20.10.2023 Views

SARAJEVO ESTATE 2023 CARITAS ANDRIA

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Caritas diocesana di Andria<br />

Campi di lavoro/2<br />

<strong>SARAJEVO</strong> (BIH)<br />

29 LUGLIO - 7 AGOSTO <strong>2023</strong>


Indice<br />

Presentazione 2<br />

I campi di lavoro ... negli anni 3<br />

... A Sarajevo. Le testimonianze dei partecipanti:<br />

Flaminia Guglielmi 4<br />

Giulia Lomuscio 6<br />

Maddalena Larosa 8<br />

Angela Quacquarelli 9<br />

Rosanna Miracapillo 10<br />

Fortunata Abruzzese 12<br />

Conclusione ... per ripartire 15<br />

1


Presentazione<br />

I campi di lavoro, organizzati ogni anno dalla Caritas diocesana di Andria, rientrano<br />

nelle attività previste dal progetto di Anno di Volontariato Sociale “Invitati per<br />

Servire”.<br />

I giovani volontari che vi partecipano, durante l’anno hanno avuto la possibilità di<br />

formarsi attraverso un percorso su misura per loro, hanno svolto servizio di prossimità<br />

ogni settimana, hanno sperimentato la bellezza della vita comunitaria.<br />

don Mimmo Francavilla<br />

direttore della Caritas di Andria<br />

2<br />

Nel periodo estivo viene offerto loro la possibilità<br />

di vivere contemporaneamente queste tre<br />

dimensioni a piccoli gruppi e in una località che<br />

riveste la sua importanza per il contrasto alla<br />

povertà o, molto più semplicemente, per<br />

condividere del tempo con chi è rimasto indietro<br />

nel cammino della vita, spesso giovani come loro.<br />

Per il campo di Sarajevo desideriamo esprimere la<br />

nostra gratitudine agli operatori di Caritas Italiana.


I Campi di lavoro<br />

... negli anni<br />

I Campi di lavoro della Caritas di Andria sono stati<br />

proposti sin dall’estate 2007. Diverse le esperienza sia<br />

in Italia che all’estero. Sedi individuate per l’emergenza<br />

che quel determinato territorio stava vivendo<br />

(L’Aquila, Amatrice, San Benedetto del Tronto), o per<br />

la conoscenza di operatori in loco o gemellaggi<br />

(Egitto, Palestina, Grecia, Aosta), per la condivisione<br />

con altre realtà giovanili della Diocesi (Albania), per la<br />

condivisione di particolari problematiche come le<br />

migrazioni (Palermo, Sarajevo) o la disabilità (Bibione,<br />

Lourdes), per un supporto ad alcune realtà caritative<br />

(Firenze, Catania, Cosenza, Bova)<br />

I campi di lavoro favoriscono una riflessione sulle<br />

diverse tematiche che determinate situazioni<br />

sollevano, la capacità di assunzione di atteggiamenti<br />

conseguenti in uno spirito di fraternità e condivisione.<br />

3


...a Sarajevo<br />

Le testimonianze dei partecipanti<br />

È difficile riuscire a trasformare in parole le emozioni, le esperienze vissute e i sorrisi<br />

incontrati durante il campo in Bosnia, viaggio unico nel suo genere. Nei giorni precedenti<br />

alla partenza ho pensato molto all’esperienza che da lì a poco avrei vissuto assieme ai miei<br />

8 compagni di viaggio, alcuni amici ormai da tempo, altri nuove bellissime scoperte. Le<br />

aspettative erano numerose e diverse l'una dall'altra. La Bosnia è stata in questo viaggio<br />

una delle rivelazioni principali, tradizioni, culture e religioni che si intrecciano l’una con<br />

l’altra creando, insieme, uno scenario diverso da quello che abitualmente guardiamo dalle<br />

finestre delle nostre case. Per le vie del centro, e non solo, sbucano da ogni dove minareti:<br />

torri collocate accanto alle moschee dalle quali i muezzin intonano in prestabilite ore del<br />

giorno, l'appello alla preghiera ai credenti musulmani. Le piccole botteghe e il bazar di<br />

Sarajevo rendono il paesaggio magico, facendoci assaporare con gli occhi porzioni<br />

d'oriente. Il luogo che per noi è diventato casa era poco distante dal centro di Sarajevo, le<br />

camere semplici e accoglienti ci hanno visto arricchire il nostro bagaglio di esperienze<br />

giorno per giorno. Il nostro servizio ha avuto inizio sin da subito presso la Caritas di San<br />

Benedetto del Tronto, ci siamo messi in gioco aiutando le suore del posto con il servizio<br />

mensa. L'esperienza che sicuramente è stata per me più forte e profonda è stata quella a<br />

Usivak, un villaggio poco distante dalla capitale bosniaca che ospita al suo interno un<br />

campo temporaneo per famiglie e bambini reduci della Rotta Balcanica.<br />

4


Al suo interno, i volti incontrati sono stati moltissimi, uomini donne e bambini provenienti<br />

da luoghi poveri, colpiti dalla guerra, vittime di soprusi. Nel Social Corner della Caritas le<br />

storie ascoltate e i segni sulla pelle comunicavano il peso e il dolore che i profughi<br />

portavano con sé in questo viaggio verso l'inizio di una vita nuova, all'insegna di libertà<br />

prima a loro negate. I bambini riuscivano a trovare il bello anche nel nostro più piccolo e<br />

semplice gesto. Numerosi sono i disegni dei bambini appesi sui muri, tra i disegni delle<br />

città che desiderano visitare e alcuni autoritratti, sbuca un piccolo quadretto con una<br />

scritta : "When you change your thoghts you can chage the world!!!" (quando cambi i tuoi<br />

pensieri puoi cambiare il mondo!!!), e con questa frase si può riassumere il viaggio in<br />

Bosnia. Durante questi 10 giorni le tematiche e le vicende in cui ci siamo scontrati ci hanno<br />

fatto conoscere, la vera essenza dell'uomo, comprendere quali siano le vere<br />

problematiche, cambiare il nostro modo di pensare e soprattutto cominciare a guardare il<br />

mondo con occhi diversi.<br />

Flaminia<br />

5° LICEO SCIENTIFICO<br />

5


Ho fissa nella testa un'immagine: una donna che va su e giù facendosi strada tra le<br />

tombe dell'immenso cimitero di Srebrenika cercando un nome, ho ipotizzato di suo<br />

marito, e un uomo della sicurezza che si unisce alla sua ricerca finché non lo trovano.<br />

Sembrava quasi che per la donna, trovare quel pezzo di pietra bianca (per me identico a<br />

tutti gli altri), fosse assolutamente indispensabile e viveva come in agonia fino a quando<br />

non lo ha raggiunto; una volta lì di fronte si è inginocchiata, lo ha toccato come potesse<br />

darle sollievo, ha più volte poggiato la testa tra le mani; dopo poco è andata via sfiorando<br />

un'ultima volta la lapide. Sono convinta che dopo tutte le guerre ci siano persone che si<br />

disperano davanti alle sepolture, o peggio, al semplice ricordo, dei defunti, so che i conflitti<br />

armati sono stati, sono e saranno tanti, con altrettanti morti e lacrime dei vivi; ma vedere<br />

una scena simile, mentre si è circondati da un'infinità di lapidi...beh, rende tutto più reale,<br />

tangibile, sicuramente diversissimo dal semplice sapere.<br />

Mentre scoprivamo, pezzo dopo pezzo, la tragica e recente storia della Bosnia ed<br />

Erzegovina, mi ha colpita particolarmente che le Nazioni Unite siano intervenute soltanto<br />

dopo il genocidio di più di 8000 uomini e ragazzi. Ho pensato che con molta probabilità la<br />

stessa cosa sta avvenendo chissà dove in giro per il mondo e io non ne sono a conoscenza,<br />

esattamente come ignoravo questo pezzo di storia: provo un senso di colpa enorme perché<br />

non so, oppure so e sono impotente; c'è anche una grande componente di rabbia nei<br />

confronti di chi sa e può fare: la stessa rabbia, anche se molto più profonda, che provava il<br />

più giovane dei tre uomini, che ci hanno lasciato la loro testimonianza. Ci hanno spiegato<br />

che le autorità cercano in ogni modo di far passare in secondo piano tutta la brutalità che<br />

il conflitto ha portato con sé, anzi sfruttano la memoria non per incentivare la pace, ma<br />

per provocare ulteriore odio e risentimento tra le diverse etnie.<br />

Un'altra ragione per cui ho provato senso di colpa è stato il contatto con gente con<br />

un'esistenza che non oserei neanche chiamare vita: persone che hanno visto invadere la<br />

propria casa dal pericolo e hanno avuto il coraggio di mettersi in viaggio, correndo<br />

tantissimi rischi, sfidando la sorte, nella speranza di un’esistenza leggermente migliore, non<br />

tanto per sé stessi, quanto per i propri figli. Invece, vengono maltrattati e rimbalzati da una<br />

frontiera ad un'altra e la loro unica colpa è quella di assecondare l'istinto di<br />

autoconservazione. Poi ci siamo noi, che siamo entrati in quel campo come se andassimo a<br />

fare un safari. Siamo così estranei ed inconsapevoli che ho avuto la sensazione di vivere<br />

sotto una campana di vetro, protetta, al sicuro, in una realtà parallela fatta di arcobaleni e<br />

fiorellini. Mi sono sentita inadeguata con i loro sguardi addosso, colpevole di non soffrire<br />

anch’io, una privilegiata che non ha fatto niente per meritarsi tanto agio e che, per giunta,<br />

non fa niente di concreto per alleviare le sofferenze di chi non ha la mia stessa fortuna.<br />

6


Flaminia ha detto una cosa: "Ci pensate che quelle persone noi normalmente per<br />

strada le scansiamo?" È proprio vero...noi ignoriamo, passiamo oltre e continuiamo<br />

a preoccuparci dei nostri problemi, che probabilmente scomparirebbero se<br />

provassimo a guardarli col punto di vista di qualcun altro. Credo che il campo mi<br />

abbia insegnato questo: a smettere di ignorare ed interessarmi alle vite delle<br />

persone che incontro, a chiedere da dove vengono e dove vanno, ad imparare<br />

qualcosa da loro.<br />

Sembra che io abbia affrontato un'esperienza traumatica, ma non è assolutamente<br />

così. Sarajevo è stata sorprendente, la bellezza della città multietnica attraversata<br />

dal fiume è andata molto oltre le aspettative. Ho visto veramente tanta bellezza<br />

in questo viaggio: il sorgere del sole sul traghetto, le avventure giornaliere con un<br />

gruppo affiatatissimo, il richiamo dal minareto delle numerose moschee, le diverse<br />

culture che coesistono in armonia, la particolarità e la confusione del quartiere<br />

ottomano. Ho incontrato la bellezza di persone come Goga, che baciava e<br />

abbracciava i bambini quando quelli dell'UNICEF non vedevano, Crescio che con gli<br />

occhi lucidi ci ha raccontato quanto è stato emozionante riabbracciare i suoi<br />

bambini e sua moglie, il dottore che presta servizio alla Caritas di San Benedetto del<br />

Tronto e che con i suoi racconti ci ha fatto capire quanto gli stia sinceramente a<br />

cuore aiutare chiunque passi di lì, Franco, che con il suo sorriso non si dà mai per<br />

vinto e dopo tanti anni è ancora colmo di curiosità e, per finire, posso dire di aver<br />

visto bellezza anche in noi ragazzi quando riuscivamo ad ironizzare persino sui<br />

segni lasciati dai proiettili e dalle granate sui palazzi, ridendoci su con la<br />

consapevole leggerezza che ha caratterizzato tutto il viaggio.<br />

Giulia<br />

4° Liceo Scientifico<br />

7


“Se ci pensi questa gente la evitiamo per strada!”: questa frase, detta da una ragazza di 18<br />

anni, rimbomba ancora nella mia testa quando ripenso all’esperienza vissuta a Sarajevo<br />

con sette ragazzi che avevano appena terminato l’AVS e Franco.<br />

Con i suoi 141,5 km² circa di superficie, la capitale della Bosnia-Erzegovina, è stata<br />

protagonista di eventi che hanno avuto un impatto a livello mondiale nel secolo scorso, sia<br />

a inizio che a fine: nel 1914 con l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando che scatenò la<br />

Prima Guerra mondiale; e nel 1992 con l’assedio da parte della Serbia per 1.425 giorni. Di<br />

tutto ciò la città porta il ricordo attraverso le facciate dei suoi edifici e l’asfalto delle sue<br />

strade, con le tipiche “rose” che ogni cittadino e ospite di questa città può vedere e sentire.<br />

L’osservazione inevitabilmente porta ad una ramificazione di riflessioni che si riunificano in<br />

un punto focale: i diritti dell’uomo.<br />

Per me un punto focale è staro Usivak, dove c’è un Centro di accoglienza temporaneo nel<br />

quale famiglie con bambini, minori non accompagnati e giovani, reduci dalla rotta<br />

balcanica, sono “in attesa”. In attesa di vivere una vita degna di essere vissuta. Ho<br />

incontrato molte persone in attesa e ho scoperto come questo tempo non sia affatto<br />

inutile, sprecato e vuoto, come il pensiero occidentale ci fa credere. Nell’attesa ho<br />

visto bambini gioire per la nostra presenza, ragazzi coinvolgerci nei tradizionali<br />

giochi di società e genitori con occhi malinconici, ma pieni di speranza ogni volta che<br />

vedevano sorridere il proprio figlio, il futuro.<br />

In questo tempo di attesa è impossibile stare solo a guardare, è impossibile non<br />

partecipare e non lasciarsi coinvolgere: nei sorrisi dei più piccoli ho letto “Non sono solo!”,<br />

nei ragazzi “Non sarà la lingua, la religione, la cultura ad impedirci di stare insieme creando<br />

una barriera” e negli adulti ho ascoltato un silenzio, misto a vergogna e orgoglio, per aver<br />

fatto prevalere l’istinto di sopravvivenza e la dignità ai soprusi e alle violenze di una terra, in<br />

cui sognano di tornarci, nonostante la guerra, i diritti violati, nonostante tutto.<br />

Nel viaggio di ritorno, verso un paese che ci dà tanto, senza rendercene conto ho ascoltato<br />

una canzone: “Quanti anni potremo vivere, quando l’unica vera domanda che conta è<br />

ancora una questione di prospettiva”. Forse nell’attesa troveremo una risposta, un giorno.<br />

Maddalena<br />

formatrice, dottoressa in Scienze dell'educazione e della formazione<br />

8


Prima di partire non avrei mai immaginato di sentirmi toccata così nel profondo da questa<br />

esperienza. Sono stata a Sarajevo per otto giorni, uno più intenso dell’altro. Innanzitutto ho<br />

avuto la possibilità di esplorare la città e scoprirne la storia. Sfortunatamente alle superiori<br />

non si affrontano argomenti come la guerra iniziata il 6 aprile 1992 in Bosnia-Erzegovina e<br />

durata ben tre anni e mezzo: il più lungo assedio della storia moderna. Toccante è stato il<br />

racconto della morte di Admira e Boško: Admira era una ragazza musulmana e Boško il<br />

suo fidanzato serbo ortodosso. Sono stata uccisi da 25 colpi sparati da cecchini serbi<br />

mentre cercavano di attraversare il ponte Vrbanja. I loro corpi sono rimasti stretti l’uno<br />

all’altro, per terra, per otto giorni.<br />

La mattina seguente siamo arrivati al campo profughi di Usivak, un Centro di accoglienza<br />

temporanea dove si raccolgono migranti reduci dalla Rotta Balcanica. Sono rimasta<br />

davvero colpita, in maniera positiva naturalmente, nel vedere tanti bambini che giocavano,<br />

sorridevano, quasi estranei alla situazione in cui vivevano. È stato splendido giocare e<br />

trascorrere del tempo con loro: abbiamo dipinto, ballato, giocato a ping pong, fatto dei<br />

braccialetti, giocato con le bolle di sapone e tanto altro. Allo stesso tempo è stato davvero<br />

triste dover ascoltare le storie di ragazzi della mia età con sogni e aspettative di vita come<br />

tutti i giovani, aspettative purtroppo azzerate dalla guerra nei loro paesi o dal non<br />

essere riusciti a superare il “Game” (il tentativo di attraversare i confini). Ho<br />

incontrato davvero persone meravigliose, umane come noi, ognuna con le sue speranze, le<br />

sue paure e i suoi sogni ed è terribile pensare che queste persone vengono evitate nelle<br />

nostre città. Appena abbiamo lasciato il campo nel nostro pulmino ci sono stati venti<br />

minuti di silenzio: eravamo tutti malinconici e alquanto tristi di dover lasciare quel posto,<br />

quelle persone e non sapere se mai le rincontreremo.<br />

Sono infinitamente grata di aver avuto la possibilità di vivere questa esperienza; mi ha<br />

aiutato a vedere le cose in maniera diversa, a farmi riflettere su quanto ognuno di noi<br />

possa essere fortunato. Sarà la solita frase che avrete sentito miliardi di volte: “Sono<br />

fortunato”, ma credetemi, quando vedi in prima persona la negazione di essa, lo pensi sul<br />

serio.<br />

E sono anche felicissima delle persone che hanno trascorso questa esperienza con me,<br />

persone che ormai sono diventate la mia seconda famiglia e di cui mi porto a casa<br />

qualcosa.<br />

A Sarajevo ho lasciato un pezzo di cuore e spero un giorno di poterci tornare per lasciarne<br />

un altro po’.<br />

Angela<br />

4°Liceo Scientifico<br />

9


Da tre anni partecipo al progetto dell’Anno di Volontariato Sociale della Caritas diocesana<br />

di Andria. Quest’anno, in particolare, ho avuto la possibilità, con altri sette ragazzi, di<br />

trascorrere dieci giorni a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, per un campo di<br />

lavoro. Inizialmente non sapevo cosa aspettarmi e se sarei stata all’altezza, invece è stata<br />

un’esperienza formativa incredibile, una di quelle che ti cambiano per sempre, perché sai<br />

che non ne vivrai un’altra simile. Ancora oggi, a distanza di tre settimane dalla nostra<br />

partenza, difficilmente riesco a esprimere ciò che ho visto, conosciuto, imparato.<br />

Si dice che là dove sei felice, lì c’è casa ed è proprio così, perché in un breve lasso di tempo<br />

siamo riusciti a creare un legame indissolubile tra noi!<br />

Sarajevo è definita “meeting of cultures”, ossia, “incontro di culture” e tale aspetto è<br />

fondamentale per la sua storia, poiché, da secoli convivono etnie diverse, religioni diverse<br />

e persino architetture diverse! Infatti, camminando sul corso principale, si passa, in pochi<br />

secondi, dalla parte austro-ungarica, che comprende la cattedrale del Sacro Cuore, a quella<br />

ottomana, piena di moschee, bazar e ristoranti arabi.<br />

Si tratta di una città che, seppur si sia ripresa, non dimentica la guerra, non elimina tutti i<br />

segni dei proiettili dai palazzi o quelli delle bombe dai marciapiedi, anzi vuole che tu<br />

osservi e ti renda conto delle atrocità avvenute solo trent’anni fa, non molto lontano<br />

dall’Italia.<br />

Oltre alle attrazioni visitate, che sono molteplici, tra cui il Museo dell’infanzia di guerra (che,<br />

per il suo “sbatterti in faccia la realtà”, ti crea consapevolezza e dolore) e il “Tunnel della<br />

Speranza”, il nostro viaggio è stato caratterizzato dal servizio, svolto presso il campo<br />

profughi di Usivak, a pochi chilometri da Sarajevo, uno dei più importanti della rotta<br />

balcanica. In questo posto, più precisamente nel “Social Corner”, abbiamo giocato e tenuto<br />

compagnia a tanti bambini, provenienti, soprattutto, da Iran e Afghanistan, e in cerca di un<br />

futuro migliore in Europa. All’inizio, vedere quella sofferenza e mancanza di tutti i comfort<br />

di noi “occidentali” mi ha fatto stare male, perché mi sentivo troppo privilegiata e, talvolta,<br />

insoddisfatta. Loro non chiedevano nulla, se non un po' di compagnia per trascorrere le<br />

ripetitive giornate. Non dimenticherò mai le facce di tutti i bambini e adolescenti, della loro<br />

gioia quando giocavano con noi.<br />

10


11<br />

C’è da dire che non tutti conoscevano l’inglese, ma riuscivamo a capirci<br />

comunque, con gli sguardi, coi gesti…questa è la bellezza dell’umanità: andare<br />

oltre le barriere apparenti e provare a scoprire quanto di bello e<br />

interessante c’è nell’altro.<br />

La multietnica Sarajevo mi ha regalato davvero tanto e di questo non sarò mai<br />

abbastanza grata: i colori, i sorrisi con persone care, la presa di coscienza di<br />

quanto sia fortunata, un nuovo sguardo sul mondo, il proposito di continuare ad<br />

aiutare gli altri, far sentire loro la mia vicinanza…Adesso riesco ad apprezzare<br />

maggiormente le piccole cose della quotidianità e ad emozionarmi con poco.<br />

Porterò sempre nel cuore questa frase scritta da un bambino nel campo:<br />

“Quando cambi i tuoi pensieri, puoi cambiare il mondo!”. E sono certa che<br />

anche il mio cambiamento sta cominciando.<br />

Rosanna<br />

5 ° L I C E O S C I E N T I F I C O


12<br />

“Viviamo tutti sotto lo stesso cielo, ma non abbiamo tutti lo stesso orizzonte”<br />

(Adenauer).<br />

Secondo me è questa la grandezza del volontariato: rendersi conto che quello che<br />

per me è un confine, per l’altro invece è una prospettiva di cambiamento.<br />

Quando sono arrivata in Bosnia Erzegovina, non sapevo davvero cosa aspettarmi.<br />

Sebbene fossi molto entusiasta di iniziare il mio viaggio, allo stesso tempo non<br />

avevo la minima idea di ciò che mi potesse capitare, ma mi sono detta che ne<br />

varrà la pena – e sì, ha superato tutte le mie aspettative!<br />

Non sapevo che questa esperienza mi avrebbe trasformato in una persona<br />

completamente nuova e mi avrebbe dato una nuova visione del mondo.<br />

Il viaggio si è svolto nella città di Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina, sentita<br />

nominare principalmente per l'assassinio dell'erede al trono dell'impero austroungarico,<br />

Francesco Ferdinando, del 1914.<br />

La storia di Sarajevo è caratterizzata da un'alternanza di periodi bui e di speranza.<br />

In attesa di tempi migliori, questa piccola città dal passato tragico conquista i suoi<br />

visitatori con il suo fascino inspiegabile.<br />

La nuova era e gli eventi che l'hanno caratterizzata hanno cambiato tutto, tranne<br />

questo: dalla sua valle dorata fino alle cime delle montagne, Sarajevo continua ad<br />

accogliere i turisti a braccia aperte, i quali notano subito il calore, l’apertura e<br />

l’ospitalità di questo popolo.<br />

Abbiamo avuto modo di visitare parte della città e in particolare la Baščaršija, il<br />

Centro della città tipico del periodo Ottomano, un luogo dedicato agli scambi<br />

commerciali.<br />

É un fitto reticolo di viuzze sulle quali si affacciano file di botteghe di artigianato<br />

locale, dominate dall'alto dalla Begova (cosi è chiamata la Moschea di Gazi<br />

Husrev-beg) e dalla Torre dell'Orologio.<br />

A breve distanza, si trovano la Vecchia Chiesa Ortodossa e il Vecchio Tempio<br />

Ebraico.<br />

Durante le nostre passeggiate, l’elemento che più ha attirato la mia attenzione<br />

sono stati i cimiteri che, a differenza di quelli delle principali città europee, freddi,<br />

desolati e generalmente in periferia, i cimiteri di Sarajevo si trovano vicini ai vivi.<br />

Le tombe dei cimiteri più antichi sono costituite semplicemente da massi bianchi<br />

sovrapposti e conficcati nel terreno ad indicare l'esatto luogo di sepoltura.<br />

Col tempo, questi massi vacillano e sprofondano lentamente sottoterra, lasciando<br />

spazio per nuove sepolture.<br />

Uno degli incontri che più mi è rimasto impresso è stato quello tenuto da Clara ed<br />

Edoardo, due ragazzi del servizio civile, che ci hanno raccontato di Sarajevo<br />

durante l’assedio degli anni Novanta, di una città senza acqua, senza corrente,<br />

senza cibo e senza medicine.


13<br />

Sarajevo e i suoi abitanti avevano già vissuto guerre, attacchi e conquiste, ma<br />

l'ultimo attacco fu il più sanguinoso.<br />

Alcuni cittadini, contrari all'indipendenza della Bosnia, si unirono alle forze armate<br />

del resto del paese e dei paesi vicini dando inizio all'assedio della città.<br />

L'assedio di Sarajevo durò 1.425 giorni; fu il più lungo della storia moderna.<br />

Scuole, ospedali, biblioteche, musei e edifici di culto vennero distrutti.<br />

Davanti agli occhi di tutto il mondo, venivano uccisi civili che si recavano al lavoro,<br />

bambini nei parchi giochi, persino neonati ancora nel reparto di maternità.<br />

Gli occupanti non risparmiavano nessuno. L'obiettivo era chiaro: distruggere la<br />

città.<br />

Le cicatrici che questa violenza ha lasciato dietro di sé sono ancora visibili sugli<br />

edifici e sui volti della gente. Molti palazzi non sono ancora stati ristrutturati.<br />

Le Rose di Sarajevo sono il segno più evidente della distruzione e dello sterminio;<br />

sono i solchi scavati dalle granate sull'asfalto, consegnati alla memoria con della<br />

vernice rossa.<br />

E così, come tante altre volte, Sarajevo si è trovata ad affrontare la necessità di<br />

ricominciare.<br />

Non si sogna più la fine della guerra, ma l'inizio di una pace duratura.<br />

Abbiamo avuto anche l’opportunità di condividere del tempo insieme ad alcuni<br />

rifugiati e credetemi quando dico che questa è stata la parte migliore della mia<br />

esperienza in totale.<br />

Ušivak è uno dei Centri di accoglienza temporanea dove vivono i migranti della<br />

Rotta Balcanica.<br />

Sono soprattutto famiglie con bambini, minori non accompagnati e giovani.<br />

Sono persone con storie di povertà e di disperazione alle spalle che non ti<br />

chiedono nulla, solo essere ascoltati.<br />

Il campo per loro è una specie di 'oasi' dove ritemprarsi nel corpo e nello spirito in<br />

attesa di provare l'attraversamento del confine con la Croazia per entrare in<br />

Europa.<br />

Nel Centro è attivo il Social Corner, dove volontari della Caritas animano le<br />

giornate, organizzando attività ricreative e formative e distribuendo tè e caffè.<br />

Un punto di incontro e di dialogo per infondere speranza a chi l'ha perduta.<br />

Abbiamo imparato così tanto attraverso loro: la speranza e la resilienza sono<br />

state due cose che ho ammirato di più.<br />

Il bagliore della speranza brillava all’interno dei loro occhi, il che mi ha fatto<br />

davvero mettere in discussione la mia prospettiva sulla vita.<br />

“Chiunque può essere un agente del cambiamento, devi solo rendertene conto ed<br />

ecco fatto.”<br />

Fortunata<br />

2 ° A N N O S C I E N Z E D E L L ’ E D U C A Z I O N E E F O R M A Z I O N E


Conclusioni ... per ripartire<br />

Dalle testimonianze dei giovani partecipanti emerge chiaramente come queste<br />

esperienze contribuiscano alla maturità umana. Scommettere sui giovani, per la nostra<br />

Caritas, significa poter trasmettere idee, valori e atteggiamenti che, altrimenti, rischiano<br />

di rimanere congelati soprattutto in un tempo in cui sono altri i modelli culturali offerti.<br />

Educare e accompagnare i giovani in questi percorsi ci permette di camminare con più<br />

serenità e fiducia verso il futuro e comprendere come i semi della carità contengono<br />

già in potenza nuovi frutti maturi. E’ la speranza che sempre dobbiamo coltivare, di un<br />

mondo migliore, di un futuro possibile, di una convivenza e integrazione tra diversi che<br />

attinge a modelli positivi, in una ‘convivialità delle differenze’ che elimina le ingiustizie e<br />

favorisce la pace. Insomma, percorsi di nuova umanità!<br />

Stampa on line<br />

https://andrialive.it/<strong>2023</strong>/08/22/caritas-diocesana-di-andria-ilbilancio-delle-attivita-svolte-in-citta-ma-anche-a-catania-e-sarajevo/<br />

Video<br />

https://www.youtube.com/watch?v=VoI44mUjDnM&t=23s<br />

Web<br />

https://www.caritasandria.it/cosa-facciamo/young-caritas/<br />

Info<br />

Diocesi di Andria - Caritas diocesana,<br />

Via E. De Nicola, 15 - 76123 Andria (BT)<br />

0883.884824; www.caritasandria.it;<br />

info@caritasandria.it<br />

seguici su<br />

15


Anno di<br />

Volontariato<br />

Sociale<br />

I n v i t a t i p e r S e r v i r e<br />

D i o c e s i d i A n d r i a - C a r i t a s d i o c e s a n a

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!