Saccargia: una tappa del pellegrinaggio medievale?,
Il lavoro si occupa delle orgini e delle funzionalità della basilica di Saccargia
Il lavoro si occupa delle orgini e delle funzionalità della basilica di Saccargia
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Franco G.R. Campus
SACCARGIA: UNA TAPPA NEL PELLEGRINAGGIO MEDIEVALE?
Premessa
La costruzione di una chiesa da parte di un laico nel Medioevo è tra gli eventi
più diffusi, ma anche uno dei più complessi. Le difficoltà si palesano osservando
i molti punti di vista necessari alla comprensione del fenomeno. Si può partire,
ad esempio, dall’impatto esercitato dalla nuova struttura nel territorio soprattutto
se questa sarà destinata a ricoprire un ruolo particolare come nel caso di una sede
episcopale o quello di chiesa principale di un ordine monastico. A questi si
devono aggiungere i rapporti intercorsi tra committente e autorità religiosa (secolare
o regolare) con differenti problematiche connesse al passaggio di proprietà
(da privato a pubblico, o da privato a privato). Altri aspetti riguardano la scelta
del luogo di costruzione: la struttura sorse assecondando una lunga persistenza
alla sacralità dello spazio, e quindi in un sito venerato da lungo tempo dalla popolazione
locale, oppure in luogo del tutto nuovo dove in secondo tempo far
coincidere un evento miracolistico cronologicamente correlato al periodo di costruzione
dell’edificio.
Questi punti di vista illustrano il livello di complessità pertinente al caso di
Saccargia: dalla trasformazione in morfologie romaniche dell’originario edificio
di culto, con tutte le problematiche collegate alla persistenza della sacralità del
luogo, sino al passaggio di proprietà di questo spazio (pubblico) in favore di un
ente monastico (privato) non locale, all’impatto sulle popolazioni residenti sino
alla codificazione di un evento miracoloso correlato alla sua fondazione. Il tutto
all’interno di un periodo storico, compreso tra XI e XII secolo, segnato da grandi
trasformazioni proprio in ragione dell’arrivo in Sardegna di nuove persone che si
apprestavano, insieme ai Giudici, alle élite locali, ai vescovi, a ridisegnare il paesaggio,
a modificare il sistema economico, affidando un preciso ruolo a questi
impianti. Un processo talmente dirompente nei suoi effetti che già dalla fine del
Medioevo e poi nella piena età Moderna assunse forme espressive da leggenda,
degne di essere tramandate alle persone più semplici non tanto per una finalità
giuridica, ma espressamente per il valore identitario espresso dallo stesso monumento.
2 Franco G. R. Campus
Donazione e costruzione
Il passaggio ai Camaldolesi del complesso di Saccargia si rese concreto nel
1112 1 . Nella prima fase si trattava di un impianto modesto 2 , ubicato al centro di
una vallata di limitata estensione e solcata da un torrente di scarsa importanza.
Una valle chiusa a nord dalla colata lavica Su Coloru che precede l’articolazione
della catena montuosa che ha nei monti di Osilo le cime più alte. Al contrario a
nord-ovest la valle, anche se presenta una forma irregolare, è ben collegata a nordovest
con la depressione di Campo Mela da dove era possibile raggiungere con
uno o due giorni di cammino il porto di Turris; dalla parte opposta,dopo aver
scollinato a poche decine di metri dalla chiesa di S. Michele di Salvennor (monastero
vallombrosano dal terzo decennio del XIII secolo),con un tragitto più lungo, ma
dopo aver toccato Ardara (sede di residenza del giudice),era possibile raggiungere
il porto di Olbia. A sud, dopo la stretta valle che si trova alle pendici del centro di
Codrongianos si raggiunge il Campo Lazzari e da qui si incontrava il percorso dell’antica
strada romana per Cagliari. La posizione della chiesa, allora come oggi, si
offre come un luogo molto favorevole sia per gli spostamenti a lunga percorrenza
1
V. SCHIRRU, Le pergamene camaldolesi relative alla Sardegna nell’archivio di stato di Firenze, «Archivio
storico Sardo», XL (1999), pp. 9-223, doc. III-IV-V). Per Raimondo Turtas è ipotizzabile che il monastero
e chiesa esistessero già da almeno un quinquennio e quindi gli atti del 1112 non siano altro che una
ratifica dello stato di fatto (R. TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma 1999,
pp. 217-218, nota 16). Ipotesi accolta anche da Domingo Dettori (S. ROVINA - D. DETTORI, L’abbazia
della SS. Trinità di Saccargia, in Committenza, scelte insediative ed organizzazione patrimoniale nel Medioevo,
atti del convegno di studio (Tergu, 15-17 settembre 2006), in De re monastica I, Spoleto 2007, pp. 139-
165, in part. pp. 144-148). Per i vari problemi pertinenti al Condaghe di Saccargia, che riporta la data del
1116 (P. TOLA, Codex diplomaticus Sardiniae, I-II, Torino 1861-1868, sec. XII, doc. XXI) si rimanda integralmente
al saggio di Alessandro Soddu presente in questo volume. Sulla natura dei rapporti tra i Camaldolesi
e i giudici di Torres si vedano in questo volume i saggi di Mauro Giacomo Sanna e Raimondo
Turtas.
2
Fernanda Poli ha identificato i limiti della chiesa originaria, datata tra il IX-X secolo, costituita da
un’aula mononavata orientata attualmente percepibile nel braccio sinistro del transetto (F. POLI, L’abbazia
della SS. Trinità di Saccargia, Sassari 2008, pp. 11-13). La presenza di questo impianto è da correlare con
quadro di frequentazione più vasto come ad esempio una sepoltura in tafone da localizzare a SE dal monastero
e datata alla fine del VI-VII secolo (D. ROVINA, Codrongianus (Sassari). Loc. Saccargia. Sepoltura
alto medievale, in Materiali per una topografia urbana. Status quaestionis e nuove acquisizioni, atti del V
convegno sull’archeologia tardoromana e medievale in Sardegna, (Cagliari-Cuglieri, 24-26 giugno 1988)
in Mediterraneo Tardoantico e Medievale. Scavi e Ricerche 10, Oristano 1995, pp. 29-32). I diversi interventi
di scavo svolti a Saccargia tra il 1992 e il 2001 hanno permesso di chiarire come la maggior parte
delle strutture del monastero, almeno quelle meridionali, siano pertinenti ad un periodo compreso il
XIII e il XIV secolo (ROVINA - DETTORI, L’abbazia della SS. Trinità di Saccargia cit., pp. 153-165).
Datazioni che sembrano essere divergenti con quelle proposte per l’apparato decorativo, assegnato alla
stessa zona, cronologicamente inquadrato alla seconda metà del XII secolo (S. MELE, I capitelli binati
dell’abbazia della Santissima Trinità di Saccargia, «Annali della Facoltà di lettere e Filosofia dell’Università
di Cagliari», N.S. XXIII, vol. LX (2005), pp. 77-106). Su queste strutture si sono sovrapposte alcune costruzioni
postmedievali (si veda il contributo di Graziano Caputa in questo volume).
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 3
sia per quelli interni allo stesso comprensorio. Una caratteristica molto particolare
sfruttata nel Medioevo dato che la prossimità permetteva di creare vivibilità,
socialità e sicuro supporto per scambi commerciali a medio e lungo raggio. Un panorama
di possibilità che non deve essere sfuggita né al concedente, Costantino
giudice di Torres, né ai beneficiari, i monaci camaldolesi.
Il passaggio di beni in favore degli enti monastici non rappresenta in Sardegna
un fatto isolato e neppure una particolare eccezione. Sulla diffusione delle fondazioni
monastiche, ma anche sul loro successo politico, economico e sociale, la storiografia
ha prodotto più chiavi di lettura. Alcuni studiosi hanno posto l’attenzione
sul carattere spirituale dando grande importanza all’iniziativa portata avanti dall’autorità
giudicale e dalla struttura ecclesiastica locale. Per questo filone di studi,
il progetto proveniva dalla constatazione da parte dei giudici di un clero rurale generalmente
illetterato, ridotto in condizioni di profonda povertà e forse ancora radicato
a pratiche liturgiche di stampo orientale 3 . Altri studiosi hanno invece
preferito evidenziare i caratteri economici correlati allo stanziamento degli enti
monastici. In questo caso la lettura dei medesimi fatti ha portato a due differenti
interpretazioni: per alcuni studiosi la distribuzione nei territori delle sedi monastiche
rappresenterebbe lo strumento per il rilancio produttivo delle campagne della
Sardegna ancora segnate da un sistema produttivo orientato verso l’autoconsumo 4 ;
per altri studiosi la presenza degli ordini religiosi rappresenta la causa stessa del
mancato sviluppo delle società rurali dell’Isola 5 .
3
TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., pp. 202-204.
4
L’impronta decisiva per questa interpretazione proviene dalle opposte posizioni di Enrico Besta e
Arrigo Solmi. Il primo era portato a cogliere nella presenza esterna, e soprattutto in quella dei monaci,
un ruolo di gestione e di razionalizzazione delle produzioni agricole, ma destinato sul medio periodo a
sottomettere gli elementi locali (E. BESTA, La Sardegna medioevale. Le vicende politiche dal 450 al 1326,
Sala Bolognese 1987, rist. anast. ed. Palermo 1909, in part. pp. 160-162); l’altro correlava alla sola
presenza esterna l’impulso qualitativo che avrebbe permesso la rinascita di porti, città e campagne della
Sardegna ma, dietro questo progresso, già si intravedevano i nuovi sistemi di gestione basati su elementi
di stampo feudale del resto riconosciuti nelle stesse concessioni agli ordini monastici (A. SOLMI, Studi
storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, a cura di M.E. Cadeddu, Nuoro 2001, ried. Cagliari
1917, in part. pp. 265-284). All’interno di questo stesso filone si trova molta della produzione storiografica
successiva: A. SABA, Montecassino e la Sardegna medievale. Note storiche e Codice Diplomatico sardo-cassinese,
Miscellanea Cassinese, 4, Badia di Montecassino 1927, pp. 109-110; A. BOSCOLO, Aspetti della
vita curtense in Sardegna nel periodo alto-giudicale, in Fra il passato e l’avvenire. Saggi storici sull’agricoltura
sarda, Padova,1965, pp. 47-63 (ora in A. BOSCOLO, Studi sulla Sardegna Bizantina e giudicale, Sassari,
1988, pp. 85-101); F. CHERCHI PABA, Evoluzione storica dell’attività industriale agricola. Caccia e pesca in
Sardegna, voll. I-IV, Cagliari, 1974-77, in particolare, vol. II passim; B. FOIS, Territorio e paesaggio agrario
nella Sardegna medievale, Pisa, 1990, pp. 87-113; EAD, Sardegna in Medievistica italiana e storia agraria, a
cura di A. Cortonesi - M. Montanari, Bologna, 2001, pp. 79-90.
5
Su questi aspetti si veda quanto espresso da John Day (J. DAY, La Sardegna sotto la dominazione pisano-genovese,
Torino 1987. Ristampa anastatica del capitolo La Sardegna e i suoi dominatori dal XI al
secolo XIV, in J. DAY - B. ANATRA - L. SCARAFFIA, La Sardegna medievale e Moderna, in Storia d’Italia, a
4 Franco G. R. Campus
Come nel caso dell’assistenza spirituale, la prospettiva di rilanciare le produzioni
agricole attraverso l’introduzione dei monaci rappresentò uno dei principali
obiettivi perseguito dai giudici sardi 6 . Le prove di questo processo sono essenzialmente
ricavate dalla lettura dei registri monastici – i Condaghes 7 – e indirettamente
dalla distribuzione degli insediamenti rurali legati ai monaci ed infine dalla
palese ripresa delle attività commerciali nota dalla coeva documentazione. In
senso opposto la seconda corrente interpretativa ha evidenziato come i fattori di
sfruttamento e sottomissione fossero già presenti nelle prime concessioni dove i
giudici, quelli di Cagliari e Torres in particolare, mostrerebbero una palese incapacità
amministrativa nel cedere i terreni migliori, forse in ragione del fatto che
sul loro capo pesavano le minacce di infeudazione esercitate dalla Sede Apostolica
durante il pontificato di Gregorio VII. Da questo momento i monaci, servendosi
di una cospicua manodopera servile ottenuta con le donazioni, furono capaci di
offrire ai mercanti enormi quantità di beni primari a prezzi eccezionalmente bassi.
I vettori commerciali, in prevalenza Pisani e Genovesi, avrebbero ottenuto forti
guadagni con la vendita degli stessi prodotti nei mercati urbani del Continente,
grazie ad un livello dei prezzi concretamente superiore. In altre parole esisteva
un legame sistemico tra monaci e mercanti, che permetteva ai primi di monetizzare
con profitto le eccedenze, ai secondi di ottenere un enorme guadagno rispetto all’investimento
iniziale necessario per il trasporto nell’Isola di beni di scarsa qualità
venduti in Sardegna secondo il livello dei prezzi del continente 8 . Dalla seconda
metà del XII secolo gli ordini monastici, sempre secondo questa corrente interpretativa,
mirarono a una razionalizzazione delle proprietà fondiarie agevolandosi
dell’appoggio incondizionato del clero e delle aristocrazie locali. In questo modo
le popolazioni nelle campagne videro progressivamente peggiorare le loro condi-
cura di G. Galasso, vol. X, Torino 1984, pp. 3-186, in particolare pp. 38-53). A commento degli aspetti
economici descritti da Day si veda E. LE ROYLADURIE, A proposito di Sardegna, «Quaderni Sardi di
Storia», 3 (1981-1983), pp. 15-24; A. MATTONE, Recensione a J. Day, B. Anatra, L. Scaraffia, La Sardegna
medievale e moderna (vol. X della Storia d’Italia, diretta da G. Galasso), «Rivista Storica Italiana», XCIX,
fasc. II (1987), pp. 551-558.
6
Alla costruzione di questa lettura ha giocato un ruolo fondamentale la formula contenuta nella
prima scheda di donazione e fondazione del monastero camaldolese di S. Maria di Bonarcado pertinente
al XII secolo: «qui regant illud et ordinent et lavorent et edificent et plantent» (Il Condaghe di Santa Maria
di Bonarcado, a cura di M. Virdis, Cagliari 2002, CSMB scheda n. 1). Per una rilettura di questi aspetti si
rimanda a S. DE SANTIS, Il salto. La frontiera dello spazio agrario nella Sardegna medioevale, «Rivista di
Storia Agraria», XLII (2002), n. 1, pp. 3-48, in part. p. 29).
7
Le edizioni adottate sono le seguenti: Il condaghe di S. Pietro di Silki (CSPS), a cura di A. Soddu -
G. Strinna, Nuoro 2013; Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado (CSMB); Il condaghe di San Michele di
Salvennor (CSMS), a cura di P. Maninchedda - A. Murtas, Cagliari 2003; Il condaghe di San Nicola di
Trullas (CSMT), a cura di P. Merci, Nuoro 2001; Il Condaghe di Barisone II,in G. Meloni - A. Dessì
Fulgheri, Mondo rurale e Sardegna del XII secolo. Il condaghe di Barisone II di Torres, Napoli 1994.
8
DAY, La Sardegna sotto la dominazione pisano-genovese cit., pp. 51-53.
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 5
zioni di vita danneggiate dalla perdita degli spazi agricoli, ma anche dal fatto che
erano escluse dalle innovazioni tecnologiche introdotte dai monaci 9 . La conseguenza
di questa disomogeneità economica e sociale fu che le comunità rurali abbandonarono
i villaggi originari spostandosi verso i nuovi centri urbani. Sul piano
politico lo spostamento non controllato delle persone, ma anche la sempre maggiore
ingerenza delle potenze cittadine continentali, mediante il braccio operativo
delle casate signorili (Visconti, Spinola, Malaspina, Doria, Della Gherardesca),
determinò la fine politica di tre regni giudicali su quattro entro la seconda metà
del Duecento.
I monaci e le strutture produttive della Sardegna rurale
Su questa serie d’interpretazioni è opportuno fare alcune considerazioni generali.
La prima è che le minacce di infeudazione esercitate dalla Sede Apostolica
nell’XI secolo sono storicamente infondate 10 . Altro punto che va superato è la
considerazione del tutto negativa sul livello produttivo delle campagne dell’Isola
al principio dell’XI secolo. Una lettura che sottovaluta come i veri responsabili
delle modalità di formazione e di mantenimento dei paesaggi produttivi non può
essere ricercata negli atti emessi dai vertici delle società giudicali, ma bensì nel
prodotto delle continue attività portate avanti dalle popolazioni rurali all’interno
degli spazi agrari. Le loro tracce non si trovano nei documenti, ma nella stessa
forma dei paesaggi che contribuirono a costruire. In questo senso è necessario valutare
che le collettività rurali della Sardegna, sollevate dal sistema produttivo romano
e bizantino, adottarono come soluzione pratica il restringimento delle aree
coltivabili così da sfruttare quelle più produttive. Questo sistema di organizzazione
determinò un lento ma progressivo spostamento delle persone verso le valli o negli
spazi di media collina ma non sulla cima delle montagne. La certa esistenza di
questo processo, testimoniato esclusivamente dalle fonti archeologiche e topografiche,
permette di attenuare il giudizio sull’inerzia delle popolazioni rurali ma in
aggiunta consente di intravedere nell’operato dei giudici, soprattutto nel campo
delle donazioni, un certo grado di qualità progettuale. Esaminando la distribuzione
topografica delle sedi principali degli ordini religiosi, insieme alla rete dei nuclei
rurali che passarono sotto il loro controllo e ponendo il tutto in confronto con la
maglia insediativa coeva (villaggi, fattorie, sedi di diocesi) e con quella pertinente
al periodo precedente dove sono palesi i segni di una continuità d’uso (centri
urbani, ville costiere, fattorie, viabilità), è possibile annotare come il carattere più
9
Ivi, p. 161 e seguenti.
10
TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., pp. 192-202 e pp. 214-216.
6 Franco G. R. Campus
significativo sia quello della persistenza degli spazi. Una tendenza alla continuità
che dimostra come nell’Isola siano assenti, o comunque trascurabili, i fenomeni
come la risalita delle popolazioni sulla cima delle montagne, o la fuga verso aree
da sottoporre a dissodamento. Queste osservazioni, anche se sintetizzate, permettono
di compiere alcune considerazioni qualitative sull’impatto, sociale ed economico,
correlato alle fondazioni monastiche. I giudici, al momento delle donazioni,
non agirono stravolgendo il panorama esistente, ma applicarono una strategia
molto raffinata: non potevano ignorare, infatti, che il sistema agricolo sardo, con
le sue empiriche conoscenze, era connesso alla reale disponibilità delle risorse e
dove il tutto si reggeva su equilibrio reale anche se fragile nella sua sostanza dato
che era vessato dai fenomeni naturali tipici del Mediterraneo come la siccità, le
improvvise alluvioni o le periodiche invasioni di cavallette 11 . Viceversa, dalla loro
parte, i monaci non si limitavano a ricevere in donazione qualunque terreno, ma
procedevano attraverso un meccanismo suddivisibile in più stadi: conoscenza dei
territori, verifica dello status giuridico della manodopera ed infine primi contatti
con le persone localizzate nei villaggi contermini 12 . Entrambe le parti, quindi,
esprimevano una piena consapevolezza dell’agire che si concretizzava mediante la
definizione dello status giuridico dei terreni (liberi, con diritti di terzi, presenza di
usi collettivi), le sue caratteristiche qualitative (vigne, saltos, pascoli, spazi a colture
specializzate), sino a giungere alla definizione topografica dei confini. Infine, in alcuni
documenti, si trova la lista, persona per persona, della manodopera destinata
a passare sotto la dipendenza dell’azienda monastica. Da questi elenchi si osserva
come ai monaci fossero destinati gruppi familiari stabili e specializzati nei lavori
agricoli e non persone avulse socialmente ed economicamente dal territorio in cui
vivevano. In aggiunta le sedi monastiche non si collocarono nelle aree interne dell’isola,
in spazi segnati da una morfologia inaccessibile e che avrebbero potuto
rappresentare le zone dove con più difficoltà si era diffusa la religione cristiana,
ma anche quei luoghi ideali per una vita contemplativa, né in comprensori poco
abitati anche se potenzialmente in grado di sopportare un rilancio produttivo attraverso
un’opera di stanziamento delle persone da destinare esclusivamente al
dissodamento dei campi. La realtà fu che gli enti monastici si installarono regolarmente
in aree già strutturate, con una distanza media dal mare che non supera i 30
chilometri e generalmente in spazi contermini alle viabilità a più lunga percorrenza,
11
I Pisani che favorirono il ritorno sul trono del giudice Gonnario furono ricompensati con spazi
territoriali localizzati nella Nurra (B. FADDA, Le pergamene relative alla Sardegna nel diplomatico della primaziale
dell’Archivio di Stato di Pisa, «Archivio Storico Sardo», XLI (2001), pp. 9-354, doc. VIII).
12
G. PISTARINO, Genova e la Sardegna nel secolo XII, in La Sardegna nel mondo mediterraneo. 1. Atti
del primo convegno internazionale di studi geografici-storici (Sassari, 7-9 aprile 1978), Sassari 1981, vol.
II, pp. 33-125, in particolare pp. 35-45. Su queste medesime posizioni E. BASSO, Strutture insediative ed
espansione commerciale. La rete portuale genovese nel bacino del Mediterraneo, Cherasco 2001, pp. 68-79.
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 7
magari sfruttando alcune strutture pertinenti alla precedente organizzazione ecclesiastica.
Dalla seconda metà del XII secolo i monaci approfittando del loro
ruolo, e sempre con l’appoggio dei vertici giudicali, spinsero la loro azione verso
un processo di assestamento delle proprietà fondiarie 13 , dimostrando una perfetta
conoscenza delle qualità produttive delle campagne sarde 14 . Rimane ancora a
livello d’ipotesi il fatto che solo in questa fase le signorie fondiarie monastiche si
siano impegnate nell’apertura di nuovi spazi produttivi, con l’introduzione di tecniche
agricole a più alta resa. Ma per cogliere pienamente il senso di questa
direzione appare necessario l’apporto delle fonti materiali, con ricerche che sappiano
ben coordinare i processi di monumentalizzazione degli impianti, superando come
nel caso di Saccargia, indicazioni su fasi edilizie ancora ancorate a cronologie storico-artistiche,
alle modalità di gestione delle campagne connettendo,oltre i dati
topografici, le diverse indicazioni paleo-ambientali sul livello di vita delle comunità
13
Diverso il destino delle due sedi monastiche di S. Maria di Tergu e S. Pietro di Nurki. In origine le
due sedi sembrano instradate su un percorso insediativo e sociale simile: uguale distanza dal mare (la
prima nell’Anglona, la seconda nella Nurra), medesima posizione al centro di un vasto territorio potenzialmente
molto valore produttivo. Tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta del XII secolo per le
due strutture si concretizzò il decisivo cambio di passo: da un lato emerge la finalità di incentivare i possedimenti
fondiari dell’impianto di Tergu grazie all’azione portata avanti dal giudice Gonnario ma, allo
stesso tempo, lo stesso giudice per ricompensare l’aiuto militare ricevuto da Pisa, sottrae a Nurki la possibilità
di una possibile espansione verso la porzione settentrionale della Nurra chiudendo l’accesso
diretto al mare. Per Nurki si veda G. AZZENA - A. SODDU, Il monastero di San Pietro di Nurki. Scelte insediative
e preesistenze, in De re monastica I cit., pp. 99-137; su Tergu all’interno dello stesso volume D.
DETTORI, Abbazia di Santa Maria di Tergu: le fasi premonastiche, pp. 9-50 e G. LISCIA, Santa Maria di
Tergu: Un’abbazia cassinese in Sardegna, pp. 51-98. Il confronto tra le due sedi si trova in F.G.R. CAMPUS,
Poteri signorili e insediamento rurale nella Nurra tra XI e XIII secolo, in Stintino tra terra e mare. Atti del
convegno (Stintino, 4 settembre 2010), Sassari 2010, pp. 75-104, in particolare pp. 78-83.
14
Come esempi si possono ricordare gli scontri tra i Vallombrosani di Salvennor, spalleggiati dalla
famiglia dei de Thori, e gli abitanti della villa di Ploaghe (CSMS cit. nota 45, scheda 111, datazione tra
1120 e 1140, regno di Costatino I e Gonnario); la lite sulla definizione dei territori tra l’abate di Salvennor
e il vescovo di Ploaghe (CSMS, scheda 266 e 270, datazione regno di Gonnario 1127-1153); la disputa sul
salto di Plano ancora tra il vescovo di Ploaghe e il monastero spalleggiato dalla famiglia De Thori
intervenuti per tutelare gli interessi del monastero (CSMS, scheda 206 e 243; datazione regno di Gonnario
1127-1153); le divergenze tra gli abitanti del villaggio di Puthu Passaris (Cheremule – Sassari) che si oppongono
alla parcellizzazione del saltus di Uras in quanto terra comune del villaggio (populare) impropriamente
ceduto al monastero camaldolese di Trullas dalla famiglia Athen (CSNT, doc. 269). Gli abitanti
dello stesso villaggio si oppongono alla sottrazione del saltu de Puthuruviu da parte del monastero di S.
Pietro di Silki (CSPS, scheda 310; datazione regno di Barisone II 1154-1191), in questo caso la struttura
religiosa dimostrò in sede di giudizio che in precedenza il terreno era stato acquistato dagli abitanti del
villaggio di Tigesi (Thiesi - Sassari). Dello stesso tono è la lite tra il monastero di S. Pietro di Silki e gli abitanti
dei villaggi di Sauren e Ibili (presso Cheremule, Sassari) che si opposero, ricorrendo al tribunale
amministrativo giudicale (corona), alla sottrazione del saltu de s’Aginariu appunto poiché era considerato
territorio d’uso collettivo da parte delle comunità dei due villaggi (populare), il ricorso venne rigettato in
ragione del fatto che il monastero dimostrò con documenti la sua precedente proprietà (CSPS, scheda
305, datazione tra il regno di Gonnario e Barisone II 1147-1153).
8 Franco G. R. Campus
rurali 15 . Tra XII e XIII secolo si assiste chiaramente alla fase di piena maturità di
tutto il fenomeno: gli enti monastici mostrano una stretta interdipendenza con le
casate regnanti, ma occorre annotare come queste ultime si trovino oramai indirizzate
su un nuovo livello di agire in ragione delle nuove alleanze, realizzate con accorte
politiche matrimoniali,con le famiglie signorili continentali e più in generale
con le stesse autorità comunali di Pisa e Genova.
A questo punto, è possibile dare un giudizio più obiettivo sulle caratteristiche
economiche indotte dalla presenza degli ordini monastici. Appare molto vicino al
vero l’ipotesi di un’intensa raccolta delle eccedenze da parte dei monaci e una loro
immissione dei prodotti raccolti nei canali commerciali che si stavano via via componendo
tra la seconda metà del XII e la prima del secolo successivo, tuttavia occorre
non sottovalutare una costante rappresentata dal fatto che i contadini della
Sardegna, sin dai secoli dell’alto medioevo, nei villaggi, anche in quelli più piccoli,
avevano bisogno di oggetti artigianali semplici (vestiti, arnesi agricoli in metallo,
ceramica) e le persone impegnate nelle attività di allevamento avevano un legame
sistemico con il primo gruppo soprattutto per il reperimento del grano che poteva
essere pagato con altri prodotti naturali (formaggio, carne, pellami). Prodotti che
in seconda battuta potevano essere portati in altri mercati grazie allo spostamento
di operatori ambulanti. Un livello locale dello scambio non nato per smaltire la
‘paccottiglia’ portata in Sardegna dai vettori mercantili durante i viaggi di andata,
ma che da sempre rispondeva alla ‘naturale’ propensione al reperimento di quei
beni non autoprodotti. Nelle fonti documentarie questo sistema è quasi nascosto
(anche se sono diverse le notizie contenute nei condaghes pertinenti alla valutazione
dei beni primari 16 ), ma è ben percepibile nelle fonti materiali. Qui è possibile annotare
come, sin dall’alto medioevo, i manufatti locali convivano con gli oggetti
15
I resti archeolozoologici, in particolare, offrono un quadro affidabile sul livello di sussistenza
legato non solo alle tipologie insediative, ma soprattutto al rapporto tra le risorse naturali e il livello
sociale degli abitanti. Al momento, purtroppo, i dati disponibili sono ancora discontinui e poco paragonabili
tra loro, in ragione del fatto che alcune ricerche hanno interessato solo le sequenze pertinenti le fasi di
abbandono dei complessi. Per un primo bilancio si veda B. WILKENS, Archeozoologia. Il mediterraneo, la
storia, la Sardegna, Sassari 2012, in part. pp. 107-125 con bibliografia.
16
Si vedano a questo proposito le tabelle di confronto ricavate dalla lettura del Condaghe di Barisone
II (Il Condaghe di Barisone II cit., pp. 68-79).
17
Su questo si veda M. MILANESE - L. BICCONE - M. FIORI, Produzione, commercio e consumo di manufatti
ceramici nella Sardegna nord-occidentale tra XI e XV secolo, in II Congresso nazionale di Archeologia
medievale, a cura di G. P. Brogiolo, Firenze2000, pp. 435-443; L. BICCONE, Fonti materiali per la storia
delle relazioni commerciali tra Genova e la Sardegna in età medievale in Genova una “porta” del Mediterraneo,
a cura di L. Gallinari, Genova 2005, pp. 329-366; M. MILANESE - L. BICCONE - D. ROVINA - P. MAMELI,
Forum ware da recenti ritrovamenti nella Sardegna Nord-occidentale, in La ceramica invetriata nel Medioevo
e in età moderna, atti del XXXVIII Convegno Internazionale della Ceramica, Firenze 2005, pp. 201-217;
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 9
che provenivano dall’esterno 17 . Il dato essenziale è rappresentato dal fatto che
anche le più piccole comunità mostrano una predisposizione ‘quasi naturale’ per
la produzione di oggetti artigianali da destinare all’esportazione 18 . Gli scambi,
quindi, non avvenivano solo nei porti 19 , ma anche all’interno dei villaggi rurali,
magari sfruttando lo spostamento di alcune persone all’interno di una rete di
mercati periodici, a cadenza settimanale, mensile, o durante la ricorrenza delle
maggiori feste religiose. In questo insieme appare notevolmente complicato immaginare
un totale controllo dei monaci, anche se gli spazi fisici del mercato potevano
svolgersi all’interno dei villaggi compresi nei loro territori, o in spazi occasionali
da localizzare a poca distanza dalle loro sedi. Dopo il crollo istituzionale dei giudicati,
nella seconda metà del XIII secolo, nelle zone a più alta densità abitativa e
con simultanea presenza degli enti monastici si sovrappose l’incastellamento signorile
20 . A Torres la scomparsa senza eredi di Adelasia corrisponde alla crisi dei
monasteri benedettini (un dato che si palesa anche nella contemporanea chiusura
cronologica dei condaghes). Sorprendentemente, cessate le coperture politiche,
abati e badesse si mostrano del tutto impreparati al cospetto delle famiglie signorili
e alla modifica sociale ed insediativa indotta dalla costruzione delle nuove fortificazioni
Doria 21 e Malaspina 22 . Casate che nei loro territori applicarono una strategia
volta in parte a smembrare gli assetti precedenti, spingendo nella realizzazione di
nuovi centri di controllo dei traffici commerciali (i castelli), ma contestualmente
queste entità si offrono come i perfetti continuatori della precedente politica am-
L. BICCONE, Invetriate monocrome decorate a stampo dallo scavo del palazzo giudicale di Ardara (SS), in La
ceramica invetriata nel medioevo e in età moderna, Atti del XXXVIII Convegno Internazionale della Ceramica,
Firenze 2006, pp. 251-264; M. MILANESE - L. BICCONE, Le ceramiche dal Mediterraneo orientale
in Sardegna, in Italia, medio ed estremo Oriente: commerci, trasferimenti di tecnologie e influssi decorativi
tra basso Medioevo ed Età moderna, Atti del XL Convegno Internazionale della Ceramica, Firenze 2007,
pp. 129-136.
18
D. ROVINA, Ceramiche di importazione e produzioni locali dall’insediamento altomedievale di Santa
Filitica (Sorso-Sassari), in Ceramica in Italia: VI-VII secolo, atti del convegno in onore di John W. Hayes,
Roma 11-13 maggio 1995, (a cura di) L. Saguì, Firenze 1998, pp. 787-796; D. ROVINA - E. GARAU - P.
MAMELI - B. WILKENS, Attività produttive nell’insediamento romano e altomedioevale di Santa Filitica
(Sorso SS), «Erentzias», I (2011), pp. 245-268.
19
M. TANGHERONI, I diversi sistemi economici: rapporti e interazioni. Considerazioni generali e analisi
del caso Sardo, in Le Italie del tardo Medioevo, a cura di S. Gensini, Pisa 1990, pp. 291-320.
20
F. G.R. CAMPUS, Castelli e dinamiche dell’insediamento urbano nella Sardegna bassomedievale (XII-
XIV secolo), in Identità cittadine ed élites politiche e economiche in Sardegna tra XIIII e XIV secolo, a cura
di G. Meloni - P. F. Simbula - A. Soddu, Sassari 2010, pp. 29-62.
21
E. BASSO - A. SODDU, L’Anglona negli atti del notaio Francesco da Silva (1320-1326), Perfugas
(Sassari) 2001; A. SODDU, La signoria dei Doria in Sardegna e l’origine di Castelgenovese, in Castelsardocit.,
pp. 235-267.
22
A. SODDU, I Malaspina e la Sardegna, Documenti e testi dei secoli XII-XIV, Cagliari 2005.
10 Franco G. R. Campus
ministrativa giudicale e monastica 23 . Per questa ragione il rapporto tra questi elementi
è segnato da un alto tasso di stato di conflitto: Doria e Malaspina sembrano
direttamente responsabili, tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XIV
secolo, di una continua aggressione, anche fisica, nei confronti dei monaci ma soprattutto
dei loro possedimenti fondiari. Il motivo del contendere è preso detto: i
signori nel costruire i castelli non andarono alla ricerca di aree disabitate o di inespugnabili
colline, ma tangibilmente preferirono territori già abitati e ben strutturati
dal punto di vista produttivo e sociale. Erano i territori dei monasteri. Questo
emerge dal fatto che non può sembrare una semplice coincidenza il rapporto tra la
distribuzione delle sedi fortificate signorili, con i distretti di pertinenza articolati
in massima parte anche sui confini delle vecchie curatorìe, e la definizione topografica
delle proprietà monastiche. In questa contrapposizione i monaci, e tutto il
complesso apparato burocratico a essi legato di stampo locale, non riuscirono a
tenere il passo. Forse, ma al momento è solo un’ipotesi, alla quale solo le fonti materiali
in futuro potranno offrire nuovi spunti di discussione, è possibile immaginare
come le fasi tarde di monumentalizzazione delle sedi primaziali, come nel caso di
Saccargia (ma elementi di questo tipo sono stati registrati anche a Tergu e Paulis 24 ),
potrebbero rappresentare quel tentativo dei monaci di adeguarsi al nuovo clima
politico. La finalità non era quella di arroccarsi, del resto impossibile al centro
delle vallate, ma quella di riconvertirsi verso modelli di vita quasi urbani, capaci di
attirare nuove persone non da costringere in una regola, ma in grado di mantenere
ancora in vita i mercati e le diverse attività di produzione.
La nascita di un monastero: Saccargia eccezione o conferma
L’obiettivo prefissato in questo saggio è quello di individuare altre chiavi di
lettura legate alla cessione di Saccargia ai Camaldolesi da porre in parallelo a
quelle appena discusse. Per questo motivo è necessario allargare lo sguardo a tutto
il comprensorio e osservare cosa stava accadendo nei decenni precedenti al 1112.
Il primo aspetto riguarda tutto il fenomeno connesso alla nascita delle diocesi minori.
Raimondo Turtas ha identificato nel corso del pontificato di Alessandro II
(1061-1073) il periodo nel quale si realizzò il nuovo assetto grazie anche alla pre-
23
F. G. R. CAMPUS, Incastellamento e poteri locali di origine ligure in Sardegna. L’area della Sardegna
settentrionale, in Genova. Una “porta” del Mediterraneo cit., pp. 367-412. Su Bosa A. SODDU - F.G.R.
CAMPUS, Le curatorìas di Frussia e di Planargia, dal giudicato di Torres al Parlamento di Alfonso il
Magnanimo (1421): dinamiche istituzionali e processi insediativi, in Suni e il suo territorio, a cura di A.
Mastino - A. M. Corda, Ortacesus (CA) 2003, pp. 139-176.
24
M. COSSU, L’abbazia cistercense di S. Maria de Paulis, «Annuario dell’Istituto di Storia dell’Arte»,
N. S., I (1981-82), pp. 17-24.
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 11
senza nell’Isola di un legato pontificio 25 . Allo studioso non sfuggono alcune considerazioni
sulle caratteristiche di questa suddivisione: difatti, se da un lato – afferma
Turtas – possono essere plausibili le interferenze di ordine politico nella scelta
delle sedi metropolite, attraverso una coincidenza dei confini delle province ecclesiastiche
con i territori giudicali, il panorama ha un’eccezione nel caso del giudicato
di Gallura che non ebbe una sede provinciale autonoma 26 . Quello che sembra
emergere, quindi, è un programma di forte gerarchizzazione condotto dall’amministrazione
ecclesiastica che, secondo Pier Giorgio Spanu, va letto in parallelo alle
condizioni del clero rurale che nel pieno XI secolo, secondo quanto riportano le
fonti, si trovava in una condizione miserevole, avvezzo a comportamenti poco edificanti
e costretto ad operare in edifici ridotti al limite dell’abbandono 27 . Partendo
da queste impressioni è importante evidenziare come non esista al momento nell’Isola
uno studio mirato ad un confronto tra territori diocesani (forma, composizione
interna, distribuzione delle sedi parrocchiali) e popolamento rurale 28 . Ma
un tentativo in questa direzione è necessario per contestualizzare il coevo caso di
Saccargia. Ad esempio, partendo dalla prima attestazione delle diocesi minori nel
giudicato di Torres emerge, come già detto, un periodo di prima citazione dei ve-
25
TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., pp. 183-184.
26
Per Raimondo Turtas «l’esiguità del territorio e lo scarso numero delle diocesi (solo due) del
giudicato di Gallura rendeva più problematica la creazione di una provincia ecclesiastica autonoma che,
ove si fosse realizzata, avrebbe comportato un solo suffraganeo; tuttavia, quasi a bloccare sul nascere
ogni indebita conclusione nel senso di una minore indipendenza politica del giudicato, le due diocesi
non vennero assegnate ad alcuna delle province ecclesiastiche limitrofe, ma furono poste sotto la diretta
dipendenza della Santa Sede, che le tenne fino al 1138 quando furono attribuite da Innocenzo II alla rinnovata
provincia ecclesiastica pisana» (TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., p. 186, nota 32).
27
P. G. SPANU, I possedimenti Vittorini in Sardegna, in De re monastica 1 cit., pp. 245-279. Per i
diversi insediamenti monastici precedenti, R. MARTORELLI, Insediamenti monastici in Sardegna dalle
origini al XV secolo: linee essenziali, «Rivista dell’Istituto di Storia Dell’Europa Mediterranea», 4 (2010),
pp. 39-72. Sugli insediamenti cultuali rupestri, correlati alla presenza di esperienze religiose anacoretiche
o cenobitiche, si veda F.G.R. CAMPUS, Le chiese rupestri della Sardegna: la ripresa della ricerca attraverso
l’esempio di un monumento dell’area occidentale, in La Sardegna Paleocristiana tra Eusebio e Gregorio
Magno, atti del Convegno Nazionale di studi, Cagliari 10-12 ottobre 1996, a cura di A. Mastino - G.
Sotgiu - N. Spaccapelo, in Studi e ricerche di cultura religiosa I, Cagliari 1999, pp. 15-48.
28
La suddivisione diocesana generalmente accolta è quella codificata dal pagamento delle decime
(Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Sardinia, a cura di P. Sella (Studi e Testi 113), Città del
Vaticano 1945, con carta allegata delle diocesi della Sardegna medievale). Sul piano dei territori diocesani
si veda F. LANZONI, Le diocesi d’Italia, Dalle origini al principio del secolo VII (Studi e testi 35), Faenza
1927, pp. 656-679; C. G. MOR, In tema di origini: vescovadi e giudicati in Sardegna, in Studi storici e
giuridici in onore di Antonio Era, Padova 1963, pp. 255-268. Per quanto riguarda il territorio dell’arcivescovile
di Torres si hanno alcuni contributi orientati ad una storia dei singoli territori: Bisarcio (F. AMADU,
La diocesi medioevale di Bisarcio, Cagliari 1963), Castra (F. AMADU, La diocesi medioevale di Castro,
Ozieri 1984), Ploaghe (G. SPANEDDA, Una diocesi Sarda nel medioevo. Ploaghe, Sassari 1991), Sorres (G.
ZICHI, Sorres e la sua diocesi, Sassari 1975), Ottana (R. LAI, La diocesi medievale di Ottana e la cronotassi
dei suoi vescovi, Nuoro 2007).
12 Franco G. R. Campus
scovi compreso tra l’ultimo quarto dell’XI secolo e il primo decennio del XII secolo
29 ; ma se la definizione territoriale delle diocesi rappresentava lo strumento
per offrire un servizio (spirituale) alle popolazioni locali, la distribuzione topografica
degli impianti permette di definire altre finalità indirette come quello di un ulteriore
rafforzamento insediativo e sociale delle aree contrassegnate da una buona densità
abitativa. Indicativi in questo senso i complessi episcopali più prossimi a Saccargia
(Bisarcio, Ploaghe, Sorres) posti in luoghi dominanti, sulla cima di piccole colline,
che determinarono con la loro posizione un chiaro elemento di novità rispetto al
resto dell’insediamento rurale localizzato sul fondo delle valli. La posizione ‘d’altura’
e la composizione interna di questi insiemi (chiesa più palazzo episcopale e piccolo
villaggio annesso) era perfettamente in grado di svolgere un ruolo poligenetico rispetto
alle collettività rurali magari creando una spinta all’aggregazione delle persone.
Un obiettivo ricercato anche dalla stessa casata giudicale, magari con la
finalità di migliorare il funzionamento della macchina amministrativa del regno.
Che vi fosse una precisa volontà da parte dei giudici di Torres di creare nel territorio
dei forti punti di aggregazione per le popolazioni, come nel caso delle sedi vescovili,
se ne ritrova una labilissima traccia all’interno del Libellus, soprattutto in quelle
parti pertinenti ai sovrani ricordati come diretti costruttori di edifici religiosi.
Edifici che in secondo tempo o passarono ai monaci oppure furono destinati ad
ospitare una sede vescovile come nel caso di S. Maria di Castra 30 . In questo caso la
cronaca sintetizza tutto il coevo processo caratterizzato della cessione di chiese,
probabilmente di origine privata, in favore in primo momento dell’amministrazione
religiosa regolare e in un secondo tempo, con intensità sempre maggiori, in favore
degli ordini monastici.
La cessione delle chiese private da parte dei laici rappresenta la prova certa
dell’esistenza in Sardegna del fenomeno delle ‘chiese proprie’. Su questa tematica
l’interpretazione storiografica ha definito limiti e cronologie, queste ultime anche
se distanti dagli esempi sardi, sono interessanti soprattutto nel fatto che queste
singole unità, anche durante il loro possesso privato, erano in grado di assicurare
un’assistenza pastorale alle popolazioni disperse nelle campagne soprattutto all’interno
di quei comprensori dove si riscontrava un’eccessiva distanza rispetto
29
TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., pp. 848-879.
30
L’attività di costruzione è evidenziata per Mariano al quale è associata la chiesa di S. Maria di
Castro (sede dell’omonima diocesi) e S. Michele di Plaiano, mentre a sua moglie la chiesa di S. Pietro di
Silki e al fratello di quest’ultima la chiesa di S. Maria di Tergu. A Costantino la chiesa della Trinità di Saccargia,
a Gonnario la chiesa e monastero di S. Maria di Corte a Sindia (Libellus, cit.,pp. 46-49). Sulla
diocesi di Castra si veda anche M. G. SANNA, La diocesi di Castra, in Oschiri e Castro e il Logudoro
orientale, a cura di G. Meloni - P. G. Spanu, Sassari 2004, pp. 133-147; più in generale sul ruolo delle sedi
vescovili in rapporto all’insediamento, nello stesso volume, F.G.R. CAMPUS, L’insediamento umano: processi
formativi e dinamiche di trasformazione nel medioevo (secc. VI-XIV), pp. 151-188.
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 13
alla sede del vescovo 31 . Una chiave di lettura interessante per l’Isola, e in particolare
per sua la porzione settentrionale dato che dal VI secolo segnava la presenza di
due sole sedi episcopali poste in corrispondenza delle antiche città portuali di
Turris e Olbia 32 . Le difficoltà connesse all’azione pastorale dei vescovi sardi non
sono testimoniate nelle fonti documentarie, ma sono intuibili nel confronto con il
processo di evoluzione del tessuto insediativo e dove si segnala a Torres lo sviluppo
ad Ardara di un nuovo centro di residenza dei giudici già prima dell’XI secolo 33 .
La posizione e l’interna organizzazione topografica del centro di Ardara (chiesa
più palazzo sul limite di una bassa collina e villaggio poco distante) rappresentò il
prototipo insediativo per i vicini centri episcopali. La correlazione, sistemica e
cronologica, tra questi fenomeni permette di immaginare come il tutto si giocò
non solo su una rete di nuove strutture ma molto più verosimilmente su una maglia
di edifici di culto più antichi anche se originariamente privati 34 . In questo quadro
è possibile annotare come nel regno di Torres le nuove sedi episcopali, anche se
cronologicamente coeve nella prima citazione dei loro vescovi, si possano suddividere
qualitativamente in due gruppi. Nel primo è evidente come il modello di riferimento
(Ardara) fu applicato nelle sedi di Ploaghe, Bisarcio 35 , Sorres e Castra
(mentre appare completamente diverso il caso di Ottana che non è possibile approfondire
in questa sede). La scelta prevalente fu quella di operare in realtà rurali
caratterizzate da un sistema insediativo distribuito lungole valli e dove l’organizza-
31
TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., pp. 222-226. Su questo fenomeno giuridico-istituzionale
si vedano alcuni saggi di Bruno Ruggero (B. RUGGERO, Per una storia della pieve rurale nel mezzogiorno
medievale; ID. «Parrocchia» e «Plebs» in alcune fonti del Mezzogiorno longobardo e normanno, ora raccolti
nel volume ID., Potere, Istituzioni, chiese locali: Aspetti e motivi del Mezzogiorno medioevale dai Longobardi
agli Angioini, Bologna 1977).
32
TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., pp. 108-113; P.G. SPANU, La diffusione del cristianesimo
nelle campagne sarde in Insulae Christi. Il cristianesimo primitivo in Sardegna, Corsica e Baleari, a cura di
P.G. Spanu, Oristano 2002, pp. 407-441.
33
Su Ardara si veda F.G.R. CAMPUS - L. BICCONE, Il palazzo/castello di Ardara tra fonti scritte e primi
dati archeologici, in Settecento-Millecento. Storia, Archeologia e Arte nei “secoli bui” del Mediterraneo.
Dalle fonti scritte, archeologiche ed artistiche alla ricostruzione della vicenda storica: la Sardegna laboratorio
di esperienze culturali, atti del convegno (Cagliari, 17-19 ottobre 2012), a cura di R. Martorelli, Cagliari
2013, pp. 485-514
34
Su queste tematiche si rimanda il recente contributo di P.F. SIMBULA - P.G. SPANU, Paesaggi rurali
della Sardegna tra tardo antico ed età giudicale in Paesaggi, comunità, villaggi medievali, atti del Convegno
di Studio, Bologna, 14-16 gennaio 2010, Spoleto 2012, pp. 564-597.
35
L’interesse diretto dei giudici emerge nel caso di Bisarcio colpita da un incendio prima del 1090 e
ricostruita entro il 1153. L’intervento del vertice giudicale è desumibile dal fatto che la sede vescovile,
trasferita per un breve periodo ad Ardara, fu completamente recuperata e anche ampliata ristabilendo in
questo modo l’assetto originario (cfr. AMADU, La diocesi medievale di Bisarcio cit., pp. 20-24). Sulle fasi
costruttive della chiesa si rimanda a R. CORONEO, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo’300,
in Storia dell’arte in Sardegna, a cura di S. Naitza, Nuoro 1993, scheda 19, pp. 92-93.
14 Franco G. R. Campus
zione religiosa secolare si dovette adeguare non solo alla struttura demografica ma
soprattutto al disegno proposto e diretto (verosimilmente anche finanziato) dall’autorità
politica locale. Un aspetto intuibile osservando anche il fatto che non si
mirò alla realizzazione di una distribuzione uniforme ma si concentrarono quattro
sedi nell’arco di trenta chilometri e tutte connesse ad un’unica viabilità di valle.
Nel secondo gruppo, formato dalle sedi di Ampurias e Bosa, l’elemento caratterizzante
è invece dato dal fatto che le strutture trovarono spazio presso le aree urbane-portuali
del precedente periodo romano, palesemente assecondando una
primitiva organizzazione religiosa 36 .
«De andare a visitare sa Ecclesia de sos tres gloriosos martyres». Il pellegrinaggio
come mezzo di supporto per i commerci.
A Torres, tra metà XI secolo e primi decenni del XII secolo si assiste alla
nascita delle nuove sedi vescovili, all’arrivo degli enti monastici, ma anche alla
progressiva cessione delle antiche chiese da parte dei laici, ma in tutto questo panorama
emerge, fisicamente e topograficamente, un elemento di forte continuità:
la persistenza della sede vescovile di Turris. Una conservazione dovuta in parte
alla coincidenza tra la sede cattedrale e centro martiriale (aspetto che ne faceva
una meta per il pellegrinaggio), ma il vero merito della sua continuità va anche associato
alla costante sopravvivenza del centro portuale, ma soprattutto alla popolazione
locale non cessò mai di frequentare le strutture religiose grazie anche alla
relativa distanza (curatorìe di Nurra, Flumenargia e Romangia) 37 . Un ruolo non
secondario in questo processo fu ricoperto dai pellegrini che si recavano nei luoghi
santi, o comunque in quegli spazi particolarmente legati al culto dei martiri protettori
38 . Nel suo insieme tutto il complesso monumenta le sul Monte Agellu a
Porto Torres offre attestazioni materiali del culto per i martiri già dalla fine del IV
36
Su Bosa i nuovi elementi in questo senso si trovano in L. BICCONE, A. VECCIU, Bosa bizantina e
giudicale. Nuove riflessioni sulla base dell’evidenza ceramica, in Settecento-Millecento cit., pp. 353-367.
Per la sede di Ampurias si veda M. G. SANNA - A. SODDU, Nota sull’ubicazione della sede vescovile di
Ampurias, in Martis. L’Anglona e la Sardegna nella Storia, in Cronache di Archeologia 7, Sassari 2008, pp.
77-82.
37
Sul quadro insediativo dei territori si veda M. MILANESE - M. CHERCHI - G. MARRAS - A. VECCIU,
I villaggi medievali della curatorìa di Romangia, in La basilica di S. Gavino a Porto Torres. Teorie a
confronto, Atti del convegno di studi, Porto Torres, 21 dicembre 2008, Pisa 2010, pp. 37-49.
38
Per il pellegrinaggio medievale in Sardegna i contributi presenti in Gli anni Santi nella Storia. Atti
del Congresso Internazionale, 16-19 ottobre 1999, (a cura di) L. D’Arienzo, Cagliari 2000; e quelli
presenti in Culti, santuari, pellegrinaggi in Sardegna e nella penisola iberica tra medioevo ed età contemporanea,
(a cura di) M.G. Meloni - O. Schena, Genova 2006.
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 15
secolo 39 , mentre i primi supporti informativi documentari, anche se relativi l’attestazione
di una sede episcopale in questa città, sono pertinenti ad un periodo di
poco successivo alla fine del V secolo 40 . Diverse problematiche, nonché differenti
informazioni scritte e materiali, sono pertinenti al periodo giudicale (XI-XIII
secolo) dove spicca la costruzione della grande basilica ad absidi contrapposte costruita
secondo la leggenda in onore del nuovo ritrovamento delle spoglie dei
martiri Gavino, Proto e Gianuario 41 . Di altra natura sono le informazioni, documentarie
e topografiche, relative alla prima metà del XVI secolo, da inquadrare
nel clima segnato dalla contesa per il Primato tra la Chiesa Turritana e quella Caralitana
42 . È in questo momento che si crearono le basi ‘culturali’ per il fenomeno
delle ricerche dei cuerpos santos all’interno delle primitive cattedrali dell’Isola e
nel nord l’apice si toccò con gli scavi all’interno della basilica 43 . Non è questa la
39
Per le ricerche archeologiche si rimanda integralmente a L. PANI ERMINI - F. MANCONI - F. CARRADA
- M. I. MARCHETTI - D. OLIVIERI - F.R. STASOLLA, Indagini archeologiche nel complesso di S. Gavino a
Porto Torres. Scavi 1989-2003, «Memorie della Pontificia accademia romana di archeologia», serie III,
vol. VII, Roma 2006. Sulle sepolture in Atrio Metropoli: PANI ERMINI - MANCONI, Nuove ricerche nel
complesso di S. Gavino di Turris Libisonis, in Insulae Christi cit., pp. 289-314. Secondo Attilio Mastino i
testi epigrafici attesterebbero la presenza di un culto verso i martiri turritani già nell’ultimo quarto del IV
secolo (A. MASTINO, Una traccia della persecuzione dioclezianea in Sardegna? L’Exitum di Matera e la susceptio
a sanctismarturibus di Adeodata nella TurrisLibisonis di IV Secolo, «Sandalion. Quaderni di
cultura classica, cristiana e medievale», n. 26-28, Sassari 2007, pp. 155-203).
40
P. TESTINI - G. CANTINO WATAGHIN - L. PANI ERMINI, La cattedrale in Italia, in Actes du XI e
congrès international d’archéologie chrétienne, (Lione, Vienna, Grenoble, Ginevra, Aosta 21-28 septembre
1986), Studi di Antichità Cristiana, XLI (Collection de l’École Française de Rome, 123), Città del
Vaticano, Roma 1989, pp. 2-229, in part. pp. 74-76 e pp. 136-137. Sulla particolare eccezione topografica
rappresentata dalle sedi cattedrali nell’Isola nel contesto paleocristiano si veda la recente rilettura di PH.
PERGOLA et alii, Le sedi episcopali della Sardegna. Riflessioni Topografiche, «Rivista di Archeologia Cristiana»,
86 (2010), pp. 353-410; su Porto Torres la scheda di G. Finocchio a pp. 358-365.
41
Sulla basilica di S. Gavino esiste una cospicua bibliografia. Una rassegna esauriente si trova in F.
POLI, La basilica di San Gavino a Porto Torres, Sassari 1997, pp. 61-88. Raffaello Delogu definì un periodo
di costruzione compreso tra gli ultimi decenni dell’XI secolo e il primo decennio del secolo successivo,
con una sequenza costruttiva che prevedeva prima l’originale abside ad occidente e quindi un cantiere
costruttivo orientato da ovest verso est (R. DELOGU, L’architettura del medioevo in Sardegna, rist. anast.
ed. 1953, Sassari 1992, pp. 85-92). Di diversa opinione è invece Roberto Coroneo, che vede in principio
la costruzione dall’abside orientale (quindi da est verso ovest) e che ipotizza una conclusione dei lavori
nel primo decennio dell’XI secolo (CORONEO, Architettura romanica, cit., pp. 19-21); Fernanda Poli
descrive un cantiere segnato in una prima fase da una canonica organizzazione interna con abside ad est
e facciata ad ovest ma i successivi e continui ripensamenti stravolsero il primitivo impianto: il primo
cantiere iniziò tra il quarto e quinto decennio dell’XI secolo, con una modalità costruttiva da est verso
ovest, mentre il secondo cantiere si articolò tra l’ottavo e il nono decennio dello stesso secolo (pp. 88-91).
42
TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., pp. 373-377).
43
Gli scavi furono promossi su diretta iniziativa dell’arcivescovo Gavino Manca Çedrelles nel1614
(M. I. MARCHETTI, Le ricerche seicentesche, in PANI ERMINI - MANCONI - CARRADA - MARCHETTI - OLIVIERI
- STASOLLA, Indagini archeologiche cit., pp. 35-47).
16 Franco G. R. Campus
sede per discutere tutta la complessa sequenza archeologica relativa alla struttura
di S. Gavino, tuttavia, quello che appare chiaro, e sintetizzando in modo estremo
i dati a disposizione, vi è la certezza che il cantiere medievale rappresentò il momento
di trasformazione di tutta la precedente sistemazione topografica. In altre
parole, l’articolazione di età paleocristiana insieme con quella che si venne a costituire
nel corso del periodo bizantino se sino a quel momento aveva conservato
edifici di diversa cronologia e funzione, con spazi frequentati anche dai pellegrini,nel
primo secolo dopo il Mille fu annullata con la realizzazione di un’opera architettonica
di grande impatto 44 . La costruzione di S. Gavino raffigura emblematicamente
lo sforzo economico intrapreso dai giudici di Torres, ma il medesimo impegno
rappresenta il principale «tra gli avvenimenti “fondanti” l’identità politica e religiosa
del regno turritano» 45 . Anche per S. Gavino si ha la testimonianza di una leggenda
di fondazione: il condaghe di S. Gavino 46 . La prima parte di questa cronaca riporta
le tappe toccate da Comita, il giudice fondatore,nel suo viaggio verso il luogo dove
avverrà il ritrovamento delle spoglie dei martiri turritani 47 . Un racconto che nella
sua struttura narrativa (necessità di una grazia, il viaggio, le diverse visioni, la promessa
per l’impegno costruttivo, l’esaudimento del miracolo) è del tutto simile a
quello pertinente alla fondazione della Trinità di Saccargia 48 . In questo ultimo
testo l’aspetto miracolistico è invece legato alle vicende di Costantino e Marcusa
44
Sul riconoscimento delle cave antiche si veda E. MARONGIU, La basilica di S. Gavino e i suoi
materiali da costruzione: analisi delle cave storiche in calcare miocenico del turritano, in La basilica di S.
Gavino cit., pp. 111-125. Nel medesimo volume, sul contesto storico legato alla costruzione della chiesa
A. CASTELLACCIO, La basilica di San Gavino di porto Torres: riflessioni sulle motivazioni della sua edificazione,
pp. 79-95.
45
R. CORONEO, Il pellegrinaggio medievale in Sardegna (secoli XI-XIV): fonti e documenti, in Culti,
santuari, pellegrinaggi in Sardegna cit., pp. 45-85, in part. p. 55.
46
Nel manoscritto del 1620 Francesco Roca riporta l’esistenza di precedenti edizioni datate al 1497
e al 1547, versioni del tutto perdute, ma secondo Giuseppe Meloni, è molto verosimile che l’opera dell’autore
si sia concentrata ad una riedizione di un precedente testo manoscritto (G. MELONI, Il condaghe
di San Gavino, Sassari 2004, pp. 12-21, con dovizia di raffronti bibliografici). Sulla parte del testo dedicata
al pellegrinaggio verso la basilica di S. Gavino si veda A. M. PIREDDA, Il pellegrinaggio alla basilica di
Porto Torres, in Pellegrinaggi e peregrinazioni. Percorsi di lettura, a cura di G. Serpillo (Collana Crocevia,
3) a cura di A.M. Morace, Cosenza 2011, pp. 233-247.
47
Sulla reale non esistenza di questo giudice M. G. SANNA, La cronotassi dei giudici di Torres, in La
civiltà giudicale in Sardegna nei secoli XI-XIII cit., pp. 97-113 in part. pp. 97-103. Sulla trasposizione semantica
del termine condaghe, da registro amministrativo a cronaca legata alla ‘storia della fondazione’
di una chiesa, R. TURTAS, Evoluzione semantica del termine condake, «Bollettino di Studi Sardi», 1 (2008),
pp. 9-38, in part. pp. 31-35.
48
TOLA, Codex, cit.,sec. XII, doc. XXI. La vicenda è anche riportata nel Libellus (LIBELLUS, cit.,p.
46-47) dove è riportata la data di scioglimento del voto al 5 novembre del 1116. Elemento che invece non
si trova nel manoscritto conservato a Madrid (ORUNESU - PUSCEDDU, Cronaca medioevale sarda cit., pp.
59-64, in part. p. 60).
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 17
che si mossero da Ardara con l’obiettivo di avere una discendenza stabile 49 . Anche
in questo caso la meta della processione è Turris, anzi a «Sa Ecclesia» che custodisce
le spoglie dei martiri. Il dato che interessa maggiormente è quello relativo al viaggio
di andata, da Ardara sino a Porto Torres, e quello di ritorno con l’apparizione
della Vergine che svela alla coppia la possibilità della grazia solo dopo aver edificato
in quel luogo,nell’Ischia di Saccargia, una chiesa e un monastero in onore della
Santissima Trinità. Anche in questo racconto, come nella narrazione di Comita, vi
era la costruzione di una struttura alla fine del viaggio, ma nel caso di S. Gavino,
se ci si estrania dal racconto, non si può non pensare che il luogo di venerazione e
di conservazione delle spoglie dei martiri era fisicamente noto da almeno cinquecento
anni e particolarmente visibile ancora nell’XI secolo come le fonti archeologiche
hanno ampiamente dimostrato. Nel caso di Saccargia, oltre alla costruzione
di una chiesa e di un monastero, il racconto ha il suo nucleo centrale nel fatto che
il nuovo impianto venne collocato non solo nel luogo della visione, ma al centro di
“sistema stradale” già esistente e che metteva in collegamento diretto Ardara con
Turris. Anche in questo caso, sfoltendo gli elementi leggendari, è abbastanza facile
comprendere come a Saccargia, da almeno un secolo, si trovava una chiesa di modeste
dimensioni, diverse fontane per l’acqua e alcuni spazi per far riposare persone
e cavalli. Restando sul livello delle cronache è abbastanza chiaro come gli autori
fossero spinti dalla necessità di offrire al lettore una contestualizzazione topografica
dei fatti miracolistici e tra questi, oltre ai luoghi di culto, vi era anche il viaggio (le
strade) per dare il giusto ritmo al tutto il racconto. La definizione di questi spazi,
associato all’attività dei personaggi, con la citazione dei nomi propri aveva come
scopola costruzione di un contatto diretto con il lettore. Un rapporto rafforzato
dalla descrizione dei luoghi di sepoltura dei personaggi 50 . Un’attenzione spesa non
tanto per sollecitare una venerazione di queste spoglie, quanto per offrire un ennesimo
aggancio alla narrazione: la tomba rappresentava la prova materiale del-
49
Secondo Mauro Giacomo Sanna, Marcusa de Gunale fu, in effetti, la prima moglie di Costantino,
seguita da una seconda, Maria de Arrubu, preceduta o seguita da Maria De Thori che sarebbe la vera
madre di Gonnario, futuro giudice di Torres (M.G. SANNA, Osservazioni cronotattiche e storiche su alcuni
documenti relativi all’espansione cassinese nella diocesi di Ampurias fino alla metà del XII secolo, in Castelsardo.
Novecento Anni di storia, a cura di A. Mattone - A. Soddu, Roma 2007, pp. 215-234, in part. pp.
228-231).
50
I luoghi di sepoltura occupano uno spazio particolare nel Libellus: Andrea Tanca presso l’altare
maggiore della chiesa di S. Maria ad Ardara; nessuna indicazione per Mariano; Costantino altare maggiore
della chiesa della Trinità di Saccargia (Marcusa moglie di Costantino, presso la chiesa di S. Giovanni a
Messina); Gonnario a Clairvaux; Barisone II a Messina nella stessa chiesa della madre; Costantino II
nessuna indicazione (scomunicato); Comita nessuna indicazione; Mariano II nessuna indicazione; Barisone
III presso la chiesa di S. Pantaleo a Sorso; Ubaldo, presso la chiesa di S. Pietro di Silki; Adelasia nella
chiesa di S. Maria di Ardara, davanti all’altare maggiore.
18 Franco G. R. Campus
l’affidabilità della testimonianza scritta 51 . In quest’ottica lo studio comparato delle
due cronache, senza dimenticare i problemi legati alla loro composizione e tradizione
di riferimento, permette di analizzare non tanto la reale esistenza dei sistemi
insediativi coevi ai fatti narrati, quanto solo il tessuto d’insieme che, messo a confronto
con altri supporti informativi (topografia, fonti scritte), offre la possibilità
di definire un ‘sistema stradale’ costituito dai luoghi di sosta e dai servizi correlati
a questo apparato. Queste indicazioni definiscono il ruolo di Saccargia prima e
dopo l’arrivo dei Camaldolesi: da una struttura insediativa semplice, inserita in
una maglia stradale a lunga percorrenza che aveva come meta il centro martiriale
e il maggior porto del giudicato, ad una di tipo complesso in grado di modificare
la geografia socio-insediativa di un vastissimo territorio ma conservando e valorizzando
ulteriormente le caratteristiche originali come l’attenzione verso i pellegrini
ei traffici mercantili verso Turris.
Queste osservazioni consentono di disegnare la fine strategia perseguita dal
giudice di Torres (che emerge dalla documentazione ufficiale anche prescindendo
dalle cronache) capace di mediare tra le prospettive pertinenti l’ente monastico (i
diversi stadi messi in campo dai monaci nella scelta dei territori esposti in precedenza),
le esigenze espresse dalla struttura ecclesiastica locale 52 , e contestualmente
mirando non ad un semplice progresso del quadro insediativo e produttivo dipendente
dalla nuova sede monastica, quanto un rafforzamento generale del ‘sistema
stradale’ di tutto il giudicato 53 .
51
Sulla definizione di modello narrativo seguito dall’anonimo autore del Libellus si veda quanto
espresso da Patrizia Serra (P. SERRA, Alle origini della scrittura letteraria in Sardegna, in EAD., Questioni
di letteratura sarda. Un paradigma da definire, Milano 2012, pp. 19-60).
52
Il complesso di Saccargia sorge a pochi chilometri da un centro episcopale (Ploaghe). Da evidenziare
come nell’atto di donazione tra i vari vescovi manca la firma del vescovo di Castra, forse perché la sede
era ancora in via di costituzione (cfr. SCHIRRU, Le pergamene camaldolesi cit., doc. V) carica vescovile
citata all’interno della leggenda di fondazione (TOLA, Codex, cit., sec. XII, doc. XXI, p. 193). Da
evidenziare come specialmente all’ordine di Camaldoli siano legate, secondo quanto scritto da Mauro G.
Sanna, quasi tutte le notizie che si possiedono sulla diocesi di Castra nel XII secolo (M.G. SANNA, La
diocesi di Castra, cit., pp. 133-147).
53
Non esiste un’opera di sintesi critica sulla viabilità medievale, anche se esistono diversi tentativi di
ricostruzione dei percorsi attraverso la comparazione con la rete stradale di romana (su questo si veda Le
strade romane in Sardegna in Storia della Sardegna antica, a cura di A. Mastino, Nuoro 2005, pp. 333-
392), da quelle pertinenti il periodo bizantino (SPANU, La Sardegna bizantina, cit., pp. 121-128) e quelle
attestate tra XIII e XIV secolo (E. BELLI, Le vie di comunicazione della Sardegna Medievale, in Milites,
Castelli e battaglie nella Sardegna tardo-medievale, catalogo della mostra, Cagliari 7-31 dicembre 1996,
Cagliari, pp. 77-86).
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 19
Conclusioni
Nella documentazione disponibile non appare nessun provvedimento a controllo
e gestione di una strada da parte dell’autorità giudicale, anche se alcune
porzioni sono ricordate nella documentazione come confini delle divisioni poderali.
Il controllo diretto su alcune strade divenne palese solo alla fine del XIII secolo
con lo sviluppo dei poteri comunali, come nel caso di Sassari che estese la sua legislazione
non solo sui territori delle ex curatorìe di Flumenargia e Romangia, ma
soprattutto sui percorsi verso il porto di Turris. In questo senso lo scopo perseguito
dell’autorità comunale era quello di gestire al meglio i traffici commerciali verso il
porto 54 . Proprio questo elemento offre una labile traccia sul fatto che anche nel
periodo giudicale le strade fossero monitorate, soprattutto quelle a lunga percorrenza
verso gli approdi. Un’attenzione che sicuramente godeva tutto il ‘sistema
stradale’ da Ardara verso Turris: il maggior porto del territorio, la sede del vescovo
più importante, il luogo di conservazione dei santi eponimi, la meta finale del pellegrinaggio.
L’area di Saccargia, anche prima dell’arrivo dei monaci, rappresentava
sin dall’alto medioevo una tappa fondamentale all’interno di questo organismo
stradale. Qui le persone trovavano un luogo di incontro ideale, agevolandosi di un
piccolo edificio di culto, ma anche di fontane, spazi per ferrare i cavalli, cucine,
ambienti per il riposo e verosimilmente uno spazio anche per l’esercizio di un piccolo
mercato. Un palinsesto che venne progressivamente rafforzato attraverso una
vasta strategia d’insieme: la creazione delle sedi episcopali minori (Ploaghe, Bisarcio,
Sorres e successivamente Castra), e acconsentendo allo stanziamento in questo
punto dei Camaldolesi. L’azione dei giudici di Torres si mostra non solo nel caso
specifico di Saccargia, ma soprattutto nel confronto con tutti gli ordini monastici
già presenti nel giudicato e in quelli che si stanzieranno nei decenni successivi: infatti,
anche dopo i primi pionieristici stanziamenti dei Cassinesi sulla cima del
Monte Santo e presso la chiesa di S. Maria Bubalis 55 , nel regno di Torres ai monaci
54
Il Codice degli Statuti del libero Comune di Sassari, a cura di G. Madau Diaz, Sassari 1969, libro I,
art. LXXXII.
«Dessa via qui deven facher sos carratores. Sos carratores et qui carruju chendeppian andare, quando
vaen ad portu de Turres, et torrare per issa via derecta, ciò est per issa Via Maiore de Pischinas, de Innoviu
et Octavu et Vadu de Ponte et Petras de Meiatorgiu; et andande ad Gennanu, per issa via de Kerqui et per
via de portu (…)». “Quando vanno al porto di Torres, i carrettieri e tutti coloro che conducono un carro
devono andare e tornare per la “via dritta”, cioè per la Via Maiore di Pischinas, di Innoviu e Ottava e
Vadu de Ponte e Petras de Meiatorgiu; e andando a Gennanu, per la via di Kerqui e per la via del
porto”. L’articolo, anche se non esplicita chiaramente il concetto, ha come obiettivo quello di potenziare
questo tragitto a discapito di quello localizzato più ad ovest. Sulle diverse articolazioni del tessuto viario
verso Turris a partire dal periodo romano si veda AZZENA - SODDU, Il monastero di San Pietro di Nurki
cit., pp. 116-137.
55
Sui cassinesi si veda SABA, Montecassino e la Sardegna medievale cit.
20 Franco G. R. Campus
non venne mai concesso il centro martiriale di Turris, né si trova traccia di una
loro presenza nei periodi precedenti (fonti scritte e archeologiche). Una scelta opposta
a quella seguita a Cagliari, dove nel 1089 si registra il trasferimento in favore
dei Vittorini di Marsiglia di tutti i luoghi legati al culto dei martiri locali (Saturno
a Cagliari, Efisio a Nora ed Antioco a Sulci) 56 . Una finalità che non mostra cenni
di debolezza neppure quando il vertice giudicale logudorese scelse Ardara, almeno
dall’XI secolo, come sede principale del giudicato assecondando l’assetto insediativo
che si era formato nei secoli precedenti (spostamento della popolazione verso l’interno
e non verso le cime delle montagne)ma definendo in questo modo il modello
urbanistico per le nuove sedi vescovili. Forse non è errato immaginare un legame
non solo simbolico tra la creazione della sede ad Ardara e la volontà di rafforzare
l’antica vescovile mediante la costruzione di una nuova chiesa a Turris: un risarcimento
nei confronti del vertice ecclesiastico che del resto raggiungeva in quello
stesso periodo l’autonomia arcivescovile su tutto il territorio giudicale. Per raggiungere
questo obiettivo il giudice fondatore ebbe la facoltà pratica e giuridica di
annullare tutte le costruzioni precedenti, ma contemporaneamente espresse in
grande stile la possibilità politica e finanziaria per monumentalizzare l’intima sacralità
del luogo, interpretando i sentori dell’autorità religiosa ma soprattutto gli
umori e le tendenze della popolazione locale presente nel centro portuale e nel
suo immediato retroterra. La nuova chiesa divenne il simbolo identitario per tutto
il territorio giudicale, assumendo anche una funzione sociale ed economica per il
centro di Turris e quindi anche per il suo porto. Una strategia di ampio respiro
che coinvolse nel primo decennio del XII secolo anche Saccargia, già importante
luogo di sosta ma sede sino a quel momento di una piccola cappella e che anticipava,
per chi arriva da Turris, tutto il comprensorio che accoglieva la capitale giudicale
(chiesa più palazzo) a sua volta circondata da tre sedi vescovili poste sulla cima di
piccole colline. Anche i monaci seppero ben scegliere l’area e, non a caso, costituirono
qui la loro sede primaziale (la scelta assume un forte valore qualitativo nel
confronto con la modestissima sede di Trullas a Semestene 57 ). Nel documento
56
TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., pp. 214, nota 5, pp. 226-227. Sui Vittorini: A. BOSCOLO,
L’abbazia di S. Vittore Pisa e la Sardegna, Padova 1958; F. ARTIZZU - E. BARATIER - A. BOSCOLO - F.
CASULA - P. LEO - C. MANCA - G. SORGIA, Studi sui Vittorini in Sardegna, Padova 1963. Per un taglio storico-archeologico
sulle strutture: P.G. SPANU, I possedimenti Vittorini in Sardegna, in De re monastica 1,
cit., pp. 245-279; ID, I possedimenti vittorini del priorato cagliaritano di San Saturno. Il santuario del
martire Efisio a Nora, in Città, territorio produzione e commerci nella Sardegna medievale, Studi in onore
di Letizia Pani Ermini, (a cura di) R. Martorelli, Cagliari 2002, pp. 65-103. Interessante su questo passaggio
quanto annotato da Roberto Coroneo che immagina come nel 1089 sia possibile che i Vittorini ricevessero
dal giudice un monastero fatiscente, ma non è credibile che lo fosse anche la chiesa di S. Saturno vista la
presenza di diversi frammenti di un ciborio mediobizantino: elementi che rappresentano materialmente
la vitalità della chiesa almeno per tutta la seconda metà del X secolo (CORONEO, Architettura romanica
cit., p. 35).
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 21
pertinente al passaggio di proprietà (16 dicembre 1112) ai monaci era riconosciuto
il diritto di decima e di primizia e la piena facoltà di amministrare i sacramenti,
nonché quello di esercitare la cura animarum 58 . Quello che appare più interessante
è il diritto al libero recepimento delle offerte e dei testamenti, assicurando ai donatori
la possibilità di sepoltura nella stessa chiesa 59 . Giuseppe Vedovato ha evidenziato
come questo insieme di privilegi, comprendendo anche quelli che riconoscevano
all’abate piena autonomia nei confronti del vescovo locale, rappresenta
la definitiva affermazione di un ‘modello sardo’ che di fatto supera quello di
stampo cluniacense e anticipa di qualche decennio quello che sarà adottato dai Cistercensi.
Una tendenza, prosegue lo studioso, che se per un verso afferma in
modo definitivo la congregazione di Camaldoli in Italia, soprattutto nei confronti
della Sede Apostolica, «pose le premesse della crisi successiva, avviando la tendenza
all’esenzione proprio in una fase in cui essa stava perdendo la funzione di garanzia
di libertà riformatrice per assumere sempre più quella di precipua tutela di ricchezze
e privilegi acquisiti» 60 . Nella mancanza di dati più puntuali che permettano di focalizzare
al meglio il livello di vita dei monaci in confronto con le popolazioni che
passarono sotto il loro controllo, nonché sulle strategie messe in atto nel controllo
e organizzazione delle attività produttive agricole, e quindi, anche nelle forme di
esazione delle rendite (i nodi che rappresentano il cuore del problema sul successo
politico ed economico del monachesimo occidentale in Sardegna), la posizione
del complesso di Saccargia lungo una strada di lunga percorrenza si offre come un
elemento significativo, anche se nella documentazione non vi è traccia di eventuali
pedaggi riscossi dai Camaldolesi. Sono quindi altri i criteri che possono permettere
di spiegare le modalità di gestione e successo. Tra le varie possibilità vi erano certamente
le potenzialità rappresentate dai flussi dei pellegrini verso Turris. A Saccargia
non vi era nessuna sepoltura martiriale, ma il valore aggiunto non era offerto
dai racconti miracolistici, del resto riportati secoli dopo prima dal Libellus e poi
dall’omonimo condaghe. Tuttavia, in questo ultimo testo è rimasta una traccia di
quello che probabilmente si verificava anche durante il periodo medievale. Nel
racconto è riportato come alla chiesa è riconosciuto il valore di «ponner grande
perdonu a totu cuddas personas qui cum devossione bene contritos et confessados
desso peccados issoro deviant venner a visitare sa predicta ecclesia de sa santissima
58
Raimondo Turtas interpreta in questo senso la frase «Christianismuum in ecclesiis suis agere»
(TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna cit., p. 217).
59
SCHIRRU, Le pergamene camaldolesi cit., doc. V, p. 71. Privilegi del tutto simili furono accordati
anche alla chiesa di S. Pietro di Scano (EAD, doc. III).
60
G. VEDOVATO, Camaldoli e la sua congregazione dalle origini al 1184, Italia Benedettina XIII,
Cesena 1994, pp. 70-72.
61
TOLA, Codex, cit. sec. XII, doc. XXI, p. 193.
22 Franco G. R. Campus
Trinidade» 61 . Secondo questa fonte, il periodo di visita, connesso all’ottenimento
del perdono, iniziava ad ottobre, nel mese di S. Gavino, e si protraeva sino all’ottava
di Natale; da qui si saltava alla Quaresima (primo sabato) sino all’ottava della festa
della Trinità. A questi giorni si sommavano tutte le feste in onore della Vergine,
quelle per gli Apostoli, per S. Benedetto e per S. Romualdo. L’insieme porta a
favore del monastero di una quota di 174 giorni, che rappresenta il 48% rispetto
ad un normale anno solare. Anche se non comprovato da nessun documento medievale
(con i limiti che la definizione dei giorni sia più pertinente al periodo di
edizione della fonte, quando la struttura divenne una delle mete legate al culto
mariano) è comunque facilmente intuibile come ai diversi ruoli rappresentati dalla
chiesa e monastero sulla popolazione locale (la cura animarum), si potevano sommare
quelli sulle persone che frequentavano saltuariamente la chiesa e il monastero:
i pellegrini in transito verso Turris 62 . Appare facile immaginare come i proventi
provenissero dal servizio offerto: ospitalità, alloggio, cucine, spazio di mercato,
senza trascurare l’aspetto spirituale. Il tutto spingeva ad una riconoscenza quasi
obbligata verso la chiesa e di conseguenza verso i monaci, che verosimilmente,
prendendo come esempio i condaghes, poteva essere effettuata anche con formule
non monetarie e mediante l’offerta di prodotti naturali come carne salata, formaggi,
dolci, vino, grano, tessuti locali. Elementi che non rappresentano negativamente
gli emblemi di un’economia chiusa, volta all’autoconsumo, ma semplicemente
l’oggettiva attestazione di un regime base degli scambi. Molto probabilmente i
prodotti a più lunga conservazione potevano essere monetizzati in un secondo
tempo direttamente anche dai monaci grazie al movimento continuo dei mercanti
ambulanti che si spostavano tra i diversi centri e che si occupavano di trasportare
i beni verso gli approdi. È quindi necessario immaginare come questi due insiemi
(pellegrini e mercanti) trovassero a Saccargia poteri e possibilità e come l’anello di
collegamento tra questi due mondi fosse rappresentato proprio dall’ente monastico.
In chiusura, a possibile supporto di questa ipotesi, appare emblematica la vicinanza
temporale tra le varie ricorrenze legate al ritrovamento delle reliquie a Porto
Torres 63 , e la festa della Trinità a Saccargia che ricorre la domenica immediatamente
61
TOLA, Codex, cit. sec. XII, doc. XXI, p. 193.
62
Una prova materiale del passaggio dei pellegrini è rappresentata dalla presenza della sagoma del
plantare che si trova incisa lungo i muri dell’edificio. Per un panorama generale si rimanda a I. GRECU,
Le “orme” dei pellegrini nelle chiese della Sardegna medievale in Culti, santuari, pellegrinaggi cit., pp. 149-
189, per Saccargia in particolare pp. 161-162.
63
In pratica tutto il processo alla base del condaghe di S. Gavino, e dove il tutto culmina nell’attuale
Festha Manna che si celebra a Porto Torres nel giorno di Pentecoste. Tra le varie problematiche legate al
culto di S. Gavino vi è quello relativo alle diverse date di venerazione: le indicazioni per il 30 maggio e il
25 ottobre sono riportate nel Martirologio Geronimiano. La prima, secondo Victor Saxer, sembra mostrare
Saccargia: una tappa nel pellegrinaggio medievale? 23
successiva a quella di Pentecoste. La stretta correlazione tra queste date permette
di immaginare, in andata e ritorno, l’itinerario seguito non solo dai pellegrini, ma
anche dai mercanti, soprattutto da quelli che operavano a più ampio raggio.
Persone che si spostavano in questi luoghi non solo per celebrare i vari eventi religiosi
ma che erano certamente motivati dal fatto che gli stessi rappresentavano le
più affollate piazze commerciali 64 .
una maggiore attendibilità dal punto di vista dell’analisi dei codici, mentre la seconda è quella pertinente
alla venerazione locale e quindi, per tradizione, dovrebbe rappresentare il vero dies natalis del martire.
Per Proto e Gianuario, segnalati per il 27 ottobre nello stesso Martirologio, sempre per Victor Saxer, sarebbero
da riferire ad una notizia martirologica aumentata tramite l’intervento dei monaci dell’Isola di
Gorgona (V. SAXER, La Sardegna nel Martirologio Geronimiano, in La Sardegna Paleocristiana tra Eusebio
e Gregorio Magnocit., pp. 437-448). Da evidenziare come nel Condaghe di S. Pietro di Silki sia spesso ricordata
la chiesa di S. Gavino come luogo dove si celebravano le sedute del tribunale giudiziario (allo
stesso modo è ricordata anche Saccargia), che si potevano anche svolgere anche nel giorno del «nnatale
Sacti Gavini» (CSPS, schede 70, 205, 365). Un chiaro riferimento alla festa di S. Gavino (anche se non
esplicitata quale) si trova nel Condaghe di S. Nicola di Trullas (CSNT, scheda n. 150). Le altre date di venerazione
legate a S. Gavino, o meglio alla basilica e al medievale ritrovamento dei corpi santi, sono tutte
relative alla primavera inoltrata. Nell’Officium del 1555 (Officia propria SactorumGavini, Proti et IanuariiiMartyrumTurritanorusecc.
XV-XX, a cura di G. Zichi - M. Pischedda, Sassari 2000, pp. 24-26) sono
ricordate «In inventione corporum sactorum Gavini, Prothi et Ianuarii Martyrum, festa che da antica data
veniva celebrata nella seconda domenica dopo pasqua (…); l’Officio con le parti proprie unitamente agli
opportuni rinvii In dedicatione sactorum Gavini, Prothi, et Ianuarii martyrum, festa che da antica data
veniva celebrata ab immemorabile il 5 di maggio di ogni anno». Oltre a queste ricorrenze, appare interessante
come nel 1548 il vicario generale Pietro Paolo Suzzarello, reggitore della diocesi turritana al posto
del titolare Salvatore Aleppus, richiamava a tutti i beneficiari e clerici della diocesi di recarsi a S. Gavino
nelle ricorrenze più importanti (25 ottobre) ma anche il 4 maggio (data di dedicazione della chiesa) e
come nello stesso periodo il capitolo turritano chiedeva l’istituzione di altre due feste relative all’Inventio
e alla Traslatio corporum. Ricorrenze da celebrare in date non corrispondenti a quelle appena ricordate.
Questo avveniva, secondo Giancarlo Zichi, per offrire un maggiore sostentamento alla chiesa di S.
Gavino, dato che la chiesa, secondo quanto riporta il vicario, era in stato di semiabbandono dopo il trasferimento
della sede vescovile. In realtà - prosegue Zichi - il problema derivava essenzialmente dal fatto
che «non era stato trasmesso con precisione il giorno esatto della prima inventio, nonostante esistesse
nell’archivio della chiesa Turritana il Condaghe-racconto del rinvenimento dei ‘corpi santi’ e questa era
stata fissata convenzionalmente nella seconda domenica post Pascha» (ID. p. 25).
64
Alla voce Portotorres del Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re
di Sardegna, (voll. 31, Torino 1833-1856, a cura di G. Casalis con le voci riguardanti la Sardegna a cura di
V. Angius) è riportato come le feste per S. Gavino siano essenzialmente due: la prima ad ottobre, con
grande partecipazione di popolo, e una seconda «nella primavera, ma con minor concorso». Nella descrizione
in realtà il compilatore mischia insieme i diversi riti, soprattutto descrive con distacco ed ironia,
il rito pertinente al trasporto dei simulacri in basilica (che solitamente si effettua a maggio). A prescindere
da questi errori è interessante il dato finale «in una e in altra si celebra una fiera». Allo stesso modo, alla
voce Codrongianos, il compilatore, dopo aver riportato tutta la leggenda del condaghe di Saccargia annota
«nella domenica della SS. Trinità è la più solenne festa dei Codrongianesi, e concorronvi quattro e più
migliaja di forestieri dai dipartimenti vicini e da Sassari».
24 Franco G. R. Campus