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sostituiti da quelli di Mattia Preti. La lunga e sfortunata controversia con il principe Pamphilj
avrebbe inferto un duro colpo all’ascesa del suo astro, pur non stroncandone completamente la
carriera se, anche per dimostrargli solidarietà, nel 1662 i colleghi lo vorranno Principe
dell’Accademia di San Luca. La collaborazione con il pittore ticinese non impedisce tuttavia a
Boncori e a Gherardi di subire l’influenza del Cortona che offriva una proposta ben diversa da
quella di Mola, anche se la distanza tra i due maestri si era accorciata ai tempi del l’affresco con
Giuseppe riconosciuto dai fratelli realizzato nella galleria di Alessandro VII al Quirinale, all’interno
di una decorazione affidata alla direzione di Berrettini trail 1656 e il 1657. Qui Mola era riuscito
con esiti notevoli a creare una composizione pensata sui modelli classicisti da Raffaello a Poussin,
ma mediata da elementi desunti dai modi del Cortona stesso e della sua scuola. Nei medesimi anni,
che coincidono approssimativamente con quelli successivi alla morte di Mola (1666), Boncori e
Gherardi intraprendono un lungo viaggio al nord, che ha come tappa principale per entrambi la
Venezia di Tiziano e Veronese e che vede Boncori impegnato anche in un lungo soggiorno emiliano
dedicato in particolare allo studio di Guercino. Pur con una comune formazione artistica i due
perverranno ad esiti talvolta molto distanti: così impressionato Gherardi dal Veronese da
distinguersi nel panorama del secondo Seicento romano, quanto strettamente legato Boncori agli
insegnamenti moliani e ai fondamenti della pittura guerciniana, nonché in grado di avvicinarsi col
tempo al classicismo dominante. Alcune opere tuttavia segnano una tale vicinanza tra i due pittori,
ad esempio quelle realizzate a stretto contatto per i Colonna, da registrare come vedremo
un’incertezza attributiva tra l’uno e l’altro. Del periodo di più stretta adesione ai modi del Gherardi
è un importante dipinto ancora inedito raffigurante San Gregorio Armeno che battezza il re Tiridate
III conservato nella chiesa di San Biagio della Pagnotta (Fig.21). Affidata all’Ospizio degli Armeni
da Gregorio XVI con un breve del 1832, la chiesa di San Biagio non è la collocazione originaria
dell’opera, come dimostrano le integrazioni effettuate sulla tela nella parte superiore, in origine
centinata, e in basso: essa proviene dalla chiesa di Santa Maria Egiziaca, anch’essa officiata dagli
Armeni, trasferitavi probabilmente nello stesso anno 1832. Il dipinto rappresenta il momento
iniziale della storia cristiana di questo popolo, tra i primi ad accogliere la nuova religione: San
Gregorio Armeno,detto l’Illuminatore vi è effigiato mentre battezza, dopo averlo convertito, il re
Tiridate III. Si tratta di un episodio accaduto all’incirca nel 301, data che porta quella armena ad
essere la prima chiesa nazionale cristiana della storia. Gregorio è rappresentato in abiti vescovili,
con la tiara e l’omoforio , il pallio a tre croci tipico della tradizione greca, mentre con una
conchiglia fa cadere l’acqua del battesimo sul capo delre, dopo che questi ha posato la corona su un
cuscino. La composizione è poi arricchita da altre figure: un accolito raccoglie l’acqua lustrale in un
bacile, un altro regge le scritture, mentre vari astanti, tra cui la regina Ashken, seguono commossi
l’evento. Il dipinto dovette godere di una certa notorietà se ne esiste una copia fedele nella chiesa
dei padri Mechitaristi dell’isola di San Lazzaro a Venezia, ed è facilmente ri-conducibile all’ambito
di Mola, come indicano i numerosi riferimenti alla Predica di San Barnaba (Fig.22) tuttora in San
Carlo al Corso. Poiché tra i disegni di Mola che sono stati posti in relazione con questo dipinto
alcuni mostrano un vescovo nell’atto di battezzare, è probabile che Boncori avesse avuto accesso al
materiale grafico prodotto dal maestro in vista di quell’impresa, o che avesse addirittura preso parte
alla sua esecuzione se, come sembra, la datazione del dipinto può essere collocata nel settimo
decennio del secolo, allorché la chiesa di San Carlo al Corso venne ultimata grazie all’impulso del
cardinale milanese Luigi Alessandro Omodei (1608-1685), il qua le fu dal 1652 protettore
dell’Arciconfraternita dei Santi Ambrogio e Carlo e dunque fautore della decorazione del
deambulatorio della chiesa romana nella quale fu attivo anche Boncori. Quanto alla paternità di
Boncori, che qui si avanza, essa può essere motivata sulla base del confronto col bellissimo Cristo
appare a Santa Teresa d’Avila (Fig.23) della chiesa di San Giovanni della Pigna, ricondotto alla
mano di Boncori da Schleier dopo che Titi lo aveva ritenuto di Gherardi, e databile come il nostro
intorno alla metà degli anni ottanta del Seicento: prima del riconoscimento qui operato si tratta-va
dell’unica pala d’altare di Boncori a Roma giunta fino a noi. Il riferimento antico della pala di San
Giovanni della Pigna a Gherardi non è peraltro privo di interesse, poiché la ricerca plastica e