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WineCouture 11-12/2023

WineCouture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. WineCouture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.

WineCouture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. WineCouture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.

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NUMERO <strong>11</strong>/<strong>12</strong><br />

Anno 4 | Novembre <strong>2023</strong><br />

Poste Italiane SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi.<br />

ROSSO VINCE<br />

STORIE DI GRANDI INTERPRETAZIONI CHE NON CONOSCONO CRISI


2<br />

“Il meglio deve ancora venire”<br />

“Italians Do it Better”: questa volta è il caso<br />

di dirlo, citando l’iconica t-shirt indossata da<br />

Madonna nel video clip della canzone “Papa<br />

Don’t Preach” a rimarcare con orgoglio le sue<br />

origini tricolori. Già, perché in questa fine di<br />

<strong>2023</strong> i migliori al mondo torniamo ad essere<br />

proprio noi italiani. Con alcuni protagonisti<br />

del vino made in Italy che hanno messo in<br />

fila un successo internazionale dopo l’altro.<br />

A partire da Alessio Planeta, amministratore<br />

delegato e responsabile tecnico dell’azienda<br />

di famiglia in Sicilia, che ha riportato dopo<br />

16 anni in Italia il prestigioso titolo di Winemaker<br />

of the Year <strong>2023</strong>. A ruota, poi, agli<br />

Oscar assegnati da Wine Enthusiast, Ca’ del<br />

Bosco è stata eletta European Winery of the<br />

Year, dando ancor più lustro a una fine d’anno<br />

in cui ha svelato al mondo la nuova splendida<br />

e avveniristica cantina, mentre Pasqua<br />

Vini, dopo aver sfiorato <strong>12</strong> mesi fa il vertice<br />

del podio come numero uno in Europa, è stata<br />

incoronata, sempre ai Wine Star Awards, “In-<br />

novator of the Year”, vedendo riconosciuto lo<br />

speciale contributo fornito al mondo del vino<br />

che l’ha resa “House of the Unconventional”.<br />

Infine, la ciliegina sulla torta: il Brunello di<br />

Montalcino Argiano 2018 che conquista il<br />

primo posto nella Top 100 di Wine Spectator<br />

e la palma di miglior vino al mondo. Segnali<br />

beneauguranti, dopo <strong>12</strong> mesi di montagne<br />

russe sul mercato, che l’Italia “s’è desta”. E<br />

per il 2024, l’auspicio è uno: “The Best Is Yet<br />

to Come”, come cantava Frank Sinatra.<br />

04 Primo piano. Il vino, (anche) un mondo<br />

per giovani: Filippo Polegato, Astoria Wines<br />

06 Dossier. l grandi rossi italiani nelle<br />

performance all’asta secondo iDealwine<br />

14 Dossier. La Poja e l’unicità della Corvina,<br />

sfumatura di Valpolicella Classica nel mito<br />

SOMMARIO<br />

22 Dossier. Sua Maestà, l’Aglianico del<br />

Vulture: Re Manfredi nell’Olimpo del vino<br />

25 Dossier. Lamole di Lamole in Chianti<br />

Classico: 30 anni di grandi rossi “di quota”<br />

34 Spirits. Distillati, Liquori e Amari nel<br />

racconto di <strong>WineCouture</strong><br />

WINECOUTURE - winecouture.it<br />

Direttore responsabile Riccardo Colletti<br />

Direttore editoriale Luca Figini<br />

Coordinamento Matteo Borré (matteoborre@nelsonsrl.com)<br />

Marketing & Operations Roberta Rancati<br />

Contributors Francesca Mortaro, Andrea Silvello,<br />

Irene Forni<br />

Art direction Inventium s.r.l.<br />

Stampa La Terra Promessa Società Cooperativa<br />

Sociale Onlus (Novara)<br />

Editore Nelson Srl<br />

Viale Murillo, 3 - 20149 Milano<br />

Telefono 02.84076<strong>12</strong>7<br />

info@nelsonsrl.com<br />

www.nelsonsrl.com<br />

Registrazione al Tribunale di Milano n. <strong>12</strong><br />

del 21 Gennaio 2020 - Nelson Srl -<br />

Iscrizione ROC n° 33940 del 5 Febbraio 2020<br />

Periodico bimestrale<br />

Anno 4 - Numero <strong>11</strong>/<strong>12</strong>- Novembre <strong>2023</strong><br />

Abbonamento Italia per 6 numeri annui 30,00 €<br />

L’editore garantisce la massima riservatezza<br />

dei dati personali in suo possesso.<br />

Tali dati saranno utilizzati per la gestione degli<br />

abbonamenti e per l’invio di informazioni<br />

commerciali. In base all’art. 13 della Legge<br />

n° 196/2003, i dati potranno essere rettificati<br />

o cancellati in qualsiasi momento scrivendo a:<br />

Nelson Srl<br />

Responsabile dati Riccardo Colletti<br />

Viale Murillo, 3<br />

20149 Milano


4<br />

lanti, spesso sorprendenti e colorate: ma quali<br />

sono i “segreti” oggi per fare breccia nei cuori<br />

una nuova generazione di consumatori di vino?<br />

Oggi abbiamo a che fare con consumatori complessi e<br />

poco propensi alla fidelizzazione. Da un certo punto di<br />

vista sono più curiosi e attenti, cercano il dialogo con l’azienda,<br />

chiedono conto delle sue azioni a 360° e del suo<br />

ruolo sociale. Da un altro punto di vista, però, sono consumatori<br />

abituati all’acquisto d’impulso: per questo, credo<br />

sia fondamentale potenziare l’e-commerce. L’online non è<br />

il nostro canale fondamentale, né lo sarà mai – continueremo<br />

a farci conoscere soprattutto attraverso l’Horeca –, ma<br />

deve esistere un’altra possibilità di connessione e questo<br />

significa che deve funzionare in modo rapido, intuitivo e<br />

funzionale, così da non perdere potenziali occasioni.<br />

Visto da chi siede anche ai tavoli istituzionali nel<br />

consiglio Uiv, il vino è un mondo per giovani?<br />

Certo, noi giovani possiamo portare prospettive interessanti.<br />

Devo dire, però, che per me l’esperienza nel Consiglio<br />

dell’Unione Italiana Vini mi consente innanzitutto<br />

il confronto con persone di grande esperienza ed intelligenza,<br />

d’imparare un approccio più globale ai problemi,<br />

ampliando il mio punto di vista che, talvolta, nelle contingenze<br />

del quotidiano rischia di essere parziale.<br />

PRIMO PIANO<br />

Il vino è (anche) un<br />

mondo per giovani<br />

A tu per tu con Filippo Polegato: i primi due anni<br />

da amministratore delegato e il futuro di Astoria Wines<br />

All’interno dell’universo del Prosecco,<br />

Astoria Wines fin dalla sua fondazione,<br />

nel 1987, è brand di primo piano. Oggi il<br />

suo giro d’affari ha raggiunto i 55 milioni<br />

di euro circa, con l’export a toccare oltre<br />

105 Paesi, per un’incidenza del 30% sul fatturato. Due<br />

anni fa, per la realtà trevigiana l’importante svolta dettata<br />

dal cambio al vertice, con la proprietà unica passata nelle<br />

mani del presidente Paolo Polegato e del figlio Filippo,<br />

subentrato nella carica di amministratore delegato. È proprio<br />

con il classe 1991, quarta generazione di famiglia impegnata<br />

nel mondo vinicolo, che abbiamo fissato il punto<br />

su sfide e traguardi dell’ultimo biennio e tracciato la rotta<br />

del futuro di un marchio protagonista nel canale Horeca.<br />

Ottobre 2021, il via un nuovo corso per Astoria<br />

Wines, lei assume la guida: qual è il primo bilancio<br />

dopo due anni da amministratore delegato?<br />

Devo dire che ho vissuto questi due anni con grande intensità:<br />

impegno e determinazione hanno convissuto con<br />

la naturale preoccupazione per un ruolo aziendale così<br />

strategico, difficile e delicato. Però, ero anche consapevole<br />

della qualità dei nostri dipendenti e della rete commerciale<br />

e sicuro della loro collaborazione: sono stati un importante<br />

riferimento e mi hanno dato sempre il loro sostegno.<br />

Astoria Wines, da sempre, è sinonimo di Prosecco<br />

nelle sue differenti sfumature: dalla vostra<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

prospettiva, qual è oggi la temperatura del mercato<br />

della bollicina italiana più diffusa?<br />

È un periodo contraddittorio, per l’economia in generale<br />

e per il Prosecco in particolare. Noi siamo produttori e vinificatori<br />

sia di Docg sia di Doc e capiamo la difficoltà di<br />

conciliare esigenze diverse. Quel che credo fermamente<br />

è che l’equilibrio si possa trovare solo lavorando per dare<br />

maggior valore al Prosecco a tutti livelli. Dopo anni di<br />

grande crescita, i prossimi devono essere quelli del consolidamento<br />

in cui, a mio avviso, tutti dobbiamo lavorare su efficienza<br />

e marginalità più che sull’incremento dei volumi.<br />

Quali devono essere, a suo avviso, i nuovi orizzonti<br />

del futuro nel mondo per il vino italiano?<br />

Credo ci sia ancora tantissimo spazio per il bere italiano,<br />

purché si guardi nella giusta direzione. Il che significa<br />

non limitarsi ai mercati consolidati, che fanno sì grandi<br />

numeri, ma in questo momento sono in via di saturazione<br />

o soggetti a difficoltà. In questo senso, come Astoria<br />

Wines partiamo avvantaggiati: abbiamo sempre avuto un<br />

export molto frammentato e stiamo continuando, anche<br />

in questo periodo, a crescere su più sbocchi, in Africa,<br />

Asia e Sudamerica soprattutto, così da metterci al riparo<br />

da eventuali crisi contingenti. Sempre seguendo questa<br />

logica, operiamo per far crescere la quota export sul totale<br />

del fatturato: vorrei portarla al 50% entro due o tre anni.<br />

Astoria Wines è nota per le sue bottiglie scintil-<br />

Produrre vino fa sempre più rima con innovazione:<br />

su cosa avete scelto d’investire per diventare<br />

ancora più sostenibili economicamente, ambientalmente<br />

e socialmente?<br />

Non amo i proclami sulla sostenibilità, che spesso riguardano<br />

aspetti più marginali della produzione. Piuttosto, abbiamo<br />

affrontato anni di grandi investimenti per migliorare<br />

in modo sostanziale la nostra efficienza, così da ridurre gli<br />

sprechi da tanti punti di vista: è lavoro meno “raccontabile”<br />

ma più sostanziale. Il nostro polo logistico, ad esempio,<br />

inaugurato lo scorso anno: 6mila metri quadrati che<br />

ci consente una distribuzione più efficiente a un mercato<br />

in evoluzione, in cui si è ridotta la dimensione dell’ordine<br />

medio e soprattutto i tempi di consegna richiesti. Abbiamo<br />

sviluppato con l’Università di Padova un progetto per<br />

la gestione robotizzata degli ordini, riunificando tre magazzini<br />

preesistenti – con meno costi di mantenimento, di<br />

trasporto e meno emissioni di CO2 – e riducendo fino al<br />

40% dei tempi di evasione delle commesse. Altro investimento<br />

importante è stato quello sul nuovo monoblocco di<br />

imbottigliamento, realizzato nel <strong>2023</strong>: l’inizio linea completamente<br />

rinnovato ha migliorato del 70% la capacità<br />

produttiva ed eviterà carenze di prodotto a magazzino. In<br />

più, abbiamo completato anche l’impatto per coprire a regime<br />

più del 30% del nostro fabbisogno energetico.<br />

Vini No Alcol: è una strada per il settore?<br />

È una delle tante vie, ma di certo non la principale. E non<br />

è neppure una novità: noi abbiamo lanciato Zerotondo,<br />

il nostro spumante Zero Alcol, più di 10 anni fa. Non si<br />

tratta di un vino dealcolato con processi chimici, ma di un<br />

succo d’uva spumantizzato: anche se non fa grandi numeri,<br />

è un’ottima alternativa per coinvolgere nei momenti<br />

conviviali anche chi non beve alcolici e referenza che ci ha<br />

consentito d’entrare in diversi mercati interessanti.<br />

Imboccato ormai il rettilineo finale, qual è il suo<br />

highlight dell’anno per il <strong>2023</strong>?<br />

Devo dire che veder finalmente i risultati degli investimenti<br />

in efficientamento energetico e logistico, che hanno<br />

richiesto anni di lavoro, mi ha fatto molto piacere. E poi sicuramente,<br />

a livello personale, ricordo come un momento<br />

di particolare commozione la presentazione a Vinitaly del<br />

Rosé dedicato mia nonna Mina.<br />

Quali novità avete in serbo per il 2024?<br />

A livello di prodotto, stiamo lavorando al restyling di una<br />

delle nostre linee di successo. Ma abbiamo anche iniziato<br />

una nuova fase d’investimento per efficientare cantina e<br />

sistema frigorifero. In sintesi: non ci fermiamo mai.


6<br />

DOSSIER<br />

Il rosso italiano<br />

che non conosce crisi<br />

Con iDealwine fotografiamo le performance<br />

all’asta dei fine wines tricolore<br />

Grandi rossi, etichette da sogno, veri<br />

e propri miti e capolavori enologici:<br />

ma qual è oggi la temperatura di un<br />

segmento che nella sua declinazione<br />

più pregiata sembra non temere crisi<br />

di sorta? Abbiamo provato a scattare con gli esperti di<br />

iDealwine una fotografia sullo stato dell’arte del mondo<br />

dei fine wines in rosso, categoria che da diversi anni è<br />

protagonista all’intero dell’universo delle aste, vedendo<br />

i vini italiani sempre più in prima fila. Sul portale francese,<br />

riferimento mondiale in tema, le etichette tricolore<br />

più pregiate hanno rappresentato nel 2022 il 61% dei<br />

vini non francesi presenti nel catalogo delle vendite, in<br />

netto sviluppo rispetto al 39% del 2021. In termini di<br />

valore (+53%) e volumi (+32%), l’Italia è ormai ottava<br />

in classifica tra le regioni vinicole aggiudicate su iDealwine,<br />

ma anche la più ricercata dopo le produzioni<br />

d’Oltralpe. A farla da padroni, tra i fine wines italiani in<br />

rosso, i maestri di Piemonte e Toscana, con il solo Giuseppe<br />

Quintarelli a inframmezzarsi nella classifica dei<br />

lotti più cari in una Top 20 che gli scorsi <strong>12</strong> mesi ha visto<br />

sul podio Tenuta San Guido con il suo Bolgheri Sassicaia<br />

1985, seguito da Bruno Giacosa con un Barbaresco<br />

Santo Stefano di Neive 1964 e Giacomo Conterno con<br />

il Barolo Riserva Monfortino 2004. Facendo riferimento<br />

all’altro volto del portale francese, quello di enoteca<br />

online, tra i grandi rossi dall’Italia oggi più apprezzati si<br />

segnalano il Barolo Pira Riserva e il Barbaresco Crichët<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

Pajé Roagna, il grande classico Bolgheri Sassicaia di Tenuta<br />

San Guido e un’altra icona toscana come il Tignanello<br />

di Marchesi Antinori. Più ampi gli orizzonti se si<br />

fa riferimento alle tenute maggiormente ricercate nella<br />

categoria sul portale, che oltre ai tre nomi appena citati,<br />

vedono imporsi la siciliana Frank Cornelissen, la piemontese<br />

Giulia Negri, la trentina Elisabetta Foradori e<br />

l’abruzzese Emidio Pepe. Ma quali sono state, invece, le<br />

tendenze sui grandi rossi italiani emerse in questo <strong>2023</strong>?<br />

Nel primo trimestre dell’anno, le eccellenze tricolori<br />

hanno proseguito la loro scalata alla classifica nelle aste<br />

iDealwine. A mettersi in luce, in particolare, le grandi<br />

star in rosso di Toscana, con una bottiglia di Masseto di<br />

Tenuta dell’Ornellaia aggiudicata per 851 euro (+4%),<br />

un Sassicaia 2016 battuto a 475 euro (+26%) e un Solaia<br />

Antinori, sempre 2016, che ha toccato i 450 euro di valutazione<br />

(+23%). A guidare, però, rimane il Piemonte,<br />

che con un Barolo Riserva Monfortino 1955 di Giacomo<br />

Conterno a 895 euro si colloca in cima alla classifica<br />

delle vendite del Q1. Il secondo trimestre, invece, si è<br />

chiuso con gli acquirenti che hanno mostrato un notevole<br />

interesse verso gli eleganti Sangiovese firmati dalla<br />

tenuta Case Basse di Gianfranco Soldera, con un valore<br />

di scambio che si è aggirato tra i 600 e i 700 euro di media<br />

a bottiglia e l’apice raggiunto grazie all’annata 2005,<br />

battuta per 726 euro. È stato tuttavia il millesimo 2008<br />

a registrare la più forte crescita, con una referenza venduta<br />

all’asta per 613 euro (+38%). Ma nel corso del Q2<br />

è proseguita più in generale la buona performance delle<br />

grandi star toscane, dove a risaltare è stata l’annata 2013<br />

di Sassicaia che ha raddoppiato il suo prezzo di aggiudicazione,<br />

toccando quota 338 euro (+51%). Mesi positivi<br />

anche per l’universo Barolo, che ha visto battuti all’asta<br />

tra i suoi lotti più costosi un Brunate Le Coste di Rinaldi<br />

2006, venduto per 501 euro, un millesimo 2016 di<br />

Bartolo Mascarello, a 413 euro, e una rarissima bottiglia<br />

da collezione dell’annata 1952 di Giacomo Conterno, a<br />

230 euro. Ma a risaltare nel trimestre è anche un altro<br />

simbolo di Langa: un Sori Tildin 1996 di Gaja è stato<br />

battuto all’asta per 438 euro (+22%), mentre un lotto di<br />

Costa Russi 1996 ha raggiunto i 376 euro. In attesa di<br />

poter stilare il resoconto dei <strong>12</strong> mesi, anche il terzo quarto<br />

dell’anno ha visto i fine wines italiani grandi protagonisti<br />

su iDealwine, dove nel mese di agosto hanno rappresentato<br />

il 10% dei vini aggiudicati. A figurare in cima<br />

alle classifiche sono stati sempre Piemonte e Toscana,<br />

ma con altre regioni del panorama viticolo tricolore ad<br />

aver suscitato l’interesse dei wine lover internazionali.<br />

Protagonisti delle aste estive in particolare Giacomo<br />

Conterno e Bruno Giacosa, con la Riserva Monfortino<br />

2004 del primo, 100 punti Parker, aggiudicata a un<br />

appassionato di Singapore per 1.189 euro, mentre il Cascina<br />

Francia della stessa annata è stato battuto a 351<br />

euro (+<strong>11</strong>%) in concomitanza con una double-magnum<br />

di Barolo Cerretta 2018 che ha raggiunto una valutazione<br />

di 952 euro. Tra le altre performance da sogno del<br />

Q3, brillano di Bruno Giacosa Le Rocche del Falletto<br />

Riserva 2000 in magnum, aggiudicata per 1.252 euro,<br />

e il Barbaresco Santo Stefano di Neive 1978, venduto<br />

per 551 euro. Tra le star del vino piemontese scambiate,<br />

Giuseppe Rinaldi ha visto un formato magnum di Barolo<br />

Tre Tine 2017 battuto a 521 euro, mentre spicca il<br />

caso della storica realtà del Comm. G.B. Burlotto, con<br />

il Monvigliero 2016 ad aver toccato una valutazione di<br />

509 euro (+20%) e il Cannubi 2016 venduto a 501 euro<br />

(+57%): a lottare fino all’ultimo rilancio per le rare bottiglie<br />

di questa rinomata tenuta, offerenti per la maggior<br />

parte europei – da Italia, Norvegia, Francia, Spagna e<br />

Paesi Bassi –, ma anche un’importante fetta di acquirenti<br />

asiatici, con in prima fila Singapore e Corea del<br />

Sud. E per quanto riguarda il resto d’Italia? A distinguersi,<br />

ancora una volta, tenuta Case Basse di Gianfranco<br />

Soldera con il Brunello di Montalcino 2006 venduto<br />

per 876 euro. Sempre parlando del re dei grandi rossi di<br />

Toscana, si segnala la performance del Cerretalto 2013<br />

di Casanova di Neri in formato magnum, aggiudicato<br />

per 626 euro, mentre tra le icone toscane una bottiglia<br />

di Tignanello 2009 è stata battuta all’asta per 388 euro.<br />

Ampliando, poi, lo sguardo a emergere sono produttori<br />

come gli abruzzesi Valentini ed Emidio Pepe, la Valpolicella<br />

di Bertani, nostra signora di Montevetrano, Silvia<br />

Imparato, i vini campani di Galardi e quelli siciliani di<br />

Frank Cornelissen, con quest’ultimo, in particolare, a<br />

vedere la sua celebre cuvée Magma, da 100% Nerello<br />

Mascalese a piede franco, aggiudicata per 586 euro con<br />

un’annata 2016.


8<br />

DOSSIER<br />

Nel panorama globale del vino, quando si<br />

parla di iconic wine, i grandi rossi, ricchi<br />

di suggestione, fascino e avvolti da un<br />

alone di desiderio e ricercatezza, rappresenta<br />

un riferimento. Si spazia dai grandi<br />

territori del Piemonte, passando per Veneto e Toscana,<br />

senza però dimenticare gli elitari e nobili Cru di Francia<br />

e non solo. Per scoprire meglio le dinamiche<br />

e offrire una fotografia di quello che è lo<br />

stato attuale di mercati e trend intorno<br />

ai grandi rossi, abbiamo interpellato<br />

Corrado Mapelli, direttore generale<br />

Gruppo Meregalli, voce fra le più<br />

autorevoli quando si parla di distribuzione<br />

e fine wines in Italia.<br />

DI IRENE FORNI<br />

Quali sono, a suo avviso, gli elementi<br />

che definiscono un grande<br />

vino rosso?<br />

Oggi quando si parla di un grande vino è<br />

perché è riconosciuto tale non solo da noi distributori<br />

ma anche dalla critica, dal mercato e soprattutto dal<br />

consumatore. Gli elementi caratteristici per definirne lo<br />

status sono sempre più di uno: si parte dalla qualità del<br />

prodotto, che è ovviamente imprescindibile, segue poi la<br />

sua distribuzione, dove entra in gioco l’importanza del<br />

nostro ruolo sul mercato, con la presenza nei principali<br />

locali, ristoranti, hotel ed enoteche maggiormente rappresentative.<br />

Quindi penso che i fattori principali a concorrere<br />

nel fare di un rosso un grande vino siano innanzitutto<br />

il giusto posizionamento all’interno del mondo<br />

Horeca, poi la qualità riconosciuta, infine la certificazione<br />

da parte di critica e mercato.<br />

Vista dalla prospettiva del distributore di etichette<br />

icona, qual è oggi la temperatura<br />

del mercato dei vini premium e super<br />

premium?<br />

La salute è buona e la temperatura positiva.<br />

Il consumatore, oggi, ha bisogno<br />

di certezze, specie in un periodo<br />

d’incertezza diffusa come l’attuale.<br />

Quindi, si orienta sempre più spesso<br />

verso la ricerca e l’acquisto di prodotti<br />

che danno garanzie: questi sono<br />

proprio quei vini considerati grandi e<br />

che sono rappresentati da brand forti capaci<br />

di dare sicurezza. Se l’offerta nella categoria<br />

è sempre inferiore alla domanda, attualmente<br />

non si registra alcun segnale di calo nelle vendite per quel<br />

che riguarda queste etichette premium e superpremium.<br />

Laddove invece una riconoscibilità così spiccata non c’è<br />

si fa ovviamente più fatica, perché l’unica leva che resta è<br />

quella del prezzo e può capitare che sul mercato ci sia un<br />

concorrente capace di presentare un’offerta più bassa della<br />

tua, rischiando così di ricevere scacco matto su un deal.<br />

La certezza<br />

di un grande vino<br />

Il mercato dei grandi rossi nell’analisi di<br />

Corrado Mapelli, direttore generale Gruppo Meregalli<br />

Unicità fa spesso rima con rarità:<br />

quanto risulta complicata oggi la gestione<br />

delle assegnazioni davanti a<br />

una domanda internazionale in crescita<br />

per i vini icona?<br />

Questo è sicuramente l’elemento più difficile.<br />

Come professionisti vorremmo sempre proporre<br />

e rendere disponibili ai nostri clienti<br />

questi prodotti nelle quantità che loro<br />

desiderano, ma purtroppo questo oggi<br />

spesso non è possibile, proprio in virtù<br />

dei nuovi mercati che nascono da<br />

un’evoluzione della cultura e della conoscenza<br />

del prodotto e della loro diffusione<br />

nel mondo. Quando si tratta<br />

di etichette di punta, la loro produzione<br />

in quantità limitate rende impossibile<br />

per definizione accontentare tutti.<br />

Le assegnazioni sono così l’aspetto più<br />

complicato di un lavoro quotidiano e<br />

costante con il quale cerchiamo di favorire<br />

il cliente che dimostri di saper<br />

valorizzare al meglio la referenza. Cerchiamo<br />

di scongiurare speculazioni,<br />

poi promuoviamo il servizio alla mescita,<br />

che permette di accontentare un<br />

maggior numero di appassionati: se<br />

il prodotto circola, infatti, rimanendo<br />

nella mente del consumatore, afferma<br />

ancora di più il suo valore e quella<br />

rotazione che le cantine ricercano. In<br />

definitiva, non vengono ostentati i collezionisti<br />

ma sapientemente gestiti, perché le bottiglie devono<br />

essere aperte.<br />

Le grandi etichette sono diventate sempre più<br />

oggetti da collezione e investimento: come si<br />

pone un freno a logiche speculative per favorire<br />

l’apertura delle bottiglie tra veri appassionati?<br />

Questo fa sicuramente parte delle criticità, oltre che del<br />

lavoro del distributore. Noi, all’interno del cammino di<br />

un’etichetta, non ci poniamo come elemento di passaggio<br />

post-produzione, ma come partner del produttore, con<br />

cui condividiamo, passo a passo, logiche, scelte e strategie<br />

commerciali. E in questi tempi, in particolare, è importante<br />

favorire quella clientela che le bottiglie le sa proporre al<br />

mercato e favorisce quindi una movimentazione del vino.<br />

Quali i simboli nel catalogo Meregalli quando si<br />

fa riferimento all’universo dei grandi vini rossi?<br />

Sono davvero molti, dunque ritengo opportuno citare<br />

quelle realtà con le quali abbiamo un rapporto storico<br />

di decine di anni, come Tenuta San Guido per Sassicaia,<br />

Guidalberto e Le Difese, Argiolas per Turriga e Korem,<br />

Di Majo Norante con il Don Luigi, Speri con Amarone<br />

Sant’Urbano, Vistorta e, per andare dall’altra parte del<br />

mondo, Penfolds con il Grange. Per gli Chateaux non abbiamo<br />

un’esclusiva, ma dei “partenariats privilégiés”: accordi<br />

diretti con realtà come quelle della famiglia Lafitte e<br />

come Château Margaux. Siamo, inoltre, partner stretti per<br />

l’Italia di Château Petrus. Ma l’elenco, guardando il catalogo<br />

Meregalli potrebbe essere ancora lungo.<br />

Parlando della prossima stella nella produzione<br />

di grandi rossi, quale territorio citerebbe?<br />

Le performance di una zona sono spesso dettate dalla disponibilità<br />

di prodotto, quindi si fatica a dare una risposta<br />

definitiva a una domanda di questo tipo. Ma in questo<br />

momento il Sud Italia, in particolare con Etna e Sicilia in<br />

generale, può ambire a un posizionamento ancora più<br />

importante di quello che già detiene tra i grandi rossi. Se<br />

guardiamo invece alle zone classiche, come quelle di Barolo,<br />

Amarone, Brunello e dove nascono i Supertuscan, le<br />

performance sono sempre positive e spesso proprio condizionate<br />

da una disponibilità maggiore o minore rispetto<br />

a quello che il mercato chiede.


10<br />

DOSSIER<br />

In un mondo alla perenne ricerca della novità che sorprenda,<br />

spesso si perde contatto con chi, lungo il corso<br />

del tempo, ha definito standard che oggi permettono<br />

a chi è giunto dopo di paragonare il personale<br />

operato e far crescere la qualità del settore. Comunemente<br />

detti “classici”, non devono far pensare<br />

a qualcosa di stantio: all’opposto. Spesso la loro<br />

fulgida fama abbaglia operatori e appassionati,<br />

facendo perdere di vista evoluzioni, nel solco di<br />

uno stile che resta immutato in eleganza, che ne<br />

testimoniano la vitalità. Ed è importante, di tanto<br />

in tanto, riaccendere i riflettori su universi<br />

ed etichette che sono garanzia nel calice. In<br />

questo ritorno alle basi, intese come fondamenta<br />

che offrono un sostegno a ogni<br />

wine list e offerta a scaffale che si rispetti, è<br />

bene affidarsi a chi con le cantine vanta un<br />

legame doppiamente stretto, per la natura<br />

stessa di una gestione aziendale familiare<br />

che è primo requisito anche quando si fa<br />

riferimento alla selezione. Tra i grandi rossi<br />

nel catalogo Sagna S.p.A., realtà fondata<br />

nel 1928 dal Barone Amerigo Sagna, fin<br />

dalle origini specializzata nell’importazione<br />

e distribuzione di vini, liquori e distillati<br />

d’altissima qualità, sono annoverate vere<br />

leggende enoiche. Ma cosa definisce un<br />

fine wines in rosso per la realtà distributiva<br />

Back<br />

to Classic<br />

Grandi espressioni in rosso del catalogo Sagna S.p.A.<br />

imprescindibili per ogni wine list<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

torinese? “La nostra società si è sempre concentrata<br />

sulla selezione di aziende familiari con alle<br />

spalle lunga esperienza nella produzione di vino,<br />

che con il loro operato hanno spesso influenzato<br />

e accresciuto lo sviluppo dei territori in cui operano:<br />

penso alle famiglie Faiveley e Moueix, rispettivamente<br />

in Borgogna e Bordeaux, ai Rapuzzi<br />

in Friuli o a Carlo Hauner sull’isola di Salina”,<br />

spiega Massimo Sagna, presidente Sagna S.p.A.<br />

“Si tratta di realtà che sono state in grado di creare<br />

un proprio stile, diventare icone e perpetuare<br />

il loro impegno adattandosi a un mondo del vino<br />

in continuo movimento. La nostra è una politica<br />

rigorosa che rifugge le mode passeggere e i facili<br />

volumi: trattiamo prodotti ricercati la cui qualità,<br />

altissima, è indiscussa. Questa scelta di lavorare<br />

con aziende a gestione familiare è per noi garanzia<br />

di serietà, condivisione di progetti e continuità produttiva<br />

nel tempo per vini e distillati catalogabili come dei grandi<br />

classici intramontabili”. Nella ricerca all’interno del portfolio<br />

di quelle etichette imprescindibili per una carta vini, in<br />

un gioco di sponde tra i due lati delle Alpi, il tour nel calice<br />

inizia dalla patria del Pinot Noir, con Domaine Faiveley.<br />

Tra i più storici volti della Côte d’Or, dal 2008 in poi ha<br />

promosso investimenti che hanno da un lato aumentato<br />

il parco vitato, convertito nei <strong>12</strong>3 ettari a bio, e dall’altro<br />

fatto parlare in bottiglia i suoli attraverso le lavorazioni in<br />

cantina. La filosofia della famiglia Faiveley nel calice è chia-<br />

ra: una Borgogna di alta qualità, per vini cangianti<br />

pronti alla beva fin da subito, ma chiamati a durare<br />

nel tempo. Tra i grandi rossi, che nascono da un<br />

approccio sostenibile in vigna e “ragionato” nella<br />

tecnologica cantina, si fa notare il Corton Clos<br />

des Cortons Faiveley Grand Cru, figlio di una<br />

parcella di poco più di due ettari, monopolio<br />

della famiglia Faiveley dal 1874, nonché uno<br />

dei pochi Grand Cru di Borgogna che porta<br />

il nome dei suoi proprietari. Un Pinot Noir<br />

ampio e rotondo al palato, di bellissima<br />

energia. Rimanendo Oltralpe, ma spostandosi<br />

tra l’estuario della Gironda e l’Oceano<br />

Atlantico, ritroviamo un altro mito del vino<br />

transalpino: il Château Pichon Longueville<br />

Comtesse de Lalande. Tra i più antichi della<br />

zona di Bordeaux, risale al 1686. Classificato<br />

nel 1855 tra i deuxième grand cru classé,<br />

dal 2007 è parte della grande famiglia della<br />

Maison Louis Roederer. Si apre allora<br />

una nuova era che conduce a mappare e<br />

reimpiantare con viti adatte alle specifiche<br />

di ogni terroir le 60 parcelle della tenuta,<br />

a un approccio sempre più “ecologicamente<br />

responsabile” tra i filari, ma anche a ridisegnare la cantina<br />

per vinificazioni parcellari più precise. Poi il carattere<br />

di questo Pauillac, blend di Cabernet Sauvignon (68%),<br />

Merlot (29%), Cabernet Franc (2%) e Petit Verdot (1%),<br />

è conseguenza di suoli composti da piccoli rilievi costituiti<br />

da ciottoli su argilla che permettono un perfetto drenaggio<br />

dell’acqua. Per un grande rosso che al palato rivela una<br />

meravigliosa morbidezza, perfetta armonia e stupefacente<br />

persistenza. Un vino di gran razza, complessità, eleganza<br />

e longevità. Una descrizione, quest’ultima, accostabile a<br />

un mito anche su questo lato delle Alpi: il Barolo Bussia<br />

Pianpolvere Soprano. Un vino unico da un unico vigneto:<br />

queste le coordinate che definiscono il progetto di Rodolfo<br />

Migliorini per la storica Riserva, commercializzata dopo<br />

10 anni di affinamento. La fotografia irripetibile di tre ettari<br />

di vigna che rappresentano una delle massime<br />

espressioni esistenti del Nebbiolo. Sottozona della<br />

Bussia di Monforte d’Alba, Pianpolvere Soprano è<br />

nome di un lieu-dit risalente alla fine del 1700, quando<br />

Napoleone Bonaparte fece costruire su questo<br />

appezzamento una polveriera, oggi al centro di un<br />

disegno che ha condotto a una gestione dell’appezzamento<br />

attraverso pratiche che contribuiscono<br />

a rispettare la terra e il suo ecosistema, permettendo<br />

di conservare una produzione esclusiva<br />

rimasta nei secoli fedele a un terroir di cui<br />

mostra le migliori virtù. Per un vino di grande<br />

carisma, intensità e potenza, dal sorso profondo<br />

con tannini finissimi. A chiudere il<br />

cerchio è il re dei vini veronesi: ma<br />

nella “rilettura” di un territorio e della<br />

celebre tecnica dell’appassimento<br />

che ne fa Marco Speri. Progetto personale,<br />

il suo, che nasce nel 2008<br />

sulle colline della Valpolicella Classica,<br />

a Fumane, dove inizia un viaggio<br />

in solitaria che mira a lasciare<br />

esprimere le uve Corvina, Corvinone<br />

e Rondinella, attraverso<br />

un protocollo che prevede<br />

macerazione prolungata pre e<br />

post fermentativa, un affinamento<br />

in cemento e sole botti grandi di Rovere.<br />

Prendono così forma i vini Secondo<br />

Marco, diretti e freschi ma non per<br />

questo meno longevi, in cui brilla per<br />

eleganza, in una sequenza di grandi rossi<br />

costruiti su tensione e agilità, l’Amarone<br />

della Valpolicella: denso e integro al<br />

palato, è accompagnato da retrogusti di<br />

confettura e note boisé. Per un classico<br />

postmoderno, fin dall’etichetta.


<strong>12</strong><br />

DOSSIER<br />

Cartoline di un<br />

mondo che cambia<br />

Complessità, longevità, ma anche piacevolezza fin<br />

da giovani: i grandi rossi oggi secondo Sarzi Amadè<br />

Prosegue il nostro viaggio per delineare<br />

lo stato dell’arte dei grandi vini rossi sul<br />

mercato tricolore in questo <strong>2023</strong> che si appresta<br />

a finire. E l’attenzione, quando<br />

si parla di fine wines non può prescindere<br />

da un’altra grande realtà dell’universo della<br />

distribuzione Horeca che proprio nella categoria<br />

in rosso vede una quota maggioritaria del proprio<br />

catalogo. Un’offerta capace d’includere 150<br />

Château diversi e una selezione di Borgogna fortemente<br />

incentrata proprio sulle aziende “rossiste”.<br />

Parliamo di Sarzi Amadè, realtà a conduzione familiare<br />

fondata nel 1966 da Nicola Sarzi Amadè,<br />

titolare con i figli Claudia e Alessandro.<br />

Un’attività, tra i pionieri nel settore, che ha<br />

saputo capire nel tempo come interpretare<br />

il mercato mettendo sempre al centro due<br />

fattori fondamentali: il gusto personale di<br />

chi guida e quello della sua clientela. Elementi<br />

che ritroviamo anche nella scelta di<br />

alcuni emblemi tra i grandi rossi protagonisti<br />

della vasta selezione del distributore<br />

milanese, insieme a tutte le caratteristiche<br />

che li rendono tali. “Complessità, longevità,<br />

ma anche piacevolezza fin da giovani: questi<br />

aspetti oggi concorrono a identificare un<br />

grande rosso”, esordisce Alessandro Sarzi<br />

Amadè. “Si sono, infatti, accorciati molto i<br />

DI IRENE FORNI<br />

tempi di consumo per alcune tipologie di vini<br />

importanti, tanto che ormai sono spesso bevuti<br />

fin troppo in anticipo”. Una dinamica,<br />

quest’ultima, che ha influito sulle stesse<br />

dinamiche del mercato. “L’aspetto della<br />

longevità è passato in secondo piano ed è<br />

un peccato, soprattutto in casi come quello<br />

del Bordeaux, che io ritengo l’icona del<br />

rosso di qualità in assoluto”. Profondità<br />

e ampiezza da un lato, dunque, ma oggi<br />

sempre più la ricerca di una spiccata bevibilità.<br />

“Come evidenzia il crescente<br />

successo di Pinot Nero, soprattutto<br />

dalla Borgogna, ma anche Nerello Mascalese<br />

dall’Etna, godibili fin da giovani”, riprende<br />

Sarzi Amadè. “Una direzione su cui<br />

si sta indirizzando ora anche l’universo di<br />

Langa”. Ma quale l’attuale temperatura del<br />

mercato dei fine wines in rosso in Italia? “In<br />

Italia, i grandi rossi francesi sono vini un po’<br />

di nicchia, destinati a una clientela capace di<br />

apprezzare e comprendere le straordinarie<br />

sfaccettature di Bordeaux e Borgogna. Poi<br />

si osserva una crescita nella considerazione<br />

degli appassionati di quelle che sono le<br />

eccellenze tricolori nel calice, tra Barolo ed<br />

Etna, Brunello e Chianti Classico. Sempre<br />

più anche a livello mondiale, proprio il Baro-<br />

lo si è imposto, tra le zone di produzione,<br />

come il volto italiano simbolo quando si<br />

parla di grandi rossi, distaccando la Toscana:<br />

ovviamente fatta esclusione di<br />

quelle etichette icona che fanno classifica<br />

a sé”. È proprio dall’eccellenza di<br />

Langa che partiamo per comprendere<br />

meglio la visione di un grande<br />

rosso secondo Sarzi Amadè. Tra le<br />

etichette di punta del catalogo, un<br />

fiero rappresentante del vino piemontese<br />

come il Barolo Docg Ravera<br />

Riserva Vigna Elena di Elvio<br />

Cogno. Prodotto solo nelle grandi<br />

annate, porta con sé una stilistica<br />

che non ha mai ceduto alle tendenze<br />

del mercato o a quelle del gusto.<br />

Un Barolo senza compromessi, per<br />

puristi, che ha mantenuto integra<br />

la sua identità di grande rosso, affermandosi<br />

come prodotto di assoluta<br />

eleganza, all’altezza della sua<br />

storia e della tradizione della denominazione.<br />

Di maestosa onestà,<br />

rispetta con meticolosa attenzione il<br />

savoir faire tramandato di generazione in generazione.<br />

Restando in Italia, ma facendo un lungo balzo da nord a<br />

sud, nella magica Sicilia si va sempre più imponendo un<br />

territorio che ha visto nel recente periodo una concreta<br />

crescita della qualità dei suoi prodotti, affermandosi<br />

come una tra le zone più ricercate oggi del panorama<br />

vitivinicolo italiano. Per una denominazione in ascesa<br />

proprio laddove si parli di grandi rossi identitari e inconfondibili:<br />

l’Etna. In zona, all’interno del portfolio<br />

Sarzi Amadè spicca un’azienda la cui fama è simbolo<br />

della Sicilia del vino: Benanti. Il suo Etna Rosso Doc<br />

Contrada Cavaliere nasce da Nerello Mascalese<br />

allevato a 900 metri s.l.m. Per un rosso etereo<br />

e armonico, grande interprete del territorio e<br />

di questa autoctona uva siciliana, che coniuga<br />

forza ed eleganza ad una piacevole acidità fruttata.<br />

Facendo, invece, tappa fuori dal Belpaese,<br />

la direzione obbligata è la culla indiscussa dei<br />

più pregiati fine wines in rosso: la Francia.<br />

Grande territorio celebre per la storica qualità<br />

enologica è Bordeaux. Nell’iconica patria<br />

del taglio bordolese troviamo i 45 ettari del<br />

Grand Enclos de Las Cases, che racchiude<br />

un terroir dalla grande complessità, capace<br />

di conferire a un rosso iconico la sua<br />

personalità unica. Cabernet Sauvignon<br />

completato da percentuali minoritarie,<br />

che variano di anno in anno, di Merlot<br />

e Cabernet Franc delineano i<br />

tratti del Grand Vin de Léoville<br />

Château Léoville Las Cases, avvolgente<br />

modello di un grande<br />

Saint-Julien, nonché una tra le<br />

più pregiate espressioni della<br />

Rive Gauche. A chiudere la<br />

rassegna in rosso firmata Sarzi<br />

Amadè per il mercato italiano<br />

la Borgogna della famiglia Latour,<br />

con un altro simbolo della produzione<br />

d’Oltralpe: il Château Corton Grancey<br />

Grand Cru. Un blend di cinque climats<br />

– Bressandes, Perrières, Grèves, Clos<br />

du Roi e Chaumes – le cui proporzioni<br />

variano a seconda dell’annata e per cui,<br />

dopo l’affinamento separato, solo le<br />

migliori botti sono scelte per concorrere<br />

all’assemblaggio finale. Per un Pinot<br />

Noir Grand Cru simbolo della vocata<br />

tradizione di questa terra, che nel calice<br />

si racconta in tutta la sua potenza e<br />

attraverso la setosità dei tannini.


14<br />

DOSSIER<br />

La Poja e l’unicità<br />

della Corvina<br />

Una pioneristica sfumatura<br />

di Valpolicella Classica entrata nel mito<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

Esistono vini che fin dal nome trascendono<br />

quella che sarà poi l’esperienza nel calice.<br />

Sono quei volti iconici dell’enologia che in<br />

una parola sono capaci di sintetizzare ogni<br />

aspetto della loro essenza e identità. In questo<br />

novero, speciale club riservato a pochi, si conta anche<br />

un figlio della Valpolicella Classica che racchiude<br />

in sé la storia di un intero territorio, di un vitigno e di<br />

una famiglia: La Poja.<br />

È sulle vocate colline<br />

del comune di<br />

Sant’Ambrogio di<br />

Valpolicella che è situato<br />

un piccolo vigneto,<br />

poco meno di<br />

tre ettari che rappresenta<br />

molto più di un<br />

semplice Cru. È qui,<br />

a 320 metri s.l.m. che<br />

la leggenda ha fatto<br />

da preludio all’intuizione, dimostratasi poi più che<br />

vincente, di un uomo mosso dal profondo amore verso<br />

la sua terra. È il 1979, quando Giovanni Allegrini,<br />

pioniere della viticoltura di collina e della qualità in<br />

bottiglia in Valpolicella, raggiunge, impiantandovi un<br />

vigneto, la piana, all’epoca da tempo incolta e abbandonata,<br />

sulla sommità de La Grola: un luogo magico,<br />

sinonimo di uva Corvina. Proprio su questi declivi, infatti,<br />

leggenda narra che il simbolo tra le uve autoctone<br />

veronesi sia nata. Ed è ancora su questa particolare altura<br />

che i suoi grappoli nerissimi e dolci esprimono al<br />

massimo il loro potenziale.<br />

Proprio La Poja è stata la scintilla di una rivoluzione,<br />

creazione entrata direttamente nel mito nonché<br />

elemento di frattura tra il prima e il dopo del vino in<br />

Valpolicella. Il passaggio, innanzitutto, dalla tradizionale<br />

Pergola nel sistema<br />

di allevamento<br />

al Guyot. A mutare,<br />

però, anche la densità<br />

di piante per ettaro,<br />

più che doppia: soluzione<br />

individuata per<br />

contenere la vigoria<br />

della Corvina, riducendo<br />

le rese in favore<br />

di una maggiore<br />

concentrazione delle<br />

uve. Infine, l’esaltazione di un terreno realmente unico:<br />

quello di una collina, che insiste su uno strato calcareo,<br />

terminando con una piattaforma perfettamente<br />

pianeggiante denominata Monte Poja, che gode di un<br />

microclima eccezionale ed è favorita da un’esposizione<br />

ideale. Di origine cretacea, con un contenuto di calcare<br />

del 78,5%, di cui attivo è il 16,78%, si presenta con<br />

una superficie perfettamente bianca che, riflettendo la<br />

luce solare e facilitando il processo di fotosintesi, garantisce<br />

alle uve di raggiungere gradi di maturazione<br />

zuccherini e fenolici ottimali. Il terreno del vigneto La<br />

Poja, poi, ricco in Potassio e Calcio, scarso in Magnesio<br />

e Ferro, è caratterizzato da pochissimo suolo: l’esiguità<br />

di sostanza organica della superficie spinge le radici<br />

delle viti negli strati profondi, dove possono assorbire<br />

una molteplicità di oligoelementi che concorrono alla<br />

straordinaria complessità del vino che qui vi nasce.<br />

Un grande rosso raffinato e profondo, dove frutto,<br />

spezie e note balsamiche si fondono alla perfezione.<br />

Un vino che, dopo quattro anni di affinamento, si presenta<br />

fresco e croccante, ampio negli aromi di erbe<br />

aromatiche ed officinali, speziato, di grande corpo e<br />

lunga beva. Per una delle due etichette Allegrini, insieme<br />

all’Amarone della Valpolicella Classico Riserva<br />

Fieramonte, ad aver conquistato, prima assoluta per la<br />

Valpolicella, La Place de Bordeaux, cuore pulsante del<br />

mercato internazionale dei vini di alta qualità. Ma per<br />

allargare ulteriormente i suoi orizzonti, La Poja è stata<br />

in questo 2024 al centro di un progetto che l’ha condotta<br />

nel cuore di Londra, con una straordinaria verticale<br />

che ha segnato il debutto di un tour che condurrà<br />

l’iconica referenza sui principali palcoscenici internazionali.<br />

Veri e propri confronti, botta e risposta tra<br />

Master of Wine e professionisti del settore chiamati a<br />

condividere pensieri e riflessioni innanzi a un calice<br />

che mira ad emozionare sorso dopo sorso.<br />

“Per me La Poja rappresenta l’emblema di un vino fortemente<br />

guidato dal luogo d’origine che si esprime con<br />

grande unicità: un vitigno, un vigneto, la rappresentazione<br />

aderente all’annata”, sottolinea Cristina Mercuri,<br />

“maestra d’orchestra” alla degustazione londinese.<br />

“Parliamo dell’iconicità della Corvina: la signature<br />

stilistica non è molto variata nel tempo, ma lo stupore<br />

deriva dal riconoscere, annata dopo annata, una<br />

mano sempre più fine e precisa. Il frutto è sempre più<br />

definito e il corpo aggraziato nonostante la sua generosità.<br />

Le caratteristiche naturali come i suoli calcarei,<br />

l’esposizione e l’altitudine, ma anche l’allevamento a<br />

Guyot premiano un palato denso, equilibrato, lungo.<br />

È il modo giusto per ottenere vini che durano per decenni,<br />

come per l’appunto la Corvina in La Poja”. Ma<br />

quale, in quel che è stato il procedere à rebours, l’annata<br />

che maggiormente ha stupito? “Senz’altro la 1997<br />

per la sua grazia, eleganza e slancio”, risponde l’esperta<br />

wine educator. “Ancora molto frutto accompagnato da<br />

piacevoli note di sottobosco e tabacco. L’acidità è vibrante<br />

seppur molto integrata, i tannini risolti che si<br />

allungano sul mezzo palato e supportano il finale lungo<br />

e talcato”.<br />

Se oggi è la longevità dell’iconica etichetta Allegrini<br />

posta sotto i riflettori, lo scorso anno La Poja è stata al<br />

centro di un’altra importante iniziativa, con una promozione<br />

al calice in abbinamento a creazioni nel piatto<br />

altrettanto uniche che ha toccato più di 30 ristoranti,<br />

principalmente stellati, in tutta Italia. “Mai come oggi,<br />

nell’alta ristorazione - e non solo - è fondamentale offrire<br />

un’ampia scelta di alternative al calice, spaziando<br />

da prodotti di pronta beva e alta rotazione, fino ad arrivare<br />

a grandi monumenti del vino”, sottolinea Paolo<br />

Porfidio, head sommelier di Terrazza Gallia. “La Poja,<br />

per me, rappresenta la massima espressione di potenza<br />

ed eleganza della Valpolicella: il frutto di un lavoro<br />

attento e costante in vigna e in cantina. Un vino molto<br />

versatile, capace di accompagnare ed esaltare piatti di<br />

struttura e complessità. Oltre alle caratteristiche sensoriali<br />

che lo rendono un ottimo accompagnamento a<br />

tavola, poter dare all’ospite la possibilità di degustare<br />

anche solo un calice de La Poja significa avvicinare, far<br />

scoprire - ed eventualmente riscoprire - non solo un<br />

grande rosso, ma anche un territorio meraviglioso che,<br />

grazie ad interpreti come la famiglia Allegrini, riesce<br />

a regalare diversità e qualità immensa”. Ed è così che<br />

a essere scritti sono anche oggi nuovi entusiasmanti<br />

capitoli di un leggenda divenuta mito nel calice.


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16<br />

DOSSIER<br />

La Signora del Piceno e il suo gioiello più prezioso.<br />

Per quella che oggi, a 30 anni dal suo<br />

debutto, è considerata non solo l’etichetta ammiraglia<br />

e firma distintiva di un’azienda, ma un<br />

simbolo enologico di una terra: quella piccola<br />

Italia al plurale che sono le Marche, che hanno saputo<br />

conquistare le più importanti tavole del mondo anche<br />

con la schietta eleganza delle colline<br />

ascolane. Lo scorso 2 ottobre, sul<br />

prestigioso palcoscenico di Pellico 3,<br />

ristorante fine dining del Park Hyatt<br />

Milano, una verticale da sogno dedicata<br />

alle cinque annate che meglio ne<br />

raccontano oggi il percorso evolutivo<br />

hanno celebrato l’anniversario della<br />

prima vendemmia di Roggio del Filare.<br />

Rosso Piceno Doc Superiore, è<br />

blend di 70% Montepulciano e 30%<br />

Sangiovese che sin dal suo debutto ha<br />

saputo fissare sulle mappe della critica<br />

un’area vinicola fino a quel momento<br />

poco valorizzata dalle produzioni locali. Merito di chi<br />

su questo vino e, prima ancora, sulla forza della sua terra<br />

ha sempre scommesso: Angela Velenosi, non a caso oggi<br />

universalmente conosciuta come la Signora del Piceno.<br />

È merito delle sue intuizioni e di una sensibilità supportata<br />

dal lavoro del team che la affianca da anni, a iniziare<br />

dall’enologo Filippo Carli, e dei figli Marianna e Matteo,<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

che la giusta alchimia tra comprensione del terroir, vitigni<br />

e stile di vinificazione ha trovato il suo ideale equilibrio<br />

in bottiglia. Per un rosso diventato grande e oggi sottoposto<br />

alla sfidante prova dell’incedere del tempo. “Roggio<br />

del Filare per me non è un vino, ma un figlio che ho visto<br />

crescere e affermarsi”, ha spiegato Angela Velenosi introducendo<br />

una batteria composta dalle annate 2002, 2007,<br />

20<strong>12</strong>, 2016 e 2020. “Da 30 anni questo<br />

vino racconta la nostra visione del<br />

territorio del Piceno, restando fedele<br />

anche all’interpretazione dell’anno<br />

di vendemmia. Come ogni madre<br />

avevo grandi sogni e speranze per lui<br />

alla nascita, ma oggi posso dire che i<br />

traguardi raggiunti sono andati ben<br />

oltre le mie più rosee aspettative: ottenere<br />

per 19 anni di fila i Tre Bicchieri<br />

del Gambero Rosso o essere inserito<br />

al quarto posto tra i 100 vini rossi in<br />

Italia per Gentleman mi riempie di<br />

orgoglio”. Quando si parla di Roggio<br />

del Filare, d’altronde, si fa riferimento a molto di più di<br />

un Rosso Piceno Doc Superiore. In bottiglia, da 30 anni,<br />

a venire preservato è un patrimonio unico: quello di un<br />

clone di Montepulciano risalente al 1954, tra i più vecchi<br />

del panorama di questo vitigno, perfetto per dare qualità<br />

su quantità. Poi, c’è l’identità di un vino di struttura, importante,<br />

dove il frutto sarà sempre il primo marker di<br />

La longevità<br />

di un’intuizione<br />

Roggio del Filare alla prova del tempo: la verticale<br />

tra le annate simbolo dei primi 30 anni<br />

riconoscimento. Ma da evidenziare è anche la sartorialità<br />

con cui in Velenosi si opera nel dare forma a un’opera<br />

ogni anno unica. Come ha saputo evidenziare l’incontro<br />

oggi con l’evoluzione dettata dal tempo di un vino che<br />

in bocca si tratteggia vellutato nella polpa, possente nella<br />

trama, dall’equilibrio tannico perfetto, fruttato e speziato.<br />

Un rosso di carattere che, in un procedere à rebours, ha<br />

visto in prima fila l’annata 2020, il bimbo di casa, vino<br />

gastronomico, ammaliante, entusiasmante, energizzante,<br />

pronto già oggi ma che riserverà sorprese nel futuro. A<br />

seguire, la 2016, che si è mostrata in tutta la sua potenza,<br />

eleganza e concretezza, nonostante sia figlia del frutto<br />

di un’annata inizialmente da molti considerata “orribile”.<br />

Un passaggio importante, quello sancito da questo millesimo,<br />

perché rappresenta l’anno dell’introduzione della<br />

bottiglia brevettata per Velenosi che dona a Roggio del<br />

Filare una veste unica e riconoscibile su qualsiasi scaffale.<br />

“Roggio del Filare è realmente espressione in ogni suo<br />

aspetto della nostra cantina”, ha aggiunto nel corso della<br />

degustazione Marianna Velenosi. “Da una parte il Montepulciano,<br />

a simboleggiare il carattere indomabile di mia<br />

madre Angela, con la sua forza ed energia sempre pronti a<br />

emergere; dall’altro lato il Sangiovese, più misurato come<br />

me e maggiormente longevo, a portare equilibrio”. La stessa<br />

armonia di una vendemmia perfetta, come la 20<strong>12</strong>, che<br />

nel calice si manifesta con una marcia in più, colpendo per<br />

la balsamicità e la nota mentolata dell’annata che la rende<br />

diversa da tutte le altre. Per un vino della maturità, ma<br />

non per questo meno pronto ad affrontare il tempo che<br />

gli si pone ancora innanzi. Esattamente come le annate a<br />

seguire, che hanno chiuso la verticale: da un lato la 2007,<br />

con la sua freschezza satinata, che però diventa solidità<br />

guardando al futuro; dall’altra la 2002, scelta per il grande<br />

potenziale di longevità espresso e altra sorpresa in bottiglia<br />

dopo il freddo e le difficolta in tempo di vendemmia.<br />

Un vino emblematico, proprio l’ultimo, per raccontare la<br />

consapevolezza, acquisita nel corso degli anni, di come<br />

Roggio del Filare avrebbe mantenuto sempre la capacità<br />

di conservare il proprio carattere espressivo longevo qualunque<br />

fosse la stagione che gli si ponesse innanzi. Per<br />

un’etichetta, fin dalla sua nascita, proiettata al futuro e che<br />

parla di convivialità.<br />

Photo: Gabriele Zanon


18<br />

DOSSIER<br />

Il senso del luogo<br />

di un vino<br />

Esordio per La Fabriseria 2016,<br />

l’Amarone Classico più raro della famiglia Tedeschi<br />

Quando si parla di grandi rossi, scorrendo<br />

gli elenchi con i principali volti dell’eccellenza<br />

enologica italiana, in cima ci<br />

s’imbatterà sempre nella A di Amarone.<br />

Tra i pionieri ad aver contribuito in maniera<br />

decisiva a forgiare la storia del re dei vini veronesi<br />

c’è una famiglia, i Tedeschi, che in Valpolicella ha fondato<br />

il proprio quotidiano impegno attorno allo studio della<br />

vigna, sulle collaborazioni<br />

con ricercatori<br />

ed università, nella<br />

promozione di azioni<br />

concrete di sostenibilità,<br />

fino ad arrivare a<br />

identificare la caratterizzazione<br />

aromatica<br />

dei propri 48 ettari<br />

di vigneti. Tutto questo<br />

ha condotto alla<br />

produzione di vini<br />

che sono reale espressione del meglio che il territorio<br />

abbia da offrire. Più nello specifico: si tratta di fotografie<br />

dell’identità dei terreni di alta collina. È il 1964, quando<br />

Renzo Tedeschi decide di vinificare separatamente le uve<br />

del vigneto Monte Olmi: oggi, quella pionieristica intuizione<br />

dell’esistenza di un codice chimico che consente<br />

di esprimere “il senso del luogo di un vino” ha trovato<br />

fondamento anche in una ricerca, in collaborazione con<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

l’Università di Verona, sugli aromi e la loro evoluzione<br />

nei vini Amarone. Con il territorio della Valpolicella, non<br />

a caso, la famiglia Tedeschi vanta un profondo legame,<br />

lungo quasi quattro secoli. Da sempre ha creduto nella<br />

grande ricchezza della produzione vinicola a queste latitudini,<br />

adottando i più innovativi metodi di produzione e<br />

gestione dell’ambiente, al fine di ottenere vini potenti, ma<br />

sempre eleganti e dotati di grande personalità e tipicità.<br />

Se oggi Monte Olmi<br />

è il vino emblema<br />

dell’azienda e di un<br />

intero territorio, i costanti<br />

investimenti<br />

avviati negli ultimi 20<br />

anni hanno condotto<br />

ad ottenere referenze<br />

sempre più armoniche<br />

ed eleganti, che<br />

hanno ulteriormente<br />

valorizzati quelli che<br />

sono stati identificati come i Cru di famiglia. “Monte<br />

Olmi è l’Amarone più balsamico, Maternigo quello più<br />

speziato, mentre La Fabriseria è sintesi tra i primi due volti<br />

della Valpolicella di Tedeschi”, evidenzia Maria Sabrina<br />

Tedeschi, titolare dell’azienda con i fratelli Antonietta e<br />

Riccardo. Ed è proprio La Fabriseria che vede oggi esordire<br />

la nuova annata 2016, un grande millesimo in particolare<br />

per la zona Classica, del suo Amarone della Valpolicella<br />

Docg Classico Riserva. “L’Amarone più raro, in termini di<br />

annate e quantità di bottiglie disponibili, nel novero dei<br />

Cru della nostra famiglia”, prosegue Maria Sabrina Tedeschi.<br />

“È il vigneto più alto di nostra proprietà, arrivando<br />

a toccare quota 500 metri s.l.m., nella zona Classica, con<br />

esposizione sud-sud-est”. È inizio anni 2000, quando la<br />

famiglia Tedeschi impianta il vigneto La Fabriseria, su un<br />

territorio di circa sette ettari, in località Le Pontare. Crocevia<br />

da dove osservare all’orizzonte le acque del Lago<br />

di Garda e al contempo il profilo delle valli di Fumane e<br />

Marano di Valpolicella, regala vini che sono figli del “terreno<br />

perfetto”, a detta dei geologi che ne hanno studiato la<br />

composizione. “È speciale per la diversità dei suoli che lo<br />

caratterizzano”, prosegue Maria Sabrina Tedeschi. “Poco<br />

profondo, risulta, infatti, terreno molto secco, che anche<br />

dopo abbondanti piogge tende ad asciugare rapidamente.<br />

Con una grande quantità di scheletro, è ricco di calcare<br />

che regala una freschezza accentuata al vino che qui vi nasce”.<br />

È territorio, dunque, quello del vigneto La Fabriseria<br />

che offre una marcia in più nel calice. “Ritroviamo, come<br />

da caratteristica di Corvina e Corvinone, un carattere fruttato,<br />

ma accompagnato da note speziate e balsamiche insieme,<br />

oltre che sfumature floreali che aggiungono un ulteriore<br />

elemento alla complessità di questi vini”, sottolinea<br />

Maria Sabrina Tedeschi. A fare capolino nel blend finale<br />

anche una piccola percentuale di Oseleta, per un vino capace<br />

di raccontare di sé fin da giovane, ma poi soprattutto<br />

attraverso l’evoluzione nel corso degli anni. Un vero e proprio<br />

fine wines, che nella nuova annata 2016 ha visto la<br />

luce in sole 1400 bottiglie. “Segue a ruota un millesimo altrettanto<br />

grande, il 2015: un evento straordinario quando<br />

si fa riferimento a espressioni così ricercate che vengono<br />

prodotte soltanto a seguito di vendemmie eccezionali per<br />

qualità”. L’Amarone della Valpolicella Docg Classico Riserva<br />

La Fabriseria, per via dei numeri limitati e del costo,<br />

è destinato alla ristorazione di alta fascia ma soprattutto<br />

a quelle enoteche che desiderano caratterizzare l’offerta a<br />

scaffale con un prodotto davvero unico pensato per soddisfare<br />

il bisogno di ricercatezza dei veri appassionati. Come<br />

un altro nuovo progetto, che si lega al racconto e segna una<br />

nuova tappa del cammino della famiglia Tedeschi: l’inaugurazione<br />

dell’archivio dedicato alle vecchie annate. “La<br />

distintività dell’Amarone tra i fine wines italiani è dettata<br />

dalla capacità di farsi bere con piacere sin dalle annate più<br />

giovani, per poi garantire una spiccata longevità laddove<br />

prodotto con i corretti criteri per conservare una buona<br />

acidità in vista dell’affinamento prolungato”, sottolinea<br />

Maria Sabrina Tedeschi. “Per questo abbiamo scelto di<br />

mettere a disposizione del pubblico, materialmente visitabile<br />

in azienda, l’archivio delle vecchie annate. Per determinati<br />

millesimi, conservati fino a oggi in cantina a condizioni<br />

ottimali, ora esiste anche una disponibilità d’acquisto in<br />

quantità variabile”. Per un’iniziativa destinata a far toccare<br />

con mano a chiunque lo desideri la longevità del re dei<br />

vini veronesi. “È anche un racconto in bottiglia della storia<br />

della nostra azienda, che affianca quello della famiglia e di<br />

chi opera in cantina”, chiosa Maria Sabrina Tedeschi. “A<br />

testimoniare una volta di più di come il vino sia elemento<br />

di convivialità capace di cambiare ogni esperienza”.


Aquarius Blanc de Blancs di Valdo<br />

è un’ode alla creatività e alla bellezza<br />

degli abissi marini, un capolavoro<br />

di design ispirato al mitico mondo<br />

sottomarino.<br />

La sua Cuvée è frutto<br />

di uve Garganega e Glera,<br />

selezionate con cura<br />

per donare un equilibrio<br />

unico di freschezza<br />

e complessità.<br />

valdo.spumanti<br />

valdo_spumanti


20<br />

DOSSIER<br />

A<br />

Spessa di Cividale, nei Colli Orientali del<br />

Friuli, Annalisa Zorzettig porta avanti una<br />

visione di vino che è riassunto di 150 anni<br />

di storia. Un libro a cui, di vendemmia in<br />

vendemmia, sono aggiunti nuovi capitoli,<br />

grazie al lavoro portato avanti tra i filari e in cantina. Anima<br />

da vignaiola, attenta a ogni cosa le capiti e la circondi,<br />

Annalisa Zorzettig ha sempre provato<br />

ad ampliare gli orizzonti del<br />

proprio racconto, individuando<br />

nuove connessioni capaci di spiegare<br />

meglio a chi incontrava il vero<br />

valore di quanto si cela dietro ogni<br />

bottiglia. Laboriose mani che, ben<br />

oltre il vino, narrano tanto di più. È<br />

una cultura, sono volti e tradizioni<br />

quelli che si riflettono in un calice,<br />

a maggiore avviso in una terra di<br />

confine come i Colli Orientali, teatro<br />

nel corso dei secoli di ricchi e<br />

dinamici scambi culturali mitteleuropei,<br />

che da sempre fanno parte della mentalità di chi qui<br />

ha le proprie radici. Nasce così quel forte senso di responsabilità,<br />

da sempre insito nella famiglia Zorzettig, verso un<br />

patrimonio unico, che nel vino trova una sintesi. “In ogni<br />

bottiglia c’è la saggezza dei nostri avi, c’è il sole e l’aria che<br />

hanno maturato le uve, c’è una cultura agricola ed imprenditoriale<br />

tenace, che ci ha dato l’opportunità di credere<br />

Ritorno<br />

alle radici<br />

Annalisa Zorzettig e la visione di un vino autoctono<br />

che non conosce confini<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

davvero alla nostra identità, forte e consapevole”, spiega<br />

Annalisa Zorzettig. “Fondamentale oggi è trovare linguaggi,<br />

codici e modi di comunicare, in sintonia con il presente,<br />

per poter affermare valori senza tempo, eterni”. Nascono<br />

di conseguenze le diverse collaborazioni che vedono oggi<br />

impegnata l’azienda friulana, a iniziare dalle ormai consolidate<br />

partnership con Mittelfest o con Cortinametraggio. A<br />

venire così esaltate sono le attitudini<br />

innate del vino: creare convivialità,<br />

favorire la condivisione, promuovere<br />

la naturale costruzione di<br />

legami duraturi. Tutte dinamiche<br />

che trovano un’esemplare corrispondenza<br />

in quella valorizzazione<br />

delle espressioni autoctone del<br />

territorio tanto cara ad Annalisa<br />

Zorzettig e alla sua famiglia. “Oggi,<br />

i vini friulani sono sempre più ricercati,<br />

anche per via della loro<br />

personalità nel calice”, riprende<br />

Annalisa Zorzettig. “Viviamo una<br />

fase di rinascita, anche da parte di noi cantine, rispetto alla<br />

consapevolezza dell’originalità e potenzialità del frutto dei<br />

nostri autoctoni”. Sono proprio questi ultimi, non a caso, a<br />

rappresentare il paradigma attorno a cui ruota la proposta<br />

in rosso di Myò Vigneti di Spessa, la linea di punta firmata<br />

Zorzettig. “Un elemento su cui continuiamo a puntare e<br />

per cui non lesiniamo investimenti è il miglioramento della<br />

qualità: sia in vigna o in fase d’affinamento”, aggiunge<br />

la vignaiola di Spessa di Cividale. “Oggi, si<br />

nota come ci sia un target sempre più consistente<br />

di clienti votato a bere meno, ma meglio. Ed è così<br />

che è cresciuta la curiosità verso prodotti come<br />

Schioppettino, Pignolo o Refosco, che richiamano<br />

anche al valore aggiunto di un radicamento<br />

nel territorio quantomai attuale”. Le<br />

vigne Zorzettig dove crescono le uve che<br />

poi daranno forma a queste tre grandi interpretazioni<br />

autoctone in rosso sono vere<br />

e proprie oasi di biodiversità contornate<br />

da boschi. “E anche quest’anno, con tutte<br />

le difficoltà di una stagione vendemmiale<br />

falcidiata in tante parti d’Italia dalle più<br />

diverse problematiche, l’attenzione e il lavoro<br />

all’insegna del massimo rispetto della<br />

Natura guidato dal nostro agronomo Antonio<br />

Noacco hanno ripagato”, evidenzia<br />

Annalisa Zorzettig. I vini della selezione<br />

Myò Vigneti di Spessa sono la rivelazione<br />

del percorso di consapevolezza e audace<br />

crescita intrapreso con decisione da diversi<br />

anni. Nella contemporaneità enologica<br />

sussiste una tendenza generale a standardizzare<br />

i vini, ad omologarli verso imbrigliate<br />

declinazioni internazionali. Non così<br />

è sui Colli Orientali del Friuli. “Il vino è innanzitutto<br />

tempo”, spiega Annalisa Zorzettig.<br />

“Ce ne vuole tanto per dare vita a una grande<br />

etichetta: sia si parli di vigna, sia di cantina. Ed è solo così<br />

che si ottiene quell’eleganza, termine che in un vino può<br />

assumere diversi e differenti significati, ma che oggi è individuata<br />

sempre più con una sostanziale facilità di beva”. Un<br />

passaggio decisivo nel delineare i tratti del vino di domani<br />

sui Colli Orientali. “Oggi, soprattutto quando guardiamo<br />

al mondo dei rossi, c’è da tenere conto di un cambiamento<br />

climatico che restituisce annate sempre più calde, che<br />

poi in bottiglia si riflettono in una gradazione alcolica più<br />

accentuata, anno dopo anno”, continua la vignaiola friulana.<br />

“Investire sull’affinamento per più tempo dei vini ci<br />

aiuta anche a fornire una risposta a questo tipo di dinamica,<br />

favorendo il mantenimento di una struttura e dei giusti<br />

equilibri per frutto e aromi, ma con una facilità di beva più<br />

accentuata, l’elemento che oggi definisce la modernità di<br />

un vino nel calice”. Vitigni autoctoni, connessione con le<br />

altre realtà del territorio e attenzione alle tradizioni, anche<br />

quando si parla di consumi, con i vini fatti sempre più conoscere<br />

in abbinamento ai piatti locali: questa la strada scelta<br />

da Zorzettig. “La nostra attenzione in particolare verso le<br />

interpretazioni in rosso del territorio è oggi ribadita dalla<br />

cura che abbiamo dedicato allo sviluppo di bottaia e barricaia<br />

all’interno della nuova cantina, che ci consentirà di<br />

dare impulso con i rossi della linea Myò Vigneti di Spessa,<br />

sulla scia di quanto già fatto con i bianchi, alla visione di<br />

mantenere i vini per più tempo in affinamento. Ma, attenzione,<br />

l’orizzonte di questo approccio è ben più ampio: dal<br />

tappo al tempo di riposo in bottiglia, stiamo migliorandoci<br />

sotto ogni aspetto”. La nuova cantina è stata pensata per offrire<br />

al visitatore un’esperienza completa del territorio in<br />

cui s’inserisce. I nuovi spazi mirano a raccontare la friulanità,<br />

le tradizioni locali, i colori della terra. Con il progetto, in<br />

fase di completamento per inizio 2024, che ricerca un dialogo<br />

col paesaggio collinare circostante, legando interno<br />

ed esterno. “Sempre più, portare le persone in cantina è un<br />

elemento fondamentale per far loro comprendere il lavoro<br />

dietro ogni etichetta”, conclude Annalisa Zorzettig. “Per<br />

questo, nel progetto della nuova cantina abbiamo incluso<br />

uno spazio dedicato all’accoglienza. Si tratta di un vero e<br />

proprio percorso, quello previsto, in cui attraversando a<br />

piedi la vigna a ridosso dell’azienda potremo coinvolgere<br />

realmente, ben oltre la semplice degustazione, chi verrà in<br />

visita. Vorrei che così tutti potessero arrivare a toccare con<br />

mano non solo il frutto del nostro quotidiano impegno, ma<br />

proprio la storia e la cultura di un territorio e del vino, che<br />

da secoli è sinonimo della più gioiosa convivialità”.


21<br />

Èil 1968 quando, a poca distanza dalle sponde del fiume Tagliamento, in provincia<br />

di Pordenone, Otello Tombacco dà vita alla propria personale rivoluzione.<br />

In un anno di rivolgimenti, acquista l’azienda agricola I Magredi, all’epoca terra<br />

di seminativo e vigneto, ma dove erano anche coltivate pesche e mele. Il primo<br />

germoglio di una storia che conduce, a distanza di 15 anni circa, a una seconda<br />

rivoluzione che sancisce il passaggio di testimone da padre a figlio. Siamo nel 1984,<br />

quando Michelangelo Tombacco sceglie la strada che porterà al radicale mutamento della<br />

fisionomia di questo angolo di Friuli-Venezia Giulia. Se prima, infatti, l’uva veniva portata<br />

a Oderzo per la vinificazione, il giovane appena entrato in azienda comincia a concepirne<br />

un destino differente, con l’obiettivo di valorizzare al massimo l’attitudine di terreni unici.<br />

È così che, lungo il corso del decennio, si consuma una svolta che porta all’abbandona<br />

del frutteto, sostituito dalla progressiva estensione del parco vitato. Poi, nel 1992, il taglio<br />

del nastro della prima cantina dalla capienza di 1,2 milioni di litri. Una realtà, I Magredi,<br />

che inizia così il proprio cammino di crescita. Prima, importanti interventi, tra 2000 e<br />

2007, a sostegno dell’incremento delle potenzialità di lavorazione della struttura, poi il<br />

raggiungimento di una capacità totale di capienza di 7,8 milioni di litri nel 2018, a seguito<br />

dell’intesa che porta la Valdo Spumanti ad investire sull’azienda di Domanins produttrice<br />

di vini Doc Friuli Grave. Una partnership, quest’ultima, nata dal rapporto d’amicizia<br />

tra Michelangelo Tombacco e Pierluigi Bolla, legame che non solo ha portato all’intesa<br />

per una partecipazione all’interno della realtà friulana, ma che si è sviluppato ad ampio<br />

raggio. Nel <strong>2023</strong>, infatti, da un lato la creazione della nuova linea di vini fermi Tenute<br />

Valdo, dall’altro il rilancio della gamma Horeca firmata I Magredi, entrati ufficialmente<br />

nella distribuzione della storica azienda di Valdobbiadene andando ad aggiungersi a<br />

un’offerta che include anche lo Champagne Nicolas Feuillatte e l’iconico brand francese<br />

Gérard Bertrand Côte des Roses. Un passaggio decisivo, primo step verso un futuro<br />

scandito però sempre dai tempi della natura, come dimostra l’attenzione verso la terra,<br />

che arriva a definire l’identità stessa della cantina friulana. Il nome I Magredi descrive,<br />

infatti, i terreni rappresentativi di quest’area, ricchi di materiale grossolano come ghiaie,<br />

sassi e ciottoli: “Terra Magra”, di origine alluvionale, dove l’acqua, e con essa gli elementi<br />

nutritivi mobili, sono da ricercare in profondità. Ma quel che Madre Natura con una<br />

mano toglie, nell’aridità superficiale del suolo, dall’altra dona, con escursioni termiche<br />

che permettono di ottenere, proprio in conseguenza di questa tipologia unica di terreni,<br />

uve di ampia complessità aromatica e freschezza. È microclima, quello delle Grave,<br />

determinato da un lato dalle montagne che riparano dai venti freddi del nord, dall’altra<br />

dell’effetto benefico del mare Adriatico: un contesto ideale per la nascita di vini che si<br />

distinguono per freschezza, aromaticità ed eleganza. I frutti della vinificazione di una varietà<br />

di uve che raccontano, in oltre 50 ettari di filari, tanto di un volto internazionale, con<br />

Sauvignon Blanc, Pinot Grigio, Merlot e Cabernet, quanto dell’anima autoctona della<br />

realtà di Domanins, grazie a Friulano, Refosco e Ribolla Gialla. A testimoniare l’appartenenza<br />

a un territorio e la sua unicità, anche il magnifico vigneto circolare ideato nel 2008<br />

per celebrare i primi 40 anni di attività. Una forma inconsueta, ma che è molto più di<br />

semplice vezzo estetico ripreso sul marchio aziendale. Questa vigna, infatti, permette di<br />

misurare nei suoi quattro punti cardinali gli effetti delle differenze di calore sulle piante,<br />

evidenziando l’attenzione verso una viticoltura basata sul minor impatto ambientale che<br />

passa in primis attraverso la gestione di forme d’allevamento capaci di entrare più velocemente<br />

in equilibrio con l’ambiente circostante attraverso carichi produttivi più bassi e<br />

spazi vite contenuti. Al contempo, ci si trova innanzi a un’allegoria del ciclo naturale e del<br />

legame che unisce l’uomo alla terra. Una connessione che si fa vino, declinandosi nelle<br />

espressioni più caratteristiche di queste zone, come i bianchi Pinot Grigio, Sauvignon<br />

Blanc e Ribolla Gialla, ma capace anche di tributi che, in maniera differente, riconducono<br />

alle radici di una storia: come nel caso di Divinotello, omaggio in rosso a chi ha gettato<br />

il primo seme di quello che I Magredi sono oggi. Per un blend di Cabernet Sauvignon,<br />

Merlot e Raboso del Piave, che in bocca è caldo, potente, robusto, ricco di tannini nobili,<br />

chiudendo con un elegante fondo di confettura e tostatura. Un vino tanto complesso<br />

quanto dal perfetto bilanciamento, che rappresenta una vera poesia per il palato, espressione<br />

di un territorio e di un racconto capace di sorprendere al primo sorso.<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

La grande bellezza<br />

della “Terra Magra”<br />

I Magredi e il racconto nel calice dell’unicità<br />

delle Grave del Friuli<br />

DOSSIER


22<br />

DOSSIER<br />

Nella geografia del vino mondiale, la<br />

Basilicata non risulta certo ai primi<br />

posti per la notorietà delle sue produzioni<br />

enologiche. Eppure, questo<br />

angolo del Sud Italia alla confluenza<br />

tra due mari meriterebbe un maggiore riconoscimento,<br />

soprattutto laddove si prenda a riferimento<br />

uno dei suoi simboli nel calice: l’Aglianico<br />

del Vulture.C’è chi il potenziale di questa<br />

zona e del suo vitigno principe lo ha intuito<br />

in tempi non sospetti: è Gruppo Italiano<br />

Vini. Dal 1998 ha dato il via al progetto<br />

Re Manfredi, isola che prospera al cuore<br />

dell’altipiano del Vulture. Siamo ai piedi<br />

del cono vulcanico, a pochi chilometri<br />

da Venosa, cittadina che ha dato i natali<br />

al poeta latino Orazio, su terreni calcarei-argillosi<br />

importanti lambiti dal vulcano<br />

dormiente che qui ha depositato non<br />

lapilli ma ceneri. Poi, nei filari, si ritrovano<br />

basse rese e altissima qualità nei 100 ettari<br />

di parco vitato. Un potenziale a cui oggi<br />

Gruppo Italiano Vini ha associato l’importante<br />

investimento che ha portato alla<br />

creazione di una cantina all’avanguardia,<br />

rinnovata e ampliata sulla struttura precedente<br />

proprio con l’obiettivo di portare<br />

l’Aglianico a raggiungere orizzonti sempre<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

Sua Maestà,<br />

l’Aglianico<br />

più ampi e affermarsi ai vertici dei vini di pregio<br />

internazionali. Già, perché al momento della decisione,<br />

poi divenuta operativa tra il 2013 e il 2017,<br />

di dare ordine tra i filari, se per il volto in bianco<br />

si è scommesso sull’impianto sistematico di Müller-Thurgau<br />

e Traminer per 40 ettari, il solo vitigno<br />

a bacca rossa selezionato è stato l’Aglianico,<br />

che oggi rappresenta il 100% della produzione<br />

in rosso di Re Manfredi. È proprio il principe<br />

degli autoctoni della Basilicata il grande<br />

protagonista nel Vulture, al centro di una<br />

progettualità che ha scelto di scommettere<br />

sulla varietà interpretandola partendo da<br />

differenti angolature. “Per la sua importanza,<br />

non può essere un vino di moda:<br />

non vuole essere trendy ma deve puntare<br />

all’eccellenza”, spiega l’enologo Christian<br />

Scrinzi, che in Re Manfredi viene affiancato<br />

sul campo dall’expertise di stampo<br />

anglosassone di Morgan Sean McCrum. Il<br />

cammino cui è chiamato oggi l’Aglianico<br />

del Vulture, infatti, è quello che punta ufficialmente<br />

ad affermarlo come un membro<br />

dell’Olimpo dei grandi classici del vino<br />

italiano. A tal proposito, le ultime scelte di<br />

Gruppo Italiano Vini a supporto di questa<br />

“candidatura” puntano esattamente a<br />

favorire l’ottenimento del prestigioso rico-<br />

Come Re Manfredi vuole portare il vitigno principe<br />

della Basilicata dal Vulture all’Olimpo dei grandi rossi<br />

noscimento. Ma, si faccia attenzione, Re Manfredi non<br />

è solo Aglianico: è anche inusuale variante in bianco.<br />

Lo è con un vero e proprio best seller che si è affermato<br />

nel corso del tempo come espressione di territorio,<br />

non di vitigno, capace di garantire anche una sostanziale<br />

longevità. Per un progetto partito dalla valutazione<br />

di quelli che erano gli autoctoni locali più diffusi,<br />

Malvasie e Moscati, poi però delineatosi attorno a due<br />

a prima vista – ma poi non è stato così – “intrusi” a queste<br />

latitudini: i nordici Müller-Thurgau e Traminer. Il<br />

risultato finale è stato un vino di buona struttura, con<br />

una piacevole dolcezza e un certo residuo, che a volte<br />

ricorda note solforate, dallo straordinario successo.<br />

Un prodotto che può apparire semplice, ma in realtà<br />

attentamente studiato e favorito nella sua genesi dalle<br />

grandi escursioni termiche che caratterizzano la regione<br />

e da temperature che scendono di molto durante la<br />

notte, fattore quest’ultimo decisivo per lo sviluppo degli<br />

aromi. A supporto della vocazione di un territorio,<br />

oggi giunge una nuova cantina all’avanguardia. Già nel<br />

2020 la decisione da parte di Giv dell’importante investimento.<br />

Ora, dopo i lavori di scavo, è stata costruita<br />

ex-novo una struttura unica sul territorio che ha una<br />

linea di pigiatura con selezione delle uve, nuove presse<br />

e vinificatori in legno e acciaio e dei piccoli contenitori<br />

che permettono la vinificazione separata delle uve provenienti<br />

da vigneti diversi in modo da conservarne le<br />

peculiarità. Nella rinnovata cantina trovano spazio anche<br />

un caveau per 1600 bottiglie di annate storiche, a<br />

far data dal 1998, oltre che una nuova barricaia interrata<br />

a sette metri di profondità, che ospita circa 200 barrique<br />

per l’affinamento dell’Aglianico oltre a contenitori<br />

alternativi quali anfore, clayver e contenitori oeufs<br />

de Beaune utilizzati per testare tecniche di vinificazione<br />

diverse. Un’opera maestosa, realizzata anche grazie<br />

al contributo della Regione Basilicata che ha creduto<br />

fermamente nel progetto, modello per il futuro del panorama<br />

vitivinicolo lucano. Un domani che nel calice,<br />

a nostro avviso, vedrà l’affermazione di quell’Aglianico<br />

che Re Manfredi interpreta in tre versioni: il Taglio<br />

del Tralcio, il Re Manfredi e il superiore Vigneto Serpara.<br />

Se il primo è la più dinamica delle espressioni del<br />

vitigno principe della Basilicata e che propone un potenziale<br />

di rapporto tra qualità e prezzo su cui, ad avviso<br />

di chi scrive, è bene scommettere, il secondo, oggi<br />

in commercio con l’annata 2021, ne è la versione più<br />

fresca, vivace, vibrante e dal frutto più spiccatamente<br />

croccante che accompagna il caratteristico profilo balsamico<br />

della varietà. Infine, il Cru, Vigneto Serpara,<br />

prodotto da uve coltivate nel comune di Maschito in<br />

un appezzamento di soli sei ettari con vecchie viti che<br />

offrono meno concentrazione ma regalano una maggiore<br />

longevità al vino: speziato e con una densità che<br />

quasi si mastica, si propone con un’acidità, un tannino<br />

e una freschezza gradevoli, offerti dalla nota balsamica<br />

di sottofondo che pulisce il palato. Per tre racconti di<br />

un grande vitigno, ideale alternativa per soddisfare un<br />

consumatore curioso alla ricerca di nuove suggestive<br />

emozioni nel calice.


Battito<br />

emiliano<br />

Il gusto dell’eccellenza passa attraverso una passione<br />

condivisa: quella per un sapore raffinato, che con le sue<br />

note fresche e floreali continua a legarsi alla migliore delle<br />

tradizioni vitivinicole. Vigna del Cristo. Cuore pulsante d’Emilia.


24<br />

DOSSIER<br />

Il volto Nobile<br />

di Lunadoro<br />

Il Pagliareto Sel.Bio da podio della cantina gioiello di Montepulciano<br />

del gruppo Schenk Italia<br />

DI ROBERTA RANCATI<br />

Territorio, autenticità e altissima qualità: sono queste le parole d’ordine attorno<br />

a cui ruota il progetto di Lunadoro, cantina gioiello di Montepulciano<br />

parte del gruppo Schenk Italia dal 2016. Tra i filari bio di Sangiovese baciati<br />

dal sole e accarezzati dalla fresca rugiada dei mattini senesi, l’azienda toscana<br />

dà vita a Rosso e Nobile di Montepulciano che assumono la forma di quattro<br />

etichette che stanno riscuotendo sempre più successo sui palcoscenici nazionali e internazionali.<br />

Da un lato, dunque, il Prugnanello Rosso di Montepulciano e il Pagliareto<br />

Nobile di Montepulciano, quest’ultimo neovincitore dei Tre Bicchieri della Guida Vini<br />

d’Italia 2024 e unica bottiglia italiana scelta per la cerimonia dei Nobel a Stoccolma del<br />

2019, nell’anno in cui conquistò per la prima volta il massimo riconoscimento del Gambero<br />

Rosso; dall’altro, la Riserva Quercione e il superlativo Gran Pagliareto Vino Nobile<br />

di Montepulciano, la star indiscussa della cantina, vincitore di numerosi premi e protagonista<br />

del nuovo progetto “Tonneaux Selection – Edition <strong>2023</strong>” che consente a enoteche,<br />

ristoratori, aziende e appassionati di degustare e scegliere in modo esclusivo tra <strong>12</strong> diversi<br />

tonneaux dell’annata 2018 la botte preferita, numerando e personalizzando le proprie 600<br />

bottiglie. Un’iniziativa che sottolinea l’operosa dedizione sartoriale con la quale agronomi,<br />

enologi ed esperti di Lunadoro operano quotidianamente, coltivando secondo i dettami<br />

del regime biologico i <strong>12</strong> ettari vitati totali dell’azienda, 10 a Sangiovese e i restanti due<br />

suddivisi fra Merlot e Cabernet, da cui sono tratte un totale di circa 90mila bottiglie ogni<br />

anno. Ma quella della cantina senese è anche racconto di una realtà giovane e innovativa<br />

votata alla tradizione, che, con le sue scelte sostenibili e i continui investimenti in qualità,<br />

produce quattro vini che in sé racchiudono tutte le caratteristiche peculiari della terra unica<br />

su cui insiste. Sinceri e raffinati, i grandi rossi Lunadoro esprimono nel calice il profondo<br />

legame che si è instaurato tra l’azienda e l’areale di Montepulciano, con i suoi abitanti,<br />

ristoratori e anche turisti amanti della Toscana del Nobile. Per etichette, naturale espressione<br />

di tale filosofia volta al costante miglioramento, oggi sempre più sotto i riflettori di<br />

critica e pubblico. Come nel caso del Lunadoro Pagliareto Sel.Bio 2019, l’unico Nobile di<br />

Montepulciano biologico ad aver ottenuto il riconoscimento dei Tre Bicchieri nella Guida<br />

Vini d’Italia 2024 del Gambero Rosso, bissando così il podio del 2019 con l’annata 2016.<br />

Un riconoscimento doppiamente significativo: rende, infatti, giustizia alle scelte compiute<br />

dalla cantina, che della sostenibilità ha da tempo fatto uno dei suoi principali capisaldi,<br />

in virtù dell’amore per il territorio che muove le scelte dell’intero gruppo Schenk Italia.<br />

Ma per comprendere fino in fondo questo Nobile piacere biologico e il valore del premio<br />

ricevuto, è opportuno analizzare le caratteristiche tecniche del terreno e le scelte agronomiche<br />

ed enologiche che hanno condotto l’etichetta ad eccellere. Con il primo passo del<br />

percorso sancito da uno studio approfondito sulla posizione del vigneto Pagliareto, situato<br />

nella parte alta della collina dove ha sede la cantina Lunadoro, ad un’altitudine di circa 300<br />

metri s.l.m. con un’esposizione ad est. Un terreno di origine pliocenica di tipo argilloso –<br />

sabbioso, moderatamente calcareo e basico, che si estende tra i 200 e 300 metri di profondità:<br />

qui la vigna di Pagliareto, coltivata a Sangiovese, trova la culla ideale, facilitando una<br />

nutrizione naturale della pianta grazie alla pratica del sovescio. In primavera inizia la selezione<br />

dei tralci migliori che daranno vita ai grappoli, seguita dalle operazioni a verde per<br />

il mantenimento dell’equilibrio vegetativo, elemento determinate per ottenere una buona<br />

maturazione. Solo nell’ultima fase di maturazione si procede con la selezione finale delle<br />

uve, che poi verranno vinificate. Il Sangiovese, d’altronde, non ammette errori in vigna e<br />

nemmeno in cantina, domandando di essere seguito e rispettato: quando è pronto per<br />

andare in bottiglia lo fa capire stupendo, per poi dare il suo meglio nel calice. Esattamente<br />

come dimostra il caso di Pagliareto Sel. Bio 2019, Nobile di Montepulciano che al palato<br />

si esprime regalando grande morbidezza e dolcezza tannica, suo segno distintivo, arricchite<br />

da note boisé leggermente speziate e da tutte le altre sfumature derivanti dal periodo<br />

d’invecchiamento in legno. Per un grande rosso, che dopo il prestigioso riconoscimento al<br />

debutto, promette di regalare performance da sogno anche con le prossime annate, figlie<br />

della stessa filosofia. L’annata 2020 del Pagliareto biologico di Lunadoro, infatti, ha tutte<br />

le caratteristiche per risultare ancora più ricca e concentrata in termini organolettici. Con<br />

i riconoscimenti degli esperti e gli apprezzamenti dal pubblico che, non v’è dubbio, continueranno<br />

ad indicare la rotta da seguire verso un futuro sempre più radioso.


25<br />

Sono passati 30 anni dal primo sguardo di<br />

una storia d’amore che ha sancito la rinascita<br />

di un intero territorio, quello della più<br />

piccola U.G.A. del Gallo Nero. Tra le <strong>11</strong> che<br />

delimitano la storica denominazione toscana,<br />

infatti, questo angolo della valle della Greve si differenzia<br />

in maniera evidente per via delle altitudini che<br />

lo caratterizzano. Con i suoi vigneti, minuscole<br />

terrazze strappate alla montagna disegnate<br />

dai muretti a secco di una viticoltura<br />

eroica dal sapore antico ma che vive<br />

ancora, a tratteggiare il panorama<br />

del versante esposto in prevalenza a<br />

est a quote spesso superiori ai 500<br />

metri s.l.m. Qui nasce un Chianti<br />

Classico diverso da tutti gli altri,<br />

differente nello stile elegante e sottile<br />

dei suoi vini, frutto della combinazione<br />

di un peculiare microclima<br />

fresco, di suoli che derivano unicamente<br />

dalla formazione del macigno toscano, caratterizzato<br />

in alternanza da alberese e galestro, ottimo drenante<br />

e ricco di elementi nutritivi e minerali, e di cloni<br />

di Sangiovese, compreso il più presente e diffuso R-10,<br />

spesso allevati con il tradizionale alberello lamolese, a<br />

rimarcare ulteriormente l’appartenenza a un territorio.<br />

È al cuore di Lamole, borgo che da sempre è un tutt’uno<br />

con l’ambiente naturale circostante, modellato nel<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

corso dei secoli dal lavoro dell’uomo e dove il giaggiolo<br />

e la ginestra s’insinuano fra i filari di vite e negli uliveti,<br />

che nel 1993 è giunta la famiglia Marzotto, fondatrice<br />

di Santa Margherita Gruppo Vinicolo. “Il nostro è stato<br />

un amore a prima vista: questi vigneti, questo borgo diffuso<br />

e scarsamente popolato, questi retaggi di un passato<br />

di coltivazione della vite e dell’olivo che risalgono<br />

agli antichi Romani, questi boschi e il profumo<br />

del giaggiolo, ci hanno convinto at the first<br />

sight”, sottolinea Gaetano Marzotto,<br />

Presidente della realtà che raggruppa<br />

10 diverse tenute in alcune tra le<br />

regioni più belle dell’enologia italiana.<br />

“Siamo arrivati in Toscana,<br />

però, con profondo rispetto: per la<br />

natura, per gli uomini, per la tradizione<br />

di questo territorio. Il nostro<br />

primo imperativo è stato quello<br />

di restituire alla bellezza del Chianti<br />

Classico questa tenuta. Volevamo il meglio<br />

e posso dire, oggi, che abbiamo ottenuto il<br />

meglio: nei vigneti, in cantina, nell’accoglienza che qui<br />

abbiamo avviato e, soprattutto, nel calice”. Già, perché<br />

è grazie innanzitutto al cammino percorso da Lamole<br />

di Lamole lungo gli ultimi tre decenni che il potenziale<br />

di questa isola sui monti è stato rivelato in tutta la sua<br />

straordinarietà al mondo. Oggi sono diventati 37 gli<br />

ettari di filari a conduzione biologica della tenuta della<br />

L’espressione più alta<br />

del Gallo Nero<br />

I primi 30 anni in Chianti Classico<br />

dei grandi rossi “di quota” di Lamole di Lamole<br />

famiglia Marzotto, situati tra i 420 ed i 655 metri s.l.m.<br />

su quelle “lame” di terra che contraddistinguono il profilo<br />

della zona, protetti dai venti freddi che arrivano dal<br />

nord dai monti del Chianti e che insistono sui muretti<br />

a secco realizzati con pietre del terreno, che riflettono<br />

la luce diurna per un aumento della fotosintesi clorofilliana<br />

e accumulano il calore del giorno per restituirlo<br />

la notte. Campolungo, capace di infondere nei vini<br />

eleganza e struttura; Storico, piantato il 20 marzo del<br />

1945 e che comprende oltre 100 viti, tra le quali sono<br />

stati riconosciuti più di 30 cloni diversi di Sangiovese;<br />

Vigneto Il Prato, che regala un vino dal frutto brillante<br />

e nitido, morbido nei tannini, sapido e persistente; i<br />

Cru ad alta quota Le Masse, eroico ettaro tra i 607 e i<br />

655 metri s.l.m. che dona un rosso trasparente, fruttato,<br />

acidulo, di vera finezza, e Ridaldi, dove nasce lo speciale<br />

Vinsanto; infine Grospoli, dove con l’annata 2018 ha<br />

preso vita l’omonimo Chianti Classico Gran Selezione<br />

Docg, single-vineyard quintessenza espressiva dalle<br />

caratteristiche uniche del territorio che ha fatto il suo<br />

esordio 18 mesi fa: sono questi i nomi che imprimono<br />

straordinarie e differenti istantanee a un territorio e alla<br />

sua vocazione. Un piccolo mondo antico custode di una<br />

memoria storica che Lamole di Lamole si è impegnata<br />

fin dal principio a preservare. Come dimostra anche<br />

l’arrivo in etichetta nel 2022 per l’intera gamma dei vini<br />

della certificazione biologica, riconversione avviata nel<br />

lontano 2005 e che non ha interessato solamente il rispetto<br />

delle linee guida ministeriali ma portato la tenuta<br />

della famiglia Marzotto a recuperare un intero paesaggio<br />

e a riportarne alla luce la struttura agricola originaria.<br />

“Tutto questo, assieme ad un incremento delle ore<br />

di lavorazione manuale in vigneto, ha permesso alle viti<br />

di diventare più resilienti, in grado di affrontare - senza<br />

aiuti esterni - la sfida dei parassiti, dei funghi, e quella<br />

del clima sempre più estremo che si è registrato negli ultimi<br />

anni”, evidenzia Andrea Daldin, enologo di Lamole<br />

di Lamole dal 1993 (in foto), che ha seguito in prima<br />

persona il percorso che ha condotto a tagliare il traguardo<br />

del bio. Ma a definire quelli che, dai Chianti Classico<br />

Docg Duelame e Maggiolo, alla Riserva Lareale, passando<br />

per le Gran Selezione Vigneto di Campolungo<br />

e Vigna Grospoli, fino a giungere all’icona Lam’Oro,<br />

sono i grandi rossi di Lamole di Lamole è anche un impegno<br />

che in cantina vede la scelta d’avanguardia di un<br />

selettore ottico per migliorare ulteriormente la qualità<br />

delle uve poi vinificate, separando gli acini per colore,<br />

dimensione e spessore delle bucce e scartando i frutti<br />

non idonei attraverso un getto d’aria, e successivamente<br />

l’uso ragionato del legno, con le botti grandi, al fine di<br />

preservare gli aromi originari e garantire un vino che sia<br />

espressione del territorio che lo circonda. Per un Chianti<br />

Classico d’alta quota che nel calice racconta della poesia<br />

del paesaggio lamolese e del felice incontro che ha<br />

unito uomo e natura.<br />

DOSSIER


26<br />

DOSSIER<br />

Ode al Pinot Nero<br />

dei colli bolognesi<br />

L’audace sfida in rosso nel calice di Palazzo di Varignana<br />

per dare lustro a un territorio unico<br />

DI ROBERTA RANCATI<br />

C'è una grande espressione in rosso che nasce a pochi km da Bologna,<br />

sulle colline tradizionalmente terra eletta di Sangiovese,<br />

Malbo Gentile e Pignoletto, autoctoni del territorio attorno a cui<br />

ha mosso i primi passi nel 2016 il progetto vitivinicolo firmato<br />

Palazzo di Varignana. Una sfida audace nel calice che ha dato forma<br />

a una nuova espressione dell’interprete più nobile tra i vitigni internazionali: quel<br />

Pinot Nero che in questa tenuta gioiello nel cuore dell’Emilia si declina sia in una<br />

bollicina Metodo Classico, ma soprattutto nell’elegante setosità della sua versione<br />

rossa ferma. A consentire il gioco di sponde, la particolarità di un microclima che<br />

ha favorito la scelta finalizzata a dare ulteriore lustro, attraverso un grande vino, a<br />

un territorio definito da suoli severi. Le colline di Varignana si trovano tra la Vena<br />

del Gesso e la Via Emilia, dove i crinali dell’Appennino emiliano-romagnolo si<br />

rivolgono a nord, in direzione della Pianura Padana. Qui, le forti ventilazioni<br />

ed escursioni termiche che caratterizzano i cambi stagione risultano ideali<br />

per la maturazione delle uve, frutti che traggono beneficio anche da un<br />

terreno ricco di diversità pedologiche, come argille azzurre e sabbie gialle,<br />

con una sensibile presenza di scheletro nella parte alta della collina. I vigneti<br />

ricamano le pendici di un anfiteatro naturale, ad un’altitudine che varia tra<br />

i 150 e i 230 metri s.l.m., conformazione che promuove la circolazione di<br />

correnti fresche provenienti dai monti: in estate un giovamento per i grappoli,<br />

cui garantiscono una lenta ed equilibrata maturazione degli aromi e<br />

dei sapori della bacca, durante l’inverno protezione per la vigna. Poi c’è la<br />

mano dell’uomo, con una cura sartoriale della materia prima supportata<br />

dalla tecnologia che definisce gli spazi della cantina di Palazzo di Varignana,<br />

realizzata nel 2021, che accoglie e preserva tutta la qualità che la natura offre<br />

vendemmia dopo vendemmia. “Il Pinot Nero interpreta i due suoli che<br />

abbiamo con magnifica attitudine, definendo caratteri di sofficità dalle sabbie<br />

gialle e di densità dalle argille dei calanchi”, spiega l’enologo Umberto<br />

Marchiori di Uva Sapiens S.r.l. “Le vigne ricamano due pendii simmetrici della nostra<br />

vallata, sul versante di levante e su quello di ponente: questo permette due condizioni<br />

di luce e calore agli antipodi e quindi due fisiologie di maturazione asincrone molto<br />

vantaggiose nella produzione”. Diversi i fattori a concorrere nel differenziare il Pinot<br />

Nero vinificato in rosso da quello selezionato per le basi spumante. “Innanzitutto il<br />

tipo di genetica, che è abituata a produrre tannini vellutati e quel tocco aromatico di<br />

fragolina di bosco caratteristico dei grandi Pinot Nero”, sottolinea Marchiori in merito<br />

alle uve destinate al grande rosso di Palazzo di Varignana. “Poi il vigneto esposto<br />

a ponente, condizione che accoglie le radiazioni solari più calde del pomeriggio e<br />

con esse fa procedere alla piena maturi tà di cloni più tardivi”. La vendemmia tra<br />

i filari è ovviamente manuale in cassetta, poi si procede al raffreddamento delle<br />

uve, alla delicata diraspatura e macerazione, sempre a freddo, prima della fase<br />

fermentativa. “La fermen tazione avviene in cemento a temperatura controllata<br />

infondendo anche dei grappoli interi, segue poi la svinatura per gravità e la<br />

maturazione in legno e parte in cemento per un anno”, aggiunge l’enologo.<br />

Per ottenere un’e spressione autentica dei colli bolognesi, Rubicone Igt, si<br />

distingue quello che il suo artefice definisce “uno stile nettamente contemporaneo,<br />

molto varietale e fedele alle caratteristiche del territorio per quanto<br />

riguarda l’acco glienza, il calore, la pulizia, la definizione aromatica e la profondità<br />

del sapore”. Un vino elegante fin dal primo sguardo, con la veste rosso<br />

rubino, che al naso si presenta fragrante nella frutta e nelle spezie, con palato<br />

poi ampio e vellutato, succulento nella frutta pulita e ben definita, in perfetto<br />

equilibrio delle sue componenti a esaltarne la piacevolezza e la delicata<br />

persistenza. Una testimonianza ulteriore nel calice di un progetto vitivinicolo<br />

nato sotto la stella dell’eccellenza. “Un grande rosso che consigliamo<br />

nelle contaminazioni, dalle portate con verdure colorate ai formaggi”, chiosa<br />

Umberto Marchiori. “Ma che si presta a una gamma ampia di esperienze<br />

sensoriali e di abbinamento, sia per sincronia sia per antitesi nei sapori”.


27<br />

Un’etichetta che coniuga il sapore<br />

autentico della migliore tradizione<br />

emiliana con l’innovazione dettata<br />

da un “saper fare” costruito lungo un<br />

secolo di bollicine. Icona del terroir<br />

d’elezione per le uve Lambrusco,<br />

zona compresa tra i fiumi Secchia e<br />

Panaro, il Rosé del Cristo Lambrusco<br />

di Sorbara Doc Rosato Spumante<br />

Brut Metodo Classico 2020 Umberto<br />

Cavicchioli e Figli nasce da una<br />

visione che ha nobilitato, elevandolo in<br />

termini di eleganza e raffinatezza, un<br />

vino “pop”. Un’espressione “alta”, ideale<br />

scelta per accompagnare eccellenze<br />

come Prosciutto di Parma e Culatello<br />

di Zibello, che nel tempo ha conquistato<br />

appassionati e critica, conseguendo<br />

numerosi riconoscimenti come i<br />

Tre Bicchieri Gambero Rosso. Dal<br />

perlage fine e persistente, affascina<br />

con il suo colore rosa brillante<br />

con riflessi color cipolla chiaro,<br />

ad anticipare una bollicina dal<br />

sapore deciso al palato, che<br />

stuzzica per la sua freschezza,<br />

con finale fruttato<br />

lungo e armonioso. Un<br />

caposaldo per ogni wine<br />

list che punti a soddisfare<br />

i palati più esigenti.<br />

COLLECTION<br />

Un acronimo, dietro cui si cela un blend elegante e contemporaneo, bollicina in<br />

rosso Extra Brut che sorprende, introducendo un nuovo protagonista in tavola, compagno<br />

di sicuro affidamento per la cucina innovativa e di ricerca della ristorazione<br />

di qualità. Due lettere definiscono ora il nome dello spumante AC Lambrusco<br />

Reggiano Doc Albinea Canali, essenza più pura di una cantina e un territorio. Il<br />

frutto della lenta fermentazione in autoclave, secondo gli spumeggianti dettami del<br />

metodo Martinotti, del mosto fiore ricavato da uve di Lambrusco di Sorbara e Salamino.<br />

Una bolla complessa e vivace, nella sua esuberante effervescenza e il ridotto<br />

dosaggio zuccherino. La freschezza intrinseca del Lambrusco di Sorbara da un lato,<br />

la croccantezza vivace e briosa del Lambrusco Salamino dall’altro, delineano un<br />

assaggio tagliente, senza però mai perdere la linea di equilibrio. Per un sorso stuzzicante,<br />

che si esalta nel pairing con salumi e formaggi di alta fattura del territorio di<br />

cui questa bollicina in rosso è figlia.


28<br />

COLLECTION<br />

La Maremma del Sauvignon, insolita<br />

associazione sulla terra rossa venata<br />

di quarzo di Montauto che regala uno<br />

dei bianchi più speciali nel panorama<br />

enologico tricolore. Il Poggio del Crine<br />

Maremma Toscana Doc 2018 Tenuta<br />

Montauto racconta in bottiglia<br />

una scelta controcorrente lunga quasi<br />

mezzo secolo. I primi filari di Sauvignon<br />

messi a dimora da nonno Enos<br />

oltre 45 anni fa, quintessenza e genius<br />

loci di un terroir vocato che oggi<br />

dona una produzione, naturalmente<br />

bassa, di grappoli molto piccoli e<br />

concentrati in succo e aromi. Il resto<br />

è questione di personalità, che l’affinamento<br />

in bottiglia di oltre tre<br />

anni enfatizza, forgiando un vino<br />

bianco dal carattere magnetico.<br />

Per un sorso dorato dalla consistenza<br />

cremosa e imponente,<br />

vivificata dall’eleganza di<br />

una sapidità stentorea.<br />

Un progetto che punta in alto, ma con le radici che affondano in profondità nella terra<br />

di una tenuta gioiello, oasi naturale fuori dal tempo al cuore della Maremma Toscana.<br />

Gian Annibale Rosso Toscana Igt 2019 Castello del Terriccio è l’omaggio<br />

di un nipote al proprio zio, brillante mente che ha plasmato una realtà da sogno che<br />

si affaccia sull’arcipelago toscano, con vigneti che si specchiano all’orizzonte sulle<br />

isole di Gorgona, Capraia ed Elba, oltre alla Corsica. Un passaggio di testimone in<br />

bottiglia che ruota attorno al Petit Verdot di due specifiche particelle di circa 2 ettari:<br />

Vigna Addis e Vigna Tregge. Un blend con Cabernet Sauvignon che dona vita a una<br />

produzione limitata, destinata a un numero selezionatissimo di locali italiani e wine<br />

merchants internazionali, che ritorna per la sua seconda release che in bocca si distingue<br />

per la trama gustativa elegante, con tannino fine e setoso, per una progressione<br />

equilibrata e dal finale di rara persistenza.


29<br />

Un territorio, una famiglia, una storia enologica che propone un orizzonte che va ben oltre le<br />

pluripremiate bollicine da Top 100. I Colli di Conegliano della famiglia Dal Bianco si colorano<br />

anche di rosso e bianco grazie Ai Palazzi Masottina. Per un’espressione che nel calice racconta il<br />

carattere e la longevità dei vini del terroir di Ogliano. Come dimostra il valore del tempo che si<br />

manifesta anche nel Montesco Colli di Conegliano Rosso Docg Ai Palazzi, unione perfetta<br />

tra un’anima internazionale, blend di Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc, e un 10%<br />

dell’autoctono Marzemino. Dopo un affinamento in barrique di Allier per minimo 24 mesi, il riposo<br />

per ulteriori 24 mesi in bottiglia prima della commercializzazione: ma è il trascorrere degli anni<br />

a regalargli l’evoluzione che lo innalza nell’Olimpo dei grandi rossi italiani, rivelando un perfetto<br />

equilibrio tra acidità, freschezza ed eleganza dei tannini. Per un vino sontuoso già alla vista col suo<br />

manto rubino, che al palato ammalia e allieta sorso dopo sorso.<br />

COLLECTION


30<br />

Un progetto che ha un luogo ben preciso che chiama “casa”: lo storico cru di Tenuta Novare che<br />

prende il nome dalla Chiesetta di Ognisanti, posta al centro del vigneto, risalente al XVI secolo.<br />

È qui che nasce un’espressione di Valpolicella dov’è la geologia a fare la differenza nel calice.<br />

Perché un suolo ricco in calcare gessoso regala un vino complesso, longevo, sapido e speziato nel<br />

quale la Corvina, che in bottiglia si accompagna poi a un 5% di Rondinella, abbina una maggiore<br />

concentrazione aromatica ad un vibrante palato. Ognisanti Valpolicella Classico Superiore Doc<br />

2021 Bertani è quinto capitolo di una visione ancora agli albori che vuole portare un’etichetta<br />

e un territorio al di fuori dell’attuale percepito comune. Un nuovo riferimento che non ambisce<br />

a farsi modello, ma che punta a dare più voce al territorio e ai vitigni, avvicinandosi così col suo<br />

volto contemporaneo alle nuove generazioni. Tanto che i suoi carattere e leggerezza richiamano<br />

ad abbinamenti eclettici che ne rafforzano l’appeal internazionale. Soprattutto grazie a una nuova<br />

annata dove note di Cola integrate a una spettacolare acidità sono supportate da una precisa<br />

integrazione col legno, regalando a questa nuova visione in rosso una croccantezza al palato tutta da<br />

godere nella sua mordace agilità unita all’appagante sapidità del finale.<br />

COLLECTION<br />

Un grande rosso del Piemonte che, per eleganza e finezza, gioca da sempre un campionato a parte.<br />

Fiore all’occhiello nato con la vendemmia del 2008 per valorizzare il nucleo storico della menzione<br />

geografica Cannubi, dove il mito è stato scritto e oggi rivive fin dal nome sull’etichetta. “Summa”<br />

della filosofia produttiva di una famiglia e di una cantina, il Barolo Docg Riserva Cannubi 1752<br />

Damilano, che vede l’esordio dell’annata 2016, è tributo all’anno a cui risale la più antica bottiglia<br />

delle Langhe, ora conservata nella città di Bra, che in etichetta porta proprio il nome della MGA.<br />

Un terroir dalle caratteristiche inconfondibili, già celebre ben prima che si parlasse di vino Barolo,<br />

e dove le viti di Nebbiolo, che raggiungono il mezzo secolo di vita, sono selezionate per dare forma<br />

a una riserva che deve molto del suo prestigio a un suolo che si fa mosaico di elementi capaci<br />

di garantire a questo rosso il suo stile raffinato. Poi, oggi con la 2016, una tra le migliori annate<br />

dell’ultimo decennio entra in scena, offrendo le carte adatte a un lungo invecchiamento. Per una<br />

bottiglia che saprà regalare grandi emozioni se attesa a dovere, ma che già ora lascia intravedere<br />

la potenziale grandezza fin da un naso elegante ed immediato, complesso, ampio, di frutta ancora<br />

croccante e prorompente, che accompagna un sorso di straordinaria prospettiva.


32<br />

CHAMPAGNE<br />

L’immortale<br />

Fleur de Champagne<br />

Verticale delle annate 1988, 1997 e 2002 della Cuvée storica<br />

della Maison di Vertus con Madame Carol Duval-Leroy<br />

DI ANDREA SILVELLO E MATTEO BORRÈ<br />

Una verticale speciale, in compagnia dell’unica donna Ceo in tutta la<br />

Champagne, colei che nel 1991 ha assunto le redini di una Maison tra<br />

le più storiche, giunta oggi alla sesta generazione e fondata nel 1859, ma<br />

soprattutto la più importante realtà della Côte des Blancs, dove conta<br />

50 ettari sui 200 posseduti. L’incontro con Madame Carol Duval-Leroy,<br />

la “Femme de Champagne”, è andato in scena a Milano, grazie a un rendez-vous<br />

orchestrato da Pescarmona Importatori, realtà torinese da 76 anni attiva nell’importazione<br />

di Champagne e vini provenienti dalla Francia, distillati e liquori di alta gamma.<br />

Tra le partnership di maggiore prestigio in portfolio, proprio quella consolidata<br />

con la Maison con sede a Vertus, ancora oggi totalmente di proprietà familiare. A guidarla,<br />

affianca dai tre figli Julien, Charles e Louis, la carismatica Carol Duval-Leroy,<br />

che nel corso degli ultimi 30 anni ha promosso nel calice un approccio stilistico contemporaneo,<br />

profondamente gastronomico, che ha portato in particolare la sua cuvée<br />

Fleur de Champagne in più di 300 ristoranti stellati Michelin partner di Relais &<br />

Châteaux. Un traguardo che non deve stupire, considerato che stiamo parlando della<br />

famiglia che ha realizzato per prima un vino Premier Cru dal 19<strong>11</strong>, ma anche ad avere<br />

promosso una donna Chef de Caves, posizione oggi ricoperta da Sandrine Logette.<br />

“C’è una luminosità, una salinità incomparabile. I vini sono dritti, freschi, gessosi,<br />

strutturati, con una grazia e una brillantezza propria. Mai eccessivamente aromatici,<br />

verticali, parlano il linguaggio delle loro origini”: così l’artefice delle bottiglie descrive<br />

la cifra di Champagne Duval-Leroy. Una produzione complessiva che tocca annualmente<br />

quota 2 milioni, per bollicine che invecchiano meravigliosamente, senza<br />

rughe, sfidando il tempo con insolenza, tanto da sembrare immortali. Proprio come<br />

ci ha testimoniato una verticale che ha visto salire in cattedra tre millesimi oggi non<br />

in commercio – 1988, 1997 e 2002 – della Cuvée storica, che hanno riposato fino a un<br />

mese prima della degustazione nelle cantine della Maison, quando sono state sboccate<br />

ad hoc per l’appuntamento sotto la Madonnina. Ma per preparare il palato all’incontro<br />

con le tre espressioni di Fleur de Champagne Premier Cru, il primo approccio<br />

con le bollicine Duval-Leroy ha visto l’incrocio con una Magnum di Brut Réserve.<br />

Una bottiglia, questa, che a nostro avviso è vero e proprio atout in aperitivo: fresca,<br />

piacevole, un classico di Maison che si beve volentieri, per un blend perfettamente<br />

equilibrato, tra finezza e potenza, 60% Pinot Noir, 30% Meunier e 10% Chardonnay.<br />

Un bell’inizio che è stato seguito da un vero e proprio viaggio nel tempo, iniziato<br />

con l’annata 1988 della Cuvée storica della Maison di Vertus. Fleur de Champagne è<br />

unione di 70% Chardonnay e 30% Pinot Noir, solo Premier Cru e Grand Cru dai migliori<br />

villaggi: oltre Vertus, Le Mesnil sur Oger, Chouilly, Bouzy, Ambonnay, Verzy e<br />

Verzenay. Nel trio che ha composto la verticale, sicuramente il millesimo che ha stupito<br />

maggiormente: se di questa annata abbiamo avuto occasione di assaggiare diverse<br />

interpretazioni ed etichette, questa è risultata in grande forma, bellissima espressione<br />

di una bottiglia conservata per 35 anni sui lieviti, denotando tanta freschezza,<br />

una bella acidità e una spiccata lunghezza sul finale, con una bolla che era fine ma<br />

intera e persistente. Al naso, le note che più colpivano, tanto da rimanere ancora vivo<br />

come ricordo nella memoria a distanza di tempo, erano quelle di frutta candita: sono<br />

le stesse che continuavano in bocca, dove al palato la 1988 si è presentata ampia. A<br />

seguire, l’intermezzo della 1997, annata che spesso regala sorprese: in questo caso, ci<br />

siamo trovati davanti a una bottiglia che si beveva con piacere, ma rimasta un passo<br />

indietro se confrontata a chi l’ha preceduta nel calice. Il gran finale ha visto salire in<br />

scena il millesimo 2002, con un Fleur de Champagne ancora una volta in grande forma,<br />

a differenza di tante altre etichette dell’universo champenoise dello stesso anno<br />

che oggi hanno oltrepassato il loro apice e stanno virando su note terziarie spinte.<br />

Questa firmata Duval-Leroy è interpretazione che presentava ancora una notevole<br />

acidità, proprio come ricordiamo il millesimo negli assaggi di qualche anno fa e come<br />

poche volte si ritrova ormai oggi. Da ultimo, una considerazione sul “fuori menù”,<br />

l’anteprima base 2014 e vin de réserve: si è assaggiata con piacere, per una bottiglia<br />

che ancora una volta ha scelto di giocare la partita scommettendo tutto su freschezza<br />

e piacevolezza, lo specchio di una Maison da tenere d’occhio.


33<br />

Caseo<br />

e Santé Couture<br />

la moda incontra il vino<br />

Montelvini: nasce il tour<br />

Tenuta di Caseo, il Metodo Classico della famiglia Tommasi,<br />

e Santé Couture, brand di moda non convenzionale,<br />

hanno dato vita a una collezione di abiti in edizione<br />

limitata di soli 100 pezzi. Questa capsule-collection,<br />

concepita da due talentuosi stilisti veronesi, ha l’intento<br />

di vestire letteralmente le tre diverse referenze della cantina<br />

oltrepadana con vesti progettate con cura per rappresentare<br />

al meglio la personalità distintiva di ogni vino<br />

ed esaltare l’identità di ciascuna<br />

etichetta. La combinazione di<br />

moda e vino in questa straordinaria<br />

creazione offre un’esperienza<br />

visiva e sensoriale<br />

unica che non solo sorprende,<br />

ma celebra la diversità e l’originalità<br />

in ogni singola bottiglia.<br />

Due nuovi ristoranti tre Stelle<br />

nella<br />

Guida Michelin<br />

Italia<br />

“Gli Asolani”<br />

Un itinerario dove tutti i sensi entrano in gioco, assaporando<br />

lentamente i luoghi iconici e la storia di uno dei<br />

borghi più belli d’Italia, lasciandosi cullare dalle note<br />

del compositore Piero Salvatori, accompagnate da un<br />

calice di bollicina, rigorosamente Asolo Prosecco Docg,<br />

Montelvini. È il progetto “Gli Asolani”, realizzato dalla<br />

cantina ambasciatrice di Asolo. Uno speciale viaggio in<br />

cinque tappe alla scoperta del borgo trevigiano e delle<br />

sue personalità più celebri, dalla divina Eleonora Duse<br />

all’avventuriera Freya Stark, che riprendono vita grazie<br />

alle illustrazioni di Gianluca Biscalchin. Un invito a scoprire<br />

un luogo fatto innanzitutto di<br />

persone che qui hanno trovato<br />

il loro senso di appartenenza,<br />

contribuendo a costruire<br />

un patrimonio unico: quello<br />

di cui oggi Montelvini si fa<br />

custode con un nuovo capitolo<br />

della sua Asolo Experience.<br />

Miglior Enotecario<br />

d'Italia:<br />

candidature aperte fino<br />

al 31 gennaio 2024<br />

Ritorna il Concorso Miglior Enotecario d’Italia, ideato da<br />

Aepi (Associazione Enotecari Professionisti Italiani) con il<br />

patrocinio del Masaf e in collaborazione con Vinarius. Le<br />

candidature si chiuderanno il 31 gennaio 2024. Il contest<br />

è aperto a tutti gli Enotecari Professionisti, proprietari di<br />

enoteche, dipendenti o consulenti, collaboratori o liberi<br />

professionisti. Due le categorie di gara: la prima dedicata<br />

agli Enotecari che lavorano presso le bottiglierie esclusivamente<br />

con vendita per asporto e l’altra per chi presta<br />

servizio in pubblici esercizi con vendita e mescita dove è<br />

possibile degustare e acquistare vini e spirits.<br />

Una nuova<br />

cantina da sogno per<br />

Cá del Bosco<br />

Ca’ del Bosco realizza finalmente il suo sogno<br />

con il completamento del progetto legato al suo<br />

patrimonio viticolo e della nuova cantina, raggiungendo<br />

gli obiettivi che si era prefissata oltre<br />

50 anni fa e inaugurando una nuova fase della<br />

sua storia. Dopo 52 vendemmie, infatti, la realtà<br />

guidata da Maurizio Zanella può finalmente<br />

mostrare il suo aspetto definitivo, quello che<br />

un tempo era solo un’idea e che nel corso degli<br />

anni ha preso forma. Il lungo viaggio è iniziato<br />

nel lontano 1968, quando è stato piantato il primo<br />

vigneto. Oggi, quella visione si è realizzata<br />

completamente, segnando un importante traguardo<br />

nella storia di una tra le realtà simbolo<br />

della Franciacorta. Nella nuova cantina arrivano,<br />

poi, importanti innovazioni per estrarre e<br />

conservare al meglio il potenziale delle uve, definendo<br />

un metodo di lavoro che enfatizza l’unicità<br />

di ciascuna parcella di vigna, il tutto per<br />

cercare l’eccellenza nei vini in perfetto stile Ca’<br />

del Bosco. È un vero e proprio percorso quello<br />

che trova ora la sua definizione finale: i nuovi<br />

ambienti per l’accoglienza; il tunnel con i caveaux<br />

delle Riserve di Franciacorta e i caveaux nella<br />

Cupola storica dedicati alle Cuvée Annamaria<br />

Clementi; la galleria delle pupitres e il tunnel<br />

riservato all’affinamento dei Millesimati Vintage<br />

Collection; per finire, la cupola dei sensi che<br />

precede l’installazione “Prestige Immersion”,<br />

un’esperienza scenografica all’interno di una gigantesca<br />

bottiglia capovolta realizzata con oltre<br />

33mila bottiglie di Cuvée Prestige Ca’ del Bosco,<br />

retroilluminate. Qui, a 23 metri sottoterra,<br />

prima delle barricaie storiche, è possibile ammirare<br />

l’area di affinamento della Cuvée Prestige,<br />

in grado di ospitare fino a 4 milioni di bottiglie.<br />

TITOLI DI CODA<br />

E ancora...<br />

L’Italia ha due nuove tre Stelle Michelin: sono Atelier<br />

Moessmer Norbert Niederkofler e il ristorante Quattro<br />

Passi. Salgono così a 13 i ristoranti<br />

tristellati, mentre i cinque<br />

nuovi due Stelle e le 26<br />

new entry una Stella Michelin<br />

delineano un nuovo firmamento<br />

composto da 395<br />

stellati distribuiti in tutta<br />

la penisola: un nuovo record.<br />

Palazzo Te e Villa Della Torre: secondo capitolo dell’alleanza<br />

in bottiglia con il Lugana Doc Camera di Amore e Psiche.<br />

La Doc Etna punta alla Docg:<br />

partito l’iter. Il miglior vino del<br />

mondo <strong>2023</strong> è italiano: il Brunello<br />

di Montalcino Argiano<br />

2018 primo nei Top 100 di<br />

Wine Spectator. Banfi migliora<br />

in sostenibilità: il rating ESG<br />

è superiore alla media del vino.


34<br />

5mila bottiglie numerate per celebrare<br />

l’Africa e i valori che da 10 anni guidano<br />

il brand. In occasione del decimo anniversario<br />

del marchio, arriva Elephant<br />

Gin Limited Edition African Explorer,<br />

omaggio ai valori e alle passioni che lo<br />

guidano: l’esplorazione, l’utilizzo di botaniche<br />

africane, la tutela degli elefanti<br />

e il rito del sundowner, l’aperitivo al<br />

tramonto nella savana. Il nuovo African<br />

Explorer (40% ABV) vede protagoniste<br />

le foglie di Buchu del Sudafrica, lo<br />

Zenzero Bianco e la Monodora (noce<br />

moscata africana) del Camerun, che<br />

danno vita ad un gin dalle note agrumate<br />

e mentolate con un finale erbaceo e<br />

sentori freschi dati dallo zenzero.<br />

DISTILLATI – LIQUORI – AMARI<br />

Nel cuore del Kentucky, a Versailles, la storica<br />

Woodford Reserve Distillery è il luogo di nascita<br />

di Woodford Reserve, il bourbon complesso e<br />

versatile “prodotto dalla gente per il piacere della<br />

gente”. Oltre 200 note aromatiche rilevabili tra<br />

legnose, speziate, dolci, fruttate e floreali, maturate<br />

in botti di rovere bianco, contribuiscono a renderlo<br />

una scelta d’eccellenza sapientemente prodotta<br />

dalla Master Distiller Elizabeth McCall. Costruito<br />

intorno al gusto, grazie a una ricca trama di sapori,<br />

offre diverse possibilità di abbinamento tra buon<br />

cibo e mixology, è perfetto per la degustazione in<br />

purezza e ideale anche in cocktail signature come<br />

l’intramontabile Old Fashioned.<br />

È nato Amante 1530, il nuovo Aperitivo<br />

creato da un gruppo internazionale di<br />

amici, tra cui Sting e Trudie Styler, innamorati<br />

dello stile di vita italiano. Arrivato in<br />

contemporanea sulle due sponde dell’Atlantico,<br />

è dedicato alla Mixology d’Autore.<br />

Al palato, il gusto delicato poi evolve in una<br />

sensazione più decisa e corposa: con aromi<br />

di Arancia candita, Tè oolong, Zenzero,<br />

Caprifoglio e Mele cotte, possiede una<br />

dolcezza di fondo ben bilanciata che regala<br />

una piacevole amarezza vegetale. Non troppo<br />

zuccherato - e con un finale amaro più<br />

sottile rispetto ad altri aperitivi - Amante<br />

1530 è ideale da gustare in un cocktail o da<br />

sorseggiare liscio.<br />

Lanciata un anno fa in edizione limitata per celebrare i 75 anni delle Distillerie Berta, è andata<br />

sold-out già con le preordinazioni. Ora Riserva 75 anni ritorna, con bottiglie dall’archivio della<br />

famiglia Berta, che ha deciso di renderne ancora qualcuna disponibile per i cultori dei distillati.<br />

Assemblaggio di ben 10 vendemmie di Selezione del Fondatore, Riserva 75 anni è grappa invecchiata<br />

di Barbera e Nebbiolo tra le più preziose del brand. Si presenta in cassetta in legno di noce<br />

Canaletto americano lavorata e verniciata a mano. Di colore ambrato e dal profumo complesso e<br />

avvolgente, regala sensazioni di grande forza, in cui spiccano la ciliegia, il cacao, la vaniglia.


35<br />

Amaro Santoni,<br />

lo spirit toscano a base<br />

di rabarbaro che piace ai<br />

mixologist contemporanei<br />

Amaro Santoni è l’aperitivo a base di rabarbaro, nato<br />

a Chianciano Terme nel 2018 dalla lunga esperienza<br />

liquoristica toscana. Uno spirito bilanciato, d’alta qualità,<br />

a base di oltre 30 botaniche e dal sapore insieme<br />

dolce e amaro, dato dalle note agrumate, dalla foglia<br />

d’olivo, dal fiore dell’iris. “Amaro Santoni rappresenta<br />

l’aperitivo italiano in chiave contemporanea”, spiega<br />

Simone Caporale, global ambassador partner di Amaro<br />

Santoni. “Abbiamo aggiunto alla sua anima tradizionale<br />

un dash, un pizzico di novità, come il suo gusto dolce-amaro,<br />

affinché potesse piacere alle giovani generazioni,<br />

alla ricerca di modi più semplici e leggeri di bere con<br />

moderazione”. Per un amaro versatile in miscelazione e<br />

gradevole in purezza, sempre più presente nei bar, negli<br />

hotel e nelle case di tutto il mondo. L’attenzione verso<br />

le nuove tendenze e il legame con la storia del territorio<br />

caratterizzano anche il design della sua bottiglia, che,<br />

leggera ed elegante, richiama lo splendore architettonico<br />

della cupola ideata dal Brunelleschi di Santa Maria<br />

del Fiore, simbolo della città di Firenze, patria del Conte<br />

Negroni e dell’omonimo aperitivo.<br />

Ardbeg presenta<br />

Anamorphic, il single<br />

malt in 4D<br />

Ardbeg ha rilasciato il 1° novembre<br />

Ardbeg Anamorphic, l’ultima Limited<br />

Edition riservata al proprio<br />

Committee. Un whisky straordinario<br />

creato attraverso<br />

un processo sperimentale.<br />

Per questa audace edizione<br />

limitata, infatti, la<br />

Distilleria ha deciso di<br />

spingere all’estremo<br />

i confini del sapore<br />

ottenuti dalla carbonizzazione<br />

delle<br />

botti. Il risultato<br />

è un single malt<br />

in 4D che abbraccia<br />

quattro<br />

dimensioni: dol-<br />

ce, affumicato, erbaceo e speziato. Le teste dalle classiche<br />

botti di bourbon in cui invecchia Ardbeg sono state<br />

rimosse e incise profondamente, per esporre ancora<br />

più legno durante il processo di tostatura. I barili sono<br />

stati quindi sottoposti a un trattamento a infrarossi,<br />

molto intenso e preciso, e a successivo abbrustolimento,<br />

per raggiungere un gradiente specifico chiamato<br />

“high mocha”, possibile perché le parti terminali delle<br />

botti sono molto spesse. Completata questa fase, le<br />

botti sono pronte per accogliere lo spirito di Ardbeg.<br />

“Il trattamento high mocha delle botti è il principale<br />

responsabile del profilo di sapore multidimensionale<br />

di questo Ardbeg”, sottolinea il Dr. Bill Lumsden,<br />

maestro di distillazione di Ardbeg. “Aromi terrosi di<br />

torba portano ad un Ardbeg che sembra provenire da<br />

un universo parallelo. Il gusto agrodolce del mocha<br />

emerge gradualmente, mentre il cioccolato al peperoncino<br />

si intreccia con note floreali di crisantemo e<br />

gelsomino. Questo whisky porta Ardbeg verso nuove<br />

vette d’intrigante complessità”.<br />

Citadelle Rouge: un nuovo<br />

gin artigianale francese<br />

per Maison Ferrand<br />

Citadelle Gin, pionieristico brand di gin artigianale<br />

francese premium importato e distribuito in Italia in<br />

esclusiva da Compagnia dei Caraibi, presenta il nuovo<br />

Citadelle Rouge. Nato da un ricordo sensoriale di<br />

Alexandre Gabriel, Ceo e Master Distiller di Maison<br />

Ferrand, questo prodotto omaggia l’antica tradizione<br />

della macerazione e distillazione della frutta di stagione<br />

e rievoca la sua infanzia e le marmellate preparate<br />

durante le calde estati dalla nonna. Fedele allo spirito<br />

del marchio, che da sempre produce gin 100% artigianali<br />

e naturali con botaniche infuse una alla volta per<br />

distillare al meglio la loro essenza aromatica, Citadelle<br />

Rouge si caratterizza per i profumi di frutti rossi e<br />

pasticceria. Complesso, fresco ed equilibrato colpisce<br />

per l’esplosione di sapori, celebrazione dei frutti rossi,<br />

senza l’aggiunta di aromi, zuccheri, coloranti o additivi.<br />

Mirtillo rosso, lampone, mora, ribes nero e rabarbaro<br />

s’integrano perfettamente alle 19 botaniche originali<br />

utilizzate nella produzione di Citadelle Original,<br />

creando un profilo aromatico perfettamente equilibrato<br />

tra dolcezza e acidità, con un finale lungo e leggermente<br />

piccante. Perfetto liscio o miscelato è ideale per<br />

scoprire gli aromi dei frutti rossi infusi.<br />

Bitter Fusetti, la rivoluzione<br />

milanese del bere<br />

sbarca su OnlyFans<br />

Bitter Fusetti è il bitter milanese che deve<br />

il suo nome all’omonima via di Milano.<br />

Con un mix botanico che spazia dai classici<br />

genziana, rabarbaro e china fino al<br />

quassio, passando per scorze di arancia<br />

amara e chinotto, esprime il meglio di<br />

sé in miscelazione e si lascia<br />

apprezzare per la sua<br />

interessante intensità.<br />

Sia liscio, sia in drink<br />

classici, in cocktail rivisitati<br />

o semplicemente<br />

shakerato, sta facendo innamorare<br />

sempre più appassionati grazie<br />

anche al Fusettone, creazione<br />

dei barman di Farmily Group. E dopo<br />

il successo di Fusetti Nature e l’edizione limitata American<br />

Edition, Bitter Fusetti celebra quest’anno il suo terzo<br />

compleanno sbarcando con un’edizione esclusivamente<br />

hot su OnlyFans, esplorando nuove frontiere con Bitter<br />

Fusetti Banana, il primo ed unico bitter al mondo a base<br />

di rum e infuso di banana. Una versione esotica ed erotica<br />

per volare in altre dimensioni e mondi lontani, come quello<br />

della Tiki Culture. Con Bitter Fusetti Banana si possono<br />

esplorare nuovi gusti ed abbinamenti più inaspettati,<br />

utilizzandolo in cocktail come Mojito e Piña colada. Per<br />

un nuovo must che supera il classico aperitivo all’italiana.<br />

De Santis lancia una nuova<br />

linea di Gin da abbinare<br />

ai panini gastronomici<br />

Paninoteca iconica di Milano sin dal 1964, De Santis introduce<br />

una nuova dimensione nella propria offerta gastronomica<br />

con il lancio della sua prima linea di gin artigianale.<br />

Questa audace mossa rappresenta un nuovo<br />

capitolo nell’evoluzione del marchio, che ha sempre puntato<br />

sulla qualità e sulla dedizione al mondo del cibo. La<br />

passione di De Santis per l’eccellenza culinaria si estende<br />

ora alla mixology con il debutto di tre nuovi gin artigianali:<br />

De Santis London Dry Gin, Distilled Gin XO e L’Amaro.<br />

Tutti prodotti secondo le ricette originali della paninoteca<br />

in collaborazione con Trip Distillery, sono un tributo<br />

all’autentica artigianalità milanese che ha caratterizzato il<br />

marchio per oltre cinque decenni. Il London Dry Gin sorprende<br />

per la sua intensità e un bouquet aromatico complesso.<br />

Nel caso del Distilled Gin XO, l’infusione di rovere<br />

dopo la distillazione aggiunge profonde note di legno e<br />

resina, con tocchi di pane tostato, mandorla e vaniglia, rendendolo<br />

adatto anche da sorseggiare da solo. Infine, L’Amaro<br />

offre un carattere deciso e un gusto avvolgente, con<br />

liquirizia, caramello, radici amare, anice verde, menta, camomilla<br />

e lavanda che si combinano in un mix intrigante.<br />

DISTILLATI – LIQUORI – AMARI

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