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Giovanni Battista Boncori, Campli 1643 - Roma 1699

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sostituiti da quelli di Mattia Preti. La lunga e sfortunata controversia con il principe Pamphilj

avrebbe inferto un duro colpo all’ascesa del suo astro, pur non stroncandone completamente la

carriera se, anche per dimostrargli solidarietà, nel 1662 i colleghi lo vorranno Principe

dell’Accademia di San Luca. La collaborazione con il pittore ticinese non impedisce tuttavia a

Boncori e a Gherardi di subire l’influenza del Cortona che offriva una proposta ben diversa da

quella di Mola, anche se la distanza tra i due maestri si era accorciata ai tempi del l’affresco con

Giuseppe riconosciuto dai fratelli realizzato nella galleria di Alessandro VII al Quirinale, all’interno

di una decorazione affidata alla direzione di Berrettini trail 1656 e il 1657. Qui Mola era riuscito

con esiti notevoli a creare una composizione pensata sui modelli classicisti da Raffaello a Poussin,

ma mediata da elementi desunti dai modi del Cortona stesso e della sua scuola. Nei medesimi anni,

che coincidono approssimativamente con quelli successivi alla morte di Mola (1666), Boncori e

Gherardi intraprendono un lungo viaggio al nord, che ha come tappa principale per entrambi la

Venezia di Tiziano e Veronese e che vede Boncori impegnato anche in un lungo soggiorno emiliano

dedicato in particolare allo studio di Guercino. Pur con una comune formazione artistica i due

perverranno ad esiti talvolta molto distanti: così impressionato Gherardi dal Veronese da

distinguersi nel panorama del secondo Seicento romano, quanto strettamente legato Boncori agli

insegnamenti moliani e ai fondamenti della pittura guerciniana, nonché in grado di avvicinarsi col

tempo al classicismo dominante. Alcune opere tuttavia segnano una tale vicinanza tra i due pittori,

ad esempio quelle realizzate a stretto contatto per i Colonna, da registrare come vedremo

un’incertezza attributiva tra l’uno e l’altro. Del periodo di più stretta adesione ai modi del Gherardi

è un importante dipinto ancora inedito raffigurante San Gregorio Armeno che battezza il re Tiridate

III conservato nella chiesa di San Biagio della Pagnotta (Fig.21). Affidata all’Ospizio degli Armeni

da Gregorio XVI con un breve del 1832, la chiesa di San Biagio non è la collocazione originaria

dell’opera, come dimostrano le integrazioni effettuate sulla tela nella parte superiore, in origine

centinata, e in basso: essa proviene dalla chiesa di Santa Maria Egiziaca, anch’essa officiata dagli

Armeni, trasferitavi probabilmente nello stesso anno 1832. Il dipinto rappresenta il momento

iniziale della storia cristiana di questo popolo, tra i primi ad accogliere la nuova religione: San

Gregorio Armeno,detto l’Illuminatore vi è effigiato mentre battezza, dopo averlo convertito, il re

Tiridate III. Si tratta di un episodio accaduto all’incirca nel 301, data che porta quella armena ad

essere la prima chiesa nazionale cristiana della storia. Gregorio è rappresentato in abiti vescovili,

con la tiara e l’omoforio , il pallio a tre croci tipico della tradizione greca, mentre con una

conchiglia fa cadere l’acqua del battesimo sul capo delre, dopo che questi ha posato la corona su un

cuscino. La composizione è poi arricchita da altre figure: un accolito raccoglie l’acqua lustrale in un

bacile, un altro regge le scritture, mentre vari astanti, tra cui la regina Ashken, seguono commossi

l’evento. Il dipinto dovette godere di una certa notorietà se ne esiste una copia fedele nella chiesa

dei padri Mechitaristi dell’isola di San Lazzaro a Venezia, ed è facilmente ri-conducibile all’ambito

di Mola, come indicano i numerosi riferimenti alla Predica di San Barnaba (Fig.22) tuttora in San

Carlo al Corso. Poiché tra i disegni di Mola che sono stati posti in relazione con questo dipinto

alcuni mostrano un vescovo nell’atto di battezzare, è probabile che Boncori avesse avuto accesso al

materiale grafico prodotto dal maestro in vista di quell’impresa, o che avesse addirittura preso parte

alla sua esecuzione se, come sembra, la datazione del dipinto può essere collocata nel settimo

decennio del secolo, allorché la chiesa di San Carlo al Corso venne ultimata grazie all’impulso del

cardinale milanese Luigi Alessandro Omodei (1608-1685), il qua le fu dal 1652 protettore

dell’Arciconfraternita dei Santi Ambrogio e Carlo e dunque fautore della decorazione del

deambulatorio della chiesa romana nella quale fu attivo anche Boncori. Quanto alla paternità di

Boncori, che qui si avanza, essa può essere motivata sulla base del confronto col bellissimo Cristo

appare a Santa Teresa d’Avila (Fig.23) della chiesa di San Giovanni della Pigna, ricondotto alla

mano di Boncori da Schleier dopo che Titi lo aveva ritenuto di Gherardi, e databile come il nostro

intorno alla metà degli anni ottanta del Seicento: prima del riconoscimento qui operato si tratta-va

dell’unica pala d’altare di Boncori a Roma giunta fino a noi. Il riferimento antico della pala di San

Giovanni della Pigna a Gherardi non è peraltro privo di interesse, poiché la ricerca plastica e

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