gavette di ghiaccio”. Negli Stati<br />

Uniti il prestigioso premio Pulitzer<br />

va al giovane inviato di guerra<br />

David Halberstam, considerato<br />

la coscienza critica di un’intera<br />

generazione per i suoi servizi sul<br />

Vietnam in cui racconta gli orrori di<br />

quella guerra sbagliata, che proprio<br />

in quell’anno sotto la presidenza<br />

di Lyndon Johnson vede la sua<br />

intensificazione, e le manipolazioni<br />

nei confronti della stampa. Il Nobel<br />

per la Letteratura lo vince Jean Paul<br />

Sartre, lo scrittore e filosofo francese<br />

simbolo della ribellione dei giovani<br />

del dopoguerra, che però lo rifiuta<br />

perché non compatibile con quello<br />

che ritiene essere il ruolo politico<br />

dell’intellettuale.<br />

Il Nobel per la Pace va invece a un altro<br />

simbolo degli anni Sessanta, Martin<br />

Luther King, come riconoscimento<br />

per le sue lotte per i diritti civili,<br />

specie degli afroamericani.<br />

Contemporaneamente, quello stesso<br />

anno, viene arrestato e condannato<br />

all’ergastolo l’attivista sudafricano<br />

Nelson Mandela. Ne uscirà ventisette<br />

anni dopo e diventerà presidente del<br />

Sudafrica negli anni Novanta.<br />

Ma a Bologna tutti questi avvenimenti,<br />

anche per chi c’era, sono offuscati da<br />

quello che è rimasto finora un unicum<br />

nella storia della città. Sotto le torri<br />

il 1964 resta un anno leggendario<br />

soltanto per il motivo di cui leggete in<br />

queste pagine.<br />

17


Marconi Days<br />

Bologna e Sasso celebrano i 150 anni<br />

dalla nascita del Premio Nobel papà<br />

della comunicazioni senza fili. Dalla<br />

fiction in anteprima al Modernissimo<br />

al videomapping in Piazza Maggiore,<br />

in programma anche visite guidate ed<br />

escursioni<br />

I giorni del genio<br />

Testo di Glauco Guidastri<br />

Guglielmo Marconi compie 150 anni. Tanto è passato da quel<br />

lontano 25 aprile 1874, quando a Bologna nasceva l’uomo<br />

che avrebbe rivoluzionato il nostro modo di comunicare. Una<br />

rivoluzione partita proprio da Sasso Marconi: è sulle colline<br />

di Pontecchio che nel 1895 il giovane Marconi effettuò i<br />

primi, decisivi esperimenti di radiotelegrafia senza fili. La<br />

scintilla destinata a innescare un processo inarrestabile, che<br />

aprirà le porte all’era della moderna comunicazione.<br />

Per Bologna, e per il territorio dove Marconi è nato, questo<br />

anniversario rappresenta una straordinaria occasione per<br />

ricordare un grande uomo e le invenzioni che hanno<br />

cambiato il corso della storia. Per l’occasione si è costituito un<br />

Comitato che riunisce gli Enti locali e le Istituzioni impegnate<br />

a promuovere l’opera e la memoria dello scienziato:<br />

Regione Emilia-Romagna, Comune e Città metropolitana di<br />

Bologna, Comune di Sasso Marconi, Fondazione Marconi<br />

e Università. Tante realtà che lavoreranno insieme per<br />

celebrare Marconi attraverso una serie di eventi diffusi sul<br />

territorio metropolitano e capaci di coinvolgere cittadini,<br />

scuole e associazioni. Bologna, ad esempio, ospiterà negli<br />

spazi del rinnovato Cinema Modernissimo l’anteprima della<br />

serie tv dedicata a Marconi e prodotta da Rai Fiction, con<br />

Stefano Accorsi nei panni dell’inventore del wireless (la serie<br />

andrà poi in onda a maggio sulle reti Rai), mentre il 20 luglio<br />

un videomapping illuminerà Piazza Maggiore ripercorrendo<br />

le tappe delle scoperte marconiane con uno sfavillante show<br />

di luci e suoni. Anche la città di Sasso Marconi ha una parte<br />

importante nella definizione del programma di iniziative e<br />

attività che ci accompagnerà di qui ai primi mesi del 2025,<br />

fino al… 151° compleanno di Marconi.<br />

Sasso ha iniziato a celebrare Marconi già nel periodo<br />

natalizio, illuminando la città con una frase emblematica<br />

dello scienziato (“Le mie invenzioni sono per salvare<br />

l’umanità”) e coinvolgendo gli studenti delle scuole medie<br />

nella realizzazione di una serie di disegni ispirati alla figura<br />

di Nobel (i più belli verranno utilizzati per la produzione di<br />

cinque cartoline celebrative, tutti saranno esposti a Colle<br />

Ameno in occasione dei festeggiamenti del 150° previsti il 24<br />

aprile). Un lavoro preceduto dalla presentazione del podcast<br />

fantasy “La ragazza delle onde” realizzato dai ragazzi e dalle<br />

ragazze di Radioimmaginaria (la radio degli adolescenti, che<br />

nel 2017 ha vinto il Premio Città di Sasso Marconi “per il<br />

miglior progetto radiofonico”).<br />

Le celebrazioni entreranno nel vivo ad aprile con un’edizione<br />

Le visite guidate<br />

I PERCORSI MARCONIANI<br />

DIMORE STORICHE DELLE FAMIGLIE MARCONI<br />

E GHISILIERI<br />

Visita esterna a Villa Griffone, raccontando la vita dello<br />

scienziato Guglielmo Marconi ed alcuni aneddoti/curiosità<br />

sul più famoso cittadino di Sasso Marconi. Trasferimento a<br />

piedi al Borgo di Colle Ameno, dove si visiterà Villa Davia,<br />

l’Oratorio di Sant’Antonio da Padova e l’Aula della Memoria.<br />

SULLE ORME DI MARCONI<br />

Una passeggiata di circa 6 km alla scoperta dei luoghi<br />

in cui Guglielmo Marconi é cresciuto ed ha svolto i suoi<br />

primi esperimenti. Si partirà da Villa Griffone, antica villa di<br />

famiglia che si leva su campi e vigneti e sede del Museo a lui<br />

dedicato, passando per la famosa collina dei Celestini, luogo<br />

in cui fu captato il primo segnale di trasmissione telegrafica<br />

senza fili.<br />

LE VICENDE DELLA FAMIGLIA MARCONI<br />

TRA ALTO RENO TERME E SASSO MARCONI<br />

Una visita che si sviluppa su un’intera giornata, con la<br />

possibilità di abbinare il percorso delle dimore storiche alla<br />

visita del centro storico della cittadina termale che diede i<br />

natali a Giuseppe Marconi, padre di Guglielmo, con i suoi<br />

caratteristici murales. E’ possibile scegliere di effettuare<br />

entrambi i percorsi o solamente uno dei due. Durata effettiva<br />

della visita: 5 ore circa (2,5 a Sasso Marconi + 2,5 a Porretta<br />

Terme), tempi di trasferimento esclusi e a proprio carico.<br />

Le visite si tengono da aprile a maggio<br />

e sono a pagamento, per info e prenotazioni:<br />

Marconi Days 2024 - speciale 150 anni<br />

dalla nascita di Guglielmo Marconi<br />

40037 Sasso Marconi - + 39 051 6758409<br />

info@infosasso.it | www.marconidays.it<br />

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IL PROGRAMMA<br />

SABATO 6 APRILE<br />

Ore 16 - Borgo di Colle Ameno, Salone delle Decorazioni<br />

Comunicare oggi: una sfida aperta, un esercizio di<br />

responsabilità. Intervista e consegna del Premio “Città di<br />

Sasso Marconi” al Cardinale Matteo Maria Zuppi<br />

speciale dei Marconi Days, la rassegna che il Comune di<br />

Sasso organizza dal 2004 per approfondire un tema dalle<br />

tante sfaccettature come quello della comunicazione<br />

attraverso appuntamenti istituzionali, workshop, talk e<br />

convegni e la consegna del Premio “Città di Sasso Marconi”<br />

ai comunicatori contemporanei. Una rassegna che nel tempo<br />

è cresciuta e si è consolidata grazie alle sinergie attivate<br />

con realtà come l’Ordine dei Giornalisti, la Federazione<br />

Nazionale della Stampa, il Premio Roberto Morrione, e alle<br />

testimonianze offerte da personalità del calibro di Enzo Biagi,<br />

Piero Angela, Bruno Bozzetto, don Luigi Ciotti, Lilli Gruber,<br />

Milena Gabanelli, Enrico Mentana, Marco Presta, Diego<br />

Bianchi, Alessandro Bergonzoni e Federico Taddia (sono<br />

alcuni dei comunicatori premiati in questi vent’anni), che<br />

hanno consentito di realizzare qualificati momenti di incontro<br />

e dibattito, utili a stimolare la riflessione sulle potenzialità<br />

legate a un uso corretto dei media e ragionare sull’evoluzione<br />

di tecnologie e linguaggi della comunicazione.<br />

Tra i tanti eventi ci sarà una mostra dedicata alla relazione<br />

tra Marconi e il territorio che sarà allestita presso la sede<br />

dell’Assemblea Legislativa regionale e poi al borgo di Colle<br />

Ameno; ci sarà uno spettacolo ispirato all’infanzia del Genio,<br />

portato in scena dagli studenti dell’Istituto Comprensivo di<br />

Borgonuovo. Si parlerà di comunicazione con il Cardinale<br />

Matteo Maria Zuppi, che il 6 aprile dialogherà con Luca<br />

Bottura sul significato e sul valore della comunicazione<br />

nella società contemporanea, ricevendo dal sindaco Roberto<br />

Parmeggiani il Premio “Città di Sasso Marconi” per il suo<br />

lavoro improntato a un uso responsabile della comunicazione<br />

e per il prezioso impegno a difesa della pace.<br />

Il 24 aprile verranno premiate le associazioni locali e si<br />

festeggeranno i 150 anni del Genio assieme alla Principessa<br />

Elettra Marconi, figlia dello scienziato cui lo scorso anno<br />

sono state consegnate le chiavi della città di Sasso Marconi.<br />

Ad arricchire il calendario, gli eventi in programma a Villa<br />

Griffone le Giornate marconiane promosse da Pro Loco<br />

Sasso Marconi a Villa Achillini e curati dalla Fondazione<br />

Marconi: il “week-end a Casa Marconi” del 20/21 aprile<br />

(con porte aperte al Museo Marconi, spettacoli e laboratori<br />

ludico/scientifici per bambini) e la Giornata di Marconi del<br />

25 aprile, cui interverranno Anne L’Huillier, Premio Nobel<br />

per la Fisica 2023, e l’astrofisico della NASA Mark Clampin.<br />

Altre iniziative verranno definite nelle prossime settimane<br />

e proposte in calendario nella seconda parte dell’anno e<br />

durante il prossimo inverno.<br />

Per restare aggiornati:<br />

www.comune.sassomarconi.bologna.it<br />

infoSASSO |051 6758409 | info@infosasso.it<br />

DOMENICA 14 APRILE<br />

Ore 21 - Borgo di Colle Ameno, Salone delle Decorazioni<br />

Concerto cameristico dedicato a Guglielmo Marconi<br />

con la partecipazione dei solisti della Filarmonica del<br />

Teatro comunale di Bologna. Musiche di Schubert e<br />

Beethoven a cura del Trio d’Archi formato da Giacomo<br />

Scarponi (violino), Alessandro Savio (viola) e Mattia Cipolli<br />

(violoncello). Ingresso gratuito.<br />

SABATO 20 - DOMENICA 21 APRILE<br />

Week-end a Casa Marconi - Visite guidate al Museo<br />

Marconi a Villa Grifone (Pontecchio), laboratori ludico/<br />

scientifici per ragazzi, spettacolo “Marconi, doppia<br />

frequenza” (di Mario Giorgi). A cura della Fondazione<br />

Marconi<br />

Giornate marconiane presso Villa Achillini<br />

Visite guidate a Villa Achillini e all’Oratorio di S. Apollonia,<br />

incontri culturali con degustazione dei “GuglielMini” (i<br />

biscotti creati dalla chef stellata Aurora Mazzucchelli),<br />

mostra di antichi apparecchi radio, presentazione della<br />

graphic novel “Guglielmo Marconi. Il ragazzo che fece<br />

parlare il mondo”, omaggio musicale a Marconi della<br />

soprano Paola Matarrese. A cura di Pro Loco Sasso<br />

Marconi<br />

MARTEDÌ 23 APRILE<br />

Ore 20.30 - Teatro comunale di Sasso Marconi<br />

“Guglielmo Marconi, il sogno di un bambino”- Spettacolo<br />

teatrale ispirato all’infanzia di Guglielmo Marconi, con gli<br />

studenti dell’Istituto Comprensivo di Borgonuovo. A cura di<br />

MOMI Show. Ingresso gratuito<br />

MERCOLEDÌ 24 APRILE<br />

Dalle 17.30 - Borgo di Colle Ameno, Villa Davia/Salone<br />

delle Decorazioni<br />

“Buon compleanno, Guglielmo!” - Pomeriggio di festa<br />

dedicato a Guglielmo Marconi per il suo 150° compleanno.<br />

Dalle 17.30: inaugurazione della mostra fotografica<br />

“Sasso Marconi, la città di Guglielmo”, premiazione delle<br />

associazioni locali impegnate a promuovere la memoria di<br />

Marconi, interventi musicali dell’Orchestra Onda Marconi,<br />

mostra con i disegni realizzati dagli studenti delle scuole<br />

medie, apericena con dj set e torta finale.<br />

GIOVEDÌ 25 APRILE<br />

Dalle 10.30 - Villa Griffone, Pontecchio Marconi<br />

Giornata di Marconi nel 150° della nascita - S. Messa<br />

celebrata dal Cardinale Matteo Maria Zuppi presso il<br />

Mausoleo Marconi, conferenza scientifica con Anne<br />

L’Huillier, Premio Nobel per la Fisica 2023, e Mark Clampin,<br />

astrofisico NASA. Consegna del Premio Marconi per la<br />

Creatività 2024 alla presenza della Principessa Elettra<br />

Marconi. A cura della Fondazione Marconi<br />

Info e dettagli : fondazioneguglielmomarconi.it<br />

19


INSERZIONE PUBBLICITARIA<br />

I cammini come volano<br />

di sviluppo turistico dell’Appennino<br />

Lungo la Via degli Dei e la Via della Lana e della Seta, nuove strutture aprono e altre risorgono a nuova<br />

vita! I cammini si confermano uno stimolo per chi ama sviluppare nuovi progetti di ospitalità. Vediamo<br />

come si sta evolvendo il turismo nel versante emiliano.<br />

Oggi vi facciamo fare un bel tour tra<br />

quelle strutture che, lungo le principali<br />

vie di trekking che attraversano<br />

l’Appennino e uniscono l’Emilia-Romagna<br />

alla Toscana, hanno trovato<br />

nuova vita o sono nate dallo stimolo<br />

turistico dei Cammini. Un successo<br />

che certamente è legato alla bellezza<br />

dei territori attraversati dai due percorsi<br />

principali che partono da Bologna:<br />

la Via degli Dei per raggiungere<br />

Firenze e la Via della Lana e della<br />

Seta, per arrivare a Prato. È bene ricordare<br />

che la fama di ogni cammino<br />

si alimenta anche della struttura organizzativa<br />

in cui il camminatore non<br />

è un turista qualsiasi, ma un viaggiatore<br />

che ama essere accolto con<br />

calore e che ha bisogno di servizi e<br />

ospitalità su misura.<br />

Ecco allora che tante persone hanno<br />

deciso di ristrutturare le loro case<br />

o di aprire nuove strutture a questi<br />

viaggiatori e ci raccontano storie di<br />

incontri speciali e di amicizie nate<br />

lungo la via. Anche strutture più<br />

tradizionali abituati ad un turismo<br />

di villeggiatura si sono rinnovate ad<br />

un’accoglienza meno stagionale e più<br />

rivolta alla persona, adeguando i servizi<br />

offerti.<br />

Albergo Ristorante Musolesi<br />

B&B Romani<br />

Alberto Ristorante Poli<br />

Cominciamo ad andare a ritrovare<br />

quei luoghi dal sapore di un tempo,<br />

come l’Hotel Musolesi a Madonna dei<br />

Fornelli o il B&B della famiglia Romani<br />

che esercita l'attività da generazioni.<br />

Anche l’Hotel Poli a Madonna<br />

dei Fornelli è un’istituzione, grazie a<br />

Michele Brizzi che accoglie il camminatore<br />

con esperienza e passione.<br />

Alberghi da sempre meta di turismo,<br />

che sono riusciti a venire incontro alle<br />

esigenze moderne, offrendo servizi<br />

preziosi per ciclisti e camminatori,<br />

come il rimessaggio bici con attrezzi<br />

per piccole riparazioni, e servizio<br />

ristoro aperto tutto l’anno, per degustare<br />

le specialità tosco-emiliane.<br />

Albergo Ristorante Musolesi<br />

Piazza Madonna della Neve 4<br />

Madonna dei Fornelli<br />

Tel. 0534 94156<br />

Mail: musolesihotel@libero.it<br />

https://www.viadeglidei.it/madonna-dei-fornelli/albergo-ristorante-musolesi<br />

B&B Romani<br />

Piazza Madonna della Neve 13<br />

Madonna dei Fornelli<br />

Tel. 327 7763868<br />

Mail: bebromani@libero.it<br />

https://www.viadeglidei.it/madonna-dei-fornelli/bb-romani<br />

Albergo Ristorante Poli<br />

Piazza Madonna della Neve 5/B - Madonna<br />

dei Fornelli<br />

Tel. 0534 94114 Mail: info@albergoristorantepoli.it<br />

https://www.viadeglidei.it/madonna-dei-fornelli/albergo-ristorante-poli<br />

Sia a Madonna dei Fornelli che a<br />

Monzuno, ecco che sono sorti tanti<br />

piccoli B&B o Affittacamere che<br />

hanno colto l’occasione della richiesta<br />

crescente sulla Via degli Dei, per<br />

cominciare una nuova attività, per<br />

ristrutturare una casa di famiglia o<br />

per trasferirsi fuori città. Troviamo<br />

strutture aperte dagli stessi camminatori,<br />

appassionati di trekking o<br />

mountain bike, che hanno deciso di<br />

trasformare le loro passioni in nuove<br />

possiblità professionali.<br />

B&B Domus degli Dei<br />

Nel 2018 Maria Teresa ha deciso di<br />

mettere a frutto la sua esperienza di<br />

viaggi in moto e di crearsi un lavoro<br />

che rispecchiasse il suo spirito libero.<br />

Aprendo il B&B Domus degli Dei,<br />

ha cercato di rispettare le esigenze<br />

del suo modo di viaggiare, al di fuori<br />

degli schemi tradizionali, per offrire<br />

ai camminatori quel lato umano e<br />

non consumistico che spesso viene a<br />

mancare. A vedere le foto soddisfatte<br />

dei suoi ospiti che la abbracciano,<br />

sembra proprio che ci sia riuscita!<br />

B&B Domus degli Dei<br />

Via Capezzale 3<br />

40036 Monzuno (Bo)<br />

20


Tel. 340 552 3396<br />

Mail: info@domusdeglidei.it<br />

www.viadeglidei.it/monzuno/bb-domus-degli-dei<br />

B&B Numero 11<br />

Romina ha messo a frutto la sua trentennale<br />

esperienza per aprire il B&B<br />

Numero 11 e trasferirsi a Madonna dei<br />

Fornelli, realizzando il suo amore per<br />

il paese e i suoi paesaggi; ama stare<br />

con le persone e ascoltare le loro storie.<br />

Dice che l'ispirazione sia arrivata<br />

proprio dal numero 11 (civico della sua<br />

struttura) che per lei ha un significato<br />

simbolico legato ai Tarocchi, numero<br />

di buon auspicio, perché rappresenta<br />

l’azione e la forza di volontà.<br />

B&B Numero 11<br />

Via Bologna 11<br />

Madonna dei Fornelli - San Benedetto<br />

V. di S. (Bo)<br />

Tel. 3287<strong>61</strong>3362<br />

Mail: rominik73@gmail.com<br />

www.viadeglidei.it/madonna-dei-fornelli/bed-and-breakfast--n-11<br />

B&B Il Molinello<br />

Laura e Riccardo nel 2021 hanno acquistato<br />

un vecchio mulino in mezzo<br />

al bosco con l'intenzione di ristrutturarlo<br />

per trasformarlo nella loro nuova<br />

casa, progettando da subito una<br />

parte dedicata all'accoglienza. Si<br />

erano conosciuti durante un trekking<br />

di alcuni giorni e hanno condiviso subito<br />

il desiderio di trovare una casa<br />

immersa nella natura.<br />

Ci sono voluti due anni di ricerca,<br />

ma quando hanno trovato questa<br />

struttura, hanno guardato "oltre" le<br />

sue condizioni e visto il potenziale di<br />

un luogo speciale. Nasce così, dopo<br />

tanti sacrifici, il B&B Il Molinello e<br />

oggi Laura, musicista classica, è entusiasta<br />

di questa esperienza che ha<br />

cambiato almeno in parte la sua vita<br />

e il suo sguardo sulle cose.<br />

B&B Il Molinello<br />

Località Molinello 58 - Monzuno<br />

Tel. 3939150528<br />

Mail: ilmolinello.58@gmail.com<br />

www.viadeglidei.it/monzuno/<br />

bb-il-molinello<br />

Da Lea<br />

“Lea è il semplice nome della nonna,<br />

quella nell’immaginario di tutti e la<br />

mia si chiamava Lea”, ci spiega Enrico<br />

quando parla della storia della piccola<br />

struttura in legno che ha aperto<br />

a Monzuno nel 2019: lo chalet Da Lea.<br />

Ha creduto da sempre nell’Appennino<br />

e nella Via degli Dei, e per questo ha<br />

voluto dedicare a questo cammino la<br />

sua struttura immersa nel bosco, in<br />

una zona che lui definisce “magica”,<br />

sotto il Monte Adone. Impegnandosi<br />

con semplicità e ospitalità informale<br />

e con l’aiuto di Simone e Luca, riesce<br />

ad aprire tutto l'anno.<br />

Da Lea<br />

Via Canalecchio 4 - Brento - Monzuno<br />

Tel. 3494917168<br />

Mail: enrico.tonelli80@gmail.com<br />

www.viadeglidei.it/brento/da-lea<br />

B&B L’Angolo in Belvedere<br />

Subito dopo il periodo del Covid, nel<br />

settembre del 2022, Clelia ha potuto<br />

finalmente aprire la sua struttura a<br />

Monzuno: il B&B L’Angolo in Belvedere.<br />

La sua più grande soddisfazione<br />

è conoscere persone di diversi<br />

luoghi che contribuiscono alla vita<br />

sostenibile, che hanno voglia di conoscere<br />

il nostro territorio. Lo fanno<br />

scegliendo di percorrere la Via degli<br />

Dei a piedi o in bici e per chi decide<br />

quest'ultima modalità, il B&B mette<br />

a disposizione il garage come parcheggio<br />

coperto per le biciclette.<br />

B&B L’Angolo in Belvedere<br />

Via Belvedere 13/1 - Monzuno<br />

Tel. 3332204656<br />

Mail: davalosclelia@gmail.com<br />

www.viadeglidei.it/monzuno/bb-an-<br />

golo-in-belvedere-<br />

B&B Artemilland<br />

Passando sulla Via della Lana e della<br />

Seta, anche lungo il percorso che<br />

unisce Bologna a Prato, si trovano<br />

alcune strutture tradizionali in cui<br />

il camminatore può sostare in un<br />

albergo, soprattutto nei paesi principali<br />

come Castiglione dei Pepoli e<br />

Montepiano, dove stanno nascendo<br />

nuove realtà turistiche.<br />

A Camugnano, se la sosta è al B&B<br />

Artemilland, si ha la possibilità di conoscere<br />

il progetto di una giovane famiglia<br />

trasferitasi dalla pianura e che<br />

ha trovato in questa piccola borgata<br />

il suo nido. Con l’apertura di realtà legate<br />

al turismo sostenibile che integrano<br />

l'ecocamping, aggiungono un<br />

tassello al loro progetto familiare di<br />

sostegno ad una vita a basso impatto<br />

ambientale, insieme al loro brand artigianale<br />

“Soffio di Scilla”:abiti sartoriali<br />

su misura per i più piccoli in cui<br />

le parole d’ordine sono sostenibilità,<br />

etica e consapevolezza.<br />

B&B Artemilland<br />

Località La Lastra 88<br />

40032 Camugnano (BO)<br />

Tel. 349 652 6091<br />

Mail: artemilland88@gmail.com<br />

www.viadellalanaedellaseta.com/camugnano-bb-artemilland<br />

B&B Tana delle Fate<br />

A Camugnano, si trova anche il B&B<br />

La Tana della Fate, dove Francesca<br />

e Giovanni hanno deciso di trasferirsi<br />

da due anni, dopo una lunga esperienza<br />

di vita a Castiglione dei Pepoli.<br />

A loro piace vivere circondati dai<br />

boschi e una volta ceduta l’attività,<br />

possono dedicarsi a tempo pieno al<br />

B&B curandolo nei dettagli. Nel primo<br />

anno hanno ottenuto ottime recensioni,<br />

d’altronde il loro posto è veramente<br />

strategico, trovandosi vicino<br />

al bacino del Brasimone, con un grande<br />

parco dove si può fare colazione<br />

ascoltando il bramito del cervo!<br />

B&B Tana delle Fate<br />

Località Case Roncacce, 101/AB<br />

Camugnano (BO)<br />

Tel. 333 178 7766<br />

Mail: bb.tanadellefate@gmail.com<br />

21


IN GIRO CON APPENNINOSLOW<br />

Le anime del cammino tra Bologna e Prato tra acqua,<br />

natura e storia: 130 chilometri dalla Chiusa di Casalecchio<br />

al Cavalciotto del Bisenzio passando da Monte Sole<br />

La Via della Lana<br />

e della Seta<br />

Testi di Nadia Berti<br />

Acqua, natura e storia: sono tre le parole<br />

chiave per scoprire le tre anime dei 130 km<br />

della Via della Lana e della Seta, il cammino<br />

che unisce Bologna e Prato.<br />

Se avete deciso di percorrere la Via della<br />

Lana e della Seta, il vostro viaggio inizia e<br />

termina proprio in due famose infrastrutture<br />

idrauliche che ancora oggi conservano la<br />

loro funzione tecnica e tutto il fascino dello<br />

scorrere impetuoso delle acque “domate”<br />

dall’uomo: la Chiusa di Casalecchio sul<br />

Reno a Bologna e il Cavalciotto del Bisenzio<br />

a Prato.<br />

Iniziamo allora dall’anima più originale di<br />

questa Via, quella che le ha dato il nome:<br />

il legame idrico-industriale che lega le due<br />

città capolinea, Bologna e Prato. Che cosa<br />

unisce infatti queste due importanti città?<br />

Proprio il loro rapporto ingegnoso con<br />

la risorsa naturale più preziosa: l’acqua.<br />

Menti lungimiranti di ingegneri e architetti<br />

medievali, già nel XII secolo erano riuscite a<br />

trasformare un bene naturale in forza motrice<br />

industriale. L’industria della Seta a Bologna<br />

e della Lana a Prato devono tutto alla forza<br />

di queste acque che trovate sulla vostra<br />

via, acque ben incanalate che riuscivano<br />

a far muovere opifici idraulici, muline e<br />

gualchiere per i laboratori artigianali e per<br />

le industrie del tessile, fino ai giorni d’oggi.<br />

Seguendo il percorso della Via della Lana<br />

e della Seta, a Bologna potrete superare il<br />

fosso scolmatore e da qui salire sui ruderi<br />

dell’antica Chiusa del XIV secolo. Da questa<br />

posizione panoramica si ammira quest’opera<br />

grandiosa e affascinante che tuttora ha<br />

un ruolo fondamentale nella raccolta e<br />

nel deflusso delle acque meteoriche che<br />

scendono dai colli. L’Appennino, meno di<br />

un anno fa, ha provato sulla propria pelle di<br />

che portata possano essere i danni causati<br />

dalle piogge straordinarie, ma Bologna li ha<br />

contenuti grazie proprio a questa preziosa<br />

struttura.<br />

Si lasciano quindi i tranquilli e addomesticati<br />

canali di Bologna, per entrare nel Parco della<br />

Chiusa e poi costeggiare il tratto iniziale della<br />

Chiusa, con il primo spumeggiante flusso di<br />

acque che scende dal boccaccio ed entra<br />

nel canale costruito ad una quota superiore<br />

a quella del fiume. Un gioco di acque che<br />

poi ritroveremo anche a Prato, in località<br />

Santa Lucia, di fronte ad una struttura simile,<br />

il Cavalciotto, meno complessa e articolata,<br />

ma con le stesse funzioni svolte in passato<br />

dalla Chiusa. Anche da qui si trasportano<br />

in città le acque del fiume Bisenzio per<br />

alimentare gualchiere e mulini, regolare il<br />

flusso delle acque. Non possiamo che restare<br />

ammirati di fronte a queste opere idrauliche<br />

complesse, tra le più antiche d’Europa, che<br />

continuano a svolgere la loro funzione dopo<br />

più di novecento anni.<br />

Ma vediamo adesso che cosa troviamo<br />

tra le due città e andiamo a scoprire la<br />

seconda anima della Via della Lana e della<br />

Seta, la quale viene definita un cammino<br />

“selvaggio”. Dovete sapere infatti che per<br />

la quasi totalità delle cinque tappe, per<br />

oltre 100 km, si cammina in luoghi ancora<br />

selvaggi, con intere giornate trascorse<br />

nella natura incontaminata. Si attraversano<br />

castagneti e abetaie, pascoli e crinali, con<br />

paesaggi mozzafiato e magnifiche viste in<br />

tutte le stagioni, con una ricca varietà di flora<br />

e fauna.<br />

Se siete in cammino nei mesi di settembre e<br />

ottobre, potete avere la fortuna di udire “il re<br />

dei boschi”. Per i cervi è l’autunno la stagione<br />

degli amori e in questo periodo dell’anno<br />

intonano, come un’orchestra naturale, il loro<br />

canto d’amore per conquistare le femmine:<br />

è il bramito dei cervi. Potreste anche udire<br />

rumori che ricordano uno sbattere di spade…<br />

niente panico, sono sempre loro, i maschi<br />

cervi contendenti che passano allo scontro<br />

fisico, corna contro corna, palco contro<br />

palco. Non si fa mai facilmente avvistare, un<br />

cervo adulto, ma in autunno si farà sentire!<br />

La primavera è invece la stagione migliore<br />

per attraversare il massiccio della Calvana,<br />

nella penultima tappa, un territorio selvaggio,<br />

22


aspro, roccioso e carsico che a ogni passo<br />

regala emozioni e sorprese, che ci regala<br />

lo spettacolo dei suoi prati in fiore, veri e<br />

propri “tappeti di verzura e spianate vestite<br />

di fiorellini alpestri”. Oltre alla straordinaria<br />

fioritura di narcisi, crocus e gigli, negli<br />

habitat protetti della Calvana si possono<br />

scoprire più di sessanta specie di orchidee,<br />

in un’esplosione di colori e profumi.<br />

Ma non preoccupatevi se percorrete questo<br />

crinale in periodi più caldi o più freddi:<br />

durante tutto l’anno si può godere dello<br />

spettacolo più sorprendente di tutta la Via: i<br />

famosi cavalli selvaggi e i bianchi mantelli<br />

della “Calvana”. Branchi di cavalli e di bovini<br />

autoctoni vivono liberi su questi pianori<br />

erbosi, ancora allo stato brado facendoci<br />

balzare indietro nel tempo, come se la civiltà<br />

ancora non fosse iniziata. Sotto l’occhio<br />

vigile dei capobranco, si può assistere alle<br />

veloci galoppate di giovani puledri o al<br />

branco che si abbevera nelle acque di una<br />

dolina.<br />

Se poi siete appassionati di birdwatching<br />

non sarete delusi: negli habitat protetti della<br />

Calvana sono numerosi gli uccelli, rapaci e<br />

passeriformi legati ad ambienti di prateria,<br />

come il falco pecchiaiolo, il biancone, il<br />

gheppio e il falco pellegrino.<br />

Per scoprire invece la terza anima della<br />

Via, quella più storica e riflessiva, occorre<br />

soffermarsi in quei luoghi che, lungo la Linea<br />

Gotica, testimoniano di atroci episodi che<br />

fanno parte della nostra storia recente. Storie<br />

che smuovono a commozione soprattutto se<br />

chi le racconta le ha apprese direttamente<br />

da nonni e genitori o dai sopravvissuti. Un<br />

esempio per tutti, è il paese di Nuvoleto,<br />

totalmente distrutto durante la guerra, ma<br />

dove, dalla fine degli anni ‘70, un membro<br />

della famiglia Celati ha intrapreso la<br />

ricostruzione. Adesso Nuvoleto è un’oasi<br />

di pace in cui accogliere e raccontare, nel<br />

segno della più pura ospitalità, non solo<br />

il dolore e la disperazione, ma anche la<br />

capacità di elaborare il lutto e di riacquistare<br />

la forza per tornare a vivere.<br />

Nuvoleto e il vicino Borgo di San Martino,<br />

sono solo alcune delle tante località che nel<br />

settembre del 1944 furono oggetto della<br />

violenza tedesca. Quando salite a Monte<br />

Sole incontrate il monumento dedicato al<br />

“Lupo” e ai partigiani della Stella Rossa. Uno<br />

sguardo al panorama sulle valli del Reno e<br />

del Setta e sul massiccio del Monte Salvaro<br />

vi farà capire subito l’importanza che per i<br />

tedeschi doveva avere il controllo di questi<br />

monti. Su queste alture si è consumata la<br />

strage più efferata e più grande compiuta<br />

dalle SS naziste in Europa, attorno a Monte<br />

Sole, nei territori di Marzabotto, Grizzana<br />

Morandi e Monzuno, comunemente nota<br />

come la “strage di Marzabotto”. Proprio<br />

dove è il Memoriale su cui si leggono i<br />

principali luoghi della strage e il numero<br />

delle vittime, oggi si ritrovano tanti giovani,<br />

ogni 25 aprile, con una cerimonia che<br />

prosegue fino a notte, nel prato davanti al<br />

Centro Visita il Poggiolo, trasformandosi<br />

in una festa dei giovani, con un numero<br />

impressionante di partecipanti. Sono tanti<br />

i giovani che percorrono la Via della Lana<br />

e della Seta o che frequentano i laboratori<br />

della Scuola di Pace di Montesole: sport<br />

e natura si uniscono così a coscienza e<br />

conoscenza.<br />

Quando si arriva alla meta finale di un<br />

cammino, non si è mai gli stessi di quando<br />

si è partiti. Per la Via della Lana e della Seta<br />

questo è ancora più vero, un cammino<br />

che ci rimane dentro, che ci ha fatto<br />

sorprendere, commuovere, riflettere.<br />

TURISMO<br />

INDUSTRIALE<br />

Se questo tema vi appassiona<br />

dovete prendervi il tempo di<br />

visitare agli estremi del cammino<br />

i due musei dedicati alla storia<br />

economica delle due città,<br />

entrambi in edifici di recupero<br />

industriale, alta testimonianza<br />

di archeologia industriale. A<br />

Bologna il Museo del Patrimonio<br />

Industriale (www.museibologna.<br />

it/patrimonioindustriale)<br />

dove potete trovare modelli<br />

funzionanti di grande<br />

dimensione degli apparati<br />

produttivi dell’antico setificio<br />

dei secoli XIV-XVIII. A Prato<br />

il Museo del Tessuto (https://<br />

www.museodeltessuto.it/), il<br />

più grande centro culturale<br />

italiano dedicato all’arte e alla<br />

produzione tessile antica e<br />

contemporanea, oggi ospitato<br />

nella ex fabbrica Campolmi. Il<br />

Comune di Prato ha dedicato<br />

una sezione del suo portale<br />

turistico proprio al turismo<br />

industriale.<br />

Per info:<br />

www.pratoturismo.it<br />

PARCO<br />

DELLA CHIUSA<br />

Noto ai più come Parco Talon,<br />

è un luogo di grande bellezza<br />

e di qualità ambientale ma<br />

ancora poco conosciuto in tutta<br />

la sua complessità anche se<br />

in tanti, da tutta la regione, lo<br />

hanno visitato con motivazioni<br />

diverse. Dal 2006 il territorio<br />

di 110 ettari del Parco è<br />

stato incluso nel SIC, Sito di<br />

Importanza Comunitario - ZPS,<br />

Zona di Protezione Speciale<br />

denominato “Boschi di San<br />

Luca e del Reno” (IT4050029).<br />

L’importanza dell’area risiede in<br />

particolare nella conformazione<br />

e ubicazione del sito: si tratta di<br />

un corridoio ecologico sia per<br />

gli uccelli che per le specie a<br />

locomozione terrestre. Per info:<br />

www.parcodellachiusa.it/<br />

23


IN GIRO CON APPENNINOSLOW<br />

Da Prato a Fucecchio in quattro tappe (o<br />

con percorsi ad anello) tra uliveti e vigneti<br />

alla scoperta delle testimonianze lasciate<br />

dalla famiglia Medici tra ville e cascine<br />

inserite nel Patrimonio UNESCO<br />

La Via Medicea<br />

A cura di AppenninoSlow<br />

Un nuovo cammino in Toscana, da Prato a Fucecchio attraverso<br />

l’area naturalistica del Montalbano e le due grandi pianure<br />

distese ai suoi piedi. Un itinerario che si snoda attraverso sette<br />

comuni e tre province, lontano dalle grandi città, in un luogo<br />

ancora non influenzato dai grandi flussi turistici, che conduce<br />

alla scoperta di luoghi ancora intimi, legati alle tradizioni di un<br />

territorio ancora tutto da scoprire. Un percorso suggestivo che<br />

unisce l’esplorazione all’emozione, un cammino adatto anche<br />

alle famiglie e a tutti coloro che vorranno riscoprire le bellezze<br />

paesaggistiche e culturali, ma anche enogastronomiche, di cui<br />

questo territorio è ricco. Questo itinerario permette di conoscere<br />

a passo lento la zona del Montalbano, un armonico paesaggio<br />

puntellato di uliveti e vigneti, alla scoperta delle testimonianze<br />

lasciate dalla famiglia Medici con le Cascine Medicee di Prato,<br />

le Ville Medicee – inserite nel Patrimonio UNESCO – di Poggio a<br />

Caiano, di Artimino, di Quarrata e di Cerreto Guidi, i numerosi<br />

musei, il Barco Mediceo di Bonistallo e quello Reale. Non<br />

solo luoghi medicei, la Via attraversa il territorio di Vinci, dove<br />

sorge il Museo Leonardiano e la vicina località di Anchiano,<br />

luogo che ha dato i natali al genio di Leonardo e dove sorge la<br />

Casa Natale. Numerose sono anche le aziende vitivinicole che<br />

sorgono nelle vicinanze della Via, da cui nascono vini storici<br />

come il Carmignano, prima DOC al mondo, istituita proprio<br />

dal Granduca Cosimo III de’ Medici nel 1716. I Medici fanno<br />

la loro comparsa in questo territorio nella seconda metà del<br />

‘400, iniziando una lenta acquisizione di terreni nell’area di<br />

Poggio a Caiano in quella dove ora sorge il Parco delle Cascine<br />

di Tavola, luogo dove oggi comincia il cammino. La conquista di<br />

queste terre fu così rapida che già verso la fine del Quattrocento<br />

il casato dei Medici detiene il dominio politico, economico e<br />

territoriale del versante settentrionale del Montalbano.<br />

Le Tappe<br />

La prima tappa della Via Medicea è un susseguirsi di borghi<br />

storici, aree boschive diventate riserve di caccia, uliveti e<br />

vigneti. Qui si trovano ben tre gioielli storico-architettonici e<br />

paesaggistici dell’intero percorso – le Cascine Medicee, un<br />

modello di produzione agricola d’avanguardia, la Villa medicea<br />

di Poggio a Caiano, ispirata al manierismo fiorentino e sede del<br />

Museo della Natura Morta e la Villa medicea “La Ferdinanda”,<br />

anticipatrice della cultura artistica del ‘600 ad Artimino, due<br />

ville entrambe patrimonio UNESCO e simbolo di magnificenza<br />

e dominio della casata.<br />

La seconda tappa si sviluppa sulle colline e sul crinale del<br />

Montalbano, attraverso un’area boschiva che risale al Medioevo.<br />

In questo tratto della Via si può notare il netto distacco tra il<br />

paesaggio costruito dall’uomo e la natura, nelle aree più<br />

accessibili si sono concentrati i segni e gli interventi apportati<br />

dai Medici con le loro ville-fattorie, con l’avvio di un’agricoltura<br />

di qualità, come la produzione vinicola, la riserva di caccia<br />

del Barco reale, simbolo di un’epoca che accomunava le corti<br />

dell’intera l’Europa.<br />

Lungo l’itinerario si notano anche testimonianze di altre epoche,<br />

024


2531<br />

La Via Medicea<br />

Pisa, la prima costruita a metà Ottocento nel Granducato di<br />

Toscana, di cui si possono notare alcuni resti ancora presenti.<br />

Qui, nel borgo di Montelupo Fiorentino è possibile visitare (per<br />

ora solo all’esterno) un’altra delle ville costruite dai Medici,<br />

l’Ambrogiana.<br />

dall’Antichità al Medioevo, che ancora oggi contraddistinguono<br />

la parte alta del Montalbano, come gli insediamenti etruschi, le<br />

chiese e le abbazie.<br />

La terza tappa procede tra i boschi sul crinale del Montalbano,<br />

con alcuni scorci sul Valdarno in cui è sempre visibile l’impronta<br />

dell’uomo con testimonianze risalenti al Medioevo. Inizia<br />

poi la discesa tra i campi coltivati sul versante meridionale,<br />

che regala una vista panoramica dal monte Serra, alle Apuane<br />

e all’Appennino pistoiese. Infine, i mulini, che punteggiano<br />

i numerosi corsi d’acqua che scendono dalla parte alta del<br />

monte, testimoniano l’utilizzo da parte dell’uomo dell’energia<br />

idraulica. La città di Vinci ed il genio ingegneristico di Leonardo<br />

costituiscono l’emblema di questa tappa.<br />

La quarta tappa si snoda attraverso un paesaggio collinare<br />

tipicamente toscano, morbido e sinuoso in direzione di Fucecchio,<br />

dove si collega con la Via Francigena. Una tappa immersi in<br />

un autentico giardino, così definito dai viaggiatori stranieri dei<br />

gran tour nel corso del ‘700 e dell’800, un paesaggio che fa<br />

capolino nelle opere d’arte e nei paesaggi riprodotti da Leonardo<br />

Da Vinci nei suoi quadri. In questa tappa si incontrano la terza<br />

Villa Medicea, quella di Cerreto Guidi, anch’essa patrimonio<br />

UNESCO, e uno dei pochissimi ambienti palustri italiani, il<br />

Padule di Fucecchio – qui Cosimo I de’ Medici commissionò agli<br />

scienziati idraulici la sistemazione idrica del lago per farne un<br />

vasto bacino riservato alla pesca.<br />

Come scoprirla?<br />

La Via Medicea è un viaggio nel tempo, un percorso che conduce<br />

alla scoperta di un territorio e della sua genesi attraverso uno<br />

sviluppo plurisecolare, in cui la modernità di una delle famiglie<br />

più potenti dell’epoca ha modificato il paesaggio e il territorio<br />

lasciando opere meravigliose e innovative.<br />

È in commercio la cartoguida escursionistica ufficiale del<br />

percorso, con tutte le informazioni utili al camminatore o al turista<br />

che vuole scoprire queste terre e questi luoghi in autonomia. Per<br />

ulteriori informazioni e approfondimenti visita il sito ufficiale<br />

viamedicea.it. Per chi volesse scoprire la Via insieme ad una<br />

guida è possibile unirsi a una delle partenze in gruppo. Sono<br />

presenti anche diversi weekend in cui scoprire alcuni piccoli<br />

tratti della Via e conoscere alcune aziende vitivinicole dell’area,<br />

oltre alla visita di una Villa Medicea.<br />

Il Cammino in breve<br />

Lunghezza totale: 78,3 km<br />

Dislivello complessivo in salita: 2.480 m<br />

Difficoltà: Medio/Bassa<br />

Durata complessiva: 4 o più giorni<br />

Comuni attraversati: 7 – Prato, Poggio a Caiano,<br />

Carmignano, Quarrata, Vinci, Cerreto Guidi, Fucecchio<br />

Ville medicee Patrimonio UNESCO: 4<br />

INFO: www.appenninoslow.it<br />

Gli Anelli<br />

La Via Medicea non è solo il cammino da Prato a Fucecchio,<br />

esistono anche 2 anelli che permettono di scoprire altre aree<br />

in cui i Medici hanno lasciato la loro impronta. L’Anello della<br />

Magia, a Quarrata, città posta sulla viabilità fra Firenze e Pistoia:<br />

il simbolo del legame tra la città e la famiglia dei Medici si<br />

consolida con l’acquisto da parte di Francesco I della villa la<br />

Magia nel 1583, dove era passato l’Imperatore Carlo V nel<br />

maggio del 1536.<br />

L’anello di Capraia e Montelupo inserisce nel percorso della<br />

Via Medicea l’estrema parte sud-orientale del Montalbano:<br />

l’itinerario percorre alcuni tratti della vecchia ferrovia Firenze-


IN GIRO CON APPENNINOSLOW<br />

Suggestivo anello di 12 chilometri e 600 metri di dislivello,<br />

con partenza dal borgo di Pietracolora, attraversando<br />

fitti boschi che si aprono sulla valle del Reno<br />

A Labante e ritorno<br />

Testo di Alice Boldri<br />

Il percorso ad anello parte dal borgo<br />

di Pietracolora, nel Comune di Gaggio<br />

Montano. Da qui ci avventuriamo<br />

sul sentiero CAI 166, da pochi anni<br />

ripristinato, e proseguiamo verso la<br />

piccola valle del torrente Aneva, a<br />

pochi passi da Castel d’Aiano, dove<br />

si trovano le suggestive cascate di<br />

Labante. Lungo l’itinerario si attraversa<br />

uno dei luoghi meno conosciuti del<br />

monte della Croce: il Sasso del Corvo,<br />

un balcone panoramico sui monti<br />

dell’alto Appennino bolognese.<br />

Seguendo la SS 64 Porrettana si<br />

raggiunge Riola di Vergato, per poi<br />

salire verso il piccolo abitato di<br />

Pietracolora dove si lascia l’auto<br />

e si imbocca il sentiero CAI 166.<br />

Prima di immergersi nei colorati<br />

boschi circostanti, vi consigliamo<br />

una visita alla caratteristica torre di<br />

Pietracolora, costruita tra gli anni ‘80<br />

e ‘90 del Novecento. Raggiungendone<br />

la sommità, si potrà ammirare il<br />

bellissimo paesaggio dell’Appennino<br />

bolognese dove spicca la grande mole<br />

del Corno alle Scale. Ridiscesi, si<br />

inizia a camminare lungo il sentiero,<br />

che, inizialmente pianeggiante, sale<br />

nei pressi di Ca’ di Monetta, appena<br />

sorpassato il bivio con il sentiero 182,<br />

al quale si mantiene la destra sul 166.<br />

Appena il bosco si apre, si prosegue<br />

su un panoramico crinale. Facendo<br />

una piccola deviazione sulla destra,<br />

tramite un sentiero non segnato ma<br />

ben visibile, si può raggiungere la vetta<br />

del Monte della Croce, che, con i suoi<br />

917 metri di altitudine, è il punto più<br />

elevato del percorso. Fate attenzione<br />

Pietracolora<br />

alla località Cà del Vento, perché il<br />

sentiero verso Sasso del Corvo passa<br />

attraverso una proprietà privata.<br />

Il sentiero prosegue poi su un<br />

falsopiano, che scende dolcemente,<br />

snodandosi tra boschi di faggi e<br />

castagni, nei quali si possono scorgere<br />

antichi ruderi e alberi secolari. Si<br />

incontrano poi due bivi, ai quali<br />

bisogna seguire sempre il sentiero 166.<br />

A 600 metri circa dal secondo bivio,<br />

un segnavia in mezzo al bosco indica<br />

la direzione verso la quale prosegue<br />

il sentiero 166, ovvero il Molino di<br />

Corba, che si raggiunge attraversando<br />

tramite una passerella sul torrente<br />

Aneva. Il mulino sorge a pochi passi<br />

dalle incantevoli cascate di Labante,<br />

sulla riva sinistra del torrente; oggi è<br />

stato trasformato in abitazione. Qui<br />

si può osservare anche un essiccatoio<br />

per castagne, che evidentemente era<br />

funzionale all’attività dell’opificio.<br />

Dopo qualche centinaio di metri, si<br />

raggiungono finalmente le grotte di<br />

Labante, vera attrazione di questo<br />

itinerario. Le grotte si sono formate<br />

grazie al fiume proveniente dalla<br />

sorgente di San Cristoforo, che qui<br />

forma una cascata che sgorga da due<br />

speroni di roccia. Con i loro 54 metri di<br />

lunghezza, le grotte di Labante sono tra<br />

le grotte di travertino più grandi d’Italia.<br />

Dopo la visita al complesso, si<br />

prosegue su un breve tratto di strada<br />

asfaltata sulla via Val d’Aneva, per poi<br />

imboccare, dopo circa 1,5 km, nei<br />

pressi di una sbarra, il sentiero CAI<br />

182B. Il sentiero ridiscende in mezzo<br />

al bosco verso il torrente Aneva, che<br />

Cascate di Labante<br />

va guadato, in un punto in cui le sue<br />

acque scorrono delicatamente. Appena<br />

attraversato il torrente, al primo bivio<br />

si sale verso sinistra, sul sentiero 182,<br />

che ascende abbastanza ripidamente<br />

fino ad incontrare un paio di case, in<br />

concomitanza di un secondo bivio, al<br />

quale si deve procedere verso destra.<br />

Il sentiero continua a salire lievemente<br />

e, raggiunto il crinale, si scorge in<br />

lontananza il complesso di Tinazzolo<br />

di Sopra, una volta abitazione con<br />

fienile, porcilaia ed essicatoio, oggi un<br />

agriturismo completamente ristrutturato<br />

rispettando lo stile originale.<br />

Il sentiero prosegue sulla destra,<br />

immergendosi nuovamente nel<br />

bosco. Tra lievi salite e ampi scorci<br />

che permettono una visuale a 360°<br />

sull’Appennino, ci si ricongiunge al<br />

sentiero 166, che si imboccherà sulla<br />

sinistra, non appena finito l’ultimo<br />

tratto di salita. Un ultimo falsopiano<br />

condurrà nuovamente al centro<br />

di Pietracolora, punto di partenza<br />

dell’itinerario.<br />

Un percorso poco impegnativo, adatto<br />

a chi si vuole godere una giornata in<br />

montagna, passeggiando tra panorami<br />

variegati e sceniche attrazioni naturali.<br />

Val d’Aneva


IN GIRO CON CONFGUIDE<br />

Continua fino a giugno la<br />

mostra diffusa tra la città e<br />

San Giovanni in Persiceto<br />

L’OTTOCENTO<br />

a Bologna<br />

e dintorni<br />

Testi di Sandra Sazzini - Confguide<br />

Come già annunciato nel numero<br />

precedente, la mostra diffusa intitolata<br />

“La pittura a Bologna nel lungo Ottocento<br />

1796 - 1915” resterà aperta fino al 30<br />

giugno 2024. Questo concetto innovativo<br />

di mostra allargata al territorio coinvolge<br />

oltre all’arte figurativa del periodo, troppo<br />

spesso ignorata o sottovalutata, anche<br />

temi di storia e di costume. Abbondano<br />

nel programma, che si può trovare in<br />

versione completa aprendo il QR Code<br />

in questa pagina, gli eventi teatrali, le<br />

rievocazioni e, ovviamente, le visite<br />

guidate per scoprire come l’Ottocento<br />

abbia rinnovato e modificato non solo<br />

Bologna ma anche aspetti importanti<br />

dei paesi della provincia, dove facciate,<br />

colonnati e palazzi, dall’aspetto familiare<br />

e dati quasi per scontati, acquistano una<br />

nuova consapevolezza sia estetica che di<br />

funzione.<br />

San Giovanni in Persiceto è un esempio<br />

notevole di questa trasformazione<br />

ottocentesca, già avviata negli ultimi anni<br />

del governo pontificio. Edifici, palazzi e<br />

chiese furono riammodernati quando non<br />

completamente rifatti, con l’indirizzo del<br />

pontefice ad utilizzare non solo maestranze<br />

bolognesi, ma anche artisti ed artigiani<br />

locali, che poterono così esprimere le loro<br />

capacità. Le quattro diverse sedi espositive<br />

consentono di ammirare i risultati di<br />

questo fervore artistico, che ci fa percepire<br />

il paese come un grande cantiere. Il<br />

Teatro storico comunale, inaugurato senza<br />

decorazioni nel 1790, fu completato<br />

nella volta con le pitture di Andrea Pesci<br />

e Gaetano Lodi, intenti negli stessi anni<br />

a decorare anche il Teatro Comunale a<br />

Bologna, mentre le sculture in stucco sono<br />

di Vincenzo Testoni, artista persicetano,<br />

affermatosi anche oltre i confini della<br />

sua città. All’interno della Chiesa di San<br />

Giovanni Battista la decorazione pittorica<br />

tardo ottocentesca della volta e della<br />

cupola, forse il capolavoro di Giovanni<br />

Battista Baldi, mette ancor più in risalto la<br />

Salomè con la testa del Battista dei fratelli<br />

Fabio e Alberto Fabbi, da poco ricollocata<br />

nell’abside centrale. L’adiacente Museo<br />

d’Arte Sacra è un vero e proprio scrigno<br />

prezioso ove vedere le tele di Pietro Fabri,<br />

Pietro Fancelli e Alessandro Guardassoni.<br />

Infine, nel restaurato Coro della chiesa<br />

della Cintura sono esposte le opere della<br />

quadreria civica: ritratti, paesaggi e soggetti<br />

storici comprese le opere di Corrado<br />

Manzi, poco note agli studiosi e agli stessi<br />

cittadini persicetani.<br />

Anche a San Matteo della Decima, la<br />

località del territorio persicetano che si<br />

allunga a nord fino a lambire i confini delle<br />

province di Modena e Ferrara, sarà possibile<br />

parlare di un bell’Ottocento, con la<br />

Chiesa parrocchiale, ampliata e ricostruita<br />

proprio in quel secolo, e visitando, in via<br />

eccezionale, il Chiesolino dedicato a Santa<br />

Maria Auxilium Christianorum, esempio<br />

di elegante oratorio neoclassico, crocevia<br />

stradale importante e “sfortunato” ...<br />

EVENTI GRATUITI<br />

A SAN GIOVANNI<br />

IN PERSICETO<br />

Sabato 13 aprile ore 17:00<br />

L’Ottocento tra cortei e balli<br />

In piazza del Popolo personaggi in<br />

costume storico sfilano e danzano<br />

sotto i portici e tra le colonne di<br />

palazzo Comunale, per farci sognare<br />

“con un tuffo nel passato”.<br />

Sabato 25 maggio ore 20:45<br />

Concerto in poesia<br />

Il tema del Lungo Ottocento e<br />

dei suoi cambiamenti si esprime<br />

nel dialogo tra la musica e le<br />

voci dei “Ragazzi Cantori di san<br />

Giovanni – Leonida Paterlini”,<br />

diretti da Arlotti, e i versi letti<br />

da Mazzacori e Di Bernardo.<br />

28


FLASH TOUR: bologna IN 30 MINUTI<br />

Poco tempo ma tanta voglia di scoprire nuovi dettagli e bellezze di Bologna? Proprio<br />

a questo scopo, Succede solo a Bologna ha lanciato i flash tour, ovvero visite guidate<br />

gratuite di 30 minuti dedicate ogni volta a un luogo o istituzione diversi. Una pausa pranzo,<br />

ad esempio, all’insegna di arte e storia, che permetterà ai partecipanti di conoscere, solo<br />

per citarne alcuni, l’Archiginnasio, Palazzo d’Accursio, la Sala Borsa. Non mancano poi<br />

gli approfondimenti su alcuni luoghi della città, come Piazza Minghetti, Piazza Cavour e il Pratello. Tante piccole<br />

e grandi curiosità su Bologna vengono così allo scoperto, permettendo a tutti di conoscere in poco tempo tante<br />

parti della storia della città con le guide abilitate di Succede solo a Bologna.<br />

I flash tour si inseriscono all’interno della fitta programmazione di visite guidate – tutte gratuite - di Succede solo<br />

a Bologna, che vede centinaia di itinerari, all’aperto o all’interno di monumenti, per imparare storia e particolarità<br />

sotto le Due Torri. Oltre alle visite di 30 minuti, proseguono infatti quelle tradizionali, che vedono protagonisti, ad<br />

esempio, i famosi “sette segreti”, i portici da record della città, le Torri ancora presenti, i misteri più curiosi che<br />

tuttora aleggiano su Bologna, i luoghi legati alla vita e alle canzoni di Lucio Dalla e tanto altro. Un programma<br />

davvero vasto per scoprire in ogni occasione un nuovo angolo di Bologna e particolari sulla sua storia. Per dare<br />

a tutti la possibilità di parteciparvi, le visite guidate sono in programma ogni giorno, in diverse fasce orarie. Basta<br />

un click sul sito di Succede solo a Bologna per scegliere il tour più adatto!<br />

Non mancano poi gli approfondimenti su alcuni monumenti di Bologna, come i Bagni di Mario, la Cripta di<br />

San Zama, il Teatro Mazzacorati, l’Oratorio dei Fiorentini, le Basiliche di San Petronio, Santo Stefano e San<br />

Francesco e, per spingerci anche in provincia, la Badia del Lavino a Monte San Pietro. Una vastissima scelta che<br />

comprende anche i tour…in dialetto bolognese, grazie alle visite guidate che si svolgono ogni mercoledì sera.<br />

Una “vîṡita guidè” che tocca la storia di Bologna, ma si spinge anche oltre i confini comunali, fino ad arrivare a<br />

Crevalcore, Pieve di Cento, San Giovanni in Persiceto, Budrio, Sala Bolognese, la chiesa di S. Maria di Venazzano<br />

a Mascarino e tanti altri luoghi.<br />

Il calendario: www.succedesoloabologna.it<br />

VISITE GUIDATE A CURA DEL COMUNE<br />

DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO<br />

Sabato 6 e domenica 14 aprile; domenica 12 maggio;<br />

domenica 16, 23 e 30 giugno (ore 10:00)<br />

La pittura dell’Ottocento a Persiceto tra storia e<br />

costume.<br />

Visita guidata alle quattro sedi della mostra, per scoprire<br />

opere poco note anche agli stessi cittadini persicetani.<br />

Ritrovo davanti al Teatro, corso Italia, 72. Partecipazione<br />

€ 15, bambini dai 7 anni € 10.<br />

Giovedì 23 maggio ore 20:30<br />

Decima nell’Ottocento<br />

Il paese cresce e la Chiesa di San Matteo, rinnovata e<br />

ampliata all’interno, sfoggia la sua nuova facciata lungo<br />

il canale. Visita in esclusiva con apertura straordinaria<br />

serale. Ritrovo davanti alla Chiesa di San Matteo della<br />

Decima. Partecipazione € 5, gratuita per i bambini.<br />

Inquadra il Qr-code per<br />

il programma completo<br />

Giovedì 6 giugno ore 18:00<br />

Dal Chiesolino alla Rotonda<br />

Passeggiata con ingresso esclusivo all’elegante<br />

Chiesolino, che da inizio Ottocento, nonostante<br />

le sue sfortunate vicissitudini, si erge sull’antico<br />

incrocio a nord del paese.<br />

Ritrovo davanti alla Chiesa di San Matteo della<br />

Decima. Partecipazione € 5, gratuiti bambini.<br />

Prenotazione 0516812955<br />

cultura.turismo@comunepersiceto.it<br />

29


tracce di storia<br />

Gli spettacolari finestroni lungo via dell’Archiginnasio<br />

e le altre meraviglie di Niccolò dell’Arca<br />

Piccoli grandi tesori<br />

attorno al Pavaglione<br />

Testo di Gian Luigi Zucchini - Foto di Guido Barbi<br />

De minimis non curat praetor, dicevano<br />

i latini, per indicare come in genere le<br />

cose minime sono oggetto di scarse<br />

cure ed attenzioni da parte degli<br />

amministratori publici. Invece in questa<br />

rubrica ci si occupa proprio di cose<br />

che sono, diciamo così, abbastanza<br />

trascurabili, però interessanti per<br />

capire meglio la cultura, le abitudini,<br />

la storia della città. Del resto, ora che<br />

libri e opuscoli su Bologna dilagano<br />

dappertutto, e quasi tutto ormai<br />

si sa sulla città per via di gruppi e<br />

associazioni che conducono a visite<br />

guidate e ad intelligenti escursioni<br />

in città e fuori, ben poco resterebbe<br />

da dire. Tuttavia, esplorando scorci<br />

di vicoli, arcate di portici, o lapidi<br />

scrostate, qualcosa si va sempre<br />

scoprendo e imparando. Collegando<br />

poi questi piccoli frammenti, si<br />

ricostruiscono spesso pezzi di storia o<br />

di costume, in altre parole di cultura,<br />

intesa non tanto come erudizione ma<br />

come spinta al sapere e al desiderio di<br />

sempre ulteriori conoscenze.<br />

Ad esempio, passeggiando per via<br />

dell’Archiginnasio, comunemente<br />

conosciuta come ‘il Pavaglione’, si<br />

potrebbe dare un’occhiata ai grandi<br />

finestroni della basilica di San Petronio;<br />

è dalla fine del Trecento che sono lì, e li<br />

conosciamo bene, si dirà. Ma ora sono<br />

stati ripuliti e ritoccati, e si presentano<br />

come nuovi, bellissimi nel loro tardogotico,<br />

detto anche gotico fiorito o<br />

cortese, per via del loro stile elaborato<br />

con elegante armonia. Spiccano bianchi<br />

e perfettamente allineati sul fondo<br />

scuro della pietra annerita dai secoli,<br />

così si possono meglio apprezzare i<br />

fregi, le decorazioni e in particolare<br />

una figura contenuta in una formella,<br />

nel finestrone che sta proprio di fronte<br />

a via de’ Foscherari, settimo dalla<br />

facciata. Si tratterebbe, secondo noti<br />

studiosi e storici dell’arte, di un’opera<br />

giovanile di Niccolò dell’Arca, che<br />

probabilmente rappresenta Santa<br />

Caterina da Siena. La figura è in<br />

atteggiamento di preghiera, con le<br />

mani giunte e il capo velato. In perfetto<br />

equilibrio formale, offre allo sguardo,<br />

proprio in ragione della sua simmetrica<br />

compostezza, un senso di intensa<br />

spiritualità. Da qui, da questa formella,<br />

Madonna di Piazza con Bambino,<br />

Palazzo D’Accursio<br />

si potrebbe approfondire la conoscenza<br />

di questo artista, peraltro notissimo,<br />

in alcuni suoi capolavori presenti in<br />

città. Sono tutti qui nei pressi: l’Arca<br />

di San Domenico, (da cui appunto<br />

Nicolò dell’Arca), del 1473, nella<br />

chiesa omonima e due busti del Santo,<br />

nel museo della stessa chiesa; poi la<br />

grande Madonna con Bambino (1478),<br />

sulla facciata di Palazzo d’Accursio,<br />

anch’essa da poco ripulita e visibile<br />

in bellissima luce; e, soprattutto, il<br />

famoso Compianto sul Cristo morto,<br />

in Santa Maria della Vita, oggetto<br />

30


Bologna<br />

da sempre di stupita ammirazione,<br />

opera composita e di grande impatto<br />

emotivo, con il gruppo delle tre Marie<br />

che nel XVII secolo Giulio Cesare<br />

Malvasia, commentando l’opera,<br />

definì “sterminatamente piangenti”.<br />

Scorrendo sempre la fila dei finestroni,<br />

si noterà (nel secondo a partire dalla<br />

facciata) una grande scritta in facile<br />

latino, che segnala come, all’interno<br />

della chiesa, sia conservato il tesoro di<br />

Angelo reggicandelabro,<br />

Arca di San Domenico | Basilica di San Domenico<br />

Felsina. Il finestrone corrisponde alla<br />

quarta cappella interna alla chiesa,<br />

che si trova a sinistra dell’entrata,<br />

conosciuta come Cappella Bolognini.<br />

Il tesoro di Felsina, segnalato<br />

dall’iscrizione esterna, è costituito<br />

dai resti del corpo di San Petronio:<br />

il capo, che era conservato con<br />

gli altri resti in Santo Stefano, fu<br />

traslato in San Petronio il 3 ottobre<br />

1873; le ulteriori reliquie furono<br />

traslate con solenne processione aux<br />

flambeau nell’anno 2000, per volere<br />

del cardinale Giacomo Biffi, dalla<br />

Basilica del Santo Sepolcro (una delle<br />

‘sette chiese’ di Santo Stefano) in San<br />

Petronio, dove, ricongiunte al teschio,<br />

si trovano tutt’ora. Un particolare poco<br />

conosciuto è che all’arrivo dell’urna<br />

con i sacri resti, furono solennemente<br />

cantate le litanie ai Santi bolognesi,<br />

di cui pochi conoscono l’esistenza. In<br />

queste litanie figurano tutti i santi e i beati<br />

che vissero e operarono nella città di<br />

Felsina (come si canta nel solenne inno<br />

dedicato alla Madonna di San Luca),<br />

cominciando dai protomartiri Vitale<br />

e Agricola, fino ai recenti beati don<br />

Giovanni Fornasini, ucciso dai nazisti<br />

nel corso della carneficina conosciuta<br />

come “strage di Marzabotto”, e padre<br />

Olinto Marella, conosciuto come il<br />

padre degli ultimi, di cui ancora molti<br />

ricordano il ‘famoso’ cappello, che i<br />

bolognesi riempivano quotidianamente<br />

di offerte per i ragazzi del ‘prete dei<br />

poveri’, all’angolo tra via Caprarie e<br />

via Drapperie. Ed ora un’immagine in<br />

terracotta ne ricorda, proprio in quel<br />

luogo, la presenza, l’impegno, la fede.<br />

Settimo Finestrone dalla facciata della Basilica di San Petronio<br />

I romanzi e i volumi di ZUcchini<br />

Sono diversi i libri di Gian Luigi Zucchini attualmente disponibili. L’ultimo è il romanzo pubblicato<br />

da Edizioni Efesto, “Verso l’altra parte del cielo”. Vittoria è una donna del popolo - si legge nella<br />

sinossi - nasce in una famiglia molto povera in un antico vicolo del centro storico di Bologna,<br />

città dove si svolge il racconto. Insieme a Vittoria ci sono tanti altri personaggi, con le loro<br />

microstorie: dalla nonna Marianna, ai genitori, alle vicine di casa, alle amiche d’infanzia, al marito;<br />

tutti coinvolti in questo suggestivo romanzo corale che, attraverso la vita della protagonista,<br />

ripercorre in sintesi gli eventi lieti e drammatici dell’ultimo secolo, dall’inizio del Novecento fino<br />

alla partenza di lei per la terra d’Israele, evento con cui si chiude il romanzo. Per il Gruppo<br />

Studi Savena Setta Sambro, ha invece scritto “Una scuola e 50 bambini tra macerie e speranze”,<br />

un libro di ricordi sull’esperienza da maestro di scuola elementare dello stesso Zucchini, e<br />

“L’Appennino: una stagione ritrovata – Avventure e disavventure letterarie”. Per Pendragon ha<br />

pubblicato “Antiche storie di libri e di vita”.<br />

INFO: gianluigizucchini34@gmail.com<br />

31


FOTO ARCHIVIO BERTOZZI<br />

<strong>Nelle</strong><br />

IL TABELLINO<br />

Roma, domenica 7 giugno 1964,<br />

Stadio Olimpico, ore 17.00<br />

BOLOGNA-INTER 2-0


FINO ALLA FINE FORZA BOLOGNA<br />

BOLOGNA: Negri, Furlanis, Pavinato, Tumburus, Janich, Fogli, Perani, Bulgarelli, H. Nielsen, Haller, Capra. All. Bernardini<br />

INTER: G. Sarti, Burgnich, Facchetti, Tagnin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola I, Milani, Suarez, Corso. All. H. Herrera<br />

MARCATORI: 75’ aut. Facchetti, 83’ H. Nielsen<br />

Arbitro: Concetto Lo Bello di Siracusa


PERSONAGGI<br />

Piccole grandi storie<br />

su chi merita<br />

di essere ricordato<br />

a cura di Claudio Evangelisti<br />

Nel XV secolo la città era ritenuta ”il<br />

principale vivaio di aspiranti inquisitori<br />

dell’Italia rinascimentale”. La prima<br />

parte della storia di Gentile Budrioli<br />

BOLOGNA e la<br />

caccia alle streghe<br />

Piazza Maggiore, 14 luglio 1498,<br />

è qui che viene condotta all’ultimo<br />

supplizio quella che fu una donna<br />

bella, istruita, ricca e potente. Si<br />

chiamava Gentile Budrioli conosciuta<br />

ancora oggi come “la strega<br />

enormissima di Bologna”, processata<br />

e condannata al rogo per aver guastato<br />

et amaliato infinite persone e fattone<br />

morire assai.<br />

A Bologna presso il convento di<br />

San Domenico dal 1233 risiedeva il<br />

tribunale dell’inquisizione tra i più<br />

attivi e feroci d’Italia. Nel XV secolo<br />

la sede di Bologna, di competenza<br />

domenicana e appartenente alla<br />

Congregazione Osservante di<br />

Lombardia era considerata più<br />

importante del rispettivo distretto di<br />

Milano. La città felsinea godeva di un<br />

notevole prestigio sia per la presenza<br />

nella grande chiesa conventuale<br />

della tomba del fondatore dell’ordine<br />

domenicano, sia perché sede di un<br />

importante Studium, integrato nella<br />

facoltà teologica dell’Università di<br />

Bologna. Questo studio universitario<br />

era ritenuto “il principale vivaio<br />

di aspiranti inquisitori dell’Italia<br />

rinascimentale” e rappresentò una<br />

delle sedi più prestigiose ed ambite.<br />

Il principale artefice delle ondate<br />

persecutorie che scatenarono la caccia<br />

alle streghe fu il frate domenicano di<br />

origine alsaziana Heinrich Kramer<br />

che pubblicò il Malleus Maleficarum,<br />

il famigerato trattato che contribuì<br />

alla repressione delle presunte<br />

stregonerie. Secondo questo trattato,<br />

vi erano prove certe di stregoneria a<br />

cui sottoporre gli indagati prima della<br />

tortura. Una di queste consisteva nella<br />

Prova dell’acqua: secondo Plinio il<br />

vecchio le streghe galleggiavano,<br />

quindi le indagate venivano immerse<br />

nell’acqua (di un fiume o di un lago)<br />

per 10 – 15 minuti con la mano destra<br />

legata al piede sinistro. Trascorso<br />

questo tempo se erano ancora vive<br />

era provata la loro colpevolezza e<br />

condannate al rogo, se erano morte<br />

erano innocenti. Il domenicano Kramer<br />

conobbe personalmente a Bologna<br />

il confratello Giovanni Cagnazzo,<br />

l’Inquisitore che condannò Gentile<br />

Budrioli. Entrambi erano ossessionati<br />

dalla paura profonda verso le donne<br />

dotate di carisma e perciò ritenute<br />

streghe. Donne il cui sapere le portava<br />

a essere considerate pericolose. Infatti<br />

nel corso del cinquecento Padre<br />

Cagnazzo contribuì a diffondere la<br />

credenza di una setta organizzata di<br />

streghe e stregoni eretici tramite la<br />

sua enciclopedia Summa Summarum<br />

dove cita esplicitamente il Malleus. Va<br />

anche aggiunto che Bologna fu la sede<br />

della prima Compagnia della Croce<br />

fondata dall’inquisitore domenicano<br />

Corrado di Germania e fu incaricata<br />

di finanziare la costruzione di una<br />

prigione, nonché di fornire sostegno<br />

finanziario e morale all’inquisitore di<br />

Bologna.<br />

GENTILE BUDRIOLI IN CIMIERI<br />

Le bolognesi condannate per<br />

stregoneria erano per lo più<br />

astrologhe, erboriste, prostitute,<br />

donne che sapevano curare i malati,<br />

ma che una scienza ferma ai precetti<br />

medici dell’antica Grecia non poteva<br />

accettare. Secondo le confessioni<br />

ottenute dall’inquisizione le streghe<br />

si radunavano per il sabba nei boschi<br />

vicino a Paderno volandovi su scope o<br />

bastoni, però bisogna considerare che<br />

allora nel bolognese era molto diffusa<br />

la coltivazione della canapa e presso i<br />

contadini si era soliti mangiare quello<br />

che si produceva e pertanto erano<br />

molto usate ricette a base di canapa<br />

che procuravano allucinazioni<br />

da cui tali confessioni. Gentile<br />

Budrioli, figlia di Nicolò Budrioli,<br />

nacque in una famiglia benestante<br />

di Bologna. Sposò con una cerimonia<br />

sontuosa il ricco notaio Alessandro<br />

Cimieri, la dote che Gentile portò al<br />

marito fu di ben 500 ducati d’oro e<br />

andò a vivere con lui nel Torresotto<br />

di Porta Nova, compreso nella mura<br />

del Mille, di fronte alla Basilica di<br />

San Francesco. Negli atti processuali<br />

Gentile viene descritta come una<br />

graziosa brunetta che passeggiava per<br />

Bologna con vesti di seta e di velluto,<br />

con orecchini preziosi, braccialetti<br />

34


<strong>Nelle</strong><br />

A no X I - numero 51 - O TOBRE - NOVEMBRE - DICEMBRE 2021<br />

Torresotto di via Portanova<br />

d’oro e perle al collo e tra i capelli. In<br />

più aveva un servo che la precedeva e<br />

due damigelle che la seguivano. Colta<br />

e sempre assetata di conoscenza,<br />

aveva frequentato le lezioni di<br />

astrologia tenute dal professore<br />

universitario Scipione Manfredi e<br />

aveva appreso le arti erboristiche<br />

da Frate Silvestro del convento<br />

francescano nei pressi della sua<br />

casa. Si narra che, circondata sempre<br />

NATURA, CULTURA, TRADIZIONI E TURISMO SLOW TRA LA MONTAGNA E LA PIANURA<br />

<strong>Nelle</strong><br />

da persone importanti e servitori<br />

ubbidienti, la Signora di Bologna non<br />

poteva nascondere le sue attenzioni<br />

per un’amante (nella Bologna<br />

del Cinquecento era uso comune<br />

averceli). Nonostante l’ostilità del<br />

marito, iniziò a mettere a disposizione<br />

degli altri le sue conoscenze di<br />

medicina e ben presto in città si diffuse<br />

la fama del suo sapere, unita alla rara<br />

capacità di comprendere e qualche<br />

Quindici anni di articoli, ricerche e fotografie<br />

sulla storia, la natura e la cultura dei nostri territori<br />

Sulla nostra pagina web troverai gli articoli più interessanti,<br />

le gallery più belle e l’archivio dei numeri arretrati<br />

NATURA, CULTURA, TRADIZIONI E TURISMO SLOW TRA LA MONTAGNA E LA PIANURA<br />

A no X I - numero 50 - LUGLIO - AGOSTO - SE TEMBRE 2021<br />

<strong>Nelle</strong><br />

NATURA, CULTURA, TRADIZIONI E TURISMO SLOW TRA LA MONTAGNA E LA PIANURA<br />

A no X I - numero 49 - APRILE - MAGGIO - GIUGNO 2021<br />

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<strong>Nelle</strong><br />

NATURA, CULTURA, TRADIZIONI E TURISMO SLOW TRA LA MONTAGNA E LA PIANURA<br />

A no X I - numero 46 - O TOBRE - NOVEMBRE - DICEMBRE 2020<br />

<strong>Nelle</strong><br />

NATURA, CULTURA, TRADIZIONI E TURISMO SLOW TRA LA MONTAGNA E LA PIANURA<br />

A no X I - numero 4 - GENNAIO - FE BRAIO - MARZO 2020<br />

Ritratto di giovane donna<br />

di Charles Frederick Naegele<br />

generalmente attribuito a Budrioli<br />

volta risolvere i problemi psicologici<br />

delle altre persone. Anche Ginevra<br />

Bentivoglio, moglie del Signore di<br />

Bologna, Giovanni II, volle conoscerla<br />

e diventarne amica.<br />

Per sapere come va a finire la storia di<br />

Gentile Budrioli, leggete il prossimo<br />

numero di <strong>Nelle</strong> valli <strong>Bolognesi</strong> in<br />

uscita la prossima estate<br />

www.nellevalli.it


PERSONAGGI<br />

Nell’ottantesimo anniversario della<br />

morte, il ricordo dell’ufficiale trucidato<br />

dai tedeschi alle Fosse Ardeatine<br />

Tenente colonnello<br />

Giorgio Ercolani<br />

Testo di Anna Maria Galliani<br />

Certo che il destino è proprio strano, combina bizzarri<br />

incontri in vita, ma non si arresta nemmeno dopo la<br />

morte. Nel Cimitero Monumentale della Certosa di<br />

Bologna la contessa Cornelia Rossi di San Secondo<br />

riposa accanto a suo marito l’ingegnere architetto<br />

Giovanni Battista Martinetti, progettista, fra l’altro, del<br />

Parco della Montagnola, di Villa Spada e del suo giardino<br />

all’italiana, del cinema Contavalli assieme a Nadi, della<br />

nuova strada Porrettana. Lei, nobildonna romagnola di<br />

Lugo, era famosa per la sua seducente bellezza, per<br />

la brillante intelligenza e per il cenacolo culturale,<br />

noto in Europa come “Il Tempio della Venere Bruna”<br />

con chiaro riferimento ad essa. Lo creò nella casa con<br />

giardino di via San Vitale 56, affascinando visitatori del<br />

calibro di Giacomo Leopardi, Vincenzo Monti, Antonio<br />

Canova, Ludwig di Baviera, George Byron, René de<br />

Chateaubriand, Stendhal, si mormora forse addirittura<br />

Napoleone Bonaparte e Ugo Foscolo, che la immortalò<br />

nel suo poema “Le Grazie” sotto le spoglie di Polinnia,<br />

musa del canto sacro. Ella parlava correntemente le<br />

principali quattro lingue europee oltre al latino. La sua<br />

tomba si trova nella galleria di collegamento fra i tre<br />

chiostri X - III – V Maggiore, di fronte alla Sala di San<br />

Paolo.<br />

La contessa, morta ottantaseienne dopo una dorata<br />

esistenza, ha come dirimpettaio un giovane ufficiale,<br />

perito nel fiore degli anni in modo tragico: il tenente<br />

colonnello Giorgio Ercolani, trucidato dai tedeschi alle<br />

Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, di tutti i 335 Martiri<br />

uno dei pochi non tumulati nei rispettivi sacelli a Roma.<br />

Merita di essere ricordato, poiché ricorre quest’anno<br />

l’80° Anniversario di quel triste episodio.<br />

Nato a Cremona, risiedeva a Bologna con i suoi genitori:<br />

la mamma Alessandra Tassinari e il padre Ercole, generale<br />

che aveva combattuto in Africa e di quella terra serbava<br />

interessanti reperti nella bella casa di via Odofredo, sul<br />

colle dell’Osservanza. L’avida guerra ghermì a lui e a<br />

tanti, troppi ragazzi, la spensierata gioventù. Militava<br />

nell’Esercito Italiano e, dopo l’8 settembre 1943, entrò a<br />

far parte del Fronte Militare Clandestino Romano e nello<br />

specifico del “Centro R”, servizio di informazioni della<br />

Resistenza, segretamente in contatto con la N1 Special<br />

Force britannica per missioni di aiuto e coordinamento<br />

delle formazioni partigiane in attività nell’Italia occupata.<br />

Il comandante e animatore del Fronte era il colonnello<br />

Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo che, dismessa<br />

la divisa militare, operò dapprima con la falsa identità<br />

di ingegner Giacomo Cateratto, poi mutata in professor<br />

Giuseppe Martini. In effetti lui era davvero laureato in<br />

ingegneria e aveva pure insegnato. Per evitare rappresaglie<br />

naziste sui civili, Montezemolo aveva raccomandato di<br />

non compiere attentati contro i tedeschi, specialmente<br />

nei centri urbani.<br />

Il 25 gennaio 1944 venne arrestato dalle SS in seguito<br />

a delazione, la cui provenienza resta controversa e<br />

oscura, ancor oggi dibattuta. Fu tradotto nel famigerato<br />

carcere di via Tasso, dal quale riuscì fortunosamente a<br />

scrivere alcuni messaggi in uno dei quali si legge: “… Se<br />

tutto andasse male … (probabile diminutivo illeggibile<br />

della moglie Amalia) sappia che non sapevo di amarla<br />

tanto e rimpiango solo lei ed i figli. Confido in Dio. Però<br />

occorre aiutarsi. Io non posso che resistere e durare. Lo<br />

farò per quanto umanamente possibile”. In prigione si<br />

trovava già anche il suo fidato collaboratore Giorgio<br />

Ercolani con altri compagni del Fronte, tutti subirono<br />

interrogatori e torture, lui era stato catturato tre giorni<br />

prima insieme alla fidanzata e ad un amico, questi due<br />

furono rilasciati il giorno successivo. Poco tempo dopo,<br />

Ercolani poté avere un unico brevissimo colloquio con<br />

la madre, fu l’ultima volta che lei lo vide. Entrambi erano<br />

agli arresti da due mesi quando nel primo pomeriggio del<br />

23 marzo avvenne l’attentato partigiano di via Rasella ai<br />

danni della 11a Compagnia 3° Battaglione Reggimento<br />

Bolzano, composto da altoatesini reclutati dai tedeschi<br />

dopo l’occupazione. Era un Corpo di Polizia addetto<br />

al mantenimento dell’ordine pubblico. Lo scoppio<br />

dell’ordigno nascosto in un carretto della spazzatura e il<br />

lancio di alcune granate causarono la morte immediata di<br />

32 militari e due civili, tra cui un ragazzino di 12 anni, e<br />

la sparatoria che ne seguì tra le parti uccise altri 4 civili. Si<br />

disse che l’ira di Hitler sul momento fu tremenda, voleva<br />

che fosse raso al suolo l’intero quartiere e venissero<br />

giustiziate 50 persone per ogni militare, invece alle ore<br />

20.00 arrivò l’ordine ufficiale di uccidere 10 uomini<br />

pro capite entro 24 ore. Iniziò il febbrile reperimento<br />

36


Bologna<br />

A destra,<br />

Giuseppe Cordero<br />

Lanza di Montezemolo<br />

di 320 vittime, alcune prese dai rastrellamenti e tutte<br />

le altre già detenute nelle carceri cittadine, tra queste<br />

anche Ercolani e Montezemolo. Durante la notte morì<br />

il 33° militare per gravi ferite riportate, e il comandante<br />

Herbert Kappler aggiunse altre 10 persone alla lista dei<br />

condannati.<br />

Il giorno successivo, 24 marzo 1944, furono portati<br />

alle Grotte Ardeatine, cava abbandonata di pozzolana<br />

lungo l’Appia Antica, legati con una corda per mano a<br />

due a due e uccisi con un colpo di pistola alla nuca.<br />

I trasferimenti si protrassero per tutto il giorno e verso<br />

il termine dell’esecuzione i tedeschi si accorsero che<br />

vi erano 5 persone in più, 335 in totale. Quei cinque<br />

avrebbero dovuto essere risparmiati, ma purtroppo per<br />

loro erano diventati testimoni scomodi e furono anch’essi<br />

uccisi. Infine la cava fu fatta saltare per occultare o<br />

almeno ritardare la scoperta dei cadaveri.<br />

Joseph Reider, un disertore austriaco, fu l’unico<br />

sopravvissuto alla strage delle Fosse Ardeatine. <strong>Nelle</strong><br />

sue memorie si legge: “… Non oso descrivere i visi<br />

supplichevoli e disperati, né ricostruire in pieno il<br />

momento tragico e crudele. Accennerò soltanto ad<br />

un colonnello che stava davanti a me, credo un certo<br />

Montezemolo, dal volto già gonfio per le percosse e i<br />

colpi ricevuti, con un’enorme borsa sotto l’occhio destro,<br />

il cui aspetto stanco ma tuttavia marziale ed eroico non<br />

poteva nascondere le passate sofferenze. Tutti avevano<br />

i capelli irti e molti erano incanutiti nel frangente<br />

per le perdute speranze, assaliti dal terrore o colti da<br />

improvvisa pazzia. In mezzo al frastuono udii esclamare<br />

con voce mesta e supplichevole: “Padre, benediteci!”.<br />

In quel momento accadde qualcosa di sovrumano:<br />

deve aver operato la mano di Dio perché don Pietro<br />

(Pappagallo) riuscì a liberarsi dai suoi vincoli (era legato<br />

per mano allo stesso Reider) e pronunciò una preghiera,<br />

impartendo a tutti la sua paterna benedizione”. Lo<br />

scrivente approfittò di questo momento e si diede alla<br />

fuga, ma fu catturato, riportato in carcere e in seguito<br />

processato sommariamente per diserzione e condannato<br />

a morte. Il provvidenziale arrivo degli Americani a Roma<br />

gli permise di salvarsi dall’esecuzione.<br />

Il regista Roberto Rossellini si ispirò alla figura di don<br />

Pietro Pappagallo per il personaggio interpretato da Aldo<br />

Fabrizi nel film “Roma città aperta”.<br />

I responsabili dell’eccidio furono processati e condannati<br />

(Kappler all’ergastolo) non per l’uccisione dei 320,<br />

eseguita per obbedienza a ordine supremo militare<br />

in tempo di guerra, bensì per le vittime eccedenti tale<br />

numero decise in modo arbitrario.<br />

Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo aveva 42<br />

anni, moglie e 5 figli. Per meriti militari fu insignito di 3<br />

Medaglie al Valore: Oro, Argento e Bronzo. Riposa nel<br />

Cimitero Monumentale di Torino.<br />

Giorgio Ercolani aveva 32 anni ed era figlio unico. Gli<br />

fu conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Il<br />

babbo e la mamma vollero che i suoi resti riposassero in<br />

Certosa a Bologna, nella tomba della famiglia materna,<br />

i Tassinari. Mamma Alessandra scriveva ogni anno<br />

una raccomandata al Presidente della Repubblica per<br />

chiedere che anche gli attentatori di via Rasella venissero<br />

condannati, al pari dei tedeschi.<br />

La breve via che collega Porta Lame al Palazzetto dello<br />

Sport è intitolata a Giorgio Ercolani.<br />

.<br />

Nel portico di San Luca, tra gli archi 462 e 463 posti<br />

fra le Cappelle del VII e VIII Mistero, si legge questa<br />

targa:<br />

“PER RICORDARE<br />

GIORGIO ERCOLANI<br />

VALOROSO TENENTE COLONNELLO DI S.M.<br />

A 32 ANNI INCARCERATO A ROMA<br />

E TRUCIDATO ALLE FOSSE ARDEATINE<br />

PER AVERE AMATO E SERVITO<br />

CON FEDELTA’ LA PATRIA<br />

LA MAMMA E IL BABBO<br />

1955<br />

Nella galleria della Certosa la Contessa e l’Ufficiale<br />

si guardano silenziosi nel riposo eterno e il vento che<br />

in certi giorni la percorre impetuoso porta lontano i<br />

loro pensieri.<br />

37


In giro per la Bassa<br />

A San’Agata bolognese<br />

un’oasi di verde e cultura:<br />

10.000 querce per mitigare<br />

l’impatto della produzione<br />

automobilistica<br />

Il Parco<br />

Lamborghini<br />

Testi di Elena Boni – Paola Verini<br />

Foto di Comune di Sant’Agata Bolognese<br />

A Sant’Agata Bolognese nel 2011, da<br />

una collaborazione tra le Università di<br />

Bologna, Bolzano e Monaco, ha preso<br />

vita il progetto “Bosco delle Querce”:<br />

una ricerca scientifica sui diversi ritmi<br />

di crescita e assorbimento di anidride<br />

carbonica da parte di alberi di quercia.<br />

La ricerca è stata promossa e finanziata<br />

da Automobili Lamborghini, storica<br />

azienda del territorio che costituisce<br />

un’eccellenza produttiva mondiale<br />

e una risorsa economica e lavorativa<br />

fondamentale per la zona. Intenzione<br />

dell’azienda era creare su valide basi<br />

scientifiche un “polmone verde” in<br />

risposta all’inquinamento creato con la<br />

produzione automobilistica.<br />

A fianco dei cinque ettari di terreno<br />

dedicati al progetto scientifico e delle<br />

10 mila querce che vi sono state<br />

piantumate, in collaborazione con il<br />

Comune di Sant’Agata Bolognese, è<br />

stato realizzato un vero e proprio parco<br />

con finalità naturalistico-ricreative e<br />

didattiche.<br />

NATURA E SCIENZA<br />

L’area è dotata di un percorso che<br />

consente di apprezzare un arboreto<br />

(rassegna di alberi delle diverse specie<br />

tipiche della pianura), un arbusteto,<br />

una zona umida palustre (ricostruzione<br />

dell’ambiente acquatico delle paludi),<br />

una zona umida lacustre (ricostruzione<br />

dell’ambiente acquatico degli stagni),<br />

un boschetto igrofilo (ricostruzione del<br />

bosco legato agli ambienti acquatici),<br />

un boschetto mesofilo (ricostruzione del<br />

bosco di pianura), una siepe e un filare<br />

alberato. L’ambiente acquatico ricreato è<br />

particolarmente ricco di specie animali e<br />

vegetali e vi si coglie a colpo d’occhio la<br />

ricchezza di biodiversità che potremmo<br />

avere ancora nelle nostre acque, se ci<br />

impegnassimo a tenerle più pulite. Nei<br />

piccoli bacini d’acqua in primavera<br />

possono essere osservati migliaia di<br />

girini di rospo smeraldino che nell’area<br />

hanno trovato un luogo di rifugio, ma<br />

anche la rana verde e alcuni tritoni. Il<br />

parco è inoltre sede di un importante<br />

progetto di biomonitoraggio ambientale<br />

con le api a cura dell’entomologa Bettina<br />

Maccagnani. Le api ospiti del parco<br />

sono vere e proprie sentinelle in grado<br />

di rilevare il grado di inquinamento<br />

dell’aria, in particolare la presenza di<br />

metalli pesanti, nel raggio di diversi<br />

chilometri dallo stabilimento. Vicino<br />

all’area boschiva trova posto una<br />

struttura prefabbricata in legno utilizzata<br />

per finalità didattiche e ricreative.<br />

VIVERE IL PARCO<br />

Il parco è sempre aperto per i dipendenti<br />

dell’azienda Automobili Lamborghini.<br />

Grazie a una convenzione col Comune<br />

di Sant’Agata Bolognese, inoltre,<br />

viene aperto e reso fruibile a tutta la<br />

cittadinanza nei fine settimana tra<br />

aprile ed ottobre di ogni anno. In tali<br />

periodi il Comune assicura i servizi<br />

di vigilanza, pulizia ed apertura del<br />

parco. Per l’utilizzo del parco vige<br />

anche un regolamento, costruito al fine<br />

di assicurare la sostenibilità ambientale<br />

della gestione. La convenzione,<br />

rinnovata nell’anno 2022, prevede<br />

all’art 3: “(…) <strong>Nelle</strong> giornate di fruizione<br />

pubblica, qualora, nell’ambito di progetti<br />

istituzionali, didattici, ricreativi venga<br />

manifestata al Comune la volontà di<br />

svolgimento di iniziative all’interno del<br />

parco, iniziative ulteriori rispetto alle<br />

consuete modalità di fruizione pubblica,<br />

il Comune provvederà a sottoporre<br />

la relativa richiesta all’attenzione di<br />

Automobili Lamborghini (…)”. Sono<br />

stati quindi ideati e organizzati dal<br />

Servizio amministrativo dell’Area tecnica<br />

del Comune eventi di valorizzazione<br />

ambientale che esplorano annualmente<br />

temi diversi.<br />

Diventa un punto di distribuzione<br />

della rivista<br />

Puoi contattarci al numero 334.8334945 o scrivere una<br />

mail a: distribuzione.vallibolognesi@gmail.com<br />

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038


3931<br />

San’Agata Bolognese<br />

IN PROGRAMMA<br />

Nel 2022 si sono svolti incontri di<br />

yoga gratuiti e aperti a tutti, un’attività<br />

esperienziale sul labirinto, un<br />

laboratorio di disegno naturalistico<br />

per bambini in occasione dei 500 anni<br />

dalla nascita di Ulisse Aldrovandi,<br />

un laboratorio di fotografia e un<br />

concerto conclusivo. Nel 2023 si è<br />

costruito, anche con la collaborazione<br />

della Partecipanza Agraria, il Festival<br />

Inclusivo Divertente e Sostenibile<br />

(FIDES), rivolto alle tre scuole del<br />

territorio con diversi laboratori e<br />

mostre realizzati in modalità itinerante<br />

per valorizzare le risorse naturali e<br />

antropiche del territorio. Si sono svolti<br />

inoltre spettacoli musicali e di danza, un<br />

progetto di moda sostenibile realizzato<br />

da sole ragazze, una rievocazione<br />

storico-letteraria dedicata alle famiglie<br />

santagatesi del dopoguerra, numerose<br />

attività di educazione ecologica.<br />

Domenica 21 aprile si svolgerà<br />

un’iniziativa ecologica in<br />

collaborazione con la sezione<br />

Scout di Sant’Agata Bolognese e<br />

Geovest Srl: al mattino partirà una<br />

gara a squadre per raccogliere i<br />

rifiuti attraverso le vie del paese,<br />

con arrivo e premiazione finale al<br />

parco. A seguire, intorno alle ore 12<br />

il Consorzio della Bonifica Burana<br />

offrirà a grandi e piccini lo spettacolo<br />

di animazione teatrale “Divertiamoci<br />

col ciclo dell’acqua” di Lorenzo<br />

Bonazzi (La Piccola Carovana coop.<br />

soc.).<br />

Venerdì 24 maggio al pomeriggio<br />

si svolgerà “Mettiamo Radici al<br />

Parco/2”: un progetto sulla riscoperta<br />

della canapa, per secoli coltivata e<br />

lavorata nel territorio. Gli alunni della<br />

Scuola Steineriana “Il Ramo d’Oro”<br />

di S. Agata realizzeranno animazioni<br />

teatrali a tema mentre il corso<br />

“Tecnico sistema moda” dell’Ist.<br />

“Malpighi” di Crevalcore offrirà un<br />

allestimento di abiti “scolpiti” con la<br />

tecnica moulage.<br />

Domenica 2 giugno, Festa della<br />

Repubblica, i cori “I Castellani<br />

della Valle” di Crevalcore e “Coro<br />

Aurora” di Bologna rievocheranno le<br />

tradizioni e la storia del territorio con<br />

brani scelti dalla direttrice Angela<br />

Troilo.<br />

Per informazioni:<br />

Paola Verini | Comune di<br />

Sant’Agata Bolognese<br />

051 6818929<br />

paola.verini@comune.<br />

santagatabolognese.bo.it<br />

www.comune.santagatabolognese.<br />

bo.it/parco-lamborghini<br />

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La nostra STORIA<br />

A Carteria di Sesto c’è una delle più antiche chiese<br />

della Valle del Savena<br />

Alle origini dell’oratorio di<br />

Santa Maria del Mileto<br />

Testi di Gianluigi Pagani<br />

Nella località di Carteria di Sesto,<br />

frazione di Rastignano, Comune<br />

di Pianoro, esiste una delle più<br />

antiche chiese della Valle del Savena,<br />

denominata “Oratorio di Santa Maria<br />

del Mileto”, che le persone del luogo<br />

chiamano “Chiesuola”. Le prime<br />

notizie ufficiali di tale edificio sono<br />

riportate in un antico documento<br />

del 1116, e poi nel 1336, quando il<br />

notaio Lenzio Cospi redige un atto<br />

con cui il prete Benvenuto dona alla<br />

sua chiesa di Santa Maria del Mileto<br />

di Sesto alcuni terreni sulla destra<br />

del corso Savena. Successivamente,<br />

nel 1392, nell’elenco delle chiese<br />

bolognesi, viene censita dal notaio<br />

Paolo Cospi la “Ecclesia Santa Maria<br />

del Mileto” al numero 744, unita alla<br />

chiesa di “Sant’Andrea di Sesto” al<br />

numero 745. Numerosi documenti<br />

successivi (ex multis, notaio Giacomo<br />

Grassi) confermano l’attività di questa<br />

chiesa, che nel 1566 ha ricevuto la<br />

visita pastorale del cardinal Gabriele<br />

Paleotti e nel 1692 quella del<br />

cardinale Girolamo Boncompagni.<br />

Negli stessi anni il Casolari riferisce<br />

che la chiesa di Santa Maria del<br />

Mileto riceve dal marchese Tadeo<br />

Pepoli “…16 quattrini ed un cappone<br />

come canone per un pezzo di terra<br />

con un camino ed una camera”.<br />

Lo stesso oratorio è appartenuta<br />

nel 1378 al Plebanato del Pino, e<br />

poi con il rogito del notaio Vitale<br />

Antonio Maltacheti del 1500 è stata<br />

unita in modo perpetuo alla chiesa di<br />

Sant’Andrea. Il 12 ottobre 1760 altri<br />

documenti riferiscono che il parroco<br />

Arcangeli concede di tumulare<br />

all’interno della chiesa la salma di<br />

uno degli enfiteuti, esattamente il<br />

notaro Franco Antonio Galli. Nella<br />

ultima compravendita del notaio<br />

Sassoli del 31 dicembre 1946 alcuni<br />

terreni vengono venduti insieme<br />

alla stessa chiesa, con l’obbligo alla<br />

compratrice di mantenere l’edificio<br />

religioso adibito in perpetuo al culto.<br />

L’oratorio è l’unica chiesa della Valle<br />

del Savena, insieme alla Chiesa dei<br />

Santi Pietro e Girolamo di Rastignano,<br />

ad essere rimasta indenne dopo i<br />

gravissimi bombardamenti alleati<br />

della Seconda guerra mondiale, che<br />

rasero al suolo il 98% degli edifici<br />

civili e religiosi di Pianoro, definita la<br />

“Montecassino del nord”. All’interno<br />

dell’Oratorio si trova un pregevole<br />

affresco del 1518, una pala d’altare<br />

raffigurante la Madonna con Gesù<br />

Bambino e San Giovannino, con<br />

ai lati i santi Pietro e Sebastiano.<br />

L’oratorio è stata sede provvisoria<br />

parrocchiale della comunità locale<br />

fino al 19<strong>61</strong>, quando l’allora ‘vicario<br />

sostituto’ padre Stefano Marchioro<br />

ha trasferito la parrocchia nel centro<br />

abitato della vicina Carteria di Sesto,<br />

adibendo a chiesa un locale di nuova<br />

costruzione. Questa frazione prende<br />

il suo nome dalla definizione romana<br />

ad sextum lapidem in quanto dista<br />

da Bologna, in particolare da piazza<br />

Santo Stefano, sei miglia romane.<br />

I romani segnavano ogni miglia<br />

con una pietra, dove era indicato il<br />

numero e la distanza. Tale numero<br />

veniva quindi scritto ad sextum<br />

lapidem, da cui la denominazione di<br />

Sesto. La frazione anticamente aveva<br />

anche un castello alle falde del Monte<br />

detto Pollicino, ora Monte Pulcino,<br />

dove passava una via romana. Detto<br />

castello è stato distrutto dalla fazione<br />

avversa dei Lambertazzi, che hanno<br />

invaso il bolognese dalla vicina<br />

Faenza. Nel 1056, nel documento<br />

di manomissione della schiava<br />

Clariza, fatta dalla contessa Willa, fra<br />

i testimoni vi era Lamberto Foscolo<br />

figlio di Leone da Sesto. La località ha<br />

dato i natali a personaggi famosi fra<br />

i quali, il più illustre è sicuramente il<br />

frate Chiaro da Sesto, professore, che<br />

ha vestito l’abito di San Domenico<br />

nel 1219 ed è morto a Civitavecchia<br />

nel 1235, in odore di santità.<br />

EMIL GREEN. L’ONDA VERDE<br />

DEL CAMBIAMENTO<br />

Emil Banca si impegna concretamente per rispondere alle sfide del<br />

cambiamento climatico e promuovere uno sviluppo sostenibile. Con Emil<br />

Green sosteniamo l’acquisto di veicoli elettrici, pannelli solari, impianti<br />

fotovoltaici e gli investimenti di chi ha a cuore la salute del nostro pianeta.<br />

IL CUORE NEL TERRITORIO<br />

4131


l’istallazione<br />

A Monterenzio la nuova scultura di land<br />

art del percorso Bologna Montana Art<br />

Trail. Dal 1 al 9 giugno il festival green<br />

con trenta eventi sui territori toccati dal<br />

cammino<br />

MOCCUS,<br />

il cinghiale celtico<br />

Testi di Anna Magli<br />

C’è una nuova opera sul percorso Bologna Montana Art<br />

Trail. Dopo Baofés - Il Soffione di Monghidoro, le Colonne<br />

della Memoria di Monzuno, il Lupus Lujanes di Loiano e San<br />

Giorgio e il Drago di San Benedetto Val di Sambro, anche<br />

Monterenzio ha la sua scultura di land art: il Cinghiale<br />

Celtico. Nel Pantheon delle divinità adorate dagli antichi<br />

Celti, il protettore dei cacciatori e delle foreste era Moccus,<br />

il dio cinghiale. Questo animale, così caro a quel popolo,<br />

era usato come simbolo su stendardi di guerra, sulle monete,<br />

armature, indumenti e vasellame. Il Moccus, realizzato con<br />

salice viminale, ora posa sul Parco Archeologico di Monte<br />

Bibele in prossimità del Centro Servizi ed è facilmente<br />

raggiungibile per visite. Il Cinghiale Celtico è diventato la<br />

quinta opera del percorso di Bologna Montana Art Trail,<br />

in continuazione del progetto creativo che porterà alla<br />

realizzazione, nell’arco di alcuni anni, di una galleria a cielo<br />

aperto, lunga circa 100 km, costellata di decine e decine<br />

di opere di land art. Questa forma d’arte contemporanea è<br />

caratterizzata dall’intervento diretto dell’artista sul territorio,<br />

utilizzando il paesaggio non solo come soggetto, ma come<br />

materia stessa dell’opera. Questo significa che gli artisti<br />

creano le loro opere avvalendosi principalmente di materiali<br />

raccolti sul territorio come alberi, rami, tronchi, sassi, terra<br />

e quanto d’altro il territorio mette a disposizione.<br />

Bologna Montana Art Trail si candida, fin dal suo esordio, a<br />

qualificarsi come unico e distintivo rispetto a tutti i cammini<br />

presenti sia in Italia che all’estero. Un contesto originale,<br />

dove la creatività dialoga con l’ambiente fino a fondersi in<br />

un unico itinerario con arte e natura che interagiscono in un<br />

processo di costante rinnovamento e trasformazione.<br />

Il programma di Viva il Verde prevede, dall’1 al 9 giugno<br />

2024, la quarta edizione di Bologna Montana Evergreen<br />

Fest, il Festival “diffuso” dell’ambiente e della sostenibilità.<br />

Saranno oltre trenta eventi e proprio l’1 giugno, oltre<br />

all’inaugurazione del percorso Bologna Montana Art Trail<br />

che sarà realizzata da un gruppo di podisti con una staffetta<br />

ambientale lungo i 100 km del percorso, si terrà anche la 2°<br />

edizione di Bologna Montana Land Art.<br />

I 10 artisti selezionati durante il periodo del Festival<br />

realizzeranno le nuove opere di land art che andranno ad<br />

aggiungersi a quelle già installate. Sarà un’attività molto<br />

interessante e coinvolgente perché Viva il Verde organizzerà<br />

alcune escursioni per osservare gli artisti durante le fasi di<br />

creazione delle varie opere.<br />

La rassegna Bologna Montana Land Art, contribuirà a<br />

connotare in modo distintivo Bologna Montan Art Trail<br />

rendendolo un progetto di intrattenimento unico nel suo<br />

genere con l’intento di farlo diventare, negli anni, un<br />

movimento in grado di attrarre persone da tutto il mondo.<br />

Bologna Montana Art Trail e la Rassegna Bologna Montana<br />

Land Art sono stati progettati prevedendo l’integrazione tra<br />

le due attività con l’obiettivo di creare un progetto innovativo<br />

in costante rinnovamento e trasformazione dove natura,<br />

ecologia, sport, tempo libero, arte e cultura interagiscono<br />

e dialogano tra di loro generando una piattaforma<br />

esperienziale e sorprendente dedicata a chi vuole vivere<br />

e condividere emozioni. Inoltre, da quest’anno, anche il<br />

Festival Bologna Montana Evergreen Fest si terrà lungo il<br />

percorso per rafforzare ulteriormente il progetto.<br />

L’Associazione Viva il Verde vuole rendere l’itinerario un<br />

progetto d’avanguardia che, nella sua esclusività, sia in<br />

grado di attrarre sui territori oltre a camminatori, biker e<br />

cavalieri anche persone interessate all’arte, all’estetica<br />

paesaggio, all’architettura del verde, all’ecologia, alle<br />

tecniche naturali rivolte al benessere fisico e mentale come,<br />

42


Monterenzio<br />

Foto 1:Il cinghiale celtico<br />

Foto 2: L’assessore regionale alla cultura Mauro Felicori e il<br />

Presidente di Viva il Verde Daniele Maestrami<br />

Foto 3: Escursionisti in posa a Mone Bibele<br />

ad esempio, la terapia forestale. In previsione di un pubblico<br />

sempre più eterogeneo, Viva il Verde lavora da mesi con<br />

altre associazioni, aziende e professionisti per dare vita ad<br />

un vero e proprio cartellone di eventi che si terrà nel corso<br />

dell’anno in prossimità delle opere. Il programma prevede:<br />

concerti, visite guidate, campus, eventi, convegni, iniziative<br />

legate al teatro e alla danza, workshop, presentazioni di<br />

libri, laboratori per le scuole e per adulti oltre ad attività di<br />

yoga e meditazione ed innumerevoli altre iniziative. Tutti<br />

eventi che saranno contestualizzati nell’ambito di Bologna<br />

Montana Art Trail che potrà connotarli in modo esclusivo e<br />

dargli un valore aggiunto particolare.<br />

Bologna Montana Art Trail con la sua forte componente<br />

innovativa si propone anche alle aziende come luogo non<br />

convenzionale dove realizzare seminari, gruppi di lavoro,<br />

team building e attività motivazionali.<br />

Il progetto ha già registrato ampio consenso e partecipazione,<br />

oltre che del pubblico, anche di istituzioni e amministratori,<br />

a partire dall’Assessore Regionale alla Cultura e al Paesaggio<br />

Mauro Felicori. Il calendario visite, che la stagione invernale<br />

ha momentaneamente rallentato ma mai interrotto, si<br />

annuncia ricco di richieste da molte regioni italiane grazie<br />

alla spontanea cassa di risonanza generata dalle visite di<br />

questi mesi e dall’interesse dei media.<br />

43


DA VEDERE<br />

Sembra un angolo di Iran ma è nel Parco dei Gessi e<br />

Calanchi dell’Abbadessa. L’avventura di tre amici che<br />

producono (e commercializzano) la preziosa spezia<br />

alle porte di Bologna<br />

Lo zafferano<br />

di Castel de’ Britti<br />

Testo di Alessandra Testa<br />

C’è un piccolo regno dello zafferano<br />

all’interno del Parco dei gessi<br />

bolognesi e calanchi dell’Abbadessa,<br />

il più grande parco carsico dell’Emilia-<br />

Romagna che, con i suoi quasi<br />

3.500 ettari di superficie, nel 2023 è<br />

stato riconosciuto come patrimonio<br />

dall’Unesco.<br />

Dietro questo sorprendente lembo di<br />

terra, che si estende per appena 150<br />

metri quadri quasi fosse un angolo<br />

di Iran, dai colori che ricordano<br />

i monti Sibillini fra le Marche e<br />

l’Umbria, si nasconde la storia di<br />

una grande amicizia, iniziata molti<br />

anni fa nei locali di un barbiere, fra<br />

tre ormai ex ragazzi: Cristian Greco,<br />

Andrea Querzè e Alessandro Fazioli.<br />

A coltivare la pianta dal cui fiore si<br />

ottiene la spezia, decisamente atipica<br />

per il territorio emiliano, sono proprio<br />

loro, i tre soci del Podere Castel de’<br />

Britti, che si trova a pochi chilometri<br />

da San Lazzaro di Savena e che fu<br />

fondato dal padre di Andrea, che di<br />

mestiere fa “l’acconciatore” ma che<br />

ha da sempre il lavoro della terra nel<br />

Cristian Greco, Andrea Querzè<br />

e Alessandro Fazioli:<br />

i tre soci del Podere Castel dè Britti<br />

dove coltivano<br />

lo zafferano a km zero<br />

che commercializzano<br />

con il marchio<br />

L’Oro Rosso dei Gessi <strong>Bolognesi</strong><br />

dna e il tarlo per i prodotti di stagione<br />

a chilometro zero. Una passione che<br />

ha trasmesso anche ai suoi compagni<br />

di avventura che, proprio perché<br />

anch’essi impegnati in altre attività<br />

lavorative, sono entrambi dipendenti<br />

dell’impresa di macchine automatiche<br />

Ima, la svolgono con la devozione che<br />

si concede solo ad un grande amore.<br />

“Per noi è più di un secondo lavoro –<br />

spiega infatti Greco – e trascorriamo<br />

tutto il nostro tempo libero in questa<br />

azienda agricola”.<br />

Persino la mattina, qualche ora prima<br />

di timbrare il cartellino per Cristian e<br />

Alessandro, e tutti i sacrosanti lunedì,<br />

quando i parrucchieri non esercitano,<br />

per Andrea. Fanno i turni, proprio come<br />

in fabbrica, ma coprono ogni ruolo:<br />

l’impianto dei bulbi, la raccolta dei<br />

fiori, l’operazione di mondatura, “con<br />

le nostre dita e le nostre unghie che<br />

si colorano di rosso”, e l’essiccatura.<br />

“Siamo perdutamente innamorati<br />

di queste colline – aggiunge –, ci<br />

siamo nati e per noi sono il luogo<br />

più bello del mondo”. Quando il<br />

podere già aveva scelto di distinguersi<br />

specializzandosi nella localissima<br />

coltivazione del carciofo violetto di<br />

San Luca, primo amore dei tre soci,<br />

l’idea dello zafferano è arrivata quasi<br />

per caso. Serendipity la chiamano gli<br />

inglesi. Mentre Cristian cercava altro,<br />

di godersi semplicemente un periodo<br />

di vacanza in Umbria, ecco che si<br />

palesa la folgorazione. “Davanti a quel<br />

terreno che assumeva una colorazione<br />

così spettacolare, mi sono chiesto: ma<br />

perché non posso esportare anche<br />

dalle nostre parti una meraviglia del<br />

genere?”. Detto e fatto. Condivisa la<br />

suggestione con Alessandro e Andrea,<br />

“dopo qualche tempo avevamo già<br />

acquistato da due vivaisti umbri<br />

certificati i primi duemila bulbi da<br />

impiantare”. Cristian utilizza la stessa<br />

pazienza con cui si dedica al “suo”<br />

zafferano, che ama indicare come<br />

“l’oro rosso dei Gessi bolognesi”, per<br />

ripercorrere le fasi della coltivazione.<br />

“Il bulbo si pianta alla fine del mese<br />

di agosto – racconta –. Con le prime<br />

piogge, inizia a germogliare e, verso<br />

la metà di ottobre, a fiorire. La<br />

fioritura dura molto poco, circa un<br />

mese. Ora siamo in marzo e cioè –<br />

spiega – in piena stagione vegetativa<br />

con solo le foglie in bella vista. Foglie<br />

che inizieranno a seccarsi con i primi<br />

caldi, verso maggio, consentendo<br />

sotto di esse la riproduzione dei<br />

bulbi”. Il Podere Castel de’ Britti fa<br />

parte dell’associazione Zafferano<br />

Italiano, che ha come obiettivo<br />

la tutela e la promozione dello<br />

zafferano prodotto in Italia secondo<br />

una storia che si tramanda di<br />

generazione in generazione oltre<br />

che la garanzia di tracciabilità del<br />

prodotto. L’azienda agricola è inoltre<br />

Presidio Slow Food e dal 2023 ha<br />

44


San Lazzaro<br />

ricevuto il marchio di denominazione<br />

comunale De.Co, un riconoscimento<br />

dalla Città Metropolitana di<br />

Bologna a salvaguardia dei prodotti<br />

agroalimentari del territorio locale.<br />

Non solo zafferano, dunque, ma anche,<br />

come si diceva, il carciofo. “Nel 2014<br />

Andrea e suo zio Graziano – accenna<br />

Cristian – cominciarono a piantare<br />

carciofi per il puro piacere di ricercare<br />

un prodotto che si distinguesse dagli<br />

altri, dando spazio a decine di varietà,<br />

spesso senza conoscerne il nome. Nel<br />

coglierli, scoprirono una varietà che si<br />

distingueva per profumo e dolcezza.<br />

“Par forza l’ è bon – gli disse allora<br />

un esperto, tal Mattioli, che poi ci<br />

vendette migliaia di piante – quest<br />

què l’ è un Sanluchino!”. Una coltura<br />

dimenticata di cui in provincia di<br />

Bologna si occupano in tutto cinque<br />

agricoltori, riunitisi nell’associazione<br />

Violetto di San Luca. “A parte due<br />

piccolissime aziende di Monghidoro<br />

– informa Greco con orgoglio<br />

tornando invece all’oro rosso –,<br />

siamo gli unici bolognesi a produrre<br />

zafferano, una spezia che oggi<br />

vendiamo in stimmi (non in polvere,<br />

ndr) a privati e a diversi ristoratori<br />

della zona”. La purezza del prodotto,<br />

e le sue caratteristiche organolettiche,<br />

e dunque profumo, aroma e colore,<br />

sono ogni anno certificati grazie alle<br />

analisi dell’Università de L’Aquila. “È<br />

da tre anni che siamo classificati con<br />

il livello massimo di qualità”, assicura<br />

Greco mettendo il sigillo ad una storia<br />

che in fondo ha dell’incredibile visto<br />

che – precisa – “il 90% dello zafferano<br />

commercializzato in Italia proviene<br />

dall’Iran o dal Marocco”.<br />

45


QUESTO LO FACCIO IO<br />

Azioni e comportamenti<br />

per la tutela<br />

della biodiversità<br />

a cura di Andrea Morisi<br />

(Sustenia srl)<br />

stagno in funzione<br />

Acque basse, lame di fango, canneti sono formidabili per lo sviluppo della biodiversità<br />

LO STAGNO<br />

Un terzo appuntamento per cimentarsi<br />

nella ricostruzione di spazi naturali. Dopo<br />

aver parlato di boschi e siepi, passiamo<br />

all’ecosistema acquatico, l’altro ambiente<br />

di base per la pianura, che più di tutti<br />

rappresenta il territorio che ha bisogno di<br />

restaurare l’ambiente e ridare spazio alla<br />

natura.<br />

L’ecosistema di riferimento è quello<br />

palustre ovvero la raccolta di acqua dolce<br />

stagnante e poco profonda. È quella che<br />

chiamiamo anche palude, anche se spesso<br />

questo termine viene ancora visto con<br />

un’accezione negativa.<br />

L’ecosistema palustre caratterizzava vaste<br />

- Giunco Schoenoplectus mucronatus<br />

- Nannufero<br />

superfici della pianura bolognese ancora<br />

fino alla metà del secolo scorso. Una<br />

parte era in realtà semi-addomesticata<br />

in forma di risaie, ma grandi estensioni<br />

erano costituite dalle cosiddette “valli” in<br />

cui finivano le acque dei fiumi non ancora<br />

irregimentati.<br />

Tipicamente, la palude è un ecosistema<br />

molto ricco di vita, ma anche ostico, non<br />

solo per la presenza di acqua e fango,<br />

ma anche per l’impenetrabilità della<br />

vegetazione che ne copre grandi porzioni:<br />

il canneto. Non è un caso che parte della<br />

Resistenza nella Bassa bolognese abbia<br />

trovato base e rifugio tra i canneti e le<br />

paludi, ma si pensi anche al romanzo<br />

L’Agnese va a morire di Renata Viganò,<br />

ambientato, appunto, nelle valli del<br />

Ferrarese.<br />

Acque basse, lame di fango, canneti sono<br />

altresì formidabili luoghi per lo sviluppo<br />

della biodiversità. La loro eliminazione ha<br />

sì portato a scongiurare il rischio malarico<br />

e ha messo a disposizione terreni per<br />

l’agricoltura, ma con questi ecosistemi<br />

se ne sono andati elementi regolatori<br />

fondamentali per l’idrogeologia della<br />

pianura, di fitodepurazione delle acque,<br />

di assorbimento di anidride carbonica, di<br />

diversificazione del paesaggio e di hot spot<br />

della biodiversità e dei servizi ecosistemici<br />

correlati.<br />

Detto questo, dalla metà degli anni ’90<br />

del secolo scorso, in pianura hanno<br />

fatto la ricomparsa zone umide palustri,<br />

spesso incentivate dai finanziamenti<br />

agroambientali dell’Unione Europea e<br />

molte piante ed animali hanno ritrovato<br />

uno spazio per sopravvivere tra i campi<br />

sterminati dell’agricoltura industriale e gli<br />

insediamenti urbani e produttivi. Questi<br />

interventi sono stati per lo più operati da<br />

grandi aziende agricole, spesso dedicati<br />

anche all’attività venatoria, ma anche vari<br />

enti pubblici hanno ricreato zone umide,<br />

in questo caso pubblicamente fruibili.<br />

46


Ambiente e territorio<br />

iI questa pagina:<br />

- Brasca Potamogeton natans<br />

- Genziana d’acqua<br />

- Rana verde<br />

- Stagno nel bosco<br />

È questo il caso delle aree protette che<br />

afferiscono alla Convenzione GIAPP.<br />

Ma anche un singolo cittadino, nel suo<br />

piccolo, può intervenire per favorire la<br />

biodiversità palustre, magari nel proprio<br />

giardino, ricostruendo un piccolo stagno<br />

che si potrà rivelare pieno di vita ed<br />

attraente.<br />

COME REALIZZARE UNO STAGNO<br />

Non ha bisogno di grandi spazi, lo si può<br />

fare in un angolo del giardino, nel ritaglio<br />

di terreno non coltivato, nel parco della<br />

scuola, nel giardino pubblico.<br />

La sua forma non ha molta importanza,<br />

se non per eventuali ragioni estetiche.<br />

Qui per praticità consideriamo una forma<br />

schematica, rettangolare, di 6 metri di<br />

lunghezza e 4 metri di larghezza per una<br />

profondità massima di 75 centimetri.<br />

Quello che è importante è prevedere<br />

l’impermeabilizzazione del fondo (si può<br />

utilizzare un telo plastico in pvc) e creare<br />

almeno una sponda con una pendenza<br />

molto lieve.<br />

Quindi, fatto lo scavo, si dispone il telo<br />

impermeabile, si rincalzano bene i suoi<br />

margini, avendo cura di ricavare delle<br />

“terrazze” perimetrali in cui la terra<br />

rimane imbevuta d’acqua, e poi si riempie<br />

lo stagno stando ben attenti che il telo<br />

rimanga disteso. Può essere utile mettere<br />

un po’ di terra anche sul fondo, ma va<br />

considerato che il principale fattore di<br />

invecchiamento dello stagno sarà proprio<br />

rappresentato dal depositarsi di terreno e<br />

residui vegetali sul suo fondo, quindi non<br />

conviene aiutare troppo questa dinamica<br />

naturale.<br />

Una volta riempito d’acqua, il nuovo<br />

stagno risulta “sterile” per cui è opportuno<br />

introdurre appositamente piante<br />

acquatiche, sia con piccoli vasi adagiati<br />

sul fondo (per quanto riguarda ninfee,<br />

nannuferi, genziane d’acqua, brasche,<br />

ecc.), sia lasciando cadere in acqua ciuffi<br />

flottanti (per ceratofilli, miriofilli, ecc.), sia<br />

piantando esemplari sui bordi (per giunchi,<br />

carici, iris gialli, ecc.).<br />

LE PIANTE ACQUATICHE<br />

Le specie vegetali legate all’acqua si<br />

distinguono per la loro collocazione<br />

a seconda della profondità e possono,<br />

sommariamente, essere suddivise tra<br />

quelle di sponda (elofite) e quelle che<br />

radicano sul fondo dello stagno (idrofite).<br />

Altre risultano flottanti nello spessore<br />

dell’acqua e altre ancora sono galleggianti.<br />

In natura stanno rarefacendosi sempre<br />

di più, anche i canali, ormai, risultano<br />

estremamente impoveriti. Per questa<br />

ragione può essere molto utile ricreare<br />

uno stagno che ospiti le piante acquatiche<br />

autoctone. Attenzione però al loro<br />

reperimento: andarle a prendere in<br />

natura può voler dire creare gravi danni<br />

e incorrere anche in violazioni delle<br />

leggi che le tutelano. Meglio riferirsi a<br />

vivai specializzati, stando attenti alla<br />

provenienza delle piante per evitare di<br />

introdurre specie o ecotipi estranei.<br />

In diversi casi, nello stagno possono<br />

arrivare, nel tempo, alcune piante<br />

acquatiche spontaneamente, magari con<br />

semi trasportati dal vento o, più spesso,<br />

trasportate da uccelli acquatici che<br />

vengono a far visita all’ambiente che avete<br />

ricostruito.<br />

È comunque molto importante introdurre<br />

nel nuovo stagno quante più piante<br />

acquatiche si può. All’inizio stenteranno<br />

un po’, ma poi andranno incontro ad una<br />

forte crescita e tutto lo stagno ne verrà<br />

colonizzato. La loro crescita avviene grazie<br />

alle sostanze nutritive che assorbono<br />

direttamente dall’acqua e questo porterà a<br />

due risultati apprezzabili: l’acqua risulterà<br />

limpida e le larve delle zanzare avranno<br />

poco cibo per accrescersi, oltre a venire<br />

predate da altri organismi che riusciranno<br />

a vivere grazie all’acqua pulita.<br />

Dopo qualche anno, o se alcune piante<br />

dovessero crescere troppo, risulterà<br />

opportuno togliere un po’ di vegetazione<br />

dallo stagno per evitare che si decomponga<br />

e vanifichi il mantenimento della buona<br />

qualità dell’acqua. Questa è un’operazione<br />

delicata, che va fatta stando ben attenti<br />

a non togliere assieme alle piante, anche<br />

uova di anfibi, girini e piccoli invertebrati.<br />

La Convenzione GIAPP da una decina<br />

d’anni ha attivato presso la “Bora” a San<br />

Giovanni in Persiceto, un “Giardino<br />

delle Acquatiche” dedicato proprio alla<br />

conservazione delle piante acquatiche<br />

della pianura.<br />

47


QUESTO LO FACCIO IO<br />

SCHEMA REALIZZAZIONE STAGNO<br />

GLI ANIMALI DELLO STAGNO<br />

Gli animali arriveranno quasi<br />

sicuramente da soli. Le libellule e altri<br />

insetti acquatici giungeranno in volo,<br />

rane e tritoni nelle notti di pioggia. Ma<br />

sarà una continua scoperta di nuovi<br />

organismi che colonizzeranno lo stagno,<br />

si sostituiranno nel tempo e creeranno<br />

un incantevole piccolo ecosistema.<br />

L’osservazione di questo processo<br />

naturale costituisce un ottimo esercizio<br />

di educazione ambientale.<br />

Vi consigliamo vivamente di non<br />

introdurre pesci in quanto, in una piccola<br />

raccolta d’acqua come quella di cui<br />

stiamo parlando, non darebbero scampo<br />

né ai girini, né agli invertebrati acquatici,<br />

impoverendo e alterando l’ecosistema.<br />

Una raccolta d’acqua con molta<br />

vegetazione acquatica e invertebrati<br />

predatori che vi sopravvivono perché<br />

l’acqua è pulita, non produrrà le temute<br />

pullulazioni di zanzare. Innanzitutto<br />

perché le zanzare, che pure vi<br />

giungeranno e vi deporranno le uova,<br />

saranno predate dagli altri organismi e,<br />

soprattutto, le larve, che per accrescersi<br />

filtrano i nutrienti presenti nell’acqua,<br />

avranno ben poco cibo a disposizione<br />

in quanto le piante acquatiche avranno<br />

assorbito la maggior parte della sostanza<br />

organica. Basterà, per stare nel sicuro,<br />

controllare ogni tanto con un retino a<br />

maglie molto fini: se proprio dovessimo<br />

raccogliere larve di zanzara (attenti a<br />

non confonderle con altri organismi!),<br />

allora potremo intervenire con Bacillus<br />

thuringiensis, un prodotto biologico che<br />

si trova in commercio e che è selettivo<br />

per i Ditteri. Ma nella nostra esperienza,<br />

SEZIONE STAGNO<br />

uno stagno ben realizzato e ben gestito e<br />

pieno di piante, non “produce” zanzare.<br />

Per completezza: la zanzara tigre (quella<br />

che punge di giorno), che è la zanzara che<br />

più temiamo per la numerosità e il fastidio<br />

che provoca, non depone negli stagni, ma<br />

in piccolissime raccolte d’acqua (i famosi<br />

sottovasi, le caditoie, i tombini) e quindi, se<br />

ve le ritrovate in giardino, non date la colpa<br />

allo stagno, ma cercate bene altre cause.<br />

Ogni piccolo stagno in più nel nostro<br />

territorio costituisce un ottimo aiuto alla<br />

biodiversità e potremo dire “Questo l’ho<br />

fatto io!”.<br />

48


Ambiente e territorio<br />

La crisi climatica e le sue conseguenze ci invitano<br />

a cambiare le nostre abitudini e noi, con l’arrivo<br />

della primavera vi invitiamo a fare un gesto antico<br />

e rivoluzionario: imparare a coltivare una parte<br />

del cibo che consumate<br />

La rivoluzione<br />

nell’orto<br />

Testo di Silvano Ventura – info@bioesostenibile.it<br />

La coltivazione di un orto biologico, quindi senza l’uso di prodotti<br />

chimici, per la produzione di parte del fabbisogno alimentare<br />

familiare presenta molteplici benefici, sia per la salute individuale<br />

e collettiva, sia per l’ambiente, che per il portafoglio. Innanzitutto,<br />

la coltivazione di ortaggi biologici garantisce un’alimentazione<br />

sana e genuina, priva di pesticidi e altri agenti chimici. In secondo<br />

luogo, la cura dell’orto è un’attività fisica all’aperto che favorisce<br />

il benessere psicofisico e contribuisce a ridurre lo stress. Inoltre, la<br />

coltivazione dell’orto è un’esperienza educativa che consente di<br />

comprendere i meccanismi della vita e di sviluppare un rapporto<br />

più consapevole con la natura. Un’esperienza che fa bene a<br />

tutti, dai bambini fino agli anziani e che fa riscoprire il valore<br />

dei prodotti alimentari, che quando sono frutto del nostro lavoro<br />

e delle nostre cure, hanno un gusto diverso. E portarli in tavola,<br />

è sempre una festa! Per avviare un orto biologico è necessario<br />

scegliere un luogo soleggiato e riparato dal vento, preparare<br />

il terreno con concime organico e scegliere le piante giuste<br />

per il clima e la stagione. E’ sempre bene avere una persona<br />

d’esperienza che, almeno per i primi tempi, ci affianchi e ci<br />

insegni, per evitarci errori banali e farci avere fin da subito,<br />

la gioia di un buon raccolto! La cura dell’orto richiede un<br />

impegno costante, ma è un’attività gratificante che può apportare<br />

benefici significativi alla salute, all’ambiente e alla comunità. In<br />

conclusione, la coltivazione di un orto biologico è un’attività che<br />

può essere svolta da chiunque, indipendentemente dall’età, dalle<br />

condizioni fisiche e acquisendo qualche conoscenza tecnica<br />

attraverso libri o corsi, la soddisfazione di consumare i prodotti<br />

del nostro orto è assicurata.<br />

Adesso, non vi resta che mettervi all’opera e cominciare la vostra<br />

rivoluzione nell’orto.<br />

49


Chi ben comincia<br />

è a metà dell’opera<br />

con Conto Generazione<br />

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documentazione informativa e precontrattuale di Trasparenza – Fogli Informativi e Documento Informativo sulle Spese del conto corrente - disponibile presso tutte le Filiali e<br />

nella sezione “Trasparenza” dei siti internet delle Banche di Credito Cooperativo aderenti all’iniziativa.<br />

La Carta di Debito Consumer CartaBCC Green Minori è emessa dall’Istituto di Moneta Elettronica BCC Pay S.p.A. e collocata dalle Banche di Credito Cooperativo Affiliate al Gruppo<br />

Bancario Cooperativo Iccrea. Per le condizioni economiche e le principali clausole contrattuali della Carta di Debito pubblicizzata e per quanto non espressamente indicato è<br />

necessario fare riferimento al Foglio Informativo disponibile presso le Filiali e nella sezione “Trasparenza” del sito internet della Banca di Credito Cooperativo collocatrice, nonché<br />

nella sezione “Trasparenza” del sito www.cartabcc.it dell’Emittente BCC Pay S.p.A.. La concessione della Carta di Debito CartaBCC Green Minori è subordinata alla sussistenza dei<br />

necessari requisiti in capo al soggetto richiedente, nonché all’approvazione della Banca collocatrice e dell’Emittente BCC Pay S.p.A..<br />

La Carta di Debito CartaBCC Green Minori richiede l’apertura di un conto corrente ed il compimento dei 15 anni di età da parte del Minore.


ALLE ORIGINI DEL VINO<br />

La storia<br />

dei vitigni<br />

dei Colli <strong>Bolognesi</strong><br />

È sul nostro territorio da più di due mila<br />

anni, si contende il primato dei vini<br />

petroniani con il Pignoletto<br />

IL TREBBIANO<br />

Testo di Alessio Atti<br />

Da 30 anni a questa parte Bologna ha scelto il suo<br />

vino di riferimento, realizzato in diverse versioni e<br />

stili, sta trovando un grande consenso nazionale ed<br />

internazionale. I vignaioli che lo producono imbottigliano<br />

vere eccellenze. Quando si parla di vino petroniano,<br />

oggi, si pensa al Pignoletto che sui Colli <strong>Bolognesi</strong> trova<br />

la seconda DOCG regionale dopo la Romagna Albana.<br />

Oltre alle consuete etichette superiore e frizzante, non<br />

mancano pregiatissime versioni spumantizzate o, le più<br />

rare, raccolte tardive.<br />

Il Pignoletto unisce tantissimi vignaioli bolognesi dando<br />

una definizione a questo territorio. Benché il suo reame<br />

vada dal modenese orientale al faentino occidentale ed è<br />

l’incontrastato re enoico felsineo, la sua corona è contesa<br />

da un altro bianco.<br />

A quantità di vino prodotto e di ettari coltivati, il Pignoletto<br />

deve fare i conti con il vero monarca del bolognese,<br />

il Trebbiano Romagnolo detto anche Trebbiano della<br />

fiamma. Il primo è difficile trovarlo in blend con altri<br />

bianchi, il secondo è quasi sempre in uvaggio. Il primo è<br />

difficile da lavorare, il secondo dà ottime rese ed è anche<br />

resistente a diverse malattie.<br />

Probabilmente dopo secoli di anonimato, il mercato<br />

vitivinicolo bolognese richiedeva un vino particolare,<br />

antico, meno conosciuto e la scelta ricadde sul Pignoletto<br />

da uve di Grechetto Gentile, stesso DNA del Grechetto<br />

di Todi.<br />

Del resto il Trebbiano Romagnolo fa parte della grande<br />

famiglia dei Trebbiani che sono sul territorio nazionale<br />

da almeno due millenni. Pare che il nome derivi dal<br />

latino Trebula, fattoria. Poteva quindi essere considerato<br />

il vino casereccio, quotidiano, di paese. Citato anche da<br />

Pier de’ Crescenzi sul finire del XIV secolo era già molto<br />

diffuso nel medioevo.<br />

Diamo i numeri: nella provincia di Bologna il Pignoletto<br />

abita sul 22% del territorio vitato mentre il Trebbiano<br />

Romagnolo si attesta su un perentorio 33%, in Emilia<br />

Romagna è il vitigno a bacca bianca più diffuso e convive<br />

con altri Trebbiani. Tra i più famosi parenti del Trebbiano<br />

Romagnolo troviamo il Trebbiano Toscano, quello di<br />

Soave e quello, forse più pregiato, Abruzzese.<br />

Non minori il Trebbiano di Modena che concorre a<br />

realizzare l’omonimo Aceto Balsamico Tradizionale e la<br />

Trabbianella di Spagna, per citarne di vicini.<br />

Il vino che ci offre il Pignoletto è sottile, fresco, floreale<br />

con sentori di frutta a polpa bianca e la caratteristica nota<br />

amarognola finale; connotati riconoscibili e piuttosto<br />

definiti che inquadrano il territorio.<br />

Il Trebbiano Romagnolo, dal canto suo, ci dona un<br />

bouquet aromatico più fine e per questo forse ci appare<br />

più limitato, frutta a polpa bianca, fiori di campo,<br />

note erbacee sono sostenute da una discreta sapidità e<br />

freschezza. Queste caratteristiche lo pongono come tra<br />

i bianchi preferiti nel concorrere a importanti uvaggi per<br />

completare eccellenti vini offrendo spalla acida, struttura,<br />

mineralità e arricchire ventagli aromatici.<br />

Oggi, alcuni vignaioli credono molto in lui e lo<br />

propongono discrete versioni in purezza soprattutto<br />

verso l’imolese con la DOC Romagna Trebbiano.<br />

Sui nostri Colli Pignoletto e Trebbiano trovano<br />

comunque un insieme proponendo interessanti versioni<br />

spumantizzate, verso occidente più presente il Trebbiano<br />

di Modena e, manco a dirlo, ad oriente quello Romagnolo.<br />

Il Trebbiano, infine, appare oggi come un vino<br />

contemporaneo, spensierato, ottimo per aperitivi con<br />

salumi, tigelle o piadine e si accompagna benissimo con<br />

cene di pesce, al tramonto, mentre si ascoltano le onde<br />

infrangersi in riva al mare.<br />

51


FOTONATURALISMO<br />

La decima puntata<br />

di un piccolo corso<br />

sui segreti<br />

del fotografo<br />

naturalista<br />

WildWatching<br />

Lupo fotografato in digiscoping a 500 metri di distanza<br />

Fotocamere,<br />

videocamere e obiettivi<br />

Testi e foto di Paolo Taranto<br />

Per la documentazione naturalistica<br />

possono essere utilizzate diverse tipologie<br />

di camere, da modelli compatti ed<br />

economici a modelli di fascia alta, più<br />

costosi ma molto più performanti come<br />

le moderne mirrorless o reflex a obiettivi<br />

intercambiabili. I modelli compatti sono<br />

solitamente fotocamere con obiettivo<br />

zoom integrato, che consentono di avere in<br />

un unico strumento varie lunghezze focali,<br />

dal grandangolo al tele o super-tele.<br />

TIPOLOGIE<br />

Quando si documenta la natura, con foto<br />

o video, infatti bisogna distinguere diverse<br />

tipologie di obiettivi in funzione di ciò che<br />

si vuole documentare:<br />

-per i paesaggi, gli ambienti, gli habitat è<br />

necessario un obiettivo grandangolare<br />

-per piccoli soggetti come fiori, invertebrati,<br />

rettili, anfibi di piccole dimensioni si<br />

utilizza solitamente una lente macro, cioè<br />

che consente di mettere a fuoco a distanza<br />

ravvicinata, dai 60 ai 180 mm in genere ma<br />

in alcuni casi sono utili anche i grandangoli<br />

macro che consentono di includere oltre al<br />

piccolo soggetto anche l’ambiente in cui<br />

vive.<br />

Per gli animali, principalmente mammiferi<br />

e uccelli, è invece necessario l’uso di<br />

obiettivi tele o super-tele, in generale<br />

almeno da un minimo di 300 mm in<br />

su, questo perché a causa della elevata<br />

distanza di fuga è difficile documentare<br />

questi soggetti a brevi distanze a meno<br />

che non si usino particolari accorgimenti<br />

come l’appostamento, le fototrappole etc.<br />

Maggiore è la lunghezza focale di questi<br />

obiettivi, espressa in mm, maggiore sarà<br />

la distanza operativa, ma generalmente<br />

obiettivi di questo genere sono piuttosto<br />

costosi. Per fortuna le fotocamere compatte<br />

come le camere compatte con zoom<br />

offrono una buona alternativa fornendo<br />

tanti mm a costi più accessibili.<br />

Videocamera palmare Panasonic<br />

HC-V380 con zoom tele fino a 1740 mm<br />

Esempi di foto (fotogrammi estratti<br />

da video) dello zoom di una<br />

videocamera palmare super-zoom<br />

TRASPORTABILITÀ<br />

Ciò che porta spesso a scegliere i modelli<br />

compatti e multiruolo, come le camere con<br />

zoom, non è sempre l’aspetto economico<br />

ma anche la trasportabilità dovuta al<br />

minor peso e ingombro ma anche la<br />

comodità. Un’attrezzatura standard<br />

con reflex/mirrorless e teleobiettivo è<br />

spesso ingombrante e molto pesante, una<br />

fotocamera superzoom invece è molto<br />

più trasportabile e leggera. Alcune piccole<br />

videocamere palmari sono davvero<br />

minuscole e possono addirittura stare in<br />

tasca.<br />

TANTI MM A BASSO COSTO<br />

Come abbiamo detto, a parte le costose<br />

mirrorless o reflex con supertele, oggi sono<br />

disponibili altre tipologie di attrezzature<br />

che consentono di avere tanti millimetri<br />

con poca spesa. Analizziamole nei<br />

paragrafi successivi:<br />

VIDEOCAMERE PALMARI<br />

Si tratta di piccole videocamere che stanno<br />

sul palmo di una mano e raggiungono<br />

ingrandimenti nell’ordine dei 1600-1800<br />

mm; trattandosi di videocamere sono<br />

più specializzate per realizzare video<br />

(solitamente in full-hd per i modelli<br />

più economici) che comunque come<br />

documentazione è molto più utile delle<br />

foto in quanto include anche il movimento<br />

52


Un falco pellegrino fotografato a 3000 mm da circa 500 metri<br />

di distanza con una bridge superzoom (Nikon P1000)<br />

e l’audio. Queste piccole videocamere si<br />

possono usare anche a mano libera grazie<br />

alla loro efficace stabilizzazione anche<br />

se ai massimi ingrandimenti è sempre<br />

consigliato un treppiedi, e stanno davvero<br />

in una tasca o in un marsupio.<br />

BRIDGE SUPERZOOM<br />

Ormai sembra che la sfida ai<br />

megapixel sia terminata soprattutto<br />

nelle fotocamere compatte e Bridge<br />

mentre da qualche anno a questa<br />

parte è iniziata la sfida ai millimetri<br />

di focale; diverse case produttrici<br />

rinomate (Canon, Nikon, Panasonic<br />

etc) infatti hanno messo sul mercato<br />

delle fotocamere (principalmente<br />

Bridge) dotate di zoom integrato che da<br />

una lunghezza focale grandangolare<br />

arriva a lunghezze focali molto spinte<br />

superiori ai 1000 mm. I modelli sono<br />

diversi, e di diverse fasce di prezzo,<br />

la più economica è attualmente la<br />

Panasonic DC-FZ83 che arriva a 1200<br />

mm, la più costosa è la Nikon P1000<br />

che arriva a ben 3000 mm.<br />

DIGISCOPING<br />

La tecnica del Digiscoping è nata<br />

con l’arrivo nel 2000 delle prime<br />

fotocamere compatte; i loro piccoli<br />

sensori consentono infatti di<br />

intercettare tutta la luce sull’oculare<br />

di un cannocchiale così permettendo<br />

di scattare foto nitide sfruttando il<br />

potere di ingrandimento di queste<br />

ottiche. Usando degli adattatori, che<br />

possono essere costruiti in casa o<br />

acquistati, è quindi possibile collegare<br />

una fotocamera compatta ad un<br />

cannocchiale per scattare a lunghe<br />

e lunghissime distanze. Inoltre negli<br />

ultimi anni l’arrivo delle Mirrorless<br />

4:3 ha migliorato ulteriormente<br />

le prestazioni fotografiche nel<br />

digiscoping; le Mirrorless hanno<br />

qualità fotografica spesso superiore<br />

alle compatte e grazie ai loro piccoli<br />

sensori 4:3 sono perfettamente<br />

adattabili, con appositi adattatori,<br />

ai cannocchiali. L’ingrandimento<br />

finale che si può ottenere con un<br />

apparato per Digiscoping deriva<br />

dalla moltiplicazione del fattore di<br />

ingrandimento della fotocamera per<br />

gli ingrandimenti del cannocchiale: i<br />

cannocchiali in genere hanno oculari<br />

con ingrandimenti variabili (zoom) da<br />

20x a 60x dunque se per esempio una<br />

fotocamera compatta ha uno zoom<br />

integrato di 24-150 mm corrispondenti,<br />

gli ingrandimenti ottenibili vanno<br />

da 24x20=480 mm fino a 150x60=<br />

9000 mm, cioè da 10 ingrandimenti<br />

totali fino a 180 ingrandimenti totali;<br />

ovviamente spingendo al massimo<br />

l’ingrandimento del cannocchiale (e in<br />

parte anche quello della fotocamera)<br />

la qualità degrada enormemente e la<br />

luce diminuisce, dunque raramente si<br />

usa un sistema Digiscoping al massimo<br />

degli ingrandimenti possibili; le vide<br />

di mezzo sono sempre le migliori,<br />

dunque sul cannocchiale si lascia<br />

generalmente lo zoom al minimo,<br />

quindi 20x, mentre sulla fotocamera<br />

si imposta al massimo uno zoom<br />

intermedio per esempio 50 o 100<br />

mm, si lavora così con ingrandimenti<br />

che vanno dai 1000 mm ai 2000<br />

mm potendosi spingere anche fino<br />

ai 3-4000 mm senza perdere troppa<br />

qualità. Come è facile pensare per<br />

ottenere la migliore qualità è bene<br />

usare cannocchiali di fascia alta, che<br />

abbiano trattamenti speciali nelle<br />

loro lenti per la maggiore nitidezza<br />

possibile per esempio la tecnologia<br />

APO della Leica o la tecnologia alla<br />

Fluorite dei cannocchiali Zeiss o<br />

la tecnologia HD dei cannocchiali<br />

Swarowski, dunque parliamo di ottiche<br />

con prezzi che vanno dalle 1000 alle<br />

Alcuni modelli attuali di Bridge<br />

superzoom (da sinistra: Panasonic<br />

Lumix DC-FX83 fino a 1200 mm, Canon<br />

Powershot SX70 HS fino a 1365 mm,<br />

Nikon P1000 fino a 3000 mm)<br />

2000 euro, ma gli ultimi modelli più<br />

avanzati arrivano a superare le 3000<br />

euro di costo. Da un punto di vista<br />

economico dunque il Digiscoping è<br />

più conveniente se si possiede già un<br />

cannocchiale di buona qualità. Negli<br />

ultimi anni, infine, con l’evoluzione<br />

tecnologica degli smartphone e<br />

l’inserimento di camere con zoom<br />

è possibile utilizzare i nostri telefoni<br />

per fotografare a lunga distanza in<br />

abbinamento ad un cannocchiale<br />

utilizzando gli appositi adattatori per<br />

smartphone.<br />

OBIETTIVI<br />

PER REFLEX-MIRRORLESS<br />

Per chi volesse maggiore qualità<br />

usando fotocamere reflex o mirrorless<br />

è possibile trovare teleobiettivi<br />

che non costano eccessivamente<br />

consentendo di arrivare a un buon<br />

53


FOTONATURALISMO<br />

numero di millimetri di lunghezza<br />

focale. Le opzioni principali sono due.<br />

Obiettivi di seconda mano<br />

Gli obiettivi super-tele di vecchie<br />

generazioni mantengono ancora<br />

qualità fotografiche ottime ma il<br />

loro prezzo nel mercato di seconda<br />

mano è molto diminuito dunque<br />

non è difficile trovare un 600 mm<br />

F4 a 1500-2000 euro per esempio.<br />

Il “limite” di questi obiettivi è il loro<br />

peso e ingombro, davvero notevoli.<br />

OBIETTIVI CATADIOTTRICI<br />

Gli obiettivi detti catadiottrici sono<br />

caratterizzati da una lunghezza<br />

focale elevata ma una dimensione<br />

più contenuta rispetto ad un<br />

obiettivo tradizionale, ad esempio<br />

un 400 mm catadiottrico è molto<br />

più corto di un 400 mm tradizionale<br />

(che appunto è lungo circa 400<br />

mm); questo grazie a degli specchi<br />

inseriti all’interno dell’obiettivo<br />

catadiottrico che riflettendo la luce<br />

più volte fino al sensore consentono<br />

di ottenere lunghezze focali anche<br />

spinte mantenendo però dimensioni<br />

contenute dell’obiettivo stesso.<br />

Generalmente i catadiottrici sono<br />

obiettivi di qualità bassa e hanno<br />

prezzi molto economici.<br />

Alcuni esempi di obiettivi catadiottrici:<br />

Zenit MTO 500 mm f/8 e Zenit MTO<br />

1000 mm f/10<br />

Walimex Pro 800 mm f/8<br />

Nikon 1000 mm f/11<br />

Samyang 650-1300mm<br />

Obiettivo catadiottrico<br />

Samyang 650-1300mm<br />

Adattatore universale per digiscoping,<br />

L’uso di teleobiettivi o superteleobiettivi<br />

con reflex o mirrorless<br />

consente una maggiore manovrabilità<br />

e dunque anche foto d’azione di<br />

animali in corsa o in volo senza<br />

bisogno di un treppiedi, almeno per<br />

le foto.<br />

Un altro vantaggio dell’uso di<br />

teleobiettivi con le reflex o mirrorless è<br />

la possibilità di scattare in condizione<br />

di scarsa luce come nel caso di<br />

questi caprioli fotografati dopo il<br />

tramonto. Le reflex o mirrorless<br />

infatti hanno sensori più grandi delle<br />

videocamere o bridge super-zoom<br />

o degli smartphone, riuscendo a<br />

cogliere molta più luce senza rovinare<br />

i dettagli.<br />

LIMITI<br />

La qualità di immagine della<br />

maggior parte di queste attrezzature<br />

non è mai elevata anche a causa<br />

di un importante limite: per poter<br />

raggiungere tanti ingrandimenti<br />

queste camere (videocamere palmari,<br />

bridge, compatte, smartphone) hanno<br />

sensori molto più piccoli di un<br />

classico sensore Full-Frame e come<br />

si sa i piccoli sensori sono molto<br />

meno sensibili alla luce e hanno una<br />

scarsa tenuta agli iso. Le fotocamere<br />

o videocamere superzoom e il<br />

digiscoping sono quindi sistemi adatti<br />

solo in situazione di luce ottima.<br />

Altro limite importante è il treppiedi:<br />

lavorando a ingrandimenti molto<br />

Cannocchiale con<br />

adattatore per<br />

smartphone<br />

spinti infatti l’uso del treppiede e<br />

di un telecomando per scattare è<br />

fondamentale, impossibile altrimenti<br />

registrare foto o video oltre i 600-<br />

1000 mm a mano libera. L’unico caso<br />

in cui si può lavorare a mano libera<br />

è con le reflex o mirrorless e tele o<br />

super-tele obiettivi.<br />

TANTI MILLIMETRI<br />

MA NON TROPPI<br />

Il sogno di ogni naturalista che<br />

vuole documentare mammiferi è<br />

uccelli è quello di avere strumenti<br />

che consentono di scattare foto o<br />

registrare video a lunghe distanze con<br />

forti ingrandimenti. È però importante<br />

ricordare che una buona qualità<br />

delle immagini non dipende solo<br />

dall’ingrandimento che si può ottenere<br />

e dalla qualità dell’attrezzatura usata<br />

ma anche dalla distanza che separa la<br />

camera dal soggetto; questa distanza<br />

elevata è occupata da aria molto<br />

spesso ricca di umidità; le molecole<br />

di vapore acqueo nella colonna<br />

d’aria tra la camera e il soggetto, se<br />

questa è molto ampia, ad es oltre<br />

i 100 metri, creano un effetto che<br />

impasta i dettagli dell’immagine.<br />

Dunque in moltissime situazioni<br />

purtroppo, avere a disposizione tanti<br />

millimetri per documentare fauna a<br />

lunga distanza diventa quasi inutile,<br />

si producono immagini dalla qualità<br />

molto scadente ma comunque valide<br />

per documentazione naturalistica.<br />

54


ENTOMOLOGIA<br />

Un viaggio nel territorio<br />

per conoscere la diversità<br />

biologica che rende unico<br />

il nostro ecosistema<br />

Marumba quercus (ordine<br />

Lepidotteri) è stata osservata<br />

recentemente nella Valle del Reno.<br />

La SFINGE della quercia<br />

Testi Sofia Barbi e Guido Pedroni - guidopedroni@libero.it<br />

Adulto Marumba quercus<br />

Foto: Associazione Lepidotterologica Italiana)<br />

Nella Valle del Reno (Appennino<br />

bolognese) è stata avvistata e osservata in<br />

varie occasioni una falena molto estetica<br />

e non comune, dai colori delicati e dalle<br />

grandi ali, di abitudini notturne, la sfinge<br />

della quercia, che ha il nome scientifico<br />

di Marumba quercus, descritta da Denis<br />

& Schiffermüller nel 1775. Questa specie<br />

appartiene all’ordine dei Lepidotteri,<br />

famiglia Sphingidae. Un esemplare<br />

è depositato presso il Piccolo Museo<br />

dell’Appennino a Bologna.<br />

In generale, le falene sono animali<br />

notturni, presenti e attive soprattutto nelle<br />

ore successive al tramonto. Nonostante<br />

questa caratteristica esse sono attratte<br />

dalle fonti luminose per un fenomeno<br />

chiamato “fototassi”, riscontrabile anche<br />

in altre specie animali, il quale provoca<br />

attrazione (come nel caso delle falene) o<br />

repellenza dalla luce.<br />

Questi insetti contano numerosissime<br />

specie all’interno dell’ordine<br />

dei Lepidoptera, molto maggiori rispetto<br />

alle simili farfalle. Le falene sono insetti<br />

principalmente notturni. Si distinguono<br />

dalle farfalle anche per la presenza di<br />

colori più spenti; le farfalle hanno una<br />

vita diurna e hanno colori sgargianti<br />

anche quando sono bruchi.<br />

Le antenne delle falene, a differenza<br />

di quelle delle farfalle, possono avere<br />

diverse forme: pennate o bipennate, cioè<br />

ramificate come un pettine, filiformi,<br />

oppure a bastoncello o clavate mentre le<br />

ali, a riposo, sono chiuse a tetto o aperte.<br />

Le ali di Marumba quercus hanno una<br />

colorazione sul marrone chiaro, con<br />

due fasce centrali biancastre; hanno una<br />

apertura alare massima di circa 10 cm<br />

localizzata sulle ali anteriori, mentre quelle<br />

posteriori sono più piccole e arrotondate.<br />

Maschi e femmine differiscono in quanto<br />

queste ultime, oltre ad essere più grandi,<br />

mostrano colorazione più rossastra con<br />

antenne sottili.<br />

Un certo interesse riveste il fatto che<br />

gli adulti non si nutrono; rispetto agli<br />

esemplari femmina, i maschi hanno<br />

l’addome più sottile, le antenne<br />

decisamente più spesse e leggermente<br />

pettinate; sono attratti dalle luci artificiali,<br />

ma nella notte compaiono tardi,<br />

abitualmente dopo la mezzanotte; le<br />

femmine con l’addome più voluminoso<br />

e antenne filiformi, si vedono meno<br />

frequentemente alle luci e di solito solo<br />

all’inizio della notte.<br />

Le femmine dopo l’accoppiamento<br />

depongono le uova sulle parti verdi (foglie<br />

e giovani rametti) delle querce, soprattutto<br />

di Quercus suber e Quercus ilex, delle<br />

quali si nutre il bruco, cioè la giovane<br />

falena. Le uova sono verdi, traslucide, così<br />

come i bruchi, opachi, che subiscono la<br />

metamorfosi alla fine dell’estate. Le uova<br />

vengono deposte isolate o in gruppetti di<br />

due o tre, sulle foglie delle querce o, più<br />

raramente, sui rametti.<br />

Questa specie è a distribuzione<br />

mediterranea; in Italia la sua presenza<br />

è frammentata lungo tutta la penisola.<br />

Predilige zone calde e secche dalla<br />

pianura alla collina.<br />

Uova Marumba quercus<br />

Bruco Marumba quercus<br />

55


MOVIMENTOLENTO<br />

Appuntamenti, suggestioni,<br />

recensioni, guide<br />

e suggerimenti tecnici<br />

per chi ama<br />

il turismo a passo d’uomo<br />

di Gianfranco Bracci<br />

Poetica del CAMMINARE<br />

di Gianfranco Bracci<br />

Il grande filosofo e camminatore<br />

Herman Hesse, diceva che - quando si<br />

cammina per almeno due, tre giorni -<br />

si entra in una specie fase r.e.m. che<br />

lui definiva “l’essere in cammino”.<br />

Passo dopo passo, si penetra in quella<br />

strana dimensione: una modalità<br />

particolare, quasi onirica. Una sorta<br />

di “meditazione camminata” che ci<br />

apre agli altri oltre che a noi stessi.<br />

Spalanca la nostra anima preparandola<br />

a nuovi incontri, con paesaggi del<br />

mondo naturale e umano, i quali ci<br />

fanno crescere, salire verso il cielo<br />

dello star bene, in equilibrio con<br />

tutto ciò che ci circonda. Al punto<br />

che il camminare diventa una specie<br />

di “droga” virtuosa, utile ad aprire le<br />

porte di un mondo che non si pensava<br />

neppure potesse esistere e invece è<br />

insito in quel breve spazio tra un passo<br />

e l’altro. Un universo sconfinato, dove<br />

appunto è proprio questa leggerezza<br />

d’animo che solleva lo spirito verso il<br />

sacro del mondo che ci circonda, che<br />

noi uomini moderni non riusciamo più<br />

ad ascoltare e far nostro, abituati come<br />

siamo a penetrarvi con dei filtri, quali i<br />

mezzi motorizzati o la realtà virtuale e<br />

digitale. Camminando si riceve anche<br />

una specie di “effetto placebo”. Infatti<br />

il nostro corpo si stanca ma la mente<br />

ed il sistema nervoso si rilassano e<br />

ne traggono un grande beneficio. Per<br />

induzione quindi, anche il sistema<br />

cardio-circolatorio non può che<br />

goderne. Effettuare un’escursione<br />

giornaliera su sentieri montani e<br />

boschivi rappresenta senza dubbio<br />

un’esperienza formativa e rigenerante.<br />

Ancor più coinvolgente, può essere<br />

il viaggiare a piedi per alcuni giorni,<br />

utili per intraprendere un percorso<br />

di evoluzione interiore. per iniziare<br />

questo viaggio dentro di Noi, occorre<br />

esercitare una sorta di “nomadismo<br />

intelligente” anche nei nostri viaggi<br />

lenti e attuali. Infatti il nomadismo<br />

è stata la condizione entro cui è<br />

avvenuta l’evoluzione del genere<br />

umano: solo da epoche relativamente<br />

recenti, se paragonate ai tempi di<br />

permanenza del genere Homo su<br />

questo pianeta, abbiamo adottato uno<br />

stile di vita stanziale. Ancora in epoche<br />

molto recenti, abbiamo smesso<br />

di camminare quotidianamente,<br />

nell’adempimento dei compiti usuali<br />

della nostra vita. Camminare è la<br />

dimensione fondante della natura<br />

umana, che consente di riconnetterci<br />

con la nostra interiorità per riscoprire<br />

meccanismi atavici. Ma se una volta si<br />

camminava solo con le gambe, adesso<br />

lo si può fare usando anche le braccia<br />

e tutto il corpo: io consiglio di provare<br />

a farlo con i bastoncini, meglio se<br />

del tipo N&Wcurve (www.infocurve.<br />

it): può sembrare un controsenso,<br />

perché impiegare dei bastoncini<br />

significa comunque portarsi dietro<br />

qualche ettogrammo di attrezzatura<br />

in più. Usate alla giusta misura e con<br />

la corretta tecnica, queste protesi<br />

assistono nella spinta in salita, aiutano<br />

nella stabilità su terreni impervi, e<br />

in discesa, permettono di scaricare<br />

anche su spalle e braccia gli sforzi che<br />

altrimenti si concentrerebbero solo su<br />

caviglie, ginocchia e muscolatura delle<br />

gambe. Camminare con i bastoncini è<br />

recuperare le quattro zampe motrici<br />

di quando eravamo una specie di<br />

quadrupedi primordiali. In questi<br />

ultimi anni, il camminare è diventato<br />

un piccolo fenomeno sociale e<br />

culturale: la riscoperta — o la creazione<br />

ex novo — di itinerari di media e<br />

lunga percorrenza ha portato molte<br />

persone ad affrontare strade bianche,<br />

mulattiere e sentieri. Esperienze quali il<br />

Camino de Santiago, la Via Francigena<br />

o il Cammino d’etruria (da Volterra a<br />

Chiusi), attraggono ogni anno sempre<br />

più appassionati e introducono al<br />

viaggio a piedi molte persone prive di<br />

precedente esperienza di cammino.<br />

Ma anche boschi e montagne —<br />

teatri di una più classica attività<br />

escursionistica — non smettono di<br />

esercitare il loro fascino su viandanti,<br />

pellegrini o viaggiatori a piedi:<br />

scegliete voi il termine che preferite o<br />

che più vi rappresenta. Io li definisco<br />

semplicemente “camminatori lenti”.<br />

Si, lenti perché occorre riappropriarsi<br />

della lentezza e del silenzio, esteriore<br />

ed interiore. In questo mondo così<br />

innaturale, sempre accelerato, dove<br />

tutto si svolge in tempo reale, che<br />

poi viene dimenticato in un secondo,<br />

dovremmo ricercare quella lentezza<br />

che l’atavico incedere dell’essere<br />

umano ci ha regalato da quando ci<br />

siamo affrancati dall’animale che<br />

ci precedeva. Testa alta, sguardo<br />

parallelo al terreno, per vedere bene<br />

ciò che ci circonda ed è sul nostro<br />

sentiero, senza filtri e a bassa velocità,<br />

in modo da goderne in pieno. A questo<br />

proposito mi piace immaginare che<br />

Lucy (Australopithecus afarensis),<br />

una volta raggiunta la stazione eretta,<br />

si sia solo guardata un po’ in giro e<br />

poi... abbia iniziato semplicemente<br />

a muovere un passo dietro l’altro:<br />

cioè a “camminare”. Così in modo<br />

semplicissimo, come se tutti quei<br />

milioni d’anni occorsi alle migliaia<br />

di generazioni di proscimmie,<br />

scimmie e ominidi che l’avevano<br />

preceduta, non avessero avuto alcun<br />

peso. A pensarci bene, il fascino del<br />

camminare è una vera banalità fisica,<br />

un gioco di contrapposizioni e di<br />

56


equilibri compresi nella stessa geniale<br />

semplicità della deambulazione. Ed è<br />

anche il modo più antico e naturale di<br />

spostarsi, trasferirsi e quindi viaggiare.<br />

I primi tempi, la posizione verticale,<br />

deve aver sconvolto il punto di vista di<br />

quegli ominidi. Finalmente potevano<br />

vedere al di sopra degli arbusti,<br />

dell’erba stessa; non erano costretti ad<br />

arrampicarsi per montare di vedetta<br />

ai tanti pericoli presenti. Certamente,<br />

questo nuovo modo di vedere il<br />

mondo avrà rivoluzionato anche<br />

l’immaginario dei nostri avi. dando<br />

fiducia all’animale e contribuendo<br />

a farne un uomo. Da allora, molto<br />

lentamente, passo dopo passo,<br />

questa creatura ha indubbiamente<br />

fatto, e non solo metaforicamente,<br />

molta strada. Oggi, tutto ciò, essendo<br />

ormai geneticamente acquisito, ci<br />

fa sorridere…ma il ”selvatico che<br />

è in noi”, invece si riaffaccia più<br />

spesso di quanto crediamo e talvolta<br />

esulta ancora, come all’alba dei<br />

tempi, quando appunto, riuscimmo<br />

finalmente a mettere in fila una<br />

prima serie di passi, tenendo il busto<br />

ben eretto. Probabilmente eravamo<br />

talmente felici da sentirsi già padroni<br />

di un mondo che in futuro avremmo<br />

conquistato, asservito e forse, chissà?<br />

Contribuito a distruggere? Ecco che<br />

il camminatore odierno (Homo<br />

tecnologicus), ancora oggi, possa<br />

provare intimamente la stessa atavica<br />

gioia del suo avo, semplicemente<br />

camminando. Una gioia tanto scontata<br />

quanto universale. Dopo di ché, come<br />

per magia, ecco apparire le stelle in<br />

cielo, con le loro luci diamantine; poi<br />

il sole, la nostra stella più importante,<br />

piena d’accecante energia.<br />

Il camminatore si sente sempre felice.<br />

Durante la marcia si riappropria<br />

della spiritualità del mondo. In<br />

quel momento riesce persino ad<br />

esprimere una forma di preghiera.<br />

Infatti, se esiste un modo di pregare,<br />

laico quanto l’essenzialità della<br />

natura, ritengo che il cammino sia<br />

un’altissima forma di preghiera, forse<br />

la più pura in quanto interattiva con<br />

l’universo. Il camminatore, assorto<br />

nell’ammirazione dell’ambiente<br />

naturale (il creato per i credenti), con i<br />

propri sensi, e quindi col cuore e con<br />

l’anima, ne esalta la magnificenza,<br />

onorando e ringraziando quelle<br />

forze primordiali dalle quali tutto<br />

ciò è scaturito e che gli sono madri<br />

e sorelle. Apprezzando una fioritura,<br />

un panorama, l’ombra d’un albero<br />

secolare. Egli, in qualche modo, “ ne<br />

accresce il valore” aumentando la<br />

caratura complessiva del patrimonio<br />

che lo circonda. Il suo sguardo<br />

accarezza l’ambiente emanando<br />

forze positive che colloquiano con<br />

quelle naturali per uno scambio<br />

di reciproco giovamento. Forse in<br />

questo modo di porsi vi è anche<br />

una solitudine cosmica, che non si<br />

commisera e non vuole confluire nella<br />

tristezza, ma appare invece come una<br />

bella solitudine (sola beatitudo beata<br />

solitudo, diceva il grande Francesco)<br />

ricercata e piacevole, immersa<br />

nel silenzio di una natura amica<br />

e incantata della quale dobbiamo<br />

essere assolutamente rispettosi.<br />

Allora ditemi: questa non è pura<br />

preghiera?<br />

Tutto ciò, non vi fa pensare alle Laudi<br />

del Poverello d’Assisi? E quindi ai<br />

vari “frate lupo” e “sorella luna”? Un<br />

modo antico ma sempre attuale di<br />

“interpretare la natura”.<br />

Francesco era uno straordinario<br />

pensatore-camminatore che nella<br />

meditazione camminata e nell’analisi<br />

del perfetto ordine naturale aveva<br />

trovato l’essenza del divino. In<br />

questo il Santo assomiglia molto ad<br />

un uomo vissuto in Asia molti secoli<br />

prima di lui: il Buddha, Gauthama,<br />

l’illuminato. Chiaramente, in quei<br />

tempi, camminare era una necessità<br />

ma sono altresì certo che sia Buddha<br />

che Francesco abbiano elaborato<br />

molte delle loro universali filosofie<br />

durante le tante ore di strada a piedi<br />

che quotidianamente erano usi<br />

trascorrere.<br />

La poesia di<br />

Herman Hesse<br />

sul camminare<br />

“O sole, entrami luminoso nel<br />

cuore,<br />

o vento, disperdi con il tuo soffio<br />

pene e malanni!<br />

Non conosco sulla terra gioia più<br />

profonda<br />

dell’essere in viaggio in paesi<br />

lontani<br />

Verso la pianura dirigo i miei<br />

passi,<br />

il sole deve bruciarmi, il mare<br />

rinfrescarmi;<br />

per partecipare alla vita della<br />

nostra terra<br />

dischiudo festosamente tutti i<br />

miei sensi<br />

E così ogni giorno novello deve<br />

indicarmi nuovi amici, nuovi<br />

fratelli,<br />

finchè senza pena posso mettere<br />

in luce ogni energia,<br />

essere amico e ospite di tutte le<br />

stelle”<br />

57


Il racconto di Lucio Piana<br />

Storie di vita contadina tra miseria,<br />

ignoranza e voglia di riscatto: “A Bedel<br />

e a Battdezz da la fam i sarabessen”<br />

LA BRUTTA IDEA<br />

DI UN MEZZADRO<br />

Sulle nostre montagne, la vita dei mezzadri e delle loro<br />

famiglie era dura in generale, ma quando c’era da spartire<br />

con il padrone la questione diventava davvero drammatica.<br />

Se poi la proprietà del fondo era della curia o del sacerdote<br />

della parrocchia, i poveri cristi erano spesso condannati<br />

alla fame. I preti inflessibili dovevano riempirsi la pancia<br />

loro, cedere una bella fetta alla curia arcivescovile e in<br />

più spesso soddisfavano le esigenze delle famiglie dei<br />

loro parenti più stretti, quando non c’erano in giro figli<br />

illegittimi. La storia di Ardilio, valido agricoltore di<br />

montagna, mi fù raccontata da mia madre che era parente<br />

di sua moglie Anna. Ardilio era un mezzadro sul podere di<br />

un prete: un angolo di terra buona, in mezzo a un deserto<br />

di lastre. “A Bedel e a Battdezz da la fam i sarabessen”,<br />

recitava il detto tipico della zona.<br />

“A Badolo e a Battedizzo ci si arrabbia per la fame”.<br />

Sta di fatto che la famiglia in questione, marito, moglie,<br />

due zii non sposati e cinque figli in tenera età, sarebbe<br />

stata anche abbastanza bene, se non ci fosse stato di<br />

mezzo il fatto che tre volte l’anno dovevano spartire con il<br />

prete padrone, che aveva diritto alla metà di tutti i prodotti<br />

della terra. Ad aggravare ulteriormente la situazione alla<br />

stesura del contratto era stata aggiunta una clausola in<br />

base alla quale, per quanto riguardava alcuni prodotti, la<br />

proprietà aveva diritto all’acquisizione dei due terzi del<br />

totale. Chiaramente erano state comprese in questa lista<br />

tutte derrate di valore: uva, vitelli, maiali, marroni ecc….<br />

Già così era dura. A tutto ciò va aggiunto un altro<br />

particolare che aggravava ulteriormente la situazione.<br />

Il fattore, “peggio di una poiana” diceva mia madre,<br />

visto che voleva tenere una parte del ricavato per lui,<br />

aveva architettato negli anni una vera e propria truffa<br />

approfittando del fatto che nessuno nella povera famiglia<br />

sapeva leggere e far dei conti, ingannava regolarmente quei<br />

cristi in croce, falsificando a suo vantaggio i conti. I quali<br />

alla fine risultavano sempre a perdere per il mezzadro e<br />

la sua famiglia. Ardilio , finché i figli erano piccoli aveva<br />

sopportato. Non era uno stupido, aveva capito di essere<br />

sistematicamente derubato, ma per paura di ritorsioni,<br />

taceva. Quando però le esigenze della famiglia erano<br />

aumentate, visto che i figli dovevano mangiare di più per<br />

crescere, e la moglie gli aveva annunciato, più sgomenta<br />

che felice, di aspettare il sesto figlio, lui si decise ad agire.<br />

Del resto la scelta era obbligata, se non si voleva morire di<br />

fame o emigrare. Fu una zia che era serva a Bologna presso<br />

Foto di Frediano Salomoni<br />

una famiglia agiata, a dargli l’idea per uscire da questa<br />

situazione intollerabile. L’anziana parente,”serva”, come si<br />

diceva una volta, semplice ma piena di buon senso, si offrì<br />

di ospitare a Bologna per un certo periodo il più piccolo<br />

della famiglia, Bernardo. In quel frangente gli avrebbe<br />

insegnato a leggere, a scrivere e a fare i conti. La zia Argia<br />

non si era mai sposata e svolgendo le sue mansioni presso<br />

gente altolocata si era pian piano prodigata per essere<br />

alla loro altezza e come autodidatta si era costruita una<br />

discreta cultura di base. Il piano era che una volta che<br />

Bernardo avesse appreso le nozioni principali del sapere<br />

in generale, sarebbe tornato a casa in montagna. La prima<br />

volta che il fattore avesse fatto visita alla Val di Fosso (così<br />

si chiamava il podere) con i conti truccati già fatti, sarebbe<br />

stato immediatamente smascherato dal bravo Bernardo. E<br />

così fu. Ci vollero diversi mesi, ma alla fine la testa dura<br />

di Bernardo cominciò a fallare, e qualche nozione iniziò<br />

a incunearsi nel suo cervello. Raccontava la zia Argia a<br />

mia madre “sembrava che quel cinno avesse un’ ombra<br />

calata sugli occhi, era duro come un legno di sorbo, ma<br />

alla fine si è piegato e ha accettato l’idea di apprendere”.<br />

Così Bernardo imparò a leggere, a scrivere e a fare i conti e<br />

quando la zia fu convinta che le sue lezione non sarebbero<br />

state più dimenticate, lo rimandò al paese.<br />

In realtà quella scuola rudimentale era servita molto<br />

al ragazzo, che apparve subito ai genitori veramente<br />

cambiato, più maturo ed educato, oltre che più sapiente.<br />

In ogni modo il piccolo studente rientrò a metà novembre<br />

e per l’Immacolata sarebbe passato il fattore per il terzo<br />

ed ultimo rendiconto dell’anno corrente. Per la cronaca,<br />

a detta di mia madre, si era nel 1926. Bernardo aveva<br />

un mesetto per studiare ancora un po’, chiaramente nel<br />

tempo che avanzava alle sue abituali mansioni. Fin da<br />

piccolissimi, infatti i bambini erano costretti a lavorare, in<br />

questa povera civiltà contadina.<br />

Fra il lavoro e lo studio il giorno dell’immacolata giunse<br />

in un lampo. La misera famiglia era tutta riunita in cucina<br />

quando Sassi bussò alla porta e fu fatto accomodare. In<br />

realtà il fatto che ci fossero tutti, lasciò un po’ perplesso il<br />

becero ruffiano del prete, abituato ad avere a che fare solo<br />

con Ardilio e gli zii. Ma dopo una scrollata di spalle tirò<br />

fuori dalla borsa di cuoio tutti i consueti fogli dei conti e<br />

li sparpagliò sul tavolaccio della cucina. Fuori cominciò<br />

a nevicare, Sassi guardò fuori dalla finestra impaziente.<br />

Dentro di sé non si vedeva l’ora che Ardilio, come aveva<br />

058


5931<br />

sempre fatto, mettesse una croce sopra ad ognuno dei<br />

fogli contabili e lo lasciasse così libero di andare, con la<br />

prospettiva del solito gruzzoletto guadagnato con la frode.<br />

In più, lo aspettavano a pranzo a Loiano (due ore a cavallo<br />

dalla Val di Fosso) e non voleva tardare. Sbiancò in volto<br />

quando girandosi verso il centro della cucina, vide il piccolo<br />

Bernardo intento a consultare i fogli e nello stesso tempo<br />

ad annotare alcune righe in un foglio grande bianco che<br />

evidentemente gli aveva regalato la zia Argia. Lo stupore<br />

si trasformò subito in un ghigno di stizza e di minaccia.<br />

Da bianco il suo viso divenne rosso e poi viola e alla fine<br />

cominciò a urlare invettive contro tutta la famiglia. Lo<br />

agitarono ancora di più le parole di Bernardo, il quale capì<br />

subito che i conti reali erano stati volutamente manomessi.<br />

“Qui manca denaro per noi e i prodotti non sono divisi<br />

in maniera giusta: la bilancia pende troppo dalla vostra<br />

parte Sig Sassi” sentenziò il bambinetto con una calma<br />

inverosimile. Tutti, anche l’Anna con il pancione si<br />

alzarono rabbiosi dalla sedia. Ma fu il vecchio zio<br />

Melchiade a parlare. Rivolgendosi all’infame lo apostrofò<br />

dicendo: “carogna ci hai sempre succhiato il sangue.<br />

Morirai all’inferno!”. Quando l’altro zio prese in mano un<br />

mestolo di legno e fece un passo avanti verso di lui, Sassi<br />

in tutta fretta infilò la porta, montò a cavallo e fiondò via<br />

come una lepre appena levata dai cani. Quella sera tutta la<br />

famiglia, ingenuamente, festeggiò, erroneamente convinta<br />

di avere vinto e che nel futuro le cose sarebbero andate per<br />

il loro verso. Chiamarono anche il calzolaio che suonava<br />

il clarino, sparsero la voce nei dintorni e fecero baldoria<br />

fino all’alba fra canti e vino buono. Ma la loro felicità ebbe<br />

vita corta. Il fattore aveva subito informato i carabinieri:<br />

era inconcepibile che un povero schiavo si ribellasse al<br />

suo padrone ed era ritenuto socialmente inaccettabile che<br />

un povero figlio di contadini salisse lo scalino culturale,<br />

che affrancava dalla schiavitù e dell’ignoranza. Anche con<br />

violenze fisiche, ma soprattutto con pressione psicologiche<br />

e intimidazioni furono costretti ad abbandonare il podere.<br />

Il prete diede “commiato” come si usava dire al povero<br />

Ardilio e alla sua famiglia. E così fecero in tutta fretta San<br />

Michele e andarono a patire la fame sotto qualche altro<br />

aguzzino. Ora va sicuramente meglio per tutti, i tempi sono<br />

cambiati, ma anche ai giorni nostri determinati interessi,<br />

certi poteri, non vanno messi in discussione, pena guai seri.<br />

Mia madre è sempre rimasta in contatto, fino alla morte<br />

con la sua parente Anna, e mi raccontò una volta che il<br />

piccolo Bernardo aveva fatto fortuna in Francia. Dio verso<br />

di lui aveva rivolto lo sguardo, ma purtroppo tanti morirono<br />

in miseria.<br />

P.S.<br />

Questo umile assieme di racconti, scritto non certamente<br />

con la tecnica e la capacità di gente del mestiere è la fedele<br />

riproduzione scritta di alcuni racconti fatti da mia madre<br />

a me e a mia sorella Alba Serena. Molto probabilmente<br />

hanno una certa corrispondenza alla verità e alla realtà,<br />

sicuramente sono uno specchio fedele della vita sul nostro<br />

appennino prima dell’ultima guerra. Mia madre proveniva<br />

da una famiglia miserabile. Prima di dieci figli. Il nonno<br />

provò anche a emigrare. Ma purtroppo non ebbe fortuna,<br />

perché prese una brutta malattia nelle piantagioni di caffè<br />

in Brasile. Furono costretti a tornare tutti, più poveri di<br />

prima a spaccarsi la schiena sulle terre magre della nostra<br />

montagna. Mamma era semi-analfabeta, ma aveva un senso<br />

innato della giustizia e del lavoro, che spero che traspaia da<br />

queste righe.<br />

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IL CUORE NEL TERRITORIO


TRACCE DI STORIA<br />

Ascesa, caduta e rinascita<br />

di una delle ultime strutture<br />

storiche rimaste lungo il<br />

canale Navile, un tempo vera<br />

e propria autostrada liquida<br />

lungo la quale si era sviluppato<br />

un mondo fatto di osterie,<br />

magazzini, posti di sosta per<br />

i cavalli che trainavano le<br />

barche verso Bologna<br />

Il Ponte della Bionda<br />

un sogno lungo vent’anni<br />

Il timone di manovra<br />

delle paratie del Sostegno Grassi<br />

Testo di Fausto Carpani<br />

Bologna un tempo fu una città di ponti,<br />

logica conseguenza al fatto che il territorio<br />

cittadino era solcato da canali e da torrenti.<br />

Molti di questi manufatti erano, ovviamente,<br />

sul canale di Reno, cominciando dal ponte<br />

degli stecchi, nel tratto ora coperto di<br />

via Sabotino. Era così chiamato perchè,<br />

quando le piene del canale portavano in<br />

città rami di albero raccolti lungo il suo<br />

corso, questi si ammucchiavano incontro<br />

alla sua struttura, a pelo d’acqua, ove<br />

venivano raccolti dalla gente che li usava<br />

da bruciare nel camino.<br />

Poi vi era il ponte dei merli che, in pratica,<br />

segna l’ingresso del canale in città, alla<br />

Grada. Il nome non fa riferimento ai volatili,<br />

bensì alla merlatura ancora visibile, pur se<br />

incastonata nella sovrastante porzione di<br />

mura.<br />

Il ponte della Carità prendeva il nome dalla<br />

vicina Chiesa, in via San Felice. Poi vi era<br />

Anno 1955 – Sullo sfondo<br />

la scomparsa fornace “Cordara”<br />

quello dell’Abbadia, quello del Poggiale e<br />

viandare. Tutti scomparsi con la copertura<br />

del canale di Reno.<br />

Ve ne erano anche altri, dei quali è<br />

rimasto il nome, come il Pontevecchio,<br />

che non si riferisce a quello ferroviario<br />

che scavalca via Emilia Levante, bensì a<br />

un antico ponte sul Savena. Anche di uno<br />

scomparso Ponte di Ferro sull’Àposa resta la<br />

memoria nell’antico toponimo di una parte<br />

dell’attuale via Farini. Di un ponte romano<br />

sul Reno rimane il ricordo nel nome di una<br />

via a Santa Viola, mentre di un altro sono<br />

visibili le strutture murarie percorrendo il<br />

tratto sotterraneo dell’Àposa.<br />

Bologna, quindi, città di antichi ponti<br />

scomparsi insieme ai corsi d’acqua sui<br />

quali sorgevano. Il canale Navile, però,<br />

c’era ancora... Negletto, degradato,<br />

ridotto a discarica per ogni sorta di rifiuto<br />

ingombrante, ma è ancora lì. Addirittura<br />

dà il nome a un quartiere... Sul suo<br />

corso, ormai lontano dalla città, ecco un<br />

piccolo ponticello dall’aria romantica:<br />

il Ponte Nuovo, detto popolarmente<br />

Ponte della Bionda. L’origine di questa<br />

leggiadra denominazione pare risalire al<br />

tempo in cui il canale era una via d’acqua<br />

importantissima, quasi un’autostrada<br />

liquida, sulla quale si era sviluppato tutto un<br />

mondo fatto di osterie, magazzini, posti di<br />

sosta per i cavalli che trainavano le barche<br />

verso Bologna. In mezzo a questo “indotto”<br />

vi era anche il più antico mestiere del mondo<br />

che lì, nei pressi del nostro ponticello, era<br />

esercitato da una non meglio precisata<br />

signora biondochiomata... Un’altra ipotesi<br />

fa menzione di una fulva ragazza residente<br />

in una casa prossima al Navile. Sempre a<br />

proposito di denominazioni popolari, in<br />

zona raccolsi a suo tempo, in verità da<br />

un’unica persona, l’abusato toponimo di<br />

Ponte del diavolo, attribuito a tantissimi<br />

ponti medievali sparsi per tutta l’Italia<br />

e riferito a una comune leggenda che li<br />

vorrebbe costruiti in una sola notte da<br />

Belzebù in persona. Vi è anche chi lo<br />

chiama, con molta fantasia, Ponte romano<br />

per il suo aspetto antico...<br />

A ds. il timone di manovra delle paratie del Sostegno Grassi. A sin. l’<br />

passerella pedonale girevole. La foto, in origine in B/N, è stata success<br />

Sullo sfondo è visibile il Ponte della Bionda.<br />

060<br />

5 – La rarità di questa foto è rappresentata dallo sfondo, in cui appare la scomparsa<br />

rdara”. In secondo piano è già presente il tubo della SNAM. La foto è ci è stata donata<br />

Stefano Gardini che a sua volta l’aveva ricevuta dalla prof. Mirella Querzè.


Bologna<br />

Battiferro. Una barca della Regia<br />

Marina sta per attraccare davanti<br />

a quella che fu la carteria Bardi<br />

non poco solo per capire, scomparso<br />

il Genio Civile, chi ne fosse divenuto<br />

il proprietario! Lo scoglio più grande,<br />

come sempre succede, era rappresentato<br />

dal reperimento dei fondi necessari per<br />

il restauro. Fu così che approdai alla<br />

Fondazione del Monte di Bologna e<br />

Ravenna, al cui segretario generale Marco<br />

Poli suggerii timidamente l’erogazione di<br />

un contributo. Questo fu l’ultimo passo<br />

che feci, oltre a scrivere una canta, nella<br />

consapevolezza che il “mio” ponticello non<br />

presentasse quelle caratteristiche di ritorno<br />

di immagine che credevo indispensabili<br />

alla sua salvaguardia. Un conto è, pensavo,<br />

promuovere il restauro di Palazzo Re Enzo,<br />

altro invece metter le mani su un piccolo<br />

o. Una barca<br />

La mia<br />

della<br />

frequentazione<br />

Regia Marina<br />

di<br />

sta<br />

questo<br />

per attraccare<br />

manufatto<br />

davanti<br />

ponte<br />

a quella<br />

sperduto<br />

che fu<br />

nella campagna.<br />

la carteria Bardi, poi divenuta pila da riso.<br />

risale ormai agli anni ‘80, quando per Non fu così. Dal giorno in cui, nell’agosto<br />

vederlo bisognava scarpinare sulla del 2003, assistetti incredulo alle<br />

restara, l’argine che divide il Navile vero e<br />

proprio dal Canalazzo. In questi anni, con<br />

l’apertura della via dei Terraioli, il ponte è<br />

diventato visibile e facilmente raggiungibile<br />

da tutti. Questo, però, rallentò il suo rapido<br />

prospezioni geologiche sul terreno a ridosso<br />

del ponte, è proprio il caso di dire che tanta<br />

acqua è passata sotto di lui. Nel frattempo<br />

se ne innamorarono, oltre a Marco Poli,<br />

anche Francisco Giordano, l’architetto che<br />

degrado, originato principalmente dalla ha stilato il progetto di restauro e Alberto<br />

crescita di alcuni alberi di acacia che Tagliavini, che ha faticato non poco con<br />

avevano sviluppato la loro parte ipogea fra<br />

le strutture murarie. Tale lenta ma continua<br />

azione aveva provocato la quasi completa<br />

scomparsa della spalletta sinistra e il<br />

distacco della sottostante fascia dall’arcata.<br />

i suoi giganteschi autocarri a collocare<br />

in loco il ponteggio necessario ai lavori.<br />

<strong>Nelle</strong> mie quotidiane visite al cantiere<br />

diventai amico dei muratori che, lavorando<br />

alla maniera antica e utilizzando vecchi<br />

Dell’antica lapide che era collocata al mattoni, hanno curato le ferite inferte dal<br />

centro del ponte non è stata trovata traccia,<br />

neppure sondando il fondo del canale,<br />

ma un anziano corticellese mi disse che<br />

quell’antica pietra vi era scolpita una<br />

scritta che ricordava il passaggio in barca<br />

di Santa Caterina da Bologna, proveniente<br />

da Ferrara (1456).<br />

Le mie continue e periodiche visite mi<br />

confermarono ogni volta che un intervento<br />

non era più rimandabile. Iniziai allora a<br />

scrivere ai giornali, a sondare le intenzioni<br />

di enti e istituzioni circa il destino del nostro<br />

malato. Vagando di ufficio in ufficio, mi<br />

resi conto che il Ponte della Bionda era un<br />

illustre sconosciuto per molti. Faticammo<br />

tempo e dalla incuria degli uomini. Franco,<br />

Piero, Michele, Cristian, Alfredo, Salvatore,<br />

sono alcuni di quei ragazzi venuti dal sud<br />

Italia che, con l’arte di cui sono depositari<br />

- novelli Maestri Comacini del terzo<br />

millennio - stanno rifacendo bella Bologna.<br />

Anche loro, mi disse Franco, si sono<br />

affezionati al Ponte della Bionda, della cui<br />

antica funzione hanno sentito raccontare<br />

da me, quasi una favola ascoltata fra una<br />

cazzuolata di calcina e la posa di un<br />

mattone...<br />

A lavori iniziati mi venne la curiosità di<br />

vedere come potesse apparire il ponte tanti<br />

anni fa. <strong>Nelle</strong> antiche mappe dell’Archivio<br />

di Stato esso è appena riconoscibile, ma ciò<br />

che io volevo era una foto. Così preparai<br />

una specie di bando, che affissi nei pressi<br />

del cantiere e nei Centri Sociali della zona,<br />

in vero nutrendo poca fiducia nella riuscita<br />

del mio tentativo. Ancora una volta dovetti<br />

ricredermi: il signor Walter Lorenzoni mi<br />

fece pervenire due istantanee, nelle quali<br />

lui e il suo amico Rino Comastri si erano<br />

reciprocamente ritratti proprio lì, sul<br />

ponte, esattamente il 17 agosto 1951, alle<br />

ore 17,15 (!). <strong>Nelle</strong> immagini in bianco e<br />

nero si notano lavori di restauro eseguiti<br />

in quegli anni sulla spalletta destra con<br />

mattoni moderni, sicuramente prodotti<br />

in una delle tante fornaci della zona. Si<br />

notano anche evidenti tracce di pneumatici<br />

di biciclette, segno che il sentiero era allora<br />

molto frequentato, forse dagli operai delle<br />

fornaci che sorgevano a ridosso del canale<br />

(la Galotti, la Guastadina, la Giostra, la<br />

fornace del Pellegrino, la Cordara), e anche<br />

- aggiungo io - da coppiette che cercavano,<br />

nelle calde sere d’estate, un po’ di intimità<br />

lungo il canale...<br />

Le foto hanno un sapore d’altri tempi,<br />

pervase come sono di pace agreste,<br />

senza il traffico di via dei Terraioli sullo<br />

sfondo, senza capannoni industriali,<br />

senza quell’orrendo tubo della SNAM che<br />

scavalca il canale a pochi metri dal ponte,<br />

deturpandone la vista. Chissà se un giorno<br />

sarà possibile interrarlo...<br />

Quest’anno, in giugno, festeggeremo i<br />

venti anni dalla fine del restauro. Come<br />

allora, canteremo e suoneremo, insomma:<br />

faremo festa.<br />

Per adesso mi accontento. Il mio malatino<br />

è guarito, però bisogna tenerlo d’occhio e<br />

a questo pensiamo noi dell’Associazione<br />

culturale “Il Ponte della Bionda”: in<br />

sincrono con la Coop. Avola, da anni<br />

manteniamo pulita e percorribile la restara<br />

fino alla Battiferro (circa 2500 metri), nella<br />

speranza che prima o poi vada finalmente<br />

in porto l’antico progetto del Parco Fluviale<br />

del Navile.<br />

Il ponte prima del restauro<br />

(1984)<br />

Anno 1910, circa -<br />

La paratoia “a ghigliottina”<br />

del Sostegno Grassi<br />

Nella primavera del 1984 il ponte era ridotto così (Foto di Fausto Carpani)<br />

Il burchiello sta discendendo la corrente, si sta quindi allontanando da Bologna. Il<br />

Anno 1910, circa - La paratoia "a ghigliottina" del Sostegno Gra<br />

cavallo sulla barca è un fotomontaggio di Ivo Passarini.<br />

<strong>61</strong> 31


Il ricordo di Fausto Carpani<br />

Arvàddres, amico Zuffi<br />

Un pezzo di legno o di ferro, due<br />

cucchiai, una canna palustre, una<br />

catinella per fare il bucato, il manico<br />

di una scopa, un tubo da innaffiare il<br />

giardino (o “per travasare il vino, che è<br />

meglio”, come diceva lui), insomma:<br />

un oggetto qualsiasi che fosse in grado<br />

di emettere un suono, fra le mani di<br />

Stefano diventava uno strumento musicale.<br />

Poi c’erano gli strumenti veri: la<br />

chitarra, che però disdegnava “perché<br />

la suonano tutti”; il violino, la viola da<br />

braccio (costruita da lui), il mandolino<br />

e la mandola, la piva emiliana, la<br />

bombarda, l’ocarina, l’organetto, la tamorra,<br />

l’ud e il saz, una specie di liuto<br />

il primo e una sorta di mandolino dal<br />

manico lunghissimo il secondo. Ma<br />

lo strumento in cui Stefano eccelleva<br />

era la ghironda, difficile da suonare e<br />

da tenere accordata, della quale era<br />

un vero virtuoso e che nelle sue mani<br />

diventava un’orchestra. Alla sua strabiliante<br />

capacità di spadroneggiare gli<br />

strumenti univa una cultura musicale<br />

rara, che faceva di lui un musicologo<br />

di razza, ma i suoi interessi culturali<br />

spaziavano a 360 gradi. Prodigiosa<br />

Zuffi era allievo di Melchiade Benni<br />

era la sua capacità di leggere velocissimamente<br />

un libro e assimilarne<br />

il testo. Lui stesso fu autore di vari<br />

libri di argomento musicale e non<br />

solo. Pur non essendo laureato (aveva<br />

un diploma di perito elettronico),<br />

collaborò per anni con varie università<br />

come “esterno”. Per la RAI ideò<br />

e condusse un programma intitolato<br />

Sonata improbabile. Era un esperto<br />

delle danze popolari, al “bâl dspécc”<br />

(il “ballo staccato”, giga, monferrina,<br />

trescone...) che sapeva accompagnare<br />

magistralmente con il violino. Stefano<br />

fu tra gli estimatori ed eredi musicali<br />

di Melchiade Benni, il violino della<br />

Valle del Savena (foto).<br />

Con il nome di Ditta Carpani & Zuffi,<br />

ma anche come Orchestra dei baggiani<br />

o anche Improbabile Orchestra<br />

Carpani & Zuffi abbiamo imperversato<br />

in sagre, teatri, feste patronali per<br />

ben undici anni, spesso senza sapere<br />

se almeno ci avrebbero pagato le spese<br />

vive. Con noi, sempre, l’amico Gigén<br />

Lîvra (Luigi Lepri), che “curava” il<br />

dialetto recitato con poesie e zirudelle<br />

Con il nome di Orchestra Transitaliana,<br />

sotto l’egida della FILEF (Federazione<br />

Italiana Lavoratori Migranti e<br />

Famiglie) ci siamo esibiti in Svizzera,<br />

Francia, Uruguay, Argentina, Brasile,<br />

Canada, Stati Uniti, Romania, Gran<br />

Bretagna, sempre riuscendo a tornare<br />

a casa indenni. Il nostro sodalizio<br />

musicale era supportato da una robusta<br />

amicizia, anche se tra di noi vi era<br />

una notevole differenza di età: undici<br />

anni, a mio discapito...<br />

Nel 1989 decidemmo di unire le nostre<br />

solitudini musicali eseguendo le<br />

mie canzoni in dialetto bolognese e<br />

così pensammo di farci una foto per<br />

le locandine: io seduto su una poltroncina<br />

stile antico, bombetta sulle<br />

ginocchia, e lui in piedi con in mano<br />

il violino. Per terra un tappeto di strumenti<br />

che lui suonava (tranne la mia<br />

chitarra a 12 corde...). Per questa foto<br />

ci ispirammo al manifesto del film<br />

Butch Cassidy. Questa immagine divenne<br />

poi la copertina del primo CD<br />

prodotto in dialetto bolognese.<br />

Fausto Carpani e Stefano Zuffi<br />

Mi vengono in mente le tante cose che<br />

ci siamo inventati. Un Don Giovanni<br />

di Mozart messo in scena nel cortile<br />

dell’Università con i... burattini. Accanto<br />

alla nostra baracca (o casotto)<br />

ve ne era una più piccola, dentro la<br />

quale agiva un undicenne Riccardo<br />

Pazzaglia, oggi affermato burattinaio.<br />

E poi, nel 1990: tredici serate nel cortile<br />

di Palazzo Re Enzo, trasformato in<br />

un palcoscenico in cui artisti bolognesi,<br />

in parte come lui ormai scomparsi,<br />

si sono alternati in un applauditissimo<br />

omaggio alla città; una Sacra Rappresentazione<br />

sulla Natività portata in<br />

giro con successo.<br />

E poi ancora le serate estive davanti<br />

alla chiesa della Vita a Bologna e tanti,<br />

tanti concerti.<br />

Come succede spesso, ad un certo<br />

punto le nostre strade presero direzioni<br />

diverse, ma a me rimane il ricordo<br />

di undici anni vissuti in amicizia e che<br />

a tutti due sono serviti come reciproco<br />

arricchimento. Sono stato onorato<br />

di aver avuto come compagno di avventure<br />

un artista del suo calibro, un<br />

genio che - come sempre succede in<br />

Italia - per campare ha fatto per anni il<br />

portinaio al Resto del Carlino. A volte,<br />

quando intorno alle 23 finivamo di<br />

suonare magari in un paese dell’Appennino,<br />

lo vedevo fuggire perché<br />

alle 24 doveva prendere servizio in<br />

guardiola. Per scherzare lo chiamavo<br />

Cenerentola e gli dicevo di far presto<br />

perchè a mezzanotte la sua auto si sarebbe<br />

trasformata in una zucca...<br />

Arvàddres, arrivederci, amico Zuffi.<br />

062


6331<br />

IL NONNO DELLA BASSA RACCONTA<br />

I PIANETI<br />

DELLA FORTUNA<br />

Antenati dell’oroscopo<br />

Un tempo, la “fabbrica dell’appetito” induceva<br />

mendicanti, girovaghi e artisti ambulanti a<br />

sbarcare il lunario mediante l’offerta, in cambio<br />

di un modesto obolo, dei cosiddetti “Pianeti<br />

della Fortuna”, ovvero di foglietti multicolori<br />

riproducenti a stampa le più svariate e<br />

fantasiose predizioni sul futuro (salute,<br />

fortuna, lavoro, amore ecc.), indirizzati sia a<br />

un generico benefattore sia a uno specifico<br />

donatore di moneta spicciola (donna, uomo,<br />

signorina, giovanotto, bambina, bambino ecc.).<br />

Per destare più curiosità (e, potenzialmente,<br />

maggiore generosità) i “venditori” affidavano<br />

spesso al “destino” (in genere rappresentato<br />

dalla manina di una scimmietta curiosamente<br />

vestita o dal becco di un pappagallo) la<br />

consegna dei “responsi”. Erano pure attivi<br />

“venditori-suonatori” con il classico “organetto<br />

di Barberia”, azionato a manovella. In questo<br />

caso, oltre che per il foglietto, la monetina<br />

ricompensava anche per la musica offerta<br />

gratuitamente.<br />

I Pianeti, di piccolo formato, in un certo senso,<br />

possono considerarsi gli antenati degli odierni<br />

oroscopi pubblicati sui quotidiani o sulle<br />

riviste oppure letti in rubriche radiofoniche o<br />

televisive.<br />

La loro realizzazione era di solito curata da<br />

tipografie specializzate in questo umile genere<br />

editoriale, al quale abbinavano pure i “fogli<br />

volanti” dei cantastorie (canzoni, “tragedie”,<br />

satire ecc.) e gli almanacchi. Le più note, a<br />

cavallo tra Otto e Novecento, erano le stamperie<br />

Pennaroli e Marchi & Pelacani di Fiorenzuola<br />

d’Arda (Piacenza), Salani di Firenze, Ranzini di<br />

Milano, Càiro di Codogno (Milano), Campi di<br />

Foligno (Perugia), Casamara di Genova.<br />

Rivolti soprattutto al mondo popolare, i Pianeti<br />

della Fortuna univano ai “responsi” disegni (a<br />

volte di sapore naïf), tre numeri per tentare la<br />

sorte al gioco del lotto e, in tempi a noi più<br />

vicini, anche la “colonna” del Totocalcio. I<br />

destinatari avevano l’opportunità di leggere,<br />

con attenzione o per semplice curiosità, le<br />

predizioni sulla loro buona o cattiva sorte,<br />

sull’eventuale imminenza del loro matrimonio,<br />

su eredità più o meno sostanziose, sulla durata<br />

della loro esistenza, e così via. Per destare<br />

“maraviglia” nei fruitori, lo stile letterario<br />

di questi foglietti tradiva spesso uno stile<br />

volutamente ricercato, ridondante di vocaboli<br />

dal sapore misterioso e non facilmente<br />

comprensibili da un pubblico popolare.<br />

Tra la fine dell’800 e gli anni ’50 del ‘900, anche<br />

alcune tipografie petroniane si dedicarono alla<br />

stampa di Pianeti. Tra queste, gli Stabilimenti<br />

Tipografici Riuniti e le Tipografie Moderna<br />

e Grossi. A queste due ultime si rivolgeva il<br />

cantastorie Marino Piazza (“Piazza Marino, il<br />

poeta contadino”, 1909-1993), che distribuiva<br />

pure questi pronostici ai girovaghi. Trascrivo<br />

un suo testo facente parte della mia raccolta,<br />

risalente con ogni probabilità agli anni ’50:<br />

Il pronostico/Pianeta della fortuna/responso<br />

dell’astrologo/14 27 49.<br />

La carità che voi fate oggi, la riceverete domani,<br />

l’aiuto e il più grande conforto che porta nella<br />

vita per essere felici è vivere tranquilli, bisogna<br />

soccorrere i bisognosi e dar a loro man forte<br />

per metterli sulla via della esistenza umana.<br />

Avrete così la probabilità di conseguire una<br />

discreta fortuna che sarà premio delle vostre<br />

fatiche.<br />

Un bel sogno presto farete<br />

questo è il terno che vincerete.<br />

Piazza Marino Tipografia Nettuno – Bologna.<br />

Concludo questa mia “chiacchierata” riportando<br />

quanto stampato su un Pianeta della Fortuna,<br />

sempre “bolognese”, probabilmente di fine 800:<br />

Il Vero Pianeta della Fortuna; 24 50 86<br />

Eccoci [Eccovi] il pronostico della Sibilla<br />

Che dirò di voi se non in bene? siete una<br />

persona tanto cara che da ora in poi tenterò<br />

proteggervi.<br />

Quantunque spesse volte maledite il vostro<br />

destino perché vi crea qualche grattacapo,<br />

pure non voglio abbandonarvi perché conosco<br />

avrete un ottimo cuore capace di commuovervi<br />

dell’altrui sventure soccorrendo il tapino che<br />

vi chiede aita. In guiderdone di tutto ciò voi<br />

per l’avvenire cambierete posizione ad ogni<br />

trascorrer di ore, giorni e mesi voi sentirete<br />

un benessere e una gioia occulta invadervi<br />

facendovi presagire che il giorno desiderato<br />

d’ogni felicità sta per venire.<br />

Non più dolori né sventure né avversità, lungi<br />

da voi staranno i dì melanconici ed in cambio<br />

gusterete i soavi gaudi di una nuova vita<br />

cosparsa di ogni ricchezza.<br />

Prospera vita passerete fino a 88 anni.<br />

La chiave della ricchezza è il terno suesposto.<br />

(Tip. Grossi Via Belle Arti 14)<br />

Gian Paolo Borghi<br />

Le tradizioni popolari<br />

della pianura bolognese<br />

tra fede, storia<br />

e dialetto


L’IMPORTANTE È PARTECIPARE<br />

UN SOCIO EMIL BANCA FA LA DIFFERENZA<br />

La nostra banca è fatta di persone, di soci che credono nel valore della comunità e investono<br />

nel territorio scegliendo chi lavora per farlo crescere. La nostra banca è costruita sulla fiducia<br />

di chi insieme a noi vuole generare un cambiamento per rendere il futuro più inclusivo e<br />

desiderabile. Emil Banca, una scelta di valori.<br />

IL CUORE NEL TERRITORIO

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