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Giovanni Battista Boncori, Campli 1643 - Roma 1699

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classicista che la distingue avvicina di fatto in questa fase la pittura di Boncori a quella del pittore

reatino, così come richiama Gherardi anche l’umanissimo motivo del Cristo che dona a Santa

Teresa uno dei chiodi della propria croce. Solo pochi anni prima i due artisti avevano lavorato a

stretto contatto per i Colonna, eseguendo due sovrapporta in pendant ben documentate e conservate,

oggi come allora, nella sala degli arazzi di Mosè. Sappiamo infatti che l’11 maggio 1677 Boncori

viene pagato trenta scudi per un quadro sovrapporta con una “Regina morta” ed il dipinto è poi

inventariato nel 1679 come “Istoria del Re Assuero et Esther opera di Gio. Batt. a Boncore”

(Fig.17). Solo la sovrapporta compagna, di mano di Gherardi, è però nota tramite riproduzione

fotografica (Fig.18). L’ importante dipinto per i Colonna è la prima tela documentata del pittore

abruzzese, insieme alla decorazione ad affresco di una delle volte del deambulatorio della chiesa di

San Carlo al Corso, pagatagli nel 1679 e contenente le raffigurazioni dell’Umiltà, dell’Orazione,

della Fortezza e della Perfezione (Fig.19). Il 10 luglio1678, tra i due lavori, giungeva la nomina a

accademico di San Luca: Boncori ne sarà sempre assiduo frequentatore e socio attivo, tanto che gli

saranno destinate varie cariche, nonché un ruolo non secondario nell’insegnamento. Il complesso

della decorazione di San Carlo al Corso si andava configurando come uno tra i più importanti nella

Roma della seconda metà del Seicento, con un repertorio di soggetti iconografici derivati da Cesare

Ripa e realizzati sotto la supervisone di Giacinto Brandi da un gruppo di pittori di cui fanno parte i

più o meno noti Giovanni Battista Beinaschi, Fabrizio Chiari, Girolamo Troppa, Carlo Ascenzi,

Paolo Albertoni, Ludovico Gimignani, Pio Fabio Paolini, Francesco Rosa e Luigi Garzi,un pittore

quest’ultimo assai vicino a Boncori. È stato ipotizzato, in particolare da Schleier, che l’affresco del

pittore abruzzese, che si distingue all’interno della sua produzione in quanto meno legato agli

insegnamenti di Mola e più aderente ai modi del classicismo marattesco, sia frutto proprio

dell’influenza di Garzi, attivo in due momenti diversi nel cantiere di San Carlo: una prima volta nel

1677 e poi ancora nel 1681, intento alla decorazione della volta centrale del deambulatorio. Ma il

rapporto di dare e avere tra i due pittori non è così scontato: lo schiarimento della tavolozza e la

tendenza classicheggiante sono elementi che si presentano progressivamente nella produzione di

Boncori e nel suo insieme tutta la decorazione, pur realizzata da personalità artistiche diverse,

presenta con costanza tali elementi. Il pittore camplese doveva avere compreso l’importanza e la

visibilità che gli sarebbe stata concessa da quest’occasione e si impegnò a non mancarla:

nell’inventario dei suoi beni risultano due bozzetti preparatori per l’affresco e nella stessa chiesa si

conservavano alcuni quadretti dei pittori impegnati nella decorazione e tra questi una tela “da testa”

con un Ritrovamento di Mosè di mano del pittore abruzzese. Tra i dipinti da cavalletto a queste

stesse date sembra risalire il Riposo nella fuga in Egitto (Fig.20) già in collezione Marefoschi a

Macerata, pubblicato dapprima da Salerno e poi da Busiri Vici. La piccola tela, di cui Schleier ha

rintracciato una seconda versione senza i putti nella parte alta, si lega all’attività del pittore di

Campli per via documentaria e può essere stilisticamente riferita al periodo in cui cominciano a

affievolirsi in lui i ricordi di Mola e Grimaldi alla luce del nuovo classicismo romano. Giunti a

questo punto conviene esaminare quali siano le opere di Boncori precedenti a questa fase

sopravvissute fino a noi. Si tratta a nostro avviso delle opere più fortemente neovenete del suo

catalogo, cominciando dal Profeta Elia soccorso da una n g e l o (Fig.12) presso Altomani a Pesaro,

presentato da Petrucci alla mostra Mola e il suo tempo di Ariccia con il giusto riferimento a Boncori

ma con una datazione tra il 1660 ed il 1665 che ci sembra da posticipare di una decina di anni, a

ridosso del ritorno di Boncori dal viaggio in Italia settentrionale. Vi risultano infatti forti i

riferimenti alla pittura moliana, com’è in particolare evidente dalla libera pennellata alla ve-neta e

dalla plastica evidenza conferita ai panneggi, che rimarrà una costante anche negli anni successivi.

Si deve peraltro a Petrucci l’identificazione della tela con un quadro “di mano del Boncore di 5 e 10

palmi con cornice dorata liscia rappresentante un’Eremita con un Angelo ” ricordato nell’inventario

del già citato cardinale Luigi Alessandro Omodei del 29 marzo 1682. Verso la metà dell’ottavo

decennio del Seicento vanno collocati il tondo con il Riposo nella fuga in Egitto di collezione

privata (Fig.10), già presentato in asta come Giovan Battista Pace, ma da ricondurre, come ha

giustamente suggerito Mario Epif a n i, alla mano del nostro artista, e un Matrimonio mistico di

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