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Saccargia: una tappa del pellegrinaggio medievale?,

Il lavoro si occupa delle orgini e delle funzionalità della basilica di Saccargia

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6 Franco G. R. Campus

significativo sia quello della persistenza degli spazi. Una tendenza alla continuità

che dimostra come nell’Isola siano assenti, o comunque trascurabili, i fenomeni

come la risalita delle popolazioni sulla cima delle montagne, o la fuga verso aree

da sottoporre a dissodamento. Queste osservazioni, anche se sintetizzate, permettono

di compiere alcune considerazioni qualitative sull’impatto, sociale ed economico,

correlato alle fondazioni monastiche. I giudici, al momento delle donazioni,

non agirono stravolgendo il panorama esistente, ma applicarono una strategia

molto raffinata: non potevano ignorare, infatti, che il sistema agricolo sardo, con

le sue empiriche conoscenze, era connesso alla reale disponibilità delle risorse e

dove il tutto si reggeva su equilibrio reale anche se fragile nella sua sostanza dato

che era vessato dai fenomeni naturali tipici del Mediterraneo come la siccità, le

improvvise alluvioni o le periodiche invasioni di cavallette 11 . Viceversa, dalla loro

parte, i monaci non si limitavano a ricevere in donazione qualunque terreno, ma

procedevano attraverso un meccanismo suddivisibile in più stadi: conoscenza dei

territori, verifica dello status giuridico della manodopera ed infine primi contatti

con le persone localizzate nei villaggi contermini 12 . Entrambe le parti, quindi,

esprimevano una piena consapevolezza dell’agire che si concretizzava mediante la

definizione dello status giuridico dei terreni (liberi, con diritti di terzi, presenza di

usi collettivi), le sue caratteristiche qualitative (vigne, saltos, pascoli, spazi a colture

specializzate), sino a giungere alla definizione topografica dei confini. Infine, in alcuni

documenti, si trova la lista, persona per persona, della manodopera destinata

a passare sotto la dipendenza dell’azienda monastica. Da questi elenchi si osserva

come ai monaci fossero destinati gruppi familiari stabili e specializzati nei lavori

agricoli e non persone avulse socialmente ed economicamente dal territorio in cui

vivevano. In aggiunta le sedi monastiche non si collocarono nelle aree interne dell’isola,

in spazi segnati da una morfologia inaccessibile e che avrebbero potuto

rappresentare le zone dove con più difficoltà si era diffusa la religione cristiana,

ma anche quei luoghi ideali per una vita contemplativa, né in comprensori poco

abitati anche se potenzialmente in grado di sopportare un rilancio produttivo attraverso

un’opera di stanziamento delle persone da destinare esclusivamente al

dissodamento dei campi. La realtà fu che gli enti monastici si installarono regolarmente

in aree già strutturate, con una distanza media dal mare che non supera i 30

chilometri e generalmente in spazi contermini alle viabilità a più lunga percorrenza,

11

I Pisani che favorirono il ritorno sul trono del giudice Gonnario furono ricompensati con spazi

territoriali localizzati nella Nurra (B. FADDA, Le pergamene relative alla Sardegna nel diplomatico della primaziale

dell’Archivio di Stato di Pisa, «Archivio Storico Sardo», XLI (2001), pp. 9-354, doc. VIII).

12

G. PISTARINO, Genova e la Sardegna nel secolo XII, in La Sardegna nel mondo mediterraneo. 1. Atti

del primo convegno internazionale di studi geografici-storici (Sassari, 7-9 aprile 1978), Sassari 1981, vol.

II, pp. 33-125, in particolare pp. 35-45. Su queste medesime posizioni E. BASSO, Strutture insediative ed

espansione commerciale. La rete portuale genovese nel bacino del Mediterraneo, Cherasco 2001, pp. 68-79.

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