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Saccargia: una tappa del pellegrinaggio medievale?,

Il lavoro si occupa delle orgini e delle funzionalità della basilica di Saccargia

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12 Franco G. R. Campus

scovi compreso tra l’ultimo quarto dell’XI secolo e il primo decennio del XII secolo

29 ; ma se la definizione territoriale delle diocesi rappresentava lo strumento

per offrire un servizio (spirituale) alle popolazioni locali, la distribuzione topografica

degli impianti permette di definire altre finalità indirette come quello di un ulteriore

rafforzamento insediativo e sociale delle aree contrassegnate da una buona densità

abitativa. Indicativi in questo senso i complessi episcopali più prossimi a Saccargia

(Bisarcio, Ploaghe, Sorres) posti in luoghi dominanti, sulla cima di piccole colline,

che determinarono con la loro posizione un chiaro elemento di novità rispetto al

resto dell’insediamento rurale localizzato sul fondo delle valli. La posizione ‘d’altura’

e la composizione interna di questi insiemi (chiesa più palazzo episcopale e piccolo

villaggio annesso) era perfettamente in grado di svolgere un ruolo poligenetico rispetto

alle collettività rurali magari creando una spinta all’aggregazione delle persone.

Un obiettivo ricercato anche dalla stessa casata giudicale, magari con la

finalità di migliorare il funzionamento della macchina amministrativa del regno.

Che vi fosse una precisa volontà da parte dei giudici di Torres di creare nel territorio

dei forti punti di aggregazione per le popolazioni, come nel caso delle sedi vescovili,

se ne ritrova una labilissima traccia all’interno del Libellus, soprattutto in quelle

parti pertinenti ai sovrani ricordati come diretti costruttori di edifici religiosi.

Edifici che in secondo tempo o passarono ai monaci oppure furono destinati ad

ospitare una sede vescovile come nel caso di S. Maria di Castra 30 . In questo caso la

cronaca sintetizza tutto il coevo processo caratterizzato della cessione di chiese,

probabilmente di origine privata, in favore in primo momento dell’amministrazione

religiosa regolare e in un secondo tempo, con intensità sempre maggiori, in favore

degli ordini monastici.

La cessione delle chiese private da parte dei laici rappresenta la prova certa

dell’esistenza in Sardegna del fenomeno delle ‘chiese proprie’. Su questa tematica

l’interpretazione storiografica ha definito limiti e cronologie, queste ultime anche

se distanti dagli esempi sardi, sono interessanti soprattutto nel fatto che queste

singole unità, anche durante il loro possesso privato, erano in grado di assicurare

un’assistenza pastorale alle popolazioni disperse nelle campagne soprattutto all’interno

di quei comprensori dove si riscontrava un’eccessiva distanza rispetto

29

TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., pp. 848-879.

30

L’attività di costruzione è evidenziata per Mariano al quale è associata la chiesa di S. Maria di

Castro (sede dell’omonima diocesi) e S. Michele di Plaiano, mentre a sua moglie la chiesa di S. Pietro di

Silki e al fratello di quest’ultima la chiesa di S. Maria di Tergu. A Costantino la chiesa della Trinità di Saccargia,

a Gonnario la chiesa e monastero di S. Maria di Corte a Sindia (Libellus, cit.,pp. 46-49). Sulla

diocesi di Castra si veda anche M. G. SANNA, La diocesi di Castra, in Oschiri e Castro e il Logudoro

orientale, a cura di G. Meloni - P. G. Spanu, Sassari 2004, pp. 133-147; più in generale sul ruolo delle sedi

vescovili in rapporto all’insediamento, nello stesso volume, F.G.R. CAMPUS, L’insediamento umano: processi

formativi e dinamiche di trasformazione nel medioevo (secc. VI-XIV), pp. 151-188.

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