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Op.cit.
rivista quadrimestrale
di selezione della critica d'arte contemporanea
Direttore: Renato De Fusco
Redazione: Salita Casale di Posillipo 14 - Tel. 300.783
Amministrazione: Via dei Mille 61 - Tel. 231.692
Abbonamento annuale:
Italia L. 2.000 - Estero L. 3.000
Un fascicolo separato L. 800 - Estero L. 1.000
F.dizioni e Il centro >
Editoriale 5
Gilio Dorfles
Antonio Vitiello
Le e Nuove leoni> e la e civiltà del C01181Lmo > 7
Architettura utopistica
13
La sociologia dell'arte dei sociologi
26
Esperienza della Biennale
43
Tecnologia e poetiche contemporanee
54
Nouveau roman e arti figurative
67
n Gaudì di Pane
76
Alla redazione di questo numero hanno collaborato; Vitaliano Corbi,
Lilliana Defez, Renato De Fusco, Bruno Di Bello, Mirella Galdenzi,
Lucio Tesauro, Lea Vergine, Antonio Vitiello.
Editoriale
Il programma di questa rivista è di offrire .u_na
selezione della critica d'arte figurativa contemporanea.
Intendiamo per selezione non una scelta esaustiva
di tutto quanto si pubblica intorno alle arti visive
- compito per il quale non siamo sufficientemente
attrezzati - . ma una eosizione dell'attività
critica, soprattutto- metodologica, ottenuta mediante
l'esame di alC'l,l,ni temi di maggiore interesse . attuale.
Ogni tema verrà svolto come una composizione di parti
selezionate da saggi di estetica, di critica, di poetiche
che, citate testualmente (donde il titolo del periodico),
verranno unificate in un discorso e corredate
del maggior numero di annotazioni e indicazioni
bibliografiche.
Riteniamo con questa formula di fornire uno strumento
utilizzabile sia in senso divulgativo, sia al livello
della ricerca specialistica. Ma la selezione operata
attraverso un certo numero di temi non risolve
soltanto _una difficoltà tecnica, qual è quella di limitare
l'intera produzione critica entro pochi argomenti;
oltre a ciò, l'elaborazione di ciascun tema, già scelto
per un suo peculiare carattere, consente una esposizione
che, per quanto composita, referenziale ed informativa,
non può, a sua volta, non essere critica. 5
Accanto all'attività suddetta, svolta in modo collettivo
dall'intera -redazione, pubbliche-remo articoli a
fi-rma individuale, per ospita-re autori esterni e pe-r
pote-r svolge-re quelle rice-rche non riconducibili alla
formula che ca-ratterizza la g-ran parte del periodico.
In tal 1J1,odo la formula rimarrà uno st-rumento e non
un vincolo limitativo.
Pe-r definì-re in senso unitario le diverse posizioni
ideologiche di quanti fino-ra hanno collabo-rato a questa
iniziativa e di quelli che invitiamo a pa-rteciparoi,
possiamo afferma-re - senza igno-rarne l'indete-rmina
zione - che la nost-ra visuale, sicu-ramente antiaccademica,
tende ad essere il più possibile inclusiva; non
nel senso di una totale e neut-rale accettazione, ma in
quello di ritenere tutto considerabile e discutibile.
Infine qualcosa va detto sulla cittadinanza napoletana
della rivista, a-rgomento a noi sg-radito e sul
quale eviteremo di torna-re in quanto, a torto o a
-ragione, esso implica il concetto o preconcetto di
«diverso>, che decisamente -respingiamo. Tuttavia non
confondiamo le nost-re aspi-razioni con i Teali disagi
del nost-ro ambiente; tenteTemo soltanto di t-rarre dalle
nostTe difficoltà qualche vantaggio: le condizioni peT
una più calma riflessione, ad esempio, o l'indipen
denza dai gruppi di pote-re, fattori evidentemente favo-revoli
allo svolgimento del nost-ro p-rog-ramma, confidando
per il resto nell' acco-rciamento delle distanze.
In sostanza, accantonando le glorie t-radizionali
unitamente alle attuali carenze, tendiamo a proporre
la nost-ra opeTa pe-r quella che vale come contributo
di pe-rsone.
6
RENATO DE FUSCO
Le "Nuove leoni" e la "civiltà
del consumo"
GILLO DORFLES
Si parla - e si è parlato sin troppo negli ultimi anni
d'una e civiltà del consumo >; e, anche, d'una e civiltà delle
immagini > perché, come spesso accade, non si sia finito
per eccedere nel voler far rientrare tutti i più svariati
aspetti della nostra cultura e della nostra società sotto una
di queste allettanti etichette.
Certo: il fenomeno del consumo è evidente e patente
a chiunque: basta alzare lo sguardo ai palazzi appena terminati
di costruire e scorgere, accanto ad essi, altri edifici
già in via di demolizione; basta considerare la mutevolezza
della moda femminile, delle mode artistiche, letterarie,
poetiche; basta contemplare i e cimiteri d'auto> che già
si stendono alla periferia delle nostre città e non più soltanto
negli Stati Uniti e basta considerare la voga così
accanita ed effimera delle canzonette degli urlatori o delle
danze collettive destinate a durare mezza stagione.
Il cons1Lmo - tanto inteso trasitivamente nel significato
del consumare alcunché del valersi, non solo del
cibo, ma della cultura, dell'arte, della scienza, in maniera
pressocché e mangereccia > - quanto inteso intrasitivamente,
nel senso del e consumarsi >, dell'usurarsi, del sottostare
all'entropia e all'obsolescenza di un dato fenomeno,
è certo una delle costanti basilari della nostra età. 7
Ma, codesta civiltà del consumo si mescola e inter-
. .
\\
ferisce di continuo cori una e civiltà dell'immagine >, anche
essa onnipresente, e determinante per tutto il nostro modo
d'essere-nel-mondo e di essere-intersoggettivamente. Ed è
su questo punto che vorrei dilungarmi un poco. Quando,
infatti, ho scelto come titolo di questa nota quello di
e Nuove leoni > l'ho fatto considerando come, appunto, tutte
le moltiformi immagini che ci circondano, che ci impartiscono
ammonimenti, precetti, lusinghe, (le immagini della segnaletica
stradale, dei cartelloni cinematografici, dei manifesti
politici, della pubblicità luminosa, ecc.;) costituiscano
. davvero, per la nostra epoca, un nuovo panorama iconografico,·
ma rappresentino anche le nuove divinità mitiche
che di continuo ci vigilano e ci assistono, quando non ci
irretiscono e ci ipnotizzano. ·
Non intendo scagliarmi contro di esse: sono del tutto
contrario a certi ammonimenti apocalittici alla Anders, o
a certi sopraccigliosi inalberamenti alla Adorno; il mio convincimento,
anzi, è che molto ci sia da apprendere e da
avvantaggiarsi. dalla presenza tra di noi di codeste e Nuove
leoni >; tanto che proprio basandosi su di esse, si possa
giungere ad una equilibrata strutturazione della nostra
civiltà.
Naturalmente le loro deficienze e i loro pericoli debbono
esserci noti, per poterli controllare e controbbattere
e la loro ubiquitarietà non deve essere una ragione per il
loro incontrastato dominio. Ma anche quest'ultimo pericolo
mi sembra sia stato spesso esagerato ad arte.
È un dato di fatto che la nostra esistenza cotidiana
soggiace a certi .impulsi, a certe sollecitazioni, che ci provengono
dalle stimolazioni visive cui siamo costantemente
sottoposti e la cosa è stata vagliata attentamente da molti
ricercatori che hanno cercato di stabilire gli influssi negativi
e· positivi che hanno su di noi, ad es. le stimolazioni
8 provocate dal cinematografo, dalla televisione, sforzandosi
così di stabilire la possibilità di utilizzare questi mezzi
positivamente per l'educazione delle masse, o valutandone
il pericoloso effetto ipnotico e onirizzante.
Non intendo compiere, qui, un'elencazione minuziosa
delle immagini visuali cui siamo sottoposti; vorrei tuttavia
elencare almeno alcune di quelle che mi sembrano più
importanti e determinanti. Ecco ad es. il caso della segnaletica
stradale: un aspetto nuovo e ancora trascurato del
nostro panorama immaginifico; trascurato, intendo, da un
punto di vista antropologico-estetico. L'intera popolazione
cittadina - dunque la grande maggioranza della nostra popolazione
nazionale - subisce, a partire dalla prima infanzia,
gli effetti d'una serie di segni, segnali, simboli (la
vecchia tripartizione langeriana!) che poi si risolvono in
scritte, in emblemi, in grafici, ecc. Si tratta di effetti dai
quali non è possibile prescindere. Non è solo questione di
multe o ammonizioni, ma della propria sicurezza e integrità
personale: non badare alle e zebre>, ai divieti di transito,
ai sensi proibiti, alle frecce indicanti i percorsi, significherebbe
esporsi a danni rilevanti. Ecco, dunque, come, prima
ancora d'aver appreso a leggere e a scrivere, gli abitanti
delle città si avvezzano ad immagazzinare un certo numero
di e ideogrammi > quanto mai perentori, stimolanti, inalienabili.
Ma, alla pura e semplice segnaletica del traffico, dobbiamo
aggiungere tutti gli altri elementi figurati che coprono
le pareti delle case, i muri delle strade, l'interno e
l'esterno dei mezzi di trasporto: figure pubblicitarie, scritte,
luci, al neon; nonché tutto il vasto panorama di quello che
definirei « arredamento urbano > : le panchine, le cassette
postali, le pensiline degli autobus, le ceste dell'immondizia,
ecc.
Si potrà facihnente obiettare che anche per il passato esistevano
figurazioni applicate ai muri delle case; anzi, esistevano
affreschi e bassorilievi ben più importanti artisticamente
delle figurazioni odierne; ed esistevano anche in- 9
segne di taverne, di negozi, di botteghe artigiane. Ma la
differenza coi nostri giorrù è immensa: oggi chi semplicemente
passeggi per la strada è sottoposto a sua insaputa
ad una serie di ·-15ollecitaziorù derivanti da scritte, segni,
e vere e proprie e figure >, quali mai per l'innanzi si ebbero
a verificare.
Forse l'origine di questo enorme accrescimento delle
figuraziorù pubbliche (che comprendono ovviamente anche
i cartelloni cinematografici, gli ingrandimenti serigrafici e
fotografici, le riproduziorù di pitture antiche e moderne)
non è soltanto di carattere commerciale e pubblicitario:
forse è ancora l'antico e horror vacui > che - dopo la parentesi
puristica del razionalismo (l'epoca dei e muri bianchi
> dell'assenza di decorazioni) ha ripreso a ossessionare
l'uomo.
L'iconoclastia che, periodicamente, è sopraggiunta a
distruggere gli emblemi delle divinità e le figurazioni antropomorfe,
ha sempre avuto una breve durata: siamo
nuovamente in un'era anti-iconoclastica, e le Nuove leoni
che la popolano anziché essere come un tempo costruite a
mano sono sfornate a macchina in migliaia d'esemplari identici.
La serialità dell'immagine è un altro fenomeno di cui
occorre tener conto se si vogliono comprendere molti aspetti
della nostra civiltà.
Se, in passato, tutto un complesso e spesso pregevole
frasario ornamentale, fatto di fregi, bassorilievi, affreschi,
si stendeva sopra gli edifici, sui templi, sui palazzi, e valeva,
in certo senso, a soddisfare la e sete d'immagirù > dell'uomo,
oggi qualcosa d'analogo accade, ma su scala infirùtamente
più vasta e con caratteri del tutto diversi. Ecco, infatti,
sorgere attorno a noi un nuovo universo di immagini artificiali,
prodotte non più singolarmente, artigianalmente, ma
in marùera industrializzata, fatte in serie, destinate ad una
popolazione in continuo aumento, che ha peraltro bisogno
10 del suo quotidiano pa.sto iconico.
Tutto questo immenso panorama visuale sta ora attorno
a noi, ha invaso le pareti libere degli edifici, i cornicioni,
i tetti, i marciapiedi, si è riversato lungo le strade, le autostrade.
In un'epoca dove conta più l'effimero del permanente,
dove il transeunte ha più presa dell'eterno, era logico
che questo fenomeno si verificasse.
Troppo spesso, al giorno d'oggi, si tende a svalutare
sistematicamente e per partito preso dei fenomeni paraartistici
come quelli, ad es. della grafica pubblicitaria (della
grafica in genere), del disegno industriale, della pubblicità
luminosa, cinetica, della cartellonistica stradale, cinematografica,
dell'imballaggio, del e lettering >. A codesti settori
s'attribuisce di solito, da parte di critici d'arte tradizionalisti,
effetti deleteri e scarsissimo o nullo valore estetico.
La situazione, per contro, è ben diversa: siamo immessi
e partecipi, ormai, d'una società di massa che domina, volere
o no, e dominerà sempre di più, l'intero pianeta. La presenza
d'un'arte d'élite - anche se continuerà ad essere
necessaria ed efficace - non potrà avere che un valore
subordinato alla presenza di forme artistiche capaci di generalizzarsi.
Già oggi ce ne avvediamo: numerose forme
d'arte d'élite si sono accaparrate e hanno fatto propri elementi
e moduli derivati totalmente da forme d'arte come
quelle di cui stiamo ragionando.
Poco conta che un segno del traffico venga considerato
o meno e artistico > quando poi sarà proprio tale segno a
mettere in moto certe associazioni formali, certe strutturazioni
segniche che diventeranno il nocciolo d'una futura
opera d'arte autentica.
L'abbiamo potuto constatare ormai in più d'un caso,
senza bisogno di ricorrere ai Rauschenberg o ai Jasper
Johns, già considerando alcune ormai celebri opere di
Klee, di Mondrian di Schwitters. Elementi che facevano
parte del e panorama artificiale > che ci circonda furono
dunque e sublimati > ad opere d'arte, non altrimenti di come 11
accadeva ai tempi in cui spettava questo e onore > ai ·paesaggi,
alle nature morte, ai fiori.
È dunque tutto questo ampio dominio delle Nuove
leoni ad essere il promotore delle immagini e dei segni
espressivi da cui prendono il più delle volte l'avvio le opere
d'arte della nostra età, siano esse pitture e sculture, siano
architetture e oggetti dell'industria. E anche di questo si
dovrà tener conto, poiché molto spesso saranno gli stessi
oggetti. industriali ad essere, a loro volta, suscitatori di nuove
immagini plastiche e cromatiche destinate a diventare
le direttrici di autentiche espressioni dell'arte futura.
GILLO DORFLES
12
Architettura utopistica
La nozione d'avanguardia in quest'ultimi anni è stata al
centro del dibattito d'ogni settore artistico ma quasi puntualmente
evitata dalla critica architettonica. Qui ragioni
tecnologiche, sociali, politiche respingono ai margini della
cultura architettonica ogni altro tipo d'interesse, spesso a
scapito dell'autonomia della ricerca. Tuttavia l'esistenza
di una imprecisabile avanguardia in architettura ci sembra
inconfutabile. Una indicazione utile per il suo sviluppo
può aversi, fra l'altro, e oltre l'estensione spesso meccanica
e nominale delle poetiche figurative all'architettura, da quel
complesso fenomeno della cosiddetta architettura utopistica,
fantastica, visionaria etc.
Più che un elenco cronologico di architectes maudits - e
ogni personalità significativa dell'architettura degli ultimi
cento anni ha avuto una fase d'attività emergente apparsa
appunto utopistica e visionaria - vogliamo raccogliere alcuni
dati critici e bibliografici sull'argomento nella sua
linea più generale.
Arthur Drexler, direttore della sezione di e Architettura
e Design> del Museo d'Arte Moderna di New York nell'in-, 13
troduzione alla mostra Visionary Architecture, organizzata
dallo stesso Museo nel 1960, cosl inquadra il nostro argomento:
La storia dell'architettura comprende molti grandi
progetti non intesi per essere realizzati. Si tratta in effetti
di un'architettura su • carta • svincolata dai dettagli tecnici,
senza compromessi coi capricci dei committenti, e libera
dalle esigenze dell'economia, della politica, del costume.
Tali progetti visionari offrono all'architetto una
opportunità di ricostruire il mondo come egli sa che dovrebbe
essere, ed esso è il mondo che l'architetto - visionario
o altro - realmente desidera cambiare. Poiché
altre tendenze e progetti sono riconducibili alla condizione
su esposta, Drexler definisce e limita l'argomento in esame
osservando: Il vero progetto visionario generalmente
unisce una forte preferenza personale per alcune forme
con un giudizio critico sull'ordine sociale stabilito. In
passato tali progetti erano considerati inedificabili per
una o entrambe queste ragioni: essi possono essere stati
tecnologicamente impossibili da eseguire al tempo in
cui furono disegnati; oppure la società non ha trovato
né la giustificazione, né il denaro per la loro attuazione.
Oggi quasi ogni cosa che un architetto può pensare è
tecnicamente realizzabile. La funzione sociale che include
gli aspetti economici determina ciò che è o non è
visionario 1 • Tale definizione, che non implica un giudizio
di valore, risulta particolarmente efficace nel limitare pragmaticamente
un campo altrimenti ambiguo ed inaffermabile.
Una definizione di architettura fantastica, non molto dissimile
dalla precedente, ma allusiva di un diverso orientamento
ideologico è quella di Alexander Persitz. L'architetto
raggiunge la • visione • allorquando si basa sulle
possibilità tecniche per poi superarle e su una concezione
filosofica che rompe con tutte le abitudini morali e ma-
14 teriali d'una epoca per prevedere le nuove forme del
mondo di domani. ::E: allora secondario che un tal progetto
sia nella linea dell'evoluzione tecnica, che corrisponda
o meno alle possibilità di oggi. Quel che conta è che un
gran numero di individui affermi, ad un certo momento,
la sua volontà di • rimettere tutto in discussione », che si
formino delle correnti in opposizione alla sclerosi della
epoca. ::E: questa volontà d'aprire nuove vie in tutte le
direzioni comprese le più discoste dal nostro mondo
attuale, quello che conta 2 • Tra le altre definizioni descrittive
dell'architettura fantastica va ricordata quella di
Conrads e Sperlich: Nella storia dell'architettura, esiste
accanto ad una linea artistica ormai affermata e basata
sui ben noti aspetti del funzionale e del razionale, un
secondo filone... quello fantastico. Esso si mostra oggi
nelle sue forme più diverse: nell'architettura del possibile,
una costruzione fatta di insoliti materiali per conseguire
una visione di favola ; nell' architettura - armatura che
mutua spazi interni ed esterni con l'abolizione degli elementi
di chiusura; nelle visioni luminose delle architetture
di vetro o nell'oscurità degli incavi montagnosi. C'è
poi il gioco condotto con forme già date: il labirinto, la
spirale, la sfera, la piramide, abbiamo così le cupole
geodetiche, le cellule spaziali, ed infine le grosse architetture
utopistiche ... 8 •
L'architettura fantastica si distingue e ha senso in quanto
totale opposizione agli schemi culturali correnti. La fenomenologia
dell'architettura utopistica è data proprio dal
vario manifestarsi del suo radicalismo. Le molteplici componenti
di esso, ossia fattori sociologici, linguistici, tecnogici
e mitopoetici risultano intimamente intrecciati. Si pensi
all'incrocio nell'opera di Sant'Elia di elementi tanto rivoluzionari
in politica (libertari e socialisti) quanto in senso
linguistico e tecnologico. Altrettanto è riscontrabile nel movimento
che precede l'avanguardia russa, dove il dato tecnologico
si carica di intenzioni sociali e simboliche.
l
Ma prima di procedere oltre è ·necessario distinguere la
nozione di architettura utopistica da quella di avanguardia.
Senza voler dare una definizione dei due termini basta ricordare
il loro diverso atteggiamento rispetto alla storia. fatto
ormai indubitabile - osserva Renato Poggioli - che il
termine e il concetto d'arte d'avanguardia non risalgono
cronologicamente oltre l'ultimo quarto del secolo scorso;
e che termini e ·concetti d'analogo contenuto o di simile
significato non si ritrovano, neppure in potenza, al di là
della cultura romantica ... •. Notoriamente il fenomeno che
studiamo, viceversa, è databile coi più antichi disegni e
progetti conservati (anche se in questa sede ci occupiamo
degli esempi più recenti). Lo stesso Autore afferma più
avanti che Romanticismo è in gran parte storicismo; e
storicismo significa non solo un allargamento e un approfondimento
della visione storica del mondo, o la capacità di
comprendere le infinite metamorfosi dello Zeitgeist, ma
anche idolatria dello storico, divinizzazione della storia
non solo passata, ma perfino presente o futura 5 • Questi
aspetti dell'avanguardia sono quasi del tutto estranei alla
architettura utopistica che sembra muoversi, se è possibile,
in un tempo astorico e metastorico. L'unica dimensione
del tempo che l'architettura utopistica sembra avere in comune
con l'avanguardia è quella del futuro. Ancora nel
libro di Poggioli si legge: ... il momento futuristico è proprio
a tutte le avanguardie, e non esclusivo al movimento
che assume quel nome: e nel generalizzare la formula
non si commette dunque alcun arbitrio, anche visto e considerato
che Ortega y Gasset e Arnald Toynhee l'hanno
già usata come termine storico e filosofico generico, a designare
tendenze psicologiche eterne, che appartengono a ogni
tipo e a ogni fase della cultura.
Il movimento concreto chiamato con quel nome non fu
16 dunque che sintomo significativo d'uno stato d'animo più
esteso e profondo, che il Futurismo italiano ebbe il gran
merito di fissare e d'esprimere, coniando a propria etichetta
quella felicissima formula• 6 •
Il carattere d'anticipazione, ch'è indubbiamente peculiare
dell'architettura utopistica, non sempre, però, rende
questa un fenomeno che precede l'avanguardia.
Anche se recentemente smentita da Ragghianti, è opinione
diffusa che l'avanguardia architettonica degli ultimi
cento anni abbia fatto seguito ai movimenti della pittura e
scultura. A sua volta l'architettura utopistica molto spesso è
nata nell'ambito di tendenza architettoniche già costituite.
Il momento di maggiore coincidenza fra avanguardia architettonica
e architettura utopistica s'ebbe con l'espressionismo.
Di architettura espressionista è giusto parlare - osserva
Ungers - se ci si limita ai progetti più o meno
visionari e utopistici; e ciò non significa che l'importanza
di tali pure espressioni visive debba essere sottovalutata
nell'evoluzione spirituale dell'architettura, poiché un'eco
di questo mondo ideale sopravvive negli edifici poi costituiti.
Ma lo studio di come si manifesta l'espressionismo
nel campo dell'architettura va fatto unicamente sui progetti
... sorti quando l'espressionismo si era già da tempo
affermato nella pittura, nella musica e nella letteratura.
Una diffusa, comune, tendenza espressionista fiorisce fra
gli architetti solo al termine della prima guerra mondiale,
e per pochi anni (1918-22) 7 • Pur condividendo parzialmente
detta identificazione, è innegabile che, essendo la cultura figurativa
tedesca del primo dopoguerra il punto nodale dell'intero
Movimento Moderno, essa abbia influenzato ogni
filone della stessa architettura utopistica. I cento miti dell'architettura
visionaria, dal '18 ad oggi, possono tutti ricondursi
ai progetti e alle idee dei Taut, Poelzig, Finsterlin
e compagni. Fra questi miti era quello della tecnica, che successivamente
istituzionalizzato e razionalizzato nella tendenza
funzionalistica, influenzerà un altro filone dell'architet- 17
tura utopistica. Per quanto riguarda la dipendenza di questa
dall'avanguardia, se è vero che l'utopismo di Sant'Elia
o di Malevic ha anticipato alcuni aspetti del funzionalismo,
l'architettura visionaria che si basa sul radicalismo tecnologico
deriva a sua volta dal razionalismo architettonico.
Ne è tipico esempio la produzione di Buckminster Fuller.
Nel 1927 egli progettò una specie di macchina per abitare
che chiamò « Dymaxion • ( dinamica più massima efficienza).
Contrariamente alle poetiche espressioni che si
manifestano frequentemente negli edifici degli anni Venti
in Europa, e specialmente nella lirica Villa Savoje di
Le Corbusier del 1929, l'opera di Fuller era una macchina
per abitare non in senso metaforico ma nel vero
significato della parola. La Dymaxion House di Fuller, a
differenza di contemporanei capolavori del Purismo europeo
e dei movimenti affini non era essolutamente un
oggetto di contemplazione estetica, ma andava considerata
come un servizio meccanico in funzione di un predisposto
spazio abitabile 8 • Nella stessa linea di Fuller, ossia quella
di una testuale interpretazione funzionalista, si muove la
gran parte dell'architettura utopistica più recente. Il radicalismo
tecnicistico si è sviluppato costantemente in un
grande arco di tempo, variando forse unicamente per la scala
delle proposte; dagli elementi modulari e dalle cellule
edilizie fino agli interventi urbanistici: la città galleggiante
di Kikutake, la città realizzata con edifici fusiformi di
Fitzgibbon, l'architettura chimica di Katavolos.
Nel capitolo Utopie heute del loro libro, Conrads e
Sperlich osservano che l'utopia d'oggi è più profonda, scettica
senza slanci della fantasia nel suo elevarsi sul mondo
della realtà. Anche oggi vengono formulate immagini architettoniche,
ispirate alle poderose conquiste della tecnica
degli ultimi venti anni, che hanno le caratteristiche dell'utopia;
ma le rischiose imprese dello spirito del 1919
18 non vengono più avvicinate 9 •
Ma non è solo la cultura del razionalismo l'unica
tendenza che precede e condiziona l'architettura utopistica.
Nell'opera di Wright, oltre tutti gli altri noti attributi, non
manca un carattere francamente visionario. Ciò non tanto
nel senso d'emergente anticipazione, comune ad ogni artista
precursore (senso che in questa sede non consideriamo)
quanto per la presenza di un dato fantastico e individualistico
equivalente ad una fenomenologica esigenza di cominciare
ogni volta da capo, sia per gli aspetti sociologici, sia
per quelli espressivi dell'architettura. La costanza di questo
radicale atteggiamento che si incarnava in opere sempre
più insolite ed eterodosse costituiva il motivo di fondo della
sua continuità stilistica. Non a caso le sue ultime realizzazioni,
e pensiamo particolarmente al Guggenheim, sono le
più vicine all'avveniristica poetica dell'architettura visionaria;
non a caso, nelle prime commemorazioni la critica
ha posto l'accento sul lato utopistico dell'opera sua 10•
Un esempio tipico d' architettura utopistica nata dalla
cultura organica è offerto da Paolo Soleri. :E: invidia
inconscia - egli afferma - quella che induce l'uomo alla
distruzioni di ciò che non sa eguagliare.
Di tutti i compiti dell'architettura quello di generare
un ambiente che cooperi con la natura e che sia in armonia
con l'uomo è certamente il più urgente n. I progetti di
Soleri, le sue e case nella terra> del deserto dell'Arizona,
il suo piano di Mesa city, sono l'interpretazione più letterale
e paradossale della poetica naturalistica cui derivano.
Questa città - scrive Peter Blake - non è stata progettata
per essere costruita, e certo niente di simile potrà mai
vedere la luce del giorno, sebbene Paolo Soleri speri un
giorno di realizzare i suoi progetti. Ma, per il momento,
ciò che Soleri sta cercando di comporre con le sue linee
generose su rotoli di centinaia di piedi di carta da macellai
è un manifesto poetico sul tipo di mondo in cui potremmo 19
vivere, se solo scegliessimo di vivere in armonia con la
natura 12•
Le forme urbanistiche e strutturali-edilizie di Soleri si
rifanno evidentemente alle strutture antropomorfiche e muscolari,
riproponendo per questa tendenza dell'architettura
visionaria il legame alla nozione di empatia. Cosicché anche
nell'ambito di progetti per ora irrealizzabili è possibile
estendere la nota distinzione fra astrazione ed einfiihlung
proposta dal W orringer, considerata da molti fondamentale
per la comprensione del Movimento Moderno in architettura
e nelle arti figurative.
Altrettanto organica è la cultura che sostiene i progetti
utopistici del gruppo giapponese Metabolism, anche se la
loro ricerca nasce a differenza di Mesa city da una precisa
e drammatica realtà sociologica, qual è quella della densità
dell' area urbana giapponese e la necessità di ricavare
nuove superfici di espansione urbanistica dal mare, basandosi
sulle più avanzate possibilità della tecnica contemporanea.
La nostra concezione per la città del futuro - scrive Kawazoe
del gruppo M etabolism - deve essere tale da comprendere
in sé il disordine, da ricavare in mezzo ad esso
un nuovo ordine ... Lasciateci nutrire innumerevoli nuove
utopie, lasciate che si facciano proposte senza fine, così
che ognuno possa essere stimolato a un progressivo arricchimento
e chiarificazione... Lo sviluppo della città deve
essere promosso in pieno accordo con il metabolismo della
civiltà e della natura. O, piuttosto, lo sviluppo della città
deve identificarsi e accelerare i precedenti verso una direzione
superiore e più alta 13 •
Da quanto precede risulta che l'architettura fantastica,
con i suoi disegni e modelli, in alcuni casi anticipa l'avanguardia
architettonica, ma molto spesso, come s'è detto, è
la stessa poetica delle avanguardie a produrre lo sfondo
culturale entro cui emerge l'attività dell'architettura uto-
20 pistica. In ogni caso, sia come anticipazione, sia in coinci-
denza, sia come fenomeno derivato l'architettura v1s10naria
si distingue dai movimenti d'avanguardia essenzialmente per
il suo carattere estemistico, paradossale, ipertrofico; per
il suo accantonare e sospendere molte esigenze e limitazioni
reali a vantaggio della unidirezionalità della ricerca, della
esaltazione d'un particolare valore, sia esso espressivo, mitopoietico,
tecnologico o altro. Sono evidenti, accanto al rischio
del disimpegno, dell'evasione, dell'inopportunità anacronistica
- limiti nei quali incorre la maggior parte della
attività che studiano - anche i caratteri sempre vivi ed
attuali di essa.
Ciò che ad una prima considerazione - scrivono Conrads
e Sperlich - può apparire ambiguo e strano, ad un
esame più attento si trasforma in ti estremo •· E ciò è molto
diverso! L'estremo presuppone sempre il caso normale. Solo
l'estremo rende chiari i motivi che nel ti caso normale •
a malapena possiamo distinguere H.
Oltre a ciò, come dicevamo all'inizio, l'architettura fantastica
può offrire non poche indicazioni all'attuale ricerca,
all'indefinita avanguardia contemporanea.
Dal momento che gli architetti dividono con le altre
persone la pienezza del mondo emozionale - osserva Drexler
- non sorprende che l'architettura visionaria corrisponde
generalmente a tre tipi d'immagini da tutti intuitivamente
intese, così come il significato dei miti.
La prima di queste tre categorie include tutte le costruzioni
la cui forma rappresenta una destinazione, una meta
al termine d'un viaggio. Tali edifici di solito derivano o
hanno stretta relazione con l'immagine d'una montagna.
La seconda categoria include costruzioni in qualche modo
correlate all'immagine d'un cammino. Più che una meta
al termine d'un viaggio, esse esaltano il viaggio stesso.
Variazioni di questo tema sono i ponti e altre strutture
sospese o galleggianti ...
La terza categoria comprende gli edifici che non deriva- 21
no né dalla immagine del viaggio, né da quella della meta,
ma da forme che sembrano suggerire i magici oggetti conquistati
dagli eroi della mitologia alla fine delle loro fatiche...
Le forme di queste costruzioni sono spesso tratte
dalla geometria e la moderna tecnologia ne offre in abbondanza.
L'altra principale fonte d'ispirazione di questa
categoria è la varietà delle forme trovate in natura ...
I progetti visionari, come le forme ideali di Platone,
gettano le loro ombre nel reale mondo dell'esperienza, dello
spreco e della frustrazione. Se potessimo accettare quel
che essi hanno da insegnarci potremmo cambiare transitorie
nozioni di stile e irrilevanti realizzazioni tecniche
con un'idea di architettura che accetta la componente emozionale
contenuta anche in questa rigorosissima disciplina.
Visione e realtà potrebbero allora coincidere 15 •
Accettabile o meno la suddetta distinzione in tre categorie
(legittima come introduzione e guida per una mostra che
raccoglieva le esperienze più eterogenee), il brano di Drexler
interessa per l'interpretazione mitopoetica e semantica della
architettura visionaria. Questi ultimi aspetti, nonostante la
tendenza ed il clima demitizzante in cui viviamo, sono, a
nostro avviso, le caratteristiche più attuali dell'architettura
utopistica e le indicazioni fra le più utili per la vera e
propria ricerca architettonica.
Non credo - osserva Argan - che oggi possa stabilirsi
il grado dell'attualità dell'arte dal suo grado di demitizzazione.
Per quanto il mio punto di vista sia laico, ritengo
che il mito sia ineliminabile dall'esistenza umana e che
la maggior novità dell'arte odierna consista, in ultima
analisi, nella surrogazione di miti artificiali ai miti naturali
16 •
La ricerca di un nuovo linguaggio architettonico, una
volta istituzionalizzati o consumati i residui espressivi che la
moderna tecnologia offre, una volta definiti i temi pratici
22 e sociologici da assolvere (anche se da essi possono ancora
derivarsi indicazioni linguistiche) non' può non associare,
fra l'altro, una componente mitopoetica all'immagine architettonica,
non può dissociare dal mito una nuova semanticità.
Mentre quasi ogni cosa sembra tecnologicamente possibile
oggi, il problema di cosa costruire per la nostra società
costituisce il maggior ostacolo, si legge nell'annunzio della
mostra Visionary Architecture dato dalla rivista Progressive
Architecture nell'ottobre 1960.
Immagine, dunque - scrive Dorfles - che • sta al posto
di ,., che viene a sostituire, a simbolizzare, a • mitizzare
", qualche aspetto della nostra situazione esistenziale,
della nostra esperienza giornaliera.
E allora perché discorrere di demitizzazione? Perché
non affermare piuttosto il verificarsi d'un trasferimento
mitologico dal campo dell'arte •pura• [ ... ] a quello dell'arte
(o pseudo-arte) destinata alla diffusione attraverso i
mass-media? L'unica salvezza possibile per l'arte futura
- e, ovviamente, per l'attuale - è nella sua capacità di
ricostruire un suo mito, anzi, meglio di • fissarlo • !
L'architettura utopistica, questo epifenomeno della cultura
architettonica, ove si eccettui l'ovvio limite dell'evasione,
può servire dunque alla ricerca d'avanguardia per le sue
indicazioni sperimentali, mitopoietiche, linguistiche, semantiche,
per il suo carattere di autonomia.
1
A. DREXLER, Introduzione alla mostra Visionary Architecture svoltasi
dal 29 settembre al 4 ottobre 1960 al Mu.seu.m of Modem Art
di New York. All'esposizione, allestita successivamente in altre città
americane, erano presenti opere di Poelzig, Taut, Finsterlin, El Lissitzky,
Kiesler, Le Corbusier, Wright, Fuller, Kahn, Entwistle, Mazet,
Fitzgibbon, Sides, Katavolos, Webb, Soleri, Kikutake, Kurokawa.
Pubblichiamo qui per intero, l'introduzione di Drexler.
«The history of architecture includes many great projects never
intended to be built. There is indeed a «paper» architecture unhampered
by technical details, uncompromised by the whims of patrons,
and freed from the e:rigencies of finance, politics, and custom. Such
visionary projects afford the architect an opportunity to rebuild the
world as he knows it ought to be, and it is the world that the
architect - visionary or otherwise - really wishes to change. 23
Merely to be le m\built does not qualify a pro;ect as visionar·y.
Some pro;ects are more truly described as fantasies. They please
us ;ust because they are superfluous, like the delightful, endless
colonnades drawn by Piranesi, or the animated architectural scu.lptu.res
sketched by Eric Mendelsohn. And sometimes a design is
visionary only in that it announces a devel opm ent already under
way, as did Mies van der Rohe's 1919 study for a glass skyscraper.
The true visionary pro;est 'ILSuaiUy combines a strong persona! prefe-rence
for certain forms with a critical responce to the established
social order. In the past such pro;ects were considered unbuildable
for one or both of two reasons: they may have been technologically
impossible to execute at the time they were designed; or society
could find neither the ;ustification nor the money for their construction.
Today almost anything an architect can think of is technically
possible to bui!d. Social usage, with includes economics, determines
what is visionary and what is not. Here is an instructive
example from the recent past:
When buildings for th.e United Nations we-re in the discussion stage,
the architect Percival Goodman observed that New York City did not
need more sk ys crapers but could make goods use of a park. He
offered two solutions: that all United Nations offices be grouped in
a long low building bordering the East Rive-r and leaving most of
the site unoccupied, with housing and hotel accommodations across
the rive-r accessible by ferry service; or, that offices and assembly
halls be accommodated in a single continuous building only a few
stories high but covering the entire site. Its roof would be planted
to make a park, and four residential and hotel towers for United
Nations pe-rsonnel would rise above it. When the United Nations
buildings were designed Goodman's ideas evidently seemed impractical,
but events have since confirmed the precision and realism o/
his analysis.
Quite often the architec's ideal is practical enough but does not
inspire enthusiasm in others. Some visions strike us as painful 01·
unhappy. Ludwig Hilbe-rseimer's depopulated city, in which millioneyed
buildings stare while furtive automobiles scurry along the bottom
of a chasm, is a vision that confirms Franz Kafkas's worst
fears. Sometimes reality overtakes and indeed supasses such ideas,
as Hilbe-rseimer's vision has been surpassed by New York's housing
projects.
The frequency which su.eh disturbing images occu.r is a clue
to the emotional content of architecture, visionary or otherwise.
Architects usually justify their work by citing practical reasons for
it: economy, climate control, functionalism, the expression of structure
- all manner of rationalizations ( some of them entirely convincing)
may be placed by the architect like a veil between the
world and his priva.te vision. But the fact remains that good architects
build what they want to see. And since architects share with other
people the full complement of emotions, it is not suprising that
visionary architectu.re corresponds gene-rally to three kinds of images
everyone intu.itively understands, much as we understand the meaning
of myths.
The first of these three categories includes ali buildings the forms
of which represent a destination, a goal a.t the end of a ;ourney.
Su.eh buildings usually derive from, or are related to, the image
of a mountain. Logical variations are ca.ve-like interiors; the hollow
mountain and the concealed underground city, difficu.lt of a.ccess,
24 are characteristic visionary themes.
The second categO'Ty includes buildings which in some way ,-elate
to the tmage of a ,-oad. Rather than the goal at the end of a journey,
such building celebrate the journey itself. Variations on the theme
include bridges and other suspended or floating structures. Sometimes
mythical journies taNe place in mid-air, 1U1 they often do in
our dreams, an.d modem technology hCl8 made levitation acceptable
to the con.scious min.d.
The third category comprises those builiding derived neither from
the image of the journey = its goal, but from forms which seem
to suggest the magica! objects heroes of mythology win at the end
of their labors. Such vision.ary a,-chitecture strives to make a building
intricate, precious an.d unrelated to any practical pu,-suit. The
forms of such buildings are often drawn from geometry, an.d modem
techn.ology offers them in abun.dance. The other chief source of
in.spiration within this category is the variety of forms foud in nature;
the study of the p,-ocesses by which life evolves has suggested a world
of convoluted an.d vaguely organic structural forms. But few vision,a,-y
p,-ojects are derived exclusively from either organic or geometrie
form; when vision.ary architecture becomes insistently one or
the other it his left the .,-ealm of play to become a compulsive ·pattern
of Tepetitive activity, in which the « journey» is postponed an.d
the « goal » avoided.
Vision.aTy projects, like Plato's ideal forms, cCl8t theiT shadows into
the Teal world of experience, expense and frustation. If we could
accept what they have to teach we might exchange tran.sient notion.s
of style, an.d irrelevant Tationalization of technique, for an idea of
architecture that accep to the emotion.al content un.derlying even
this most rigorous of disciplines. Vision and Teality might then
coincide.
2
A. PERsITZ, ATchitectures fanwtiques in e L'Architecture d'Aujord'hui
> n. 102 giugno-luglio 1962, dedicato all'architettura fantastica.
• V. CoNlW>S e H. G. SPERLICH, Phantastische A,-chitektur, Hatje,
Stuttgart - nel risvolto della sopraccoperta.
• R. POGGIOU, Teoria dell'aTte d'avanguardia, il Mulino, Bologna,
1962, p. 'l:l.
• R. POGGIOLI, Op. cit. p. 82.
• R. POGGIOLI, Op. cit. p. 84.
1
O. M. UNCERS, Espressionismo e architettura, comunicazione al
Convegno Internazionale di Studi sull' &pressionismo, Firenze, 18/23
maggio 1964.
• J. M. JAcoeus, Jr. voce R. B. Fuller in Encyclopedia of modem
architectuTe, Thames & Hudson, London, 1963, p. 111.
• CoNlW>S e SPERLICH, Op. cit., pp. 25-26.
1
° Cfr. B. ZEVI, Frank Lloyd Wright, Il Trionfo dell'utopista, in
e l' &presso > 19 aprile 1959.
11
Cit. in P. BLAKE, The fanwtic world of Paolo Soleri, in e Architectural
Forum>, febbraio 1961.
12
P. BLACKE, Paolo Soleri's vision.ary city, in e ATchitectural Form >
marzo 1961.
" N. KAWAZOE, The city of futuTe in e Zodiac > n. '9.
" CONRADS e SPERLICH, Op. cit., nel risvolto della sopraccoperta.
,. A. DREXLER, Op. cit.
" C. G. ARGAN, l'informale nella situazione odierna in Demitizzazione
e immagine, Cedam, Padova 1962, p. 106.
11
G. DoRFLEs; Tendenze mitopoitiche e iconoclastiche, in Demitizzazione
e immagine, cit. p. 116.
?.::-
La sociologia dell'arte dei
sociologi
ANTONIO VITIELLO
La cultura italiana ha scoperto la sociologia e nutre per
essa un entusiasmo sospetto, tanto è incontrollato ed
aperto agli equivoci. Per alcuni la sociologia è un genere
letterario ed, insieme, un'occasione per pasticciare sulla pagina
le proprie conoscenze enciclopediche; per altri, invece,
è un modo di porsi in maniera non dilettantesca e culturalmente
avvertita il problema dei rapporti tra arte e
società; tuttavia è da notare che sia gli uni che gli altri
ignorano, o sottovalutano, un dato importante dell'attuale
situazione degli studi. In un altro punto del mondo della
cultura c'è chi comincia a criticare i portatori di istanze
sociologiche, non perché peccano di e sociologismo > ma
perché, in un certo senso, ne difettano. È in gestazione la
sociologia delle arti fatta dai sociologi.
Si sta verificando quanto è già accaduto per altri campi
di applicazione della sociologia, come il diritto o la
educazione. In una prima fase di missione alcuni giuristi
ed alcuni pedagogisti si fecero portatori di determinate
istanze sociologiche, rimanendo comunque nell'ambito delle
loro discipline per quanto riguarda le tecniche di ricerca, di
tipo storiografico e descrittivo, e mutuando volta per volta
dallo storicismo, dal marxismo, dal positivismo o dal pragmatismo
una non troppo elaborata teoria della società, densa
di equivoci e di inflessioni normative. Si ebbe così una
sociologia del diritto fatta dai giuristi ed una sociologia
dell'istruzione fatta dai pedagogisti.
26 La seconda fase, quella attuale, è caratterizzata dagli
intenti puristi di una generazione di sociologi specializzati,
che si impegnano ad applicare concetti e metodi di tipo
sociologico nel campo del diritto e dell'istruzione, lasciando
che i risultati del loro lavoro esprimano da soli la loro
portata sui problemi giuridici e pedagogici.
A nostro avviso questo percorso è esemplare anche per
la sociologia delle arti. In dipendenza dal ritardo e dalla
carenza di interesse scientifico da parte dei sociologi specializzati,
si è sviluppata, infatti, una sociologia e supplente
> che, pur avendo spesso un elevato interesse culturale,
appare assai discutibile se commisurata alle esigenze della
metodologia sociologica propriamente intesa. Quali sono
i tratti che distinguono la sociologia dei e supplenti > da
quella dei e titolari > ?
1. - LA SOCIOLOGIA DEI FILOSOFI.
I rapporti tra la sociologia e la filosofia sociale dell'arte
si prospettano in maniera tutt'altro che pacifica, anche
se bisogna distinguere le estetiche sociologiche descrittive
da quelle normative: le prime, infatti, affermano l'influenza
della società sull'arte o anche dell'arte sulla società,
in quanto è un fatto, una realtà controllata, non stabilita
in anticipo, le seconde, invece, propugnano l'influenza
dell'arte sulla società come un fine, un dover essere,
un rapporto a priori 1 • Orbene, l'estetica normativa è la
più lontana dall'ideale metodologico della nuova sociologia,
non solo perché formula proposizioni che sfuggono troppo
spesso ad ogni possibilità di controllo intersoggettivo, non
solo perché non ha interesse ad istituire o ad incoraggiare
la ricerca sociale autonoma, ma anche e soprattutto perché
la sociologia è scienza d'osservazione ed indaga il rapporto
arte-società in quanto constatabile di fatto e non affermato
o negato prima dell'indagine. La sociologia empirica tiene
separato ciò che è da ciò che dovrebbe essere, il dato 27
induttivamente accertato ed analizzato ed il valore: l' osservabile
è considerato in quanto esistente e non partecipato
in quanto esiste. Per questi motivi la sociologia non
pone precetti all'attività artistica o al giudizio, come fa
ogni estetica normativa, i giudizi sull'opera d'arte in sé
e sulla sua struttura non sono di competenza della sociologia
dell'arte 2 • L'estetica sociologica normativa rappresenta
quindi la più buia e nebulosa preistoria della sociologia delle
arti, modernamente intesa.
Ben diversamente l'estetica descrittiva non solo tiene
meglio separato il fatto ed il valore, l'esistente ed il desiderabile,
non solo non ha in sé elementi di contestazione
verso un lavoro di ricerca sociale autonomo - i cui risultati
non siano aprioristicamente scontati ed i cui presupposti e
metodi siano autocorregibili - ma, addirittura, sembra risolversi,
quasi per interna necessità, in una fenomenologia
del sociale. Ma in tal modo l'estetica descrittiva, nota il
Morpurgo-Tagliabue, rischia di diventare superflua 3 •
Il gruppo delle estetiche descrittive appare, quindi, come
la fase mediana di un processo di scomposizione della filosofia
sociale dell'arte, che la sociologia può portare a termine
e che rappresenta solo un momento della più generale
crisi che investe attualmente l'estetica filosofica.
Un'ultima importante differenza riguarda il diverso
peso che l'analisi concettuale ha nel lavoro dei filosofi,
dove è preminente, ed in quello dei sociologi, dove si riveste
di particolari significati. Nella analisi concettuale
(così
come praticata · da tanta filosofia) i concetti valgono non
già come strumenti per istituire, condurre avanti e controllare
indagini particolari in un campo determinato di
ricerche, ma come realtà ultime che, una volta riconosciute
come tali, forniscono le premesse infallibili di dimostrazioni
necessarie, che non hanno bisogno di essere
messe alla prova dei fatti... Nella migliore delle ipotesi
28 (l'analisi concettuale) non fa che effettuare generalizza.
zioni imperfette, a partire dall'esperienza sociale amorfa
del filosofo che la istituisce o dalle esperienze sociali cristallizzate
nella tradizione di pensiero cui egli appartiene 4 •
Per questi motivi la sociologia delle arti, come specializzazione
della sociologia scientifica, non può sottoscrivere
l'affermazione, spesso ripetuta, che se la filosofia: produce
alcune verità fondamentali concernenti i Tapporti dell'uomo
con altri uomini e degli uomini con l'universo, necessariamente
tali verità devono ritrovarsi alla base stessa
delle scienze umane e, in particolare, nei loro metodi 5 • In
tal modo si può fare solo una sociologia ancillare, i cui
risultati sono determinati in anticipo dalla parte generale
o metafisica di un qualche sistema. La sociologia scientifica
non ha bisogno di ottenere dalla filosofia la sua licenza
d'esercizio.
2. - LA SOCIOLOGIA DEGLI STORICI.
I rapporti tra la sociologia e la storia sociale dell'arte
appaiono a prima vista suscettibili di sviluppi fecondi, più
di quanto non accada per la filosofia dell'arte. Sociologia e
storia sociale dell'arte vanno coltivate senza antagonismi
e polemiche inutili, dal momento che è impossibile la loro
sintesi ed è impossibile la riduzione dell'una all'altra, sia
nel senso che la storiografia, come forma di conoscenza privilegiata
comprenda e inglobi la sociologia, sia nel senso
che quest'ultima, ponendosi come superscienza, chieda alla
storiografia di morire e trasfigurarsi. Senza perpetuare le
improduttive risse intellettuali del passato, le due discipline
devono riconoscere, accanto alle molte simiglianze che le
uniscono, le profonde differenze che le separano.
I settori più avanzati della sociologia contemporanea
non coltivano più il pregiudizio scientistico secondo il quale
il lavoro storiografico si riduce, al più, in una raccolta
di materiali da passare al sociologo perché ne estragga le 29
e leggi >; d'altra parte gli storici più avvertiti affermano
l'autonomia della ricerca storica sulla base degli specifici
problemi di metodo della loro disciplina, e non su quella
di una metafisica storicistica, che sostenga l'identità di
Realtà e Storia, o di una metafisica di tipo nominalistico
che affermi il carattere individuale ed irripetibile dell'oggetto
proprio della storiografia.
La prima autentica distinzione, che bisogna richiamare
alla mente, è quella che si può porre tra il lavoro delle
scienze storiche e quello delle scienze sociali analitiche.
L'obbiettivo delle scienze del primo gruppo è di arrivare
alla comprensione, il più possibile completa, di un complesso
di fenomeni storici concreti o di un fatto singolo.
Questa distinzione è valida indipendentemente dall'essere
il fenomeno storico in questione un oggetto naturale, od
un evento, un individuo umano, un atto o un sistema di
atti, un sistema di rapporti sociali o un tipo di gruppo
sociale. In ciascun caso la spiegazione richiederà implicitamente,
se non esplicitamente, che sia fatto riferimento
alle categorie teoretiche di una o più scienza analitiche ...
Le scienze analitiche mirano invece a sviluppare un sistema
chiuso di teoria ... Il ruolo dello schema di riferimento
pone (allora) un problema: il suo uso richiede una distinzione,
implicita o esplicita tra due classi di dati, quelli
che sono problematici e quelli che non lo sono nei confronti
del corrispondente sistema analitico, cioè rispettivamente
i valori della variabili e quelli delle costanti 6 •
Ad esempio, l'economia politica è una scienza analitica
e per ciò stesso si differenzia dalla storia economica, con la
quale pertanto è in proficui rapporti di scambio: un rapporto
analogo si può stabilire, con vantaggio di ambo le
parti, tra la sociologia e la storia sociale. L'opportunità
di questi scambi è riconosciuta da molti storici, i quali
auspicano un più stretto contatto con le scienze sociali, al
30 fine di esaminare gli strumenti concettuali che esse im-
piegano e le possibilità che tali strumenti possono aprire
alla ricerca storiografica. Generalmente si tratta di autori
favorevoli ad una storia delle istituzioni, dell'economia,
del mutamento sociale, la cui realizzazione comporta
specifiche competenze in una o più scienze sociali 7 •
Ma se si ripercorrono, invece, le opere di storiografia
artistica di ispirazione sociologica, dallo Hauser (Storia
sociale dell'arte, Torino, 1964), allo Antal (La pittura fiorentina
ed il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo
Quattrocento, Torino, 1960), al Meiss (Painting in Florence
and Siena after the Black Death, Princeton, 1951), allo
Evans (Art in Medioeval France 981-1498, London, 1948),
non può non risultarne evidente l'insufficienza, se commisurate
allo stato delle scienze sociali loro contemporanee.
Si può rimproverare, infatti, agli autori citati l'adozione di
schemi esplicativi presi a prestito, il più delle volte, dalla
filosofia della storia e della società, o provenienti da un'informe
ed episodica intuizione personale, anziché dalle contemporanee
teorie sociologiche. Se è accettabile la metafora
secondo la quale la sociologia può fornire allo storico, interessato
a tracciare la fisionomia dei fatti sociali, un'anatomia
ad una fisiologia della società, si potrebbe dire che
gli autori citati si sono serviti di Vesalio e di Fabrizio
d'Acquapendente.
Un simile rilievo è meno valido per Pierre Francaste!
il quale, più di ogni altro, mostra di conoscere la produzione
delle scienze sociali contemporanee. Ma nei volumi del
Francaste! si trovano più spesso citati i Mauss, i Leenhardt,
i Balandier, i Lé vy -Strauss: etnografi ed antropologi culturali
più che sociologi, e la sua scelta ci ·sembra significativa
rispetto ad un particolare ed importante problema.
La storia sociale dell'arte è stata, almeno fino ad oggi,
generalmente ergocentrica 8 , ha gravitato intorno alle opere
d'arte sforzandosi di descriverle, analizzarle e valutarle.
Francaste! stesso ha descritto di recente: Il fine di una so- 31
ciologia dell'arte è ... di descrivere, da una parte, serie di oggetti
figurativi, mostrando come gli elementi di cui sono costituiti
appartengono ad un certo ambito di civiltà e, d'altra
parte, definire le regole di rapporto secondo le quali
le immagini virtuali sono comunicabili da individuo ad
individuo, radici, ad un tempo, di leggi incluse negli oggetti
figurativi, e di leggi dello spirito 9 •
Orbene, Francaste! non avrebbe mai trovato nella letteratura
sociologica contemporanea un sostegno a queste
sue affermazioni, in quanto la sociologia si presenta come
scienza del comportamento, antropocentrica, e non come
scienza degli artefatti, ergocentrica. Nei volumi di etnografia
e di antropologia culturale si trova, invece, l'analisi
del patrimonio ergologico dei popoli studiati, patrimonio che
comprende tra i vari manufatti anche gli e oggetti figurativi
> : su queste esperienze Francaste! ha modellato molte
sue posizioni.
La sociologia del brillante autore francese rimane nell'ambito
della sociologia dei supplenti, proprio per il fatto
di non essere riuscita a spostare il proprio centro di gravitazione
dalle opere ai comportamenti umani, fino al punto
di capovolgere la propria prospettiva: in ciò porta i segni
della formazione professionale del suo cultore, il quale,
d'altra parte, ha optato per una sociologia degli storicisupplenti
affermando che la sociologia è tanto più efficace
quanto più si avvicina ai fatti della storia 10 • Noi diremmo
che, quanto più si avvicina alla storia, tanto più diventa
un inutile doppione, comunque non si giustifica, al Francaste!,
il denominare e sociologia dell'arte> la sua ottima
storiografia.
3. - LA SOCIOLOGIA DEI SOCIOLOGI.
La differenza più vistosa tra i metodi tradizionali di
32 studio delle arti ( e fra questi comprendiamo anche la storia
sociale) e la sociologia empl1'1ca dell'arte sta, come si è già
accennato, nel fatto che mentre i primi sono centrati sulle
opere d'arte, la seconda è centrata sul comportamento artistico,
e non potrebbe essere altrimenti.
Le teorie sociologiche contemporanee sono essenzialmente
schemi per l'analisi del comportamento, quindi una sociologia
delle opere d'arte in quanto tali è impossibile
come una sociologia delle macchine utensili o della natura.
Opere d'arte, torni, alberi appartengono alla vasta classe
degli oggetti, che rappresentano per la teoria sociologica
dei da.ti non problematici, rappresentano delle costanti che
rimangono in zona d'ombra perché, come si è detto, la sociologia
è una scienza analitica che isola solo certe variabili
rilevanti per un dato sistema di teoria.
In una delle maggiori opere teoriche contemporanee 11
gli oggetti, naturali e fatti dall'uomo, sono definiti negativamente
nei termini di quello che non sono, come categorie
residue. Essi non interagiscono con altri agenti sociali, non
costituiscono e non possono costituire gli altri di fronte ad
un soggetto, essi non hanno atteggiamenti ed aspettazioni nei
suoi confronti. In altre parole le opere d'arte costituiscono
dati non problematici per le scienze del comportamento, perché
non sono e non possono essere soggetti attivi, e: attori
sociali >, persone.
Quindi, ogni studio ergocentrico che si presenti come
sociologia meglio si definirebbe, per evitare confusioni, come
storia sociale, filosofia sociale, estetica, semiotica od altro
che non sia sociologia. Lo studio ergocentrico esula per definizione
dall'ambito della scienza della società, i cui postulati
teorici portano ad ignorare le opere, se non in quanto
riflesse in un atteggiamento o implicate in un rapporto di
interazione tra esseri umani; altrimenti esse rimangono
e: fuori campo >.
Quali sono allora le nuove prospettive di ricerca, dal
momento che per lo studio delle opere la sociologia non 33
solo · è male equipaggiata rispetto ai metodi intrinseci di
studio, ma esce addirittura fuori del suo campo?
È stato scritto che l'arte e la società non si fronteggiano,
l'arte è nella società 12 , ed in verità è assai facile
concordare con questa affermazione se si riflette un attimo
su quelle professioni e quelle istituzioni che si interessano
esplicitamente dell'arte. L'elenco potrebbe cominciare dagli
istituti di istruzione artistica per continuare con le professioni
artistiche, dalle più nobili alle fabbrili, fino a comprendere
gli ordini e le associazioni professionali. L'elenco dovrebbe,
inoltre, comprendere i committenti,· i collezionisti, i clienti
occasionali, i mercanti d'arte, i mediatori, gli impresari edili,
i patroni e, ancora, lo stuolo dei critici, dei conoscitori, degli
studiosi a vario titolo di cose d'arte. Non vanno dimenticati,
infine, gli enti espositori, le gallerie d'arte moderna, i premi,
i. concorsi, i musei e tutte quelle istituzioni preposte alla
conservazione, alla tutela ed alla mostra di opere d'arte. Si
tratta quindi, di un vasto insieme nel quale il sociologo può
progettare le sue . ricerche, ponendosi le stesse domande
e cercando le risposte con gli stessi strumenti utilizzati in
altre aree di studio.
Ma, in un campo tanto vasto ed inesplorato, su quali
unità d'indagine è opportuno concentrare le prime energie
disponibili? La sociologia delle arti potrà e decollare > solo
ponendo alla base delle proprie · ipotesi . di lavoro la teoria
sociologica, ed evitando di fa:11e ricerche dipendenti esclu-.
sivamente dalle possibilità tecniche a disposizione. Spesso,
infatti, le tecniche di ricerca (interviste, questionari,
osservazioni dirette, scale,· tests sociometrici ecc.) vengono
presentate come il contributo peculiare del sociologo,
dimenticando che esse sono strumentali rispetto ai
concetti ed alle formulazioni di una teoria. La ricerca non
orientata porta solo alla inconsistente collezione dei dati, ad
una sociografia più o meno statisticomane che non favorisce
34 il progresso della disciplina.
In una strategia della ricerca, a nostro avviso, la priorità
va data allo studio dell'attività di quanti praticano le
arti come professione unica o principale. Studiare l'attività
artistica come professione, significa, in un certo senso, attraversare
in tutta la sua estensione il campo d'indagine·
della sociologia delle arti; significa gettare luce, necessariamente,
su tutti i ruoli complementari, su tutta la complessa
rete di interazioni sociali nel quale l'artista, come
ogni uomo, è quotidianamente impigliato.
Si potrebbe studiare il percorso lavorativo dei professionisti
delle arti cominciando dalla sede della loro formazione,
la scuola, dove operano i meccanismi per l'apprendimento
del ruolo e l'interiorizzazione dei valori della professione.
Quali comportamenti
gli istituti di educazione
artistica pretendono, vietano o permettono agli allievi,
come ne modellano la figura professionale, che tipo di allievi,
a preferenza di altri, essi promuovono e selezionano?
Come funzionano i meccanismi che determinano il successo
professionale degli artisti? Essi coincidono o no con
quelle istituzioni e quei ruoli che hanno il potere di distribuire
ricompense e privazioni, come le giurie, i critici influenti,
le gallerie d'arte moderna? Sono domande alle quali
la sociologia può dare risposte soddisfacenti, sempre che
sia possibile istituire delle ricerche sul campo.
Particolare interesse riveste, dal punto di vista sociologico,
lo studio delle condizioni organizzative nelle quali
si volge l'attività artistica. La professione può essere eserci
tata come lavoro indiviso e personale, artigianale, oppure
come lavoro di gruppo e, quindi, diviso in funzioni · che si
integrano in un risultato collettivo. Non è difficile riconoscere
in queste due condizioni l'artefice in senso stretto ed
il progettista, il pittore davanti alla sua tela ed il designer
nel suo team work. II tipo di divisione del lavoro è collegato
alle poetiche? Incide sulle norme e sui valori che guidano
il comportamento di artefici e_. progettisti? 35
Interessanti contributi, a nostro avviso, la sociologia
può dare nello studio del comportamento artistico innovativo.
La teoria della devianza ci dice che l'innovazione
implica sempre uno scostamento da una linea di condotta
istituzionalizzata, ed espone l'innovatore al rischio ed al
peso della sanzione sociale. In quali condizioni gli artisti
decidono di innovare? Quali sostegni e quali oppos1z1oni
trovano nell'ambiente prossimo che li circonda ed in qual
modo le deviazioni dagli standards accettati si istituzionalizzano
a loro volta? Sotto il profilo formale il meccanismo
della innovazione artistica, probabilmente, non è molto diverso
dal meccanismo dell'innovazione economica, almeno
com'è stato illustrato da Schumpeter, che ha avvicinato esplicitamente
l' imprenditore economico innovatore a quanti
hanno preso decisioni creative nel campo della politica,
della religione o della cultura 18•
Ci siamo posti delle domande senza pretesa di completezza,
solo per indicare alcune linee d'indagine, alcune
prospettive nelle quali la sociologia delle arti può dare
risposte soddisfacenti. Essa ci permette di storicizzare il
presente, di considerare gli artisti nostri contemporanei impegnati
nel mondo, nella quotidianità dalla quale emergono
le loro opere. La sociologia ci permette di fare sul vivente,
con il rigore e l'attendibilità di una metodologia scientifica,
quanto già si sta facendo per il passato con altri mezzi.
È incredibile, ma noi sappiamo di più e meglio sui
rapporti. tra il principe rinascimentale e gli artisti da lui
protetti, di quanto non si sappia sui rapporti che intercorrono
tra i professionisti delle arti e quello che Gramsci
chiamava e il · moderno principe >, il partito politico. Eppure
tutta la problematica dell'engagement è un conflitto
tra ruoli, una tensione tra i valori della professione e la
ideologia politica integralista: un problema eminentemente
sociologico.
36 Grazie a Rosario Assunto conosciamo la critica d'arte
quale veniva praticata nel Medioevo e non solo negli aspetti
verbalizzati, ma anche in quelli comportamentistici 14• In
verità l'Autore, estendendo il concetto di critica, fino a
comprendere non solo il giudizio colto esplicito, ma anche
i giudizi impliciti nella decisione di acquistare, distruggere,
restaurare, rifare determinate opere, è sfociato in un campo
propriamente sociologico, ha illustrato, cioè, i meccanismi
del controllo sociale sulle arti di cui la critica, in senso
stretto, è solo un momento. Quanto sappiamo sul controllo
sociale nell'età nostra? In che modo si verifica e quali strategie
d'indipendenza hanno gli artisti? 15• Non lo sappiamo
e non cercheremo di saperlo fin quando non avremo un
concreto interesse per l'oggi, perché, diversamente, la sociologia
non decolla, essa è scienza del presente. Il presente
è... il momento storico nel quale vivono i contemporanei ...
è quell'arco di tempo, dai confini estremamente mobili,
di cui gli storici di mestiere diffidano di scrivere già la
storia, non solo perché mancano i documenti indispensabili,
ma anche e soprattutto perché avvertono che si tratta di
un processo ancora in pieno svolgimento e del quale essi
stessi sono attori e partecipi 16• Se è vero, tuttavi!:I, che la
sociologia delle arti non ha ancora effettuato il e decollo >,
non si può ignorare che, almeno, ha e acceso i motori >; ma
sono ancora molte le resistenze e le inerzie che deve vincere
17 •
4. - SOCIOLOGI E CENTRI DI DECISIONI CULTURALI.
Nel processo di espansione e di sviluppo di una disciplina
può capitare che le sue divisioni e specializzazioni abbiano
un incremento differenziale, per cui mentre l'una
appare, sotto il profilo teorico e sostantivo, saldamente costituita,
l'altra è cronologicamente sfasata, impedita ancora
da difficoltà spurie, avvilita da complessi, oggettivamente
trascurata. Una simile considerazione vale per la sociologia 37
che ha lasciato incolto ed abbandonato alle erbacce un campo
di studi come quello delle strutture e dei processi sociali
connessi alle arti, mentre in altri campi si assisteva ad un
fierire di ricerche lussureggiante. La bibliografia internazionale
in materia di sociologia delle arti è assai esigua:
per quali motivi la disciplina ha accumulato un così modesto
patrimonio di conoscenze teoriche e di risultanze di
ricerca?
Il sottosviluppo della disciplina va riportato a due ordini
di fattori: interni, quelli imputabili ai sociologi stessi;
esterni, quelli che rimandano alla più vasta società. Fra i
primi ricorderemo che i settori-guida delle scienze sociali
sono piuttosto lontani dai problemi connessi alle arti, cosicché
essi non rientrano generalmente nella formazione
professionale dei sociologi e rimangono estranei agli interessi
istituzionalizzati nella comunità scientifica, cosicché
il loro studio non riceve una consistente promozione accademica.
Fra i fattori esterni ricorderemo che non esiste
ancora una « domanda > sociale da soddisfare, dal momento
che i centri di decisione culturali, che potrebbero essere
interessati al lavoro del sociologo, sono ispirati alla routine
amministrativa e non ai criteri di un management modernamente
inteso, impegnato sul piano della vita civile e su di
essa efficace ed incisivo.
Questo discorso, valido in generale, vale ancor più nel
nostro paese dove i fattori del sottosviluppo della sociologia
delle arti risultano particolarmente enfatizzati. Da una parte,
non esiste ancora una generazione di sociologi professionisti,
e la sociologia non ha ancora sufficienti riconoscimenti
accademici, anche per via degli autorevoli anatemi
neo-idealistici (certamente pertinenti se riferiti a quelle
controfigure della sociologia bambina alle quali furono il
più delle volte indirizzati); e delle ostilità di quei dottrinari
che fanno il viso dell'armi alla e sociologia borghese> o pre-
38 dicano l'Uomo come ineffabile punto mistico sul quale slit-
tano, per ragioni ontologiche, gli strumenti ·dell'analisi sociale.
D'altra parte una domanda sociale non esiste. Fin
quando i musei continueranno a concepire la loro funzione
in termini di deposito delle opere e di edizione di bollettini,
e non la riformuleranno in termini dinamici, riconoscendo
la loro autentica funzione di educatori del gusto, di mediatori
tra artisti e pubblico, di operatori culturali integrati alla
comunità, essi non avranno bisogno delle conoscenze sociologiche
per la formulazione e la strumentazione delle proprie
politiche culturali. Fin quando i professionisti delle arti
si limiteranno a perorare la loro metafisica libertà e non
si impegneranno a conquistare e a difendere la loro terrestre
autonomia dai committenti, dagli impresari edili, dalla
speculazione commerciale, servendosi delle loro associazioni
professionali, queste non supereranno lo stato infantile e non
avranno bisogno delle conoscenze sociologiche. Fin quando
la Pubblica Amministrazione continuerà a gestire il patrimonio
artistico e le istituzioni culturali ed educative se
condo la tradizionale .routine autoconvalidantesi, essa non
avrà bisogno delle conoscenze sociologiche.
Solo quando i policy-makers culturali decideranno di
vivere nella società presente, si renderanno conto del pauroso
vuoto di conoscenze attendibili che ci affligge e chiederanno
a qualcuno di colmarlo. Solo cosl può formarsi
una domanda per l'offerta del sociologo, ma occorre una
radicale modernizzazione dei centri di decisione culturali
che, altrimenti, saranno battuti in partenza dalle organizzazioni
commerciali interessate a ricerche di marketing e
studi sulla motivazione all'acquisto di opere d'arte,
5. - INCIDENZA SULLA CRITICA E SULLE POETICHE.
È stato detto che l'intento della sociologia di studiare
scientificamente la società comporta inevitabilmente delle 39
conseguenze sociali, chiama in causa le istituzioni, direttamente
o indirettamente mette in discussione credenze,
consuetudini e comportamenti tradizionalmente accettati
18 e, ciò, nonostante la sociologia sia scienza d'osservazione
intenzionalmente indifferente ai valori (W ertfrei).
Infatti non si può e non si deve ignorare che la separazione
tra fatti e valori è più facile ad essere affacciata
come esigenza che ad essere realizzata nella ricerca, dal
momento che, diversamente da quanto accade in fisica, la
separazione tra sistema osservato e sistema osservante non
è facile da mantenere e l'oggetto specifico della ricerca del
sociologo, il campo su cui si muove come scienziato è lo
stesso su cui si muove come persona 19 •
Tuttavia l'ufficio del sociologo vuole che le conseguenze
normative deducibili dai suoi studi, conseguenze inevitabili
per il nesso che unisce teoresi e prassi, siano sviluppate
dagli uomini pratici o da lui stesso, in quanto uomo
pratico e non nell'esercizio delle sue funzioni. Per queste
ultime, infatti, egli pretende l'autorità dell'esperto, ma al
di fuori di esse non ha più titoli di altri e, in quanto scienziato,
non può trasformare la sua scienza in dottrina, formulando
precetti per la critica o per l'attività artistica.
Rispetto alla critica che Dewey clùamava e giudiziaria >
gli studi del sociologo stanno in un rapporto analogo a
quello che, nel procedimento giudiziario sussiste tra la perizia
del tecnico e la sentenza del giudice: il giudizio tecnico
e quello giuridico non coincidono, l'uno è irriducibile
all'altro, ed anche se il parere dell'esperto serve a storicizzare
il giudizio, quest'ultimo è orientato in primo luogo
dalle norme del diritto positivo.
A nostro avviso è difficile fare arte o giudicarla senza
una concezione del suo dover essere; tuttavia· in questo la
sociologia dell'arte non c'entra, essa non potrà mai fon-
40 dare una norma estetica, allo stesso modo che la sociologia
della morale non può fondarne una etica e quella della
conoscenza non può proporre un canone o criterio di verità.
Il giudizio sociologico è t<tahnente altro da quello estetico,
ed è insostenibile, quindi, ogni candidatura della sociologia
empirica dell'arte al ruolo infausto di estetica scientifica
o sperimentale che dia un fondamento razionale al
giudizio. La sociologia può incidere sulla valutazione solo
in quanto modifica le conoscenze del critico, solo in quanto
può giovare all'esegesi del significato dei fatti artistici. La
sociologica dell'arte può solo integrare quell' attrezzatura
culturale che C. B. Heyl ritiene indi sp ensabile al critico
per metterlo in grado di comprendere gli oggetti della sua
critica 20•
Se l'influenza della sociologia dell'arte sul giudizio critico
è solo indiretta, lo stesso accade per le poetiche. La
scienza sociale non propugna un dover essere dell'attività
artistica, non obbliga ad un impegno sociale, essa arriva a
cose fatte. Ai pratici delle arti la sociologia può solo fornire
una maggiore autocoscienza della loro posizione e della
loro funzione nella società, ed i vantaggi che il punto di
vista dello spettatore rappresenta per chi è impegnato, come
attore, in determinate situazioni sociali.
Questi sono i limiti della nuova sociologia, libera. ormai
dagli equivoci che si annidavano nella sociologia scientista
e riduzionista, fiorita nell'età d'oro del positivismo, quando
apparve come l'ultima erede delle metafisiche. È proprio
nella consapevolezza dei propri limiti che la nuova sociologia
ritiene di potersi porre come scienza autonoma, dotata di
propri strumenti e di propri criteri di validità, che fornisce
uno specifico contributo alla conoscenza del mondo umano,
senza pretendere di rispondere a tutte le domande, cosa che
non è nelle facoltà limitate della mente umana, ma solo
nei poteri di una mitica superscienza.
ANTONIO VITIELLO 41
42
1
Cfr. G. MoRPURGO-TAGLIABUE, L'ésteti.que contemporaine, Marzorati,
Milan. 1960, pp. 324-325.
• Cfr. A. SILBERMANN, e Arte>, in Sociologia, (a cura di R. Koening),
Enciclopedia Feltrinelli-Fischer, Milano, 1964, p. 29.
• Cfr. G. MoRPURGO-TAGLIABUÉ, L'éstetique contemporaine, cit.,
p. 341.
• Cfr. N. ABBAGNANO, e Filosofia e· sociologia>, in Problemi di
Sociologia, Torino, Taylor, 1959, p. 13.
• Cfr. L. GoLDMANN, Scien-ze umane e filosofia, Milano, Feltrinelli,
1961, p. 5 - Corsivo nel testo.
• Cfr. T. PARSONS, La struttura dall'azione sociale, Bologna, Il
Mulino, 1962, pp. 932-933.
1
Cfr. The Social Sciences in Historical Study. A Report of tlie
Committee on Historiography. Socia! Sciences Research Council, New
York, 1954. Bullettin 64. Il lettore italiano può trovare un dettagliato
resoconto in P. Rossi: « Su alcuni problemi di metodologia della
storiografia>, sta in AA.VV. Il pensiero americano contemporaneo,
filosofia, epistemologia, logica, Milano, F.dizioni di Comunità, 1957, pp.
121-129.
• Cfr. R. WELLEK e A. W ARREN, Teoria della letteratura e metodologia
dello studio letterario, Bologna, Il Mulino, 1956, p. 91
• Cfr. P. F'RANCASTEL, Arte e significazione umana, in e De Homine
>, n 5-6 p. 25. Per una più completa esposizione delle idee del
Francaste! vedi il suo: e Problémes de la sociologie de l'art>, in
Traité de sociologie (a cura di G. Gurvitch), Paris, P.U.F. 1960,
Tome ll.
10
Riferito da G. MoRPURGO-TAGLIABUE, L'estéti.que contemporaine,
cit., p. 349.
11
Cfr. T. PARSONS e E. A. SHII.s, Toward a general theory of
action, New York - Evanston, Harper and Row, 1962.
11
Cfr. F. FEIIRARDTn, Per una sociologia dell'arte, in e De Homine >,
cit. p. 234.
11
Cfr. J. A. SCHUMPETER, La teoria dello sviluppo economico,
Nuova collana degli Economisti, vol. V, e Dinamica economica :o,
Torino UTET, 1932, cap. n, § ili.
" Cfr. R. AssUN'IO, La critica d'arte nel pensiero medioevale,
Milano, Il Saggiatore, 1960.
"Cfr. N. ABBAGNANO, e Arte linguaggio e società> in Possibilità
e libertà, Torino, Taylor, 1956. Vi si troveranno osservazioni assai
pertinenti, proprio dal punto di vista sociologico, sul controllo sociale
e la libertà nell'arte contemporanea.
•• Cfr. G. GAI.Asso, Sociologia e integrazione europea, in e Nord
e Sud>, dicembre 1960, n. 11-12, nuova serie.
11
Fra le ultime cose pubblicate si veda la e Revue Française de
Sociologie>, Avril-Juin, 1964, vol. II, che contiene di D. Schnapper:·
Photographie et peinture, uno studio su di un club di fotografi
dillettanti bolognesi, e di R. Moulin: Un type de collectionneur le
spéculateur, un interessante studio pilota sul collezionismo di speculazione
in Francia, condotto con molto maggior rigore del precedente
e ricco di promesse. Si tratta, infatti, di una ricerca preliminare
ad una vasta inchiesta per sondaggio.
11
Cfr. F. FE!IRAR01TI, La sociologia, Torino, ERI, 1961, p. 34.
1 • Cfr. F. FERRAROTrI, La sociologia, cit., p. 112 .
., Cfr. C. B. HEYL, Nuovi orientamenti di esteti.ca e di critica d'arte,
Milano, Longanesi, 1948, p. 143.
Esperienza della Biennale
È necessario riconoscere che questa XXXII Biennale offre
un'immagine abbastanza fedele della ricerca artistica attuale.
Più esattamente diremo che essa riproduce, pur con
qualche approssimazione difficilmente evitabile, le direzioni
fondamentali e le linee di forza della situazione artistica,
senza mutilare o contrarre eccessivamente la varietà dei
fenomeni entro ingenui schematismi critici né concedendo
troppo agli episodi più noti e clamorosi di questi anni.
La mostra veneziana conferma, grazie anche all'intelligente
iniziativa dell' « Arte di oggi nei musei >, che ad una
ricognizione estensiva il fatto più tipico, per la pittura in
Occidente, alla fine della seconda guerra, è lo sfaldamento,
l'interpenetrarsi delle varie tendenze figurative 1 • L'informale
e le più recenti tendenze artistiche operano in questo
clima, nel quale anche la crudezza di certe riprese e
recuperi tematici delle prime avanguardie si stempera in un
comune atteggiamento vivace e spregiudicato nei metodi
e nelle operazioni di ricerca sino ai limiti dell'indeterminazione.
In rapporto di stretta continuità con l'informale
si pone quella vasta area di indagine che comprende,
tra l'altro, il new dada. La prima impressione è che si
tratti di un fenomeno genericamente classificabile · come
revival e, pertanto, di un ritorno a fatti artistici di lunga
data anteriori all'informale: quasi un sondaggio critico delle
origini stesse dell'avanguardia ed una riscoperta delle possibilità
formali ed espressive in essa implicite. Tra informale
e nuova oggettività - scrive Barilli - c'è sì
differenza di accenti, sfasamento di punti di vista, ma non
vera e propria frattura. Per il resto entrambi i climi si
situano sotto la bandiera dell'esistenziale: può entrare nei
loro interessi solo ciò che esiste, che ha vita precaria e ef 43
fimera, in quanto emanazione a corto o lungo raggio, di
questo nostro mondo, che è l'unico di cui possiamo disporre.
Esistenziale ovviamente, e al più alto grado, la Materia e
la Natura degli informali; ma altrettanto esistenziali le
forme chiuse, le nozioni pulite dei loro più giovani seguaci:
forme e nozioni (bicchieri, divani, automobili, sedie ... ) irrimediabilmente
contingenti e legate a questo nostro mondo,
tutt'altro che ideali 2 • C'è anzi da osservare che più
diretta e genuina è di certo la derivazione dagli informali
dei neo dadaisti, che non quella di certi neo figurativi. Infatti
mentre nei primi il prelievo dell'oggetto si accompagna
ad una violenta rottura degli schemi abituali della
esperienza, ad una energica effrazione dei contesti percettivi
più comuni e convenzionali, operata a tutto vantaggio di
una inquietante riscoperta del modo di essere originario
dell'oggetto (e l'indeterminazione semantica, che deriva all'immagine
da questa sorta di discesa al nucleo originario
dell'esperienza, è anche essa tipica dell'informale), negli
altri permane non di rado l'inautenticità del dato figurativo,
oscillante tra le sponde oramai inaridite dell'espressionismo
e del surrealismo.
&emplare è la posizione di Rauschemberg, quando si
consideri che in lui, specialmente nelle opere anteriori al '63,
l'utilizzazione dell'oggetto non dà luogo ad un processo di
reificazione degli elementi dell'immagine, non segna, cioè,
una caduta per inerzia nel mondo delle cose, ma se mai, una
riduzione di queste alla loro realtà originaria. Il cammino
all'indietro dell'artista non si compie lungo una linea orizzontale,
dal presente al passato, ma, diremmo, in verticale,
nel presente medesimo, sì che il passaggio non è, direttamente,
da cosa a cosa, dalla realtà fenomenica all'immagine
sfocata di essa, recuperata attraverso la memoria, ma una
sorta di epochè al cui termine gli oggetti opachi del presente
ricompaiono con una insospettata evidenza apodittica.
44 E tuttavia la presenzialità dell'immagine, lungi dal degra-
darsi a mera immediatezza sensibile, si costituisce in un
orizzonte temporale dove, dalla ritenzione e dalla protenzione
(per adoperare dei termini husserliani), dalla durata
stessa della percezione, nasce un gioco sottile di vaghe
rimemorazioni e anticipazioni. A nostro avviso è proprio
qui la novità e la superiorità dell'arte di Rauschemberg
rispetto all'esperienza informale: l'aver ridato alla immagine
una dimensione e un ritmo temporali ben più vasti e
complessi di quelli che erano impliciti nella violenza del
gesto o nel grumo materico dell'informale, senza per questo
rinnegare l'autenticità del dato percettivo o introdurre meccanicamente
in esso simboli e segni convenzionali.
Le opere più recenti di Rauschemberg indiziano, nell'uso
quasi sistematico della fotografia, un'esigenza di chiarezza
e di determinazione semantica ma, nello stesso tempo, denunciano
un prevalere dell'intento informativo a danno del
processo di epochizzazione degli elementi dell'immagine. La
notevole carica di suggestione di queste opere ci sembra
troppo immediatamente legata alle reazioni emotive provocate
dal reperto fotografico, sì che nasce quasi il sospetto
di un ricorso alla tecnica antichissima della e mozione degli
affetti >. La continuità materiale della superficie o l'uniformità
di tono che l'artista raggiunge con l'uso di procedimenti
serigrafici conferiscono all'immagine un'unità più
apparente che reale.
Diversa da quella di Rauschemberg è la posizione di
Jaspers Johns, legata ad un pittoricismo tradizionale, nel
quale anche l'inserzione dell'oggetto assume valore di notazione
cromatica. In Johns l'oggetto si libera di ogni significato•
primordiale o aggiunto, per porsi nell'immagine come gradevole
materia pittorica. Non ci pare, perciò, che si possa
parlare di una posizione equivoca presentata dal quadro
bandiera che pone il quesito senza risposta: è una bandiera
o un quadro? 8 • Al contrario qui vien meno anche il carattere
di ambiguità della rappresentazione, la sua dialettica 45
di presenza-assenza, inclinando piuttosto, il temperamento
di Jasper Johns, ad una definizione meramente decorativa
dal fatto visivo. Troppo ingenuo sarebbe pensare che la
tridimensionalità di molte opere di Johns possa costituire
nella sua fisicità una valida difesa contro il pericolo della
pura decorazione, la quale assorbe in sé, invece, con la
stessa facilità, il colore, non di rado persino tonahnente
accordato, e il barattolo o il pennello, inseriti in una struttura
ritmica così forte che ne annulla l'individualità: in
tal modo non fa gran differenza che gli elementi della
composizione siano dei numeri, delle stelle o degli oggetti
prelevati dalla realtà.
Con Jim Dine e Claes Oldt!mburg siamo più propriamente
nell'area della pop art;. della quale sarebbe stato interessante
poter avere, in questa Biennale, una più ampia documentazione
comprendente, perlomeno, Lichtenstein, Warhol,
W esselman e Segal. Rinviando ad altra occasione un esame,
che non sia affrettato e parziale, di questo fenomeno, diremo
brevemente di Chamberlain che è stato da taluni critici associato
a Dine e a Oldemburg.
Il superficiale edonismo che caratterizza il suo atteggiamento
è tanto evidente che meraviglia sentir parlare, a
proposito delle sue opere di espressiva rozzezza o di
una ricerca di nuovi aspetti della bellezza in una zona
volgare dell'esperienza 4 • Chamberlain è veramente un intruso
nella schiera degli artisti del new dada e della pop art;
egli appare piuttosto un epigono della scultura di materia,
anche se questa, invece di farsi bella degli effetti della
•ruggine, si riveste del luccichio delle vernici per automobili.
Non crediamo di esagerare dicendo che l'interesse maggiore
della sezione italiana alla Biennale sta nel fatto di offrire
una testimonianza abbastanza convincente della situazione
artistica di oggi, caratterizzata dalla coesistenza, tutt'altro
46 che antagonistica, di personalità e di tendenze diversamente
orientate per un lieve o brusco variare di prospettiva. Se
è vero che non di rado si tratta di un fenomeno di riecheggiamento
di avvenimenti artistici nati altrove, resta, tuttavia,
in generale la validità o, quanto meno, la utilità
sintomatica dell'insieme delle opere presentate dall'Italia.
Infatti, accanto ad Arnaldo Pomodoro, Ettore Colla, · Dino
Basaldella e molti altri, che propongono con coerenza un
discorso i cui termini culturali sono già sufficientemente
noti, tanto da poter apparire attardati rispetto alle ultime
vicende della vita artistica, c'è una folta schiera di artisti
che si diffonde oltre gli incerti confini della pop art, del
new dada, della neo figurazione e del neo costruttivismo
Ricorderemo Rotella che - come afferma Restany - ci
pone dinnanzi agli occhi la realtà pubblicitaria di oggi
attraverso uno sguardo nuovo di cui si assume la piena
responsabilità, lucido e cosciente delle ripercussioni del
suo atto 5 e Vacchi il quale - come dice Barilli - riscrive
a modo suo la metamorfosi kafkiana, intuisce anch'egli
un corpo umano che è autre rispetto al corpo banale del
senso comune 6 • Rotella e Vacchi, in modi diversi, ripropongono
una medesima esigenza semantica; ricercata dal
primo attraverso l'assunzione diretta di brani di immagini
già dotate di una consistenza e certezza intersoggettiva,
e perseguita dal secondo con una ostinata fiducia nelle
possibilità espressive della figurazione, che è fondamentalmente
fiducia in una facoltà immaginativa che crei e modelli
in proprio la materia della rappresentazione.
Il ricordo della pittura metafisica indizia nelle opere di
Del Pezzo un'elaborazione culturale meno ingenua ed equivoca
di quella che, in un ambito diverso, accmuna alcuni
giovani artisti, nei quali l'uso della fotografia o il riferimento
ad essa e all'immagine pubblicitaria appare troppo direttamente
piegato a soluzioni formalistiche.
Le eleganti costruzioni di Del Pezzo hanno una genesi
tutta mentale e dichiarano apertamente la loro trascendenza 47
rispetto alla realtà comune. Chi conosca le opere precedenti
di Del Pezzo sa che queste esposte alla Biennale non nascono
dal clima o dalla moda del new dada; se mai si voglia
stabilire una derivazione o un'affinità ideale, questa va
ricercata nell'arte della Nevelson per la quale gli elementi
primi devono sempre soggiacere alla sua precisa volontà
compositiva che li annulla e li amalgama non lasciando
a nessuno di essi una vera autonomia 7 •
Le polemiche sull'arte di gruppo, che avevano raggiunto
nel convegno di Verucchio il punto di maggiore intensità,
provocando risentimenti e reazioni non prive di qualche
discutibile eccesso, in occasione della XXXII Biennale, si
sono ridimensionate. È prevalsa nella critica la tendenza,
già da tempo enunziata, al riconoscimento di una situazione
dialettica, nella quale uno dei poli sarebbe costituito
dalle correnti gestaltiche o neo costruttiviste. Ad essa s'è
aggiunto il tentativo di configurare tale polarità come il
rifiorire, da una parte, di esigenze razionalistiche e sperimentali
e, dall'altra, di un'attitudine informativa, quasi reportagistica.
Ciò indubbiamente è derivato dall'energia con
cui la giovane arte americana s'è imposta all'attenzione di
tutti. D'altra parte, una ricognizione più completa dell'arte
gestaltica e una ricognizione più differenziata dei raggruppamenti
e delle personalità avrebbero aiutato ad intendere
la realtà di una situazione generale, caratterizzata da numerosi
elementi di continuità e da sottili e complesse interrelazioni.
Infatti le tele verniciate di E. Castellani più che
accostarsi alle ricerche visuali di Alviani, di Mari e dei
Gruppi padovano e milanese, discendono direttamente dalla
nitida spazialità di Fontana. All'interno del Gruppo T
e del Gruppo N si distinguono per singolarità di accenti e
di inflessioni formali alcune opere, come la e Superficie
magnetica > di Boriani, che per un'ambigua suggestione
organicistica, generata dal faticoso movimento della lima-
48 tura, si apparenta, sul piano della sensibilità e del gusto,
più al gioco sottihnente morboso delle costruzioni del belga
Poi Bury, che non ai meccanismi degli altri Milanesi. Giova
infine rilevare nel panorama dell'arte gestaltica, in realtà
più vario e complesso di quanto non appaia alla Biennale,
l'assenza della Spagna (Equipo 57), della Germania (Gruppo
Zero) e della Francia (Recherche d'art visuel). La Francia
anzi, con i suoi Bissiére, Bro, Dufour e Jpoustéguy, ha
veramente deluso ogni aspettativa, quando si consideri il
silenzio dei responsabili della selezione anche sulle tendenze
del Nouveau Réalisme.
Com'è noto, uno dei punti programmatici della corrente
gestaltica è il lavoro di gruppo. Tale spinta ad unirsi era
generata, all'inizio, dalla tendenza di tutti alla epochizzazione
di quegli aspetti dell'attività artistica e del costume
ad essa legato, ormai usurati e privi di senso; e prima fra
tutti la mitizzazione romantica dell'artista isolato, che agisce
in condizione solipsistica rinunziando quindi, al limite,
ad ogni comunicazione.
A tale condizione veniva a sostituirsi un tipo di relazione
policentrica, il gruppo di lavoro, l'equipe 8 • Era facile
prevedere che su questo punto del programma dei gruppi gestaltici
o, se si preferisce, neo costruttivisti o neo geometrici
si sarebbe concentrata l'attenzione di larga parte della critica;
in quanto la sua discussione consente di eludere, indugiando
nell'intrico teoretico di certe questioni preliminari, .
la responsabilità di un giudizio che tocchi direttamente il
valore dell'attività e dei risultati di quei gruppi. Più opportuna,
fra le tante, appare per questo la posizione assunta
da Gilio Dorfles, quando scrive: la scoperta individuale
è lungi dall'esser rigettata; credo, anzi, che l'individualismo
tipico della nostra epoca culturale in ogni
campo continuerà a dominare, anche nel prossimo futuro
quello pittorico. Che, per contro, ( ... ) la costituzione di
gruppi artistici possa riuscire favorevole all'arte e alla
cultura (,. ,) mi sembra indiscutibile; proprio perché, at- 49
traverso la costituzione di particolari raggruppamenti è
più facile dare la possibilità, anche ad aspetti eterodossi
ed insoliti, di farsi strada senza venir considerati con troppo
sospetto 9 •
Pure, c'è da chiedersi se, indipendentemente da ogni
considerazione sulla consistenza scientifica delle ricerche
dei gruppi gestaltici, l'assunzione dei metodi e delle tecniche
sperimentali della psicologia della forma, tendenti
a rilevare le qualità formali della percezione o, meglio,
la struttura di determinati campi percettivi, offra davvero,
come è stato affermato, una efficace possibilità di intervento
nei processi produttivi, nel senso di una restaurazione
della e: qualità > o del e: valore > nel mondo quantitativo ed
utilitaristico della produzione industriale. È ben vero che
l'indagine gestaltica, superando il determinismo atomistico
delle precedenti teorie associazionistiche della sensazione,
accentua il valore unitario della percezione, la cui organizzazione
formale è appunto segno di un'interazione originaria
della realtà fisica e psichica; ma l'analisi delle qualità,
la ricerca sperimentale delle strutture e delle direzioni dei
campi percettivi rimangono pur sempre al livello di una
descrizione naturalistica dell'oggetto percettivo, incapace,
per se stessa, di aprirsi ad una descrizione propriamente
fenomenologica, di progressiva ed infinita esplicitazione del
senso dell'esperienza.
Il fatto, poi, che le correnti gestaltiche abbiano come
oggetto specifico della propria ricerca il tipo di morfologia
e di organizzazione formale che non in astratto, ma nel
momento storico presente, caratterizza il comportamento
percettivo e costruttivo 10 , se conferisce qualche concretezza
alle intenzioni programmatiche, non può tuttavia, per la
povertà e l'angustia dell'orizzonte teoretico e ideologico
in cui si muovono, che tradursi nell'affermazione di una
razionalità astrattamente formale. Ricondurre l'intenziona-
50 lità costruttiva al principio di ogni fare, fino a quella
prima presa di contatto col mondo che è la percezione,
significa rimettere la forma o il valore estetico al primo
posto nella scala dei valori, a livello dei concetti astratti;,
e fare l'analisi del procedimento costruttivo, rivelandone in
precisi termini formali tutti i passaggi significa affermare
la necessità e dare l'esempio della chiarezza e fermezza
dell'intenzionalità che apre e accompagna (o dovrebbe) lo
svolgimento ciclico dell'operazione umana, dall'ideazione e
progettazione al consumo ... 11• E ciò proprio perché, seb'
bene si affermi che l'accento assiologico consiste evidentemente
nel chiarire, di questi processi, non tanto la struttura
o il ritmo a priori, quanto l'intenzionalità 12 , la corrente
gestaltica non opera un sufficiente approfondimento
del concetto di intenzionalità, che possa distinguere questo
da quello di struttura o forma percettiva.
Allo stato attuale il limite maggiore dell'arte gestaltica
sta proprio nella contraddizione tra la volontà di operare
un'integrazione estetica nella produzione industriale e l'incapacità
di dare in qualche modo un senso e un'intenzionalità
effettiva alla proposta di intervento. La necessità di
superare questa contraddizione è tanto più emergente in
quanto la corrente gestaltica, diversamente dal disegno industriale,
non vuole avere come fine immediato delle sue operazioni
una utilizzazione funzionale degli oggetti prodotti.
Infatti, come osserva Calvesi, le strutture di Mari potrebbero
trovare applicazione e sviluppo sulla facciata di
un grattacielo come in una pianificazione urbanistica, ma
non si riferiscono a nulla di tutto ciò, e insistono soltanto
su una sperimentazione di possibilità visuali, al livello di
una elementare organizzazione percettiva 13 •
Questo problema è stato acutamente avvertito da Menna,
anche se l'enunciazione sembra accennare ad un ritorno
ambiguo sul concetto di forma: Le nuove ricerche sperimentali
non possono più a lungo trascurare l'apporto
assai complesso delle premonizioni e aspettazioni indivi- 51
duali che entrano a far parte di ogni nostro atto percettivo
e quindi non possono non integrare i dati forniti dalla
psicologia della forma con quelli, forse anche più complessi
e intricati, forniti dalle correnti transazioniste 14•
È perlomeno dubitabile che le correnti gestaltiche, a
mezza strada tra un empirismo svuotato di efficacia per
l'assenza di un metodo e di un fine sufficientemente definiti
e un'attitudine formalistica, svolta con debole rigore
costruttivo, siano capaci di orientare in una prospettiva
significante il mondo della esperienza; rispetto al quale i
modelli gestaltici, pur se abilmente manipolati e apparecchiati,
appaiono fondamentalmente privi di capacità illuminante.
Le opere del Gruppo T o del Gruppo N, di Mari
o di Alviani possono interessare come momenti di un'indagine
che, saggiando le quali strutturali di alcune forme
ottiche, acquista talvolta una tenue eleganza di svolgimenti
(l'eleganza, quasi, di alcuni procedimenti matematici). Non
si può tuttavia negare che, mentre esse non sono neppure
sfiorate dalla ritornante banalità di certa neo figurazione,
non riescono poi ad evitare l'ovvietà ed i luoghi comuni
di una ragione scientifica degradata ad apparenza matematizzante.
Il riferimento stesso alla psicologia della forma,
in queste opere, che sfuggono da ogni definito contesto
concettuale (le poetiche e le dichiarazioni programmatiche,
per quanto le si analizzi, non offrono un criterio abbastanza
sicuro ed univoco di interpretazione), appare più che svolto
nella sua realtà di ricerca scientifica, ridotto ad arbitraria
e generica analogia di schemi.
Il riferimento particolarmente interessante alla psicologia
transazionistica può essere accompagnato e reso più
pregnante da quello alla fenomenologia· della percezione
non tanto attraverso le analisi di Sartre o di Merleau
Ponty, quanto attraverso quelle, a nostro avviso teoricamente
ben altrimenti fondanti, di Husserl, donde emerge la
52 continuità tra il momento percettivo dell'esperienza e quello
simbolico e concettuale. Inoltre il richiamo ad Husserl (e
soprattutto all'Husserl della Crisi), quò offrire una prospettiva,
sia pure in senso problematico, che sembra mancare
all'attuale ricerca sperimentale.
La verità scientifica obiettiva è esclusivamente una
constatazione di ciò che il mondo, sia il mondo psichico
sia il mondo spirituale, di fatto è. Ma in realtà, il mondo
e l'esistenza umana possono avere un senso se le scienze
ammettono come valido e come vero soltanto ciò che è
obiettivamente constatabile, se la storia non ha altro da
insegnare se non che tutte le forme del mondo spirituale,
tutti i legami rli vita, gli ideali, le norme che volta per
volta hanno fornito una direzione agli uomini, si formano
e poi si dissolvono come onde fuggenti, che così
è sempre stato e sempre sarà, che la ragione è destinata
a trasformarsi sempre di nuovo in · non-senso, gli atti
provvidi in flagelli? Possiamo accontentarci di ciò, possiamo
vivere in questo mondo in cui il divenire storico
non è altro che una catena incessante di slanci illusori e
di amare delusioni ? 15•
1 C. BRANDI, Burri, Editalia. Roma, 1963, p. 7.
0
R. BARILLI, Dall'assemblage allo spazio prospettico, in e Il Verri>,
n. 12.
• A. R. SALOMON, Catalogo della partecipazione U.S.A. alla XXXII
Biennale.
' Ibidem
• Catalogo della XXXII Biennale di Venezia, p. 109.
• Ibidem, p. 121.
• G. DoRFLES, Lou.ise Nevelson, in e Letteratura> n. 58-59.
• Arte e Libertà (Dichiarazione presentata al Convegno di Verucchio
da E. Mari, dal Gruppo N e dal Gruppo T) in e Il Verri> n. 12.
0
G. DORFLES, Inchieste sulle problematiche di gruppo, in e Arteoggi
>, n. 17, settembre 1963.
10
G. C. ARGAN, Forma e formazione, ne e Il Messaggero> del
10/9/63.
11
Ibidem
" G. C. ARGAN, La ricerca gestaltica, ne e Il Messagero > del
24/8/63.
13
Catalogo della XXXII Biennale di Venezia, p. 138.
" F. MENNA, in Sperimentale p., quaderno 1964, e il Bilico>, Galleria
d'Arte.
16
E. HussERL, La crisi della scienze europee, Il Saggiatore, Milano,
1961, p. 36. 53
Tecnologia e poetiche con
temporanee
Tutte le implicazioni estetiche e sociologiche connesse al
rapporto arte-tecnica se da un lato affermano la pluralità
e l'incrociarsi· degli interessi culturali contemporanei, dall'altro
avvertono contro le velleitarie panoramiche totali
e le formule spiegatutto. Considerando noti gli aspetti alienanti
e massificanti della moderna tecnologia, strumento
della civiltà capitalistica fondata· sul consumo, intendiamo
raccogliere alcuni assunti critici sul tema tecnica-arti figurative
con l'intenzione di riferire il discorso, fin dove è
possibile, ad un ambito assai prossimo all'esperienza della
arte attuale. Pertanto senza negare il legame fra la tecnica
dell'arte e il più vasto orizzonte contemporaneo, ma
nell'evidente presenza di un diverso comportamento tecnicoideologico
delle varie tendenze di fronte ad esso, studieremo
il problema arte-tecnica dal punto di vista delle poetiche
più recenti .
. La parola tecnica è qui intesa nel senso di sistema operativo,
estendibile al dominio dell'arte, ove si escluda la distinzione
idealistica fra tecnica interna e tecnica esterna. Come
osserva Banfi, commentando Fiedler, L'artista è sì il centro
di una crisi dell'esperienza comune, ma questa ha la sua
risoluzione e trasfigurazione artistica solo nelle forme di
una sensibilità espressiva secondo la natura e le leggi di
questa.
Da ciò deriva la fondamentale importanza che il Fiedler
attribuisce alla tecnica, d'accordo del resto in ciò con
tutti gli artisti, e non come semplice lavoro, mestiere
guidato dall'intelletto, ma come creazione operante. • La
genialità, l'individualità artistica si manifesta proprio in
54 ciò che la gente chiama tecnica. I veri artisti vedono nella
cosiddetta tecnica dell'arte il mezzo non estrinsecamente apprendibile
per strappare alla natura i suoi sempre nuovi
segreti »; essa è la vera attività creatrice a cui risponde
simpaticamente la condizione obbiettiva della creazione
stessa, la materia dell'arte, che è per l'artista non solo
pregnante di forme, ma ad esse dischiudentesi per una
propria interna legge di concezione 1 •
Nel nostro caso com'è ovvio non si tratta cli considerare
espressioni artistiche individuali, ma orientamenti di gruppi,
né di verificare il comportamento cli questi rispetto alla
natura, ma in relazione ad un mondo costruito artificialmente,
già dato, autonomo ed in espansione.
Terremo presente, prima cli passare alle principali manifestazioni
delle tecniche artistiche più recenti, il fenomeno
dell'informale.
L'informale, è lo stesso termine ad indicarlo, vuol dire
opposto ad ogni intento di formazione programmata, e comprende
quelle forme di astrattismo dove non solo manchi
ogni volontà ed ogni tentativo di figurazione, ma inanchi
anche ogni volontà segnica e semantica 2 • Per il carattere
d'opposizione di questa tendenza verso la gran parte degli
aspetti della moderna civiltà industriale vale, tra le numerosissime,
la testimonianza di Antonio Tapies: Viviamo in
un mondo sommerso dalla tecnica, soffocato dai conforts.
Viviamo continuamente distratti dimenticando le nostre
più elementari radici e perfino i nostri istinti. Ciò che ci
circonda è artificiale e per molti aspetti falso. Continuiamo
a trascinarci dietro assurde superstizioni, inutili atavismi,
che ci alienano e ci rendono schiavi.
Ricordare all'uomo ciò che egli è in realtà, dargli un
tema di meditazione, provocargli uno choc che lo strappi
dalla frenesia dell'inautentico e gli permetta di scoprire
se stesso e di riacquistare coscienza delle sue possibilità
reali è il fine a cui tende la mia opera. E non in dispregio
della tecnica, bensì nello sforzo di superarne quella con- 55
dizione di dipendenza materiale e spirituale in cui essa
ci tiene 8 •
Ancora sulla tecnica dell'informale e del significato
ideologico di questa tendenza è stato affermato: Che la
tecnica della pittura informale sia
una tecnica tradizionale,
malgrado le apparenze, è provato dal fatto che
la materia, quando pure non sia la solita pasta colorata,
è ancora disposta o deposta sul supporto come il colore
sulla tela ( e ciò vale anche per gli oggetti degli assemblages)
e il gesto, anche se portato al parossismo, è ancora
il gesto del pittore - occidentale o orientale, non importa
- che traccia segni, dipinge. Nello stesso saggio Argan
osserva: La sola soluzione possibile della crisi dell'arte
contemporanea, nell'ambito della situazione generale della
società, è la soluzione dell'antitesi Informale-design: cioè il
superamento del meccanismo tecnico e, quindi, dell'astrattezza
di immagine del design attraverso l'esperienza esistenziale
dell'Informale, o nel risolversi delle due opposte
polarità astratte sul piano concreto della vita 4 •
Ma queste illuminanti distinzioni, assai indicative per la
situazione degli anni Cinquanta risultano superate dalle
più recenti esperienze artistiche. Se un interesse, infatti, è
riscontrabile nell'insieme delle poetiche post-informali, è
quello della pluralità delle tendenze, e dell'incrociarsi delle
loro tecniche ed intenzioni.
Se per il periodo precedente poteva' ancora dirsi (sul
rapporto fra arte e società, nel nostro caso fra tecniche artistiche
e tecnologia generale) : La ricerca di una relazione
analogica è propria delle correnti che si chiamano costruttiviste;
la ricerca di una relazione per contraddizione è
proprio delle correnti che si chiamano informali 5 ; attual•
mente non è così netta la differenza fra relazione analogica
e relazione per contraddizione, perché non è più possibile
includere in una condizione dualistica il dibattito con-
56 temporaneo.
Accantonando ogni polarità - utile in senso didattico e
per altre considerazioni ( che svolgiamo del resto in questa
stessa rivista) - riteniamo che per quanto concerne il
rapporto arte-tecnica, il discorso debba riferirsi alla più
complessa realtà delle poetiche visive attuali.
Il passaggio dell'Informale al new-dada americano è mediato
da quella ch'è stata definita la e Junk culture>, fenomeno
che dal punto di vista tecnologico-sociale conferisce
un peculiare significato alla n,uova corrente americana rispetto
al dada storico.
Nei nostri sforzi d'indurre i pensieri dell'uomo a vibrare
con le cose, noi attualmente ci soffermiamo perplessi
di fronte al trauma di una situazione nuova, in cui le strade
sono ingombre di vuote lattine di birra, e tanto hanno
prodotto coloro che ci precedettero, e tanto hanno gettato
via, che ora la natura comincia a rigurgitare il tutto.
[...] i sentieri della mitologia americana, gli sconfinati,
mai calpestati sentieri che furono invito agli avventurosi
vagabondaggi di Whitmann, e insieme di Lawrence e di
Franlc Lloyd Wright, hanno ceduto il posto alla Freeway,
l'apoteosi della velocità predeterminata e lugubre, gigantesca
meraviglia di una mentalità settoriale, condizionata in
modo esclusivo dalla legislazione e dalla tecnica ingegneresca.
[...] ci troviamo di fronte alla necessità di trarre il
massimo possibile da un ammasso di rifiuti. Quindi non
ci rimane altra via d'uscita che costruire in mezzo ad essi,
e su di essi, e con essi. Non è nostro desiderio. spazzarli
via, quanto piu.ttosto estrarre un significato dallo strano
loro connubio con il destino 6 •
Pertanto il dadaismo fornisce una tecnica ad una ricerca
figurativa che assume un senso proprio in quanto è capace
di esprimere o di formare nella condizione della moderna
civiltà tecnologica, fondata sul consumo.
Les ready-made - scrive Restany - deviennent les 57
archétypes de la • junk culture•, de la civilisation de
l'industrie et du terrain vague. La nature américaine est
découverte sous son vrai jour. Ainsi sout apparues les
premières • combine-paintings • de Rauschenberg ( qui sont
des collages d'objets dans un contexte pictural expressionniste),
les drapeau.x, les chiffres et les cibles de Jasper
Johns, les sculptures d'assemblage métalliques de Stankiewicz
et de Chamberlain.
En ayant recours à l'objet usuel comme élément expressif
en soi ces • néo-dadaistes • traduisent bien un sens
nouveau de la nature contemporaine, qui est urbaine, industrielle,
publicitaire 1 •
Riconosciuto il rapporto fra il neodadaismo e la contemporanea
realtà tecnologica, resta da definire se esso
si effettua in linea analogica o in opposizione. Intanto,
com' è stato esservato : La singolarità di un simile gesto
(la tecnica neodadaista) postula infatti un mondo anteriore
alla coscienza dell' uomo come ad ogni suo atto, il
quale non ha alcun bisogno di venire costituito, bensì di
essere semplicemente accolto, dal momento che si presenta
chiuso e come irrigidito entro una propria ed inquietante
autonomia. [ ... ] E vale a dire il senso di essere
chiamati oggi ad agire in un mondo già di per sé posto,
autosufficiente, il quale precede di un buon tratto la
consapevolezza e il movimento dell'uomo, così che l'unico
problema ancora aperto sembra consistere nella capacità
di cui ci si può riconoscere tuttora in possesso di attingere
un simile mondo esterno, di assumerlo, o almeno di entrare
in rapporto con esso... Di fronte ad un mondo • imposseduto
•, il lavoro che si deve intraprendere non concerne
tanto l'interpretazione, la ricerca di significati,
quanto prima di tutto la conoscenza, il possesso, l'assunzione
8 • Se tale atteggiamento è attribuibile al new-dada (e
secondo l'Autore citato condiziona la maggioranza delle ri-
58 cerche attuali) questa tendenza supera il problema dell'ade-
sione o dell'opposizione alla civiltà tecnologica, almeno nei
termini ch'esso ci poneva col binomio informale-costruttivismo.
Quel che conta dell'atteggiamento suddetto è l'ammissione
d'una realtà indipendente dalla vita dell'arte; e una
indicazione non generica ma diretta specificamente alla cultura
artistica: il tentativo di assumere un mondo imposseduto.
In tal senso il discorso ci sembra più realistico e circonstanziato,
rivolgendosi alla pratica e alla riflessione artistica,
di quanto non sia quello che mira ad integrare una
tecnicità dell'arte e un'artistictà della tecnica, precetto che
nel suo formulismo filosofico, in realtà non si rivolge a nessuno.
Un atteggiamento analogo al new-dada nei confronti
della civiltà meccanica è riscontrabile nel nouveau realisme
francese, corrente che tende ad includere diversi orientamenti
e tecniche operative aventi in comune la tematica
dell'oggetto seriale.
Il neo-dadaismo francese, sostanzialmente estraneo alla
problematica di un'arte • di reportage •, si distingue infatti
per una più cruda e testuale assunzione dell'oggetto.
[ ... ] Non c'è problema di concezione o mutazione tra immagine
e oggetto. Fatalmente questo duro • realismo • deve
rimandare, per arricchirsi e colorirsi esteticamente,
a qualcosa di altro da sé, ad un'aggiunta magica, cioè ad
un sur-realismo 9 •
Con la pop-art il rapporto con la civiltà tecnologica dei
consumi sembra farsi ancora più preciso, tal che si parla
di « oggettivismo " sociologico " della pop-art >. Secondo
Crispolti questa tendenza rappresenta l'opposto di quello
che prevaleva nella grande mostra newyorkese del '61
The art of assemblage, dove la nuova corrente trova i suoi
precedenti e il suo annunzio.
[ ... ] allora il senso di sfacelo, l'emblematizzazione del
• rifiuto • come immagine di una desinenza inevitabile,
della morte atomica; psicosi della • bomba •, per eccel- 59
lenza, insomma; ora invece la gioia, quasi, per la scoperta
di un ampio e tipico repertorio, non solo oggetto dei mass
media - e perciò garanzia di discorso oggettivo -, ma
anche tipicamente locale, creato in una dimensione di caratteristico
semplicismo inventivo pragmatico assolutamente
nordamericano sullo standard appunto della cultura
popolare 10•
Il rapporto della pop-art con la moderna tecnologia
si esplicita nella misura della minore espressività di questa
tendenza rispetto a quella neodadaista; rinuncia espressiva
per l'adozione di simboli e stilemi precostituiti. Se
il new dada raccoglie una realtà preesistente in senso
frammentario per ricostruirla nel contesto di opere ancora
animate da intenti espressivi o addirittura espressionistici,
la pop art raccoglie o ripete forme e stilemi del consumo
e della comunicazione di massa nella loro totale integrità.
Like Andy Warhol and James Rosenquist, Lichtenstein
ha& chosen the ugliest and most ubiquitous kind of commerciai
imagery - comic strips, soapbox diagrams, cheap
advertising illustrations - as a source f or his ref ormatory
art. In p'4ce of the aesthetic idealism of recent abstrat
painting, he substitutes the most vulgar realism of a mass
culture' s clsual environment. The abstract expressionist' s
veneration of personal brushstroke and private emotion
is now opposed b y a machine-produced style derived from
an industrial, public domain 11•
Tuttavia l'adesione alla civiltà dell'oggetto seriale non è
così passiva come sembra, esistendo nella pop art una componente
di ambigua ironia. Naturalmente - osserva - c'è
nel termine un'ironia implicita verso quel che si intende
di solito per arte popolare. Si può star sicuri che tutto il
disprezzo del pubblico accompagna i prodotti della Pop Art,
additati come risultati ultimi di uno sperimentalismo che
gira a vuoto, che medita fughe esotiche, attentati alla tran-
60 quillità dell'uomo comune. Nessuna comprensione per il
fatto che la Pop Art vuol essere al contrario un riscatto
integrale della scena moderna, una vasta operazione conoscitiva
sull'ambiente che ci circonda, condotta con sguardo
ora sartrianamente nauseato, ora candidamente puerile,
ora ironico e divertito.
:t questo comunque l'indirizzo che fa più radicale professione
di recupero delle reazioni banali e quotidiane che
ci circondano. Più che un caotico ed arido assemblage, vale
qui la tecnica dell'ingrandimento di oggetti rifatti con la
cura meticolosa del trompe-l'oeil 12 •
Esiste ancora un'interpretazione della pop-art che attribuisce
un'intenzione sociologica - a nostro avviso troppo
sottile se si considera la grossolanità vitalistica di questa
corrente - per cui l'impegno di quegli artisti consisterebbe
nello spingere fino al limite di rottura la odierna condizione
alienante, proprio esaltandone in modo ipertrofico le forme
ed i termini.
L'artista Pop ... giunge così alla conclusione che è meglio
andare sino al fondo• dell'esperienza della massificazione,
dell'anonimato, della passiva oggettività; andarci, lui artista,
assieme a tutta la società della quale è parte, toccare
il confine dell'assurdo, lasciare che le cose si demistifichino
da sé a forza di rendersi insopportabili; e magari,
essere complici di un'accelerazione del processo, di
un suo aggravamento: tanto peggio, tanto meglio 18•
Particolarmente diffusa in Italia è la corrente della cosiddetta
nuova figurazione. Essa opera con intenti narrativi,·
servendosi di materiali stralciati ed estratti dalla cronaca
di quotidiani e rotocalchi, di ingrandimenti fotografici, mescolandoli
a parti disegnate e dipinte in maniera tradizionale.
Tale accostamento non è casuale ma voluto e l'angolazione
ottica diviene inedita dal momento che gli elementi del discorso
vengono messi in relazione secondo un montaggio
all'antitesi di quello ricorrente, ispirato cioè ad una specie
di distorta oniricità. Si pensi all'opera di Vacchi, Recalcati, 61
Romagnoni, Pozzati ecc. Si tratta certo di un'analisi che non
sottace i suoi propositi sociologici; tuttavia, dato l'accento
individuale dell'atteggiamento non è possibile - almeno in
questa sede - definire un unitario orientamento di questo
gruppo nei confronti della tecnologia generale.
Nella pluralità delle tendenze contemporanee e nella
particolare corrente esaltante la presenza dell'oggetto, occupa
un posto a sé ciò che Barilli definisce l'assemblage squisito:
Abbiamo visto fin qui l'aspetto plebeo, whitmaniano
della civiltà dell'oggetto; (...) prevalenza insomma di un
criterio quantitativo che sacrifica la qualità delle singole
presenze a un effetto d'insieme.
Ma gli oggetti si possono apprezzare per ragioni opposte
alla loro • democratività •; ovvero alla loro capacità di
prestarsi a una utenza; si possono apprezzare perché rari,
preziosi, esotici, perché chiusi in una particolare perfezione
e pregnanza di significato. Nasce allora il gusto del
collezionismo, dall'assemblage • squisito •, ove il termine, al
solito, è da prendere alla lettera; cernita severa, volta ad
associare gli oggetti secondo sottili e segrete corrispondenze
e non già a farli apparire con l'unico intento di testimoniare
la purezza e la ricchezza della scena contemporanea.
Questo collezionismo, questo assembla g e squisito conduce
le sue pacate operazioni in luoghi che ovviamente
suggeriranno un'idea di rinchiuso, di privato, di protetto;
saranno allora gli • interni •, e soprattutto i mobili, gli
armadi, le credenze, le mensole i..
Quest'ultimo settore della grande corrente oggettuale
contemporanea è quello, a nostro avviso, più prossimo alle
tendenze neocostruttive. Riferendoci all'opera della Nevelson,
esiste anzitutto una intenzione di scelta qualitativa;
un criterio di collezione e comporre con materiali omogenei,
fatti a macchina, che tuttavia non negano un gusto
artigianale; l'esigenza di collocare tali oggetti in un reticolo
62 geometrico; quella infine di dare a queste composizioni
una dimensione oggettuale, a tutto tondo, assai pm prossima
ai prototipi dell'industriai design che alla pittura o alla
scultura. La tecnica di questo tipo d'a.ssemblage, quest'atto
che è al tempo stesso di raccolta omogenea e di conformazione,
implica un atteggiamento diverso da quello neodadaista
e indica la difficoltà di suddividere l'intera fenomenologia
dell'arte attuale in tendenze neo-costruttive e tendenze
di reportage. Se un quadro di Rauschenberg può assumersi
come una pagina di giornale, le composizioni della Nevelson
sono delle organizzazioni da assumersi con un processo di
tipo gestaltico.
Il rapporto arte-tecnica è al centro della tendenza
gestaltica. Com'è noto, essa eredita dalla tradizione del costruttivismo
il proposito di un inserimento nella produzione
industriale per modificarne in senso quantitativo la illimitata
espansione e, tramite questa, penetrare nell'intera sfera sociale.
Ma in che cosa si distingue questa tendenza nella condizione
attuale dai suoi precedenti razionalisti?
Queste ricerche - avverte Argan - vengono chiamate
da molti neo-geometriche o neo-costruttive, ma è un errore
perché al loro principio non c'è il postulato del valore ontologico
o metafisico della forma geometrica come forma
spaziale ci priori e categoria della coscienza, chiave logica
dell'universo. Muovono invece, queste correnti, dallo studio
dei processi psicologici e, più precisamente, dai risultati
della psicologia della Gestalt .••
Non si può dire che la corrente • gesaltica • sia tecnicismo
puro, anche se traduce o fenomenizza operativamente i
processi mentali di organizzazione formale, riproducendone
lo sviluppo cinetico. Il suo accento assiologico consiste evidentemente
nel chiarire, di questi processi, non tanto la
struttura o il ritmo ci priori quanto l'intenzionalità ...
Se, tuttavia, il • realismo d'oggetto • colpisce la produzione
industriale al termine del consumo e la corrente • ge- 63
64
staltica • al principio della progettazione, bisogna riconoscere
che la manovra a tenaglia dell'arte si sviluppa per ora
solo gli estremi dell'arco produttivo della società di oggi.
L'arte assiste alla nascita e alla morte, non partecipa della
vita funzionale o dell'esistenza sociale dell'oggetto. La società
moderna insomma, esclude l'arte dalle fasi adulte della
propria esistenza 111•
Per riassumere, senza la pretesa di offrire nuove
aperture, dai soliti termini considerati in questa indagine
- il rapporto arte-tecnica secondo le poetiche figurative
attuali - possiamo rilevare i seguenti punti :
L'intera fenomenologia dell'arte d'oggi non può ridursi,
anche dal solo aspetto considerato, ad un dualismo accettazione-rifiuto
della condizione presente; non vi sono soltanto
tendenze costruttive e tendenze di reportage; avanguardie
razionaliste ed avanguardie viscerali.
Inoltre si può affermare che dalla visuale sin qui seguita
hanno maggiore incidenza sociologica e non mancanza di
senso quelle correnti inclusive del maggior numero di
aspetti e problemi reali.
Dalla constatazione dell'esistenza di un mondo in espansione
ed autosufficiente rispetto alla vita dell'arte, nasce
il legame di tutte le correnti post-informali: una tendenza
eteronoma, differenziata solo nei modi di incidere sulla
realtà e nel grado di tale eteronomia.
Il desiderio d'assumere il mondo contemporaneo nella
sua totalità non significa ovviamente disponibilità assoluta,
per cui l'atteggiamento inclusivo suddetto non prescinde
dalle scelte etico-sociali e quindi ideologiche.
Se questa spinta ideologica - scrive Argan - può essere
e di fatto è la sola forza che possa produrre un progresso
tecnico • totale •, e cioè un progresso che sia evoluzione
e sviluppo di tutta la società, è chiaro che l'arte, se voglia
partecipare di quel generale processo, deve combinare la
componente ideologica alla componente tecnica (...). E
conclude affermando che: la doppia polarità dialettica
dell'arte contemporanea non è, come spesso si dice, l'antitesi
fra astrattismo e realismo: è invece l'antitesi (ch'è
la stessa che dà alla situazione contemporanea il suo
aspetto drammatico) di tecnologia e ideologia 16•
D'altra parte la componente ideologica non va intesa in
senso politico, o almeno totalmente politico, bensì come
presa di coscienza che consente la conquista di una realtà
fruitiva di più vasto respiro in opposizione alla tecnica
alienante, a quella tecnica intenzionata soltanto di una
crescita su se stessa.
L'ideologia - avverte Ponente - non può essere a binario
unico, non può consistere in uno schema imposto a
priori e dato come norma. Ideologia e volontà d'azione
politica non sono necessariamente la stessa cosa, tanto più
che sappiamo per esperienza come la volontà di azione
politica possa essere usata per costituire un alibi all'incapacità
dell'operare artistico 17•
In relazione ad una più problematica ideologia e per i
rapporti considerati, la tecnica dell'arte contemporanea
può in definitiva identificarsi con quel modo di formare
come impegno sulla realtà di cui parla Eco.
L'artista che protesta sulle forme - egli osserva - ha
compiuto una duplice operazione: ha rifiutato un sistema
di forme, e tuttavia non lo ha annullato nel suo rifiuto,
ma ha agito al di dentro di esso ( ... ). Quindi di nuovo egli
si è compromesso, col mondo in cui vive, parlando un
linguaggio che egli artista crede di avere inventato ma
che invece gli è suggerito dalla situazione in cui si tro
va; e tuttavia questa era la sola scelta che gli rimaneva,
poiché una delle tendenze negative della situazione in
cui si trova è proprio quella di ignorare che la crisi esiste
e tentare continuamente di ridefinirla secondo quei moduli
d'ordine dalla consunzione dei quali la crisi è nata.
Se l'artista cercasse di dominare il disordine della situa- 65
zione presente rifacendosi ai modelli compromessi con
la situazione entrata in crisi, in tal caso egli sarebbe
veramente un mistificatore. Infatti, nel momento stesso
in cui parlasse della situazione presente, darebbe a credere
che al di fuori di questa esiste una situazione ideale,
dalla quale egli può giudicare la situazione reale; e consoliderebbe
la fiducia in un mondo dell'ordine espresso
da un linguaggio ordinato 18•
Tuttavia, ideale o altro, la stessa esigenza d'una situazione
diversa e l'intenzione di operare diversamente dimostrano
la possibilità di modifiche e di recuperi, la spinta innegabile
in questo equilibrio del disordine a rimettere tutto
in discussione, tanto il male quanto la terapia.
66
1
A. BANFI, Filosofia dell'arte, Editori Riuniti, Roma 1962, p. 283.
• G. DoRFLES, Ultime tendenze nel!'arte d'oggi, Feltrinelli, Milano,
p. 53.
• A. TAPn:s, Catalogo della mostra personale del giugno.luglio 1963
alla Galleria IM ERKER di San Gallo.
• G. C. ARcAN, L'Informale nella situazione odierna, in Salvezza e
cadv.ta dell'arte moderna, Il Saggiatore, Milano 1964, pp. 92-95.
• G. C. ARcAN, n rapporto arte-società nella condizione storica attuale,
in e De Homine 11, nn. 5-6, p. 105.
• D. LYNDON, Filologia dell'architettura americana, in e Casabella 11
n. 281.
7
P. REsTANY, Le raz de marée réali&te av..:r U.SA., in e Dominus •
n. 399.
• A. BoA'ITO, La presenza dell'oggetto, in e Il Verri II n. 12.
• M. CALVESI, Ricognizione e reportage, in e Collage II n. 1 (7) 1963.
' 0 E. CRISPOL'I'I, Tredici pittori americani di oggi, in e Aspetti dell'arte
contemporanea 11 (catalogo della mostra de l'Aquila 1963)) ed.
dell'Ateneo, Roma, p. 134-135.
u R. RosENBLUM, Roy Lichtenstein and the Realvt Revolt, e Metro 11
n. 8.
u R. BIJULLI, Dall'c assemblage II allo spazio prospettico, in e Il
Verri II n. 12.
11 A. DEL GUERCIO, La Pop Art passa ma i problemi rimangono, in
e Rinascita II dell'll-7-1964.
" R. BIJULLI, Op. cit.
11 G. C. ARcAN, La ricerca gestaltica, in e Il Messaggero II del
24-8-1963.
1 • G. C. ARcAN, n rapporto arte-società nella condizione storica
attuale, cit.
11
N. PoNENTE, Ideologica e pseudo-ideologica, in e Collage II n. 2
(8) 1964.
11 U. Eco, Del modo di formare come impegno sv.lla realtà, in
e Il Menabò II n. 5.
Nouveau roman e arti figu
rative
La relazione del nouveau roman con l'avanguardia figurativa,
frequentemente riproposta, sollecita il tentativo di verificare
la legittimità di tale ipotesi e di definire i termini
di questa convergenza.
Il primo legame è, notoriamente, l'intenzione visiva del
nuovo linguaggio letterario, la sua tendenza alla figurazione.
Noi constatiamo - afferma Robbe-Grillet - di giorno in
giorno la ripugnanza crescente dei più consapevoli davanti
· alla parola a carattere viscerale, analogica e incantatoria.
Mentre l'aggettivo ottico, descrittivo, quello che si contenta
di misurare, di situare, di limare, di definire, mostra
probabilmente il cammino difficile di una nuova arte
del romanzo 1 • Dal canto suo, alla domanda sul rapporto
fra letteratura e pittura, Butor risponde: Lea peintres
m'emeignent à voi,-, à lire, à compoaer, don.e à écrire,
cì dispoaer dea Bigne, dana une page 2 • E descrivendo, altrove,
una esperienza di lavoro svolta in collaborazione
con un gruppo di pittori, dichiara: Dana ka livrea que j'ai
faits avec dea peintres l'initiative est toujoura venue des
peintre,, ce aont dea image, que j' ai illuatrée, par dea
poèmea, ce ne aont paa dea poèmes qui ont été illuatréa
par des imagea s.
Prima di procedere ad un confronto diretto fra il
nouveau roman e le tendenze figurative più attuali, è necessario
accennare agli assunti più caratteristici della poetica
letteraria che studiamo.
Se c'è la possibilità di identificare una linea comune nei
narratori del nouveau roman, essa può ritrovarsi nel desiderio
di scientificità delle loro costruzioni narrative, nell'ambizione
ad un'arte logicamente rigorosa, che rifiuti le 67
formule evasive proposte dal romanticismo, per cui il narrare
può divenire di fatto strumento di riconoscimento
della realtà, forma della forma, e forma stessa del mondo >.
Nata da un'esigenza di rigore intellettualistico, l'école du
TegaTd trova diverse soluzioni nei suoi teorici maggiori:
Michel Butor, Nathalie Sarraute, Alain Robbe-Grillet, nuovamente
accomunabili nella paTs destTuens della loro poetica,
come nello sforzo d'esprimere una concezione della
realtà, che identifichi il mondo come presenza, sì da determinare
i veri limiti della tragedia individuale, nel rapporto
anonimo io-altro, io-realtà imposseduta.
Il Nou:veu roman sta al romanzo come la pittura astratta
sta all'arte figurativa ... I volti, le forme umane sono sparite
dai quadri, aprendo la via, nel mondo del romanzo, ai
personaggi privi di identità. Essi si muovono quasi come
specchio in cui è riflesso l'universo materiale che li circonda,
al contrario del naturalismo, che utilizzava gli oggetti
come se questi riflettessero gli stati d'animo dell'uomo.
Ci si è accorti che questo effetto ottico era dovuto
alla nostra sensibilità. Allo stesso modo che l'assurdità o
il significato del mondo non era che un riflesso del
nostro • io •· In realtà, il mondo si accontenta di esistere •.
Così scrive Gèrard Mourgue sollecitato in questa linea di
interpretazione dai canoni della nuova tendenza: l'impersonalità
dei personaggi; l'interscambiabilità delle situazioni,
dei comportamenti, delle immagini; la presenza degli
oggetti sottratti ai significati convenzionali; e in definitiva
l'assoluta libertà della ricerca e la funzione demistificatoria,
rivelatrice dell'arte per cui un'analogia tra ricerca artistica
e scientifica cessa di essere una formula di comodo per
diventare il segno d'un metodo d'apprensione, o meglio di
assunzione obiettiva della realtà.
Tutta l'avanguardia contemporanea nasce in larga misura
da un medesimo disagio: la scoperta di un mondo estra-
68 neo all'arte, di una realtà imposseduta, una realtà che il
vecchio naturalismo riteneva di riportare ad una nozione
domestica e familiare, di controllare e d'interpretare con
canoni pseudo-umanistici.
Ora il mondo - scrive Robbe-Grillet - non è né significativo
né assurdo, esso semplicemente è. Questo, in
tutti i casi, è ciò che esso ha di più notevole. E a un tratto
questa evidenza ci colpisce con una forza contro la quale
non possiamo più niente. D'un sol colpo, tutta la bella
costruzione crolla: aprendo gli occhi all'improvviso, abbiamo
provato, una volta di troppo, lo choc di quella realtà
testarda di cui facevamo finta di essere venuti a capo.
Attorno a noi, sfidando la muta dei nostri aggettivi animistici
o sistematori, la cose sono là. La loro superficie
è netta e liscia, intatta, ma senza ambigui splendori e
trasparenze 5 •
All'artista spetta, pertanto, il compito di registrare la
nuova realtà, assumendo questa funzione demistificatrice come
sua propria. Tale funzione, è stato osservato, avverrà naturalmente
attraverso una sorta di epoché, di sospensione
del giudizio, fenomenologicamente concepita come superamento
di ogni dato codificato, precostituito ed inautentico.
Questo sforzo liberatorio si tradurrà naturalmente in un
linguaggio che, com'è noto, tende al visivo, al descrittivo,
all'oggettuale. Lo sguardo - scrive Robbe-Grillet - appare
subito in questa prospettiva come il senso privilegiato, e
particolarmente lo sguardo applicato ai contorni (più che ai
colori, ai luccichii, o alle trasparenze). La descrizione ottica
è in effetti quella che opera più agevolmente la fissazione
delle distanze: lo sguardo, se vuole restare semplice sguardo,
lascia le cose al loro posto rispettivo 8 •
Attraverso l'oggetto si realizza per Robbe-Grillet l'originaria
ambizione alla descrizione pura, alla registrazione
dell'accrescimento, una volta constata l'impossibilità da parte
dell'artista di spiegare il mondo, di offrirne in ogni caso
una proposta d'interpretazione. 69
Le e cose > sono l'altro da sé nella loro forma più evidenziata:
l'uomo, e per lui l'artista, non può che tentarne
la conoscenza e l'assunzione; formulare in termini non ambigui
una esperienza della realtà ricondotta alla sua radice,
alla e presenza >, istantanea e immediata, verifica hic et
nu.nc · attraverso le inquietanti forme delle cose. Le e cose >
sono interscambiabili; esse non hanno nessun significato di
per se stesse· fuori del loro aspetto; qualsiasi sistema di
riferimento che tenti di attribuire un significato che vada
oltre la loro presenza è arbitrario e mistificante. È una
posizione teorica che trova la sua fedele trascrizione in
termine di romanzo ne La gelosia; si vedano le ossessionanti
sequenze per cui la stessa situazione è descritta più
volte, da angolazioni minute e ripetute degli oggetti, dei
personaggi, dei volti decomposti e analizzati nelle loro
espressioni da un occhio spietato e attento. Impegnato in
una sorta di « assemblage > narrativo lo scrittore adopera
come naturali termini di riferimento del suo discorso gli
oggetti, quelli che Butor chiama les os des temps.
Nella contemporanea ricerca figurativa, la stessa tecnica
dello e assemblage >, costituendo un ulteriore sforzo di
strappare nozioni e forme degli oggetti dai contesti abituali
e accostarli a un tratto ad altre nozioni e forme solitamente
distanti, verrebbe a riproporre il problema dell'intercambiabilità
delle cose, dei personaggi, delle situazioni plurime
e polivalenti a un tempo, nel tentativo di demistificare una
realtà che attraverso l'oggetto istituzionalizzato si presenta
falsamente significante. Come osserva Boatto: Spogliati gli
uni e gli altri di ogni attributo, retrocessi alla loro condizione
di fenomeno, di cosa che• è là•, per impiegare una
frase esemplare nella sua ellittica perentorietà di Robbe
Grillet, ad un identico livello di base, una sorta di • grado
zero •, vengono ad allinearsi sia le figure che gli oggetti,
70 le immagini e le non immagini 7 •
Il legame tra la poetica letteraria che studiano e l'avanguardia
figurativa nell'accostarsi all'autonomo e chiuso
mondo esterno viene così ribadito dallo stesso Autore: Se
consideriamo infine che questa connessione mondana· non
sta dietro al new dada e al nouveau réalisme, ma ,in
forme più o meno determinanti condiziona la maggioranza
delle ricerche attuali e degli orientamenti, si arriva a misurare
assieme alla forza l'ampiezza della sua incidenza,
fino al punto da potersene legittimamente servire come di
uno strumento di base per sondare in diverse direzioni
la problematica odierna 8 •
Tuttavia l'accostamento del nouveau roman alle tendenze
figurative definibili per la loro tecnica di e assemblage >
ha un suo limite. Ciò che dà maggiore senso alla pittura d'oggetto
è la carica vitalistica, democratica, popolare, la testimonianza
d'un'attiva partecipazione ad un mondo caotico e meccanico,
di cui si accetta il giuoco e con cui, attraverso l'ironia
o la simpatia, si tenta di stabilire un rapporto. Molte
di queste intenzioni mancano al nouvea roman che notoriamente
si muove in senso più selettivo e distaccato di fronte
alla realtà oggettuale. Questa realtà - scrive la Sarraute -
appartiene al giornalista, è appannaggio del documento e
del reportage. Non è il terreno sul quale tende lo sforzo
creatore del romanziere. Per lui la realtà è l'ignoto, è
l'invisibile, è qualcosa che non può essere espresso in
forme già utilizzate e conosciute e che esige la creazione
di nuovi modi di espressione, di nuove forme 0 • In definitiva
la posizione di questa corrente letteraria può dirsi
meno disponibile all'eterenomia che è, viceversa, caratteristica
peculiare della pittura d'oggi. Inoltre, com'è noto,
la gran parte dell'arte figurativa di e assemblage >, ereditando
la tradizione espressionistica ed informale, costituisce
ancora la linea e viscerale> dell'avanguardia. Il nouveau
roman, al contrario, sembra più avvicinabile alla linea e ra- 71
zionalista >. Linea che, peculiare proprio alle arti figurative,
riconferma la tendenza visiva della nuova corrente
letteraria.
La linea • razionalista •, o della stilizzazione. riduttiva
e matematico-geometrizzante, - scrive Italo Calvino - ha
segnato una relativa vittoria nell'essere riuscita a imporre
il gusto dei suoi designers e dei suoi architetti all'interno
del mondo industriale, ma l'ha pagata con l'indebolimento
della sua forza critica e combattiva ...
A ben vedere, anche la linea razionalista dell'avanguardia,
geometrizzante e riduttiva, nella sua esperienza letteraria
più recente ed estrema, quella di Robbe-Grillet, ripiega
verso un'interiorizzazione, e lo fa proprio col suo massimo
· sforzo di spersonalizzazione oggettiva: il processo di mimesi
delle forme del mondo tecnico-produttivo si fa interiore,
diventa sguardo, modo di mettersi in rapporto con
la realtà esterna 10•
L'ipotesi « razionalista > per il nouveau roman non è
priva di fondamento; Robbe-Grillet nutre un'opposizione al
« tragico > che risale, non importa qui per quali vie, fino a
·Mondrian.
La tragedia - scrive il narratore francese - può essere
qui definita come un tentativo di recupero della distanza
tra l'uomo e le cose, in quanto nuovo valore: sarebbe insomma
una prova, in cui la vittoria .consisterebbe nell'esser
vinto ...
Registrare la distanza tra oggetto e me, e le distanze
proprie dell' oggetto ( le sue distanze esteriori,
vale a dire le sue misure), e le distanze degli oggetti fra
di loro, e insistere ancora sul fatto che sono solamente
delle distanze (e non delle lacerazioni), tutto ciò significa
stabilire che le cose sono là e che non sono nient'altro
che delle cose, ciascuna limitata a se stessa. Il problema
non è più di scegliere tra un accordo felice e una solida-
72 rietà infelice. C'è ormai rifiuto di ogni complicità.
[ •.. ] Un interrogativo permane: è possibile sfuggire
alla tragedia ?
[ .•. ] Io assicuro che che questa infelicità è situata nello
spazio e nel tempo, come ogni infelicità, come ogni cosa
di questo mondo. Assicuro che l'uomo, un giorno, se ne libererà
11• Analogamente, Mondrian, di cui non ignoriamo la diversa
(in molti punti opposta) posizione ideologica, affermava
sullo stesso tema del tragico: L'equilibrio tra l'individuo
e l'universale crea il tragico e s'esprime in plastica tragica.
In quel che è, sia forma, sia corporeità, predomina
il naturale ed è questo che crea il tragico. Il tragico della
vita mena al creare tragico: l'arte, perché astratta ed in
opposizione con il naturale concreto, può precedere la
sparizione graduale del tragico. Più decresce il tragico e
più l'arte acquista purezza 12•
Ricordiamo che per Mondrian il naturale equivale all'insieme
dei dogmi, delle tradizioni, delle prerogative dell'individuo.
Il confronto con la posizione di Robbe-Grillet diventa
più palese quando Mondrian afferma: Il lirismo
patetico è l'espressione artistica del tragico. Tenta di riconciliare
l'uomo con la natura, di neutralizzare lo squilibrio
esistenziale tra queste due polarità. E veramente riveste
la vita tragica di una sconosciuta bellezza. Ma crea
tuttavia una bellezza fittizia: una illusione. Donde sarà
soppresso dalla supenealtà dell'avvenire 18 •
Ma anche se inseribile nella linea e razionalistica> dell'avanguardia,
l'école du. regard si differenzia dalle poetiche
figurative che fanno capo a questa corrente.
Lo stesso Robbe-Grillet avverte i limiti d'un'arte funzionale:
In luogo di questo universo dei • significati • (psicologici,
sociali, funzionali) occorrerebbe dunque tentare
di costruire un mondo più solido, più immediato. Conviene
che oggetti e gesti si impongano in primo luogo per la
loro presenza, e che questa presenza continui in seguito a
dominare, al di sopra di ogni teoria esplicativa che tenti 73
di rinchiuderli in un qualche sistema di riferimento sentimentale,
sociologico, freudiano, metafisico, o altro 14•
Si ripropone ancora di fronte alle tendenze neo-costruttive
la stessa divergenza che il nouveau roman presentava
rispetto all'arte figurativa d'assemblage: l'intolleranza verso
ogni forma d'implicazione eteronoma che viceversa sembra
accomunare tutte le correnti figurative attuali.
Conviene dunque ora, - scrive Robbe-Grillet - una
volta per tutte, cessare di prendere sul serio le accuse di
.gratuità, cessare di temere l'arte-per-l'arte come il peggiore
dei mali 111•
E più recentemente rivendicando una totale autonomia
di ricerca ha affermato: Il romanzo, per noi, non può essere
che una ricerca, e una ricerca che non sa nemmeno quello
che cerca... lo scrittore, per definizione, non sa dove va.
E, se dovessi assolutamente rispondere alla domanda:
• Perché scrivete • ? risponderei soltanto: scrivo per cercare
di capire perché ho voglia di scrivere• 10•
Cosicché, mentre la gran parte della poetica robbe-grillettiana
si giustifica come lotta per l'autonomia dell'arte (polemica
che in altri settori artistici ha già una sua tradizione),
nelle arti figurative, dopo l'autarchia incomunicabile
dell'informale, si tende a stabilire, in senso inclusivo, un
rapporto, quale che sia, con la realtà, attraverso la testimonianza,
il reportage, il racconto figurativo, l'impegno
tecnologico-costruttivo ecc. Pertanto si può affermare, in
definitiva, che il legame tra i due termini del nostro tema
è dato dall'andare del romanzo verso la pittura per quanto
concerne l'intenzione visiva: mentre la divergenza è dovuta
al programma d'indipendenza dell'uno contro la volontà
eteronoma dell'altra.
Ancora, se l'analogia si riscontra sul piano gnoseologico,
il divario si afferma per la questione dell' engagement.
Una convergenza può nuovamente riaffermarsi, interpre-
74 tando l'aseità e il disimpegno di Robbe-Grillet oltre i limiti
testuali delle sue affermazioni. Come scrive Barilli: quando
egli (R. G.) si batte contro allegorismi e spettri metafisici
e sbavature psicologiche, per una conoscenza netta, mondana,
materialistica, riesce difficile sostenere che lo faccia
appunto per un'arte proiettata verso la nullificazione di
sé per troppa gelosa tutela dei propri complessi giurisdizionali.
Pare indubbiamente più giusto affermare che in
quel momento l'autore si sta battendo per l'istituzione di
una cultura, di una visione del mondo non esclusivamente
contenuta nell'ambito dell'arte, ma al contrario di gran
lunga esorbitante, così da costituire la base di molte altre
parallele o convergenti edificazioni ... 17 •
Pur condividendo questo giudizio, riteniamo che, per il
dibattito attuale, la poetica del nouveau. roman e l'opera teorica
in particolare di Robbe-Grillet vadano più utihnente
assunti nel loro significato letterale, per quanto hanno di
più esplicitamente polemico ed estremistico, considerandoli
in tal modo, per quanto è possibile, dei precisi punti di riferimento.
' A. RoBBE-GRILLET, Una via. per il romanzo futuro, Rusconi e Paolazzi,
Milano 1961, p. 42.
• M. BUTOR, Répons a e Tel quel> in Répertoire Il, Les éditions
de Minuit, Paris 1964, p. 296.
• M. BuTOR, Pour moi, l'important c'est de devenir contemporain,
in e Les lettres françaises >, 9 - 7 - 1964.
' In Almanacco letterario Bompiani 1959, Le punte dell'avangaurdia
in Francia, Le Nouveau Roman, p. 263.
• A. RoBBE-GRILLET, Op. eit. p. 37.
• A. RoBBE-GRILLET, Natura, Umanesimo, tragedia., in Op. cit. p. 88.
' A. BoArro, La presenza dell' ogg etto, e Il Verri> n. 12.
• Ibidem
• N. SARRAUTE, Le due realtà, e L'Europa letteraria> n. 22/23/24.
' 0 I. CALVINO, La sfida al labirinto. e Il menabò > 5.
11
A. RoBBE-GRILLET, Op. cit. pp. 72-90.
"' P. MoNDRJA."i, cit. in O. MoRisANI, L'astrattismo di Piet Mondrian,
Neri Pozza, Venezia 1956, p. 49.
,. P. MONDRIAN, L'arte realistica e l'arte super-realista, in Op. cit.
p. 126.
" A. ROBBE-GRILLET, Op. cit., p. 39.
11 A. RoBBE-GRILLET, L'enga g ement dello scrittore e il realismo socia.lista,
in Op. cit. p. 137.
1 • A. ROBBE-GRILLET, in e L' Europa letteraria > n. 22/23/24.
17 R. BARILLI, introduzione al voi. Una via. per il romanzo futuro
cit. p. 27-28 75
Il Gaudì di Pane
Il libro sull'opera fil Gaudì è il primo significativo contributo
di Pane alla storiografia dell'architettura moderna.
Non che la più recente produzione costruttiva fosse fuori
dai suoi interessi, ma essa rientrava più nella nota azione
polemica e moralistica, in cui Pane è da tempo impegnato,
che nella sua attività di storico. Questa diversa considerazione
dell' architettura moderna rispetto a quella del
passato va, però, attribuita a motivi contingenti, quali
la possibilità di intervento, l' attività didattica, la denunzia
del danno al patrimonio artistico e naturale, piuttosto
che ad una mancata visione unitaria e metodologica fra storia
passata e presente; unità di cui, viceversa, Pane è convinto
assertore. Possiamo e dobbiamo attenderci, dallo storico
dell'architettura - egli afferma nell'introduzione al volume
- la testimonianza di un'attitudine al più ampio
accoglimento di diverse concezioni e tendenze figurative;
è quindi legittimo, e direi auspicabile, che lo storico sia
tentato di misurarsi anche con quei valori espressivi che
gli si presentano come opposti ad ogni sua precedente
76 esperienza.
Come si vede, a parte l'unità metodologica che non viene
posta in discussione, l'Autore rivendica anche, e legittimamente,
la coesistenza non solo teorica ma di concrete esperienze,
anche se figurativamente opposte, quali sono i suoi
studi più recenti: la monografia di Palladio e l'incontro
con Gaudì. Uso i termini esperienza e incontro con precisa
intenzione perché la vasta raccolta di materiale, spesso
inedito, l'impegno filologico, la stessa visuale critica che
informa il libro sono subordinate ad una diretta e franca
esperienza visiva. Questo incontro ispirato alla più disinteressata
fruizione estetica è documentato da quelle immagini
fotografiche, il cui consenso è il riconoscimento più
gradito a Pane, è la chiave per intendere il suo libro, che
ha come principale caratteristica quella di essere l'opposto
di un'opera da tavolino. Cosicché la totale attitudine visiva,
l'aver concentrato l'intero interesse nell'immagine architettonica,
l'essere i problemi del linguaggio al centro del
ripercorso processo creativo sono gli aspetti più vivi . ed
attuali del libro di Pane.
Il saggio si annunzia come proposito di una lettura analitica
delle opere di Gaudì; lettura che, considerando generalmente
trasfigurato nelle singole fabbriche l'intero orizzonte
culturale del periodo esaminato, tende a mostrare lo sviluppo
dell'attività gaudiana come un autonomo processo espressivo.
Ciò non impedisce all'Autore di riconoscere le influenze
subite da Gaudì nel periodo della formazione ed in particolare
quella della tradizione mu.dé;ar, a cui si ispirano la
casa Vicens, la villa El capricho e i padiglioni della finca
Gtiell - e quella dell'opera di Viollet-le-Duc, argomenti
ai quali sono dedicati due appositi capitoli. Alla visione
autonoma, sia pure giustificata dai motivi polemici che vedremo,
sono, a mio avviso, subordinati i legami dell'opera
più matura di Gaudì con la cultura dell'Art Nouveau., che
Pane considera superficiali analogie che accomunano anche
un grande artista al linguaggio del suo tempo. 77
Eppure le componenti dello stile di Gaudì nascono dalla
stessa reazione anticlassica, dallo stesso spirito del gotico,
dall'influsso orientale, dal linearismo e cromatismo che si
ritrovano nell'Art Nouveau belga e nella Secessione viennese;
ma quel che più conta è l'assenza di ogni residuo
eclettico proprio in quelle opere, dalla casa Batllò alla casa
Milà al parco Giiell che precorrono o accompagnano la breve
stagione dell'Art Nouveau, tendenza il cui carattere esponente
è proprio l'affrancamento da ogni stilismo storicistico.
La relazione dell'opera di Gaudì con l'Art Nouveau non
serve naturalmente a spiegarne ogni aspetto, non trovando,
ad esempio, in quella corrente mitteleuropea tutta laica ed
immanente, nonché impegnata nel problema del rapporto
dell'arte con la produzione industriale, l'ispirazione trascendente,
religiosa e fantastica che è a fondamento dell'opera
del maestro catalano. Tuttavia, poiché, come è stato
osservato, le poetiche sono e lo storicizza bile della poesia >,
l'attività di Gaudi s'inquadra, emergendo, proprio sullo
sfondo della poetica Art Nouveau.
Ma Pane sa bene queste cose. Se egli non ha insistito
sulla puntualizzazione di tale rapporto, non è tanto per le
crociane riserve contro le tendenze e le poetiche, quanto
perché, dando per note queste relazioni, ha preferito indicare
i limiti dell'abuso di schemi e classificazioni così tipico
nella moderna storiografia. Nel confutare gli intellettualistici
influssi indicati da Pevsner nell'opera gaudiana, Pane afferma
che nell'architetto spagnolo lo svolgersi della forma - in
uno con la sua geometria - è il risultato di una maturazione
interiore, nella quale non interviene alcuna scoperta
esterna. Con lo stesso intento demistificatorio Pane osserva:
Così a Pevsner, il quale candidamente scrive che Gaudì
• imbarazza chi vuole assegnargli un posto storico •· Zevi
risponde che • se una grande personalità poetica non trova
posto in uno schema storico, la colpa non è della personali-
78 tà ma dello schema •· Più precisamente direi che la colpa è
della rigida ed imprecisa conoscenza di un dato schema. Infatti
,dopo il recente riesame dell'Art Nouveau, più volte riconosciuto
ed apprezzato dallo stesso Pane, è stato smentito il
disfavore della critica razionalista, e di Pevsner in particolare,
per quella tendenza e l'ostracismo dei vari neoclassicismi
nazionalisti contro quella corrente internazionale. Cosicché
rivalutati i fondamenti estetico-sociologici di essa e distinta la
sua prima ed autentica fase dal movimento degli epigoni,
tanto duraturo quanto superficiale, Gaudì trova, come
dicevo, la sua adatta e degna cornice storica.
Un altro punto del libro fra i più significativi e criticamente
stimolanti è quando l'Autore puntualizza sul valore
semantico di alcuni aspetti dell'opera gaudiana. Nel capitolo
sul parco Giiell, dove l'eccezionalità del tema fornisce
a Pane l'argomento per una delle letture più esemplari di
un'opera architettonica-urbanistica, si parla lungamente sull'uso
del dorico. Dovendo comporre insieme una terrazza
ed uno spazio coperto, Gaudì ha pensato dì svolgere una
colonnata arcaica... le scanalature, il capitello fortemente
espanso, i triglifi ecc. Tali manualistici particolari sono
stati poi adattati ad un movimento che risulta come il più
estraneo, anzi direi ripugnante, alle forme assunte come
ispiratrici: la trabeazione si muove baroccamente... le colonne
perimetrali sono fortemente inclinate, come i rustici
pilastri e le colonne dei viadotti. Insomma, al dorico è
fatta ogni violenza, anche quella dì un pratico rivestimento
di maiolica bianca nella parte inferiore del fusto; e purtroppo,
esso continua a richiamare ostinatamente il ricordo
di quelle antiche forme, malgrado - anzi a maggior ragione
- perché esse sono state equivocate nella loro funzione
strutturale, dato che nessuna cosa al mondo, più
della scanalatura dì una colonna dorica, suggerisce il senso
della verticalità.
Una delle peculiarità che oggi definiscono in maniera
specifica la moderna cultura figurativa è la nostra intol- 79
leranza verso i compromessi stilistici; ora, nel caso presente
l'esempio di estrinseca reminiscenza non sopravvive
isolato ma nel bel mezzo di un'opera di straordinario
valore espressivo. In altre parole, malgrado quella certa
misura di opinabilità che è implicita in ogni giudizio di
valore critico, non si può negare che qui non è da rimpiangere
l'assenza di unità figurativa, nel significato che
noi usiamo attribuire a tale unità - forse più, come ho
altrove accennato, per influsso della tradizione classicista
che in base alla nostra autentica libertà di visione - quanto
di una intollerabile sospensione del processo creativo
mediante l'inserirsi di un intento del tutto estraneo a quello
della fantasia ... In altre parole, oso affermare che se egli
avesse visitato Atene o Pesto, non avrebbe fatto le colonne
doriche del parco Glieli, né avrebbe affermato che la
Sagrado. Famiglia era grieca.
Nel brano riportato esiste più di una considerazione che,
oltre ad aderire al caso esaminato, suggerisce anche alcune
indicazioni di metodo generale.
Anzitutto si nega il luogo comune della capacità poetica
di trasfigurare ogni cosa; di assimilare all'aspirazione originaria
ogni elemento tratto da qualsiasi contesto linguistico e
culturale. Al dorico si riconosce un proprio valore semantico,
lo si considera composto cioè di segni obiettivamente legati
ad un dato significato, talché l'uso improprio di essi non è
solo un errore stilistico-eclettico, ma anche quello della
loro mancata corrispondenza ad alcuni precisi denotata.
Alla affermazione di un'attitudine significante propria del
dorico (significante, non espressiva in senso estetico, per
non ripetere l'errore degli eclettici) si collega il dubbio che
Pane esprime sul modo di intendere la nozione di unità
figurativa. Quando egli osserva che tale unità è più dovuta
all'influsso della tradizione classicista che alla nostra libera
visione, allude non solo alla storiografia accademica, ma
80 anche - come si rileva del resto in altre parti del saggio -
a quella più recente che deduce il giudizio di unità sempre
dal confronto con dei parametri schematici. L'ipotesi: se
Gaudì avesse visitato Atene e Pesto, sembra integrare le
due esigenze suddette: l'interpretazione semantica alla necessità
di una lettura critica priva di pregiudizi; integrazione
soddisfatta da una diretta esperienza architettonica
verificata nel suo irripetibile contesto storico.
Queste considerazioni si legano alla particolare lettura
dell'opera gaudiana. Il capitolo sul parco Gtiell, come del
resto la gran parte del libro, dimostra la possibilità di poter
articolare nuovamente un completo discorso sull'architettura.
Infatti, generalmente, Pane non solo illustra i motivi pratici,
il programma edilizio, il processo costruttivo, l'interpretazione
spaziale (zona in cui prevalentemente s'arresta la gran
parte della moderna letteratura critica), ma coglie anche tutti
gli aspetti e i passaggi, accosta i temi strutturali ai particolari
minuti, accomuna elementi d'importanza e dimensione diversa
in un discorso emozionale, asistematico di straordinaria
efficacia visiva che rivela una lunga e consumata capacità di
storico e di interprete. Non ritroviamo nel saggio in esame
gli schemi caratteristici ed ormai logori della moderna letteratura
critica: la pianta libera, la continuità spaziale, la
compenetrazione esterno interno, la evidenza espressiva della
trama strutturale ecc. - tutti elementi riconducibili all'opera
del maestro catalano - eppure, senza ripetere queste
formule, è detto tutto quanto concerne la moderna visione
architettonica. L'efficacia del discorso visivo nulla toglie
al rigore filologico, al dato referenziale, all'informazione di
prima mano sempre attentamente verificata.
E veniamo all'attualità del tema.
In seguito alla mostra di Gaudì a New York organizzata
nel 1957, Edith Hoffmann, in nome dei pionieri del razionalismo
e citando A. Loos avvertiva del rischio di vedere città
pianificate da spiriti tanto liberi· da restrizioni quanto
quello di Gaudì -· al che Pane replica - Come dire: 81
perché ci fate vedere queste opere? Vorreste forse che il
mondo fosse così? No, naturalmente, noi non abbiamo affatto
questa intenzione; solo vorremmo che coloro che si
occupano di queste cose fossero un po' più intelligenti.
Non si può negare che, se la critica dell'architettura continua
a mantenersi ad un livello nettamente inferiore a
quello delle altre arti e della poesia, è proprio per questa
sua diffusa e pertinace inettitudine ad accogliere
disinteressatamente i valori espressivi. Indubbiamente la
concezione strumentale della cultura porta alla totale incapacità
di distinguere e godere l'emergente opera di espressione
artistica dagli standards che condizionano la nostra
vita quotidiana; tuttavia, respinto il puro funzionalismo,
l'interesse suscitato dall'attività artistica spesso supera l'ambito
di una fruizione meramente estetica. L'influenza attuale
di Gaudi conferma la nostra interessata visione della sua
opera ed è chiaro inoltre che l'adesione di Pane alle forme
del maestro catalano nasce anche dalla corrispondenza di
quell'artista, sia pure in parte, alla sua visione del mondo.
All'architetto contemporaneo - scrive Pane - (che) cerca
di lottare per l'affermazione di quei valori qualitativi che
la... moltiplicazione delle cose senza significato tende a
sopprimere... un uomo come Gaudi sarà intimamente caro
poiché ne intenderà il sublime disinteresse di artista
e di uomo di fede, e similmente trarrà conforto da tutto
ciò che ancora al mondo riesce a sottrarsi all'impero dell'economia
per offrirsi agli uomini come dono gratuito,
sotto specie di meditazione o di fantasia. Più avanti l' Autore
scagionando Gaudi dall'accusa di decadente, riafferma
un altro aspetto sempre attuale in ogni atteggiamento anticonformistico
ed in ogni fase di ricerca sperimentale. Nell'architetto
spagnolo possono riscontrarsi giganteschi errori
ma non quelli del decadentismo, dato che a questo
termine si associa il senso del compiacimento formale, ad
82 uso di una società appunto decadente,• e non quello di una
intransigenza che giunge a negare fino all'assurdo le condizioni
poste dal programma sociale; e lo si chiami pure
solipsismo, ma è un solipsismo eroico che arricchisce la
nostra esperienza morale e perciò non può essere decadente.
Sono proprio queste, a mio avviso, unitamente ad
altre ragioni, a rendere attuale l'opera di Gaudì, a rendere
la nostra considerazione di lui interessata; beninteso
d'un interesse opposto al finalismo strumentale dei razionalisti.
Come afferma Collins Non è pura coincidenza se
qui in America l'interesse manifestato per Gaudì, negli
anni del dopoguerra abbia accompagnato il sorgere della
nostra scuola di espressionismo astratto in pittura e scultura.
Ecco un'artista che praticava la collettiva affaristica
e generalmente indocile arte dell'architettura, e che lo
faceva con lo stesso sentimento di libertà e di individualità
apparentemente anarchica che caratterizza il loro stile
in pittura.
Nell'indicare il modo d'intendere l'attualità di Gaudì, Pane
ammette la legittimità dell'influenza della sua opera ma
avverte che tale influenza sarà da intendersi nel senso che
è implicito ad ogni opera di poesia ossia come esortazione
alla libertà e cioè come impulso morale.
Ora, in Gaudì, attuandosi detto impulso essenzialmente
quale impegno formativo - com'è ampiamente documentato
dall'esegesi di Pane - mentre il linguaggio di lui non
è ovviamente imitabile, diventa invece esemplare ed attuale,
per la contemporanea ricerca architettonica, nata dalla crisi
del razionalismo, il dato fantastico e visionario dell'opera
sua, il suo radicalismo sperimentale.
R.D.F.
Direttore responsabile: Rl:KATO DI: Fusco
Autorizzazione del Tribunale di Napoli n. 17:U del 13 ottobre 1964
Stamperia Napoletana s.r.l. - Viale Maria Cristina di Savoia n. 5
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