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XXI

La mattina seguente si presentò come una promessa d’estate nella

primavera avanzata. Lungo la tranquilla strada residenziale si

affacciavano alcuni cancelli, seminascosti da alberi e piante

ornamentali potate di fresco e disposte in maniera tale da

nascondere gli edifici, garantendo così la privacy dei facoltosi

abitanti.

Il vialetto consentiva la sosta e il transito, a senso unico, dei pochi

veicoli che di solito passavano di lì. Uno dei cancelli, che dava sul

cortile di un complesso composto da basse palazzine, era aperto per

consentire al custode di trasportare all’esterno sacchi di plastica

pieni di foglie. Dal lato opposto le fronde di un filare di pini marittimi

si muovevano lente nella brezza calda, mentre il mare al di là del

parapetto luccicava ai piedi della collina.

Da uno degli edifici uscì, a passo svelto, una donna non molto

alta, sulla quarantina. La naturale eleganza nell’incedere strideva coi

movimenti nervosi dettati dalla fretta. Portava una grande borsa e in

spalla uno zainetto con una ballerina rosa dipinta sopra; su un

braccio reggeva uno spolverino e un piccolo soprabito che

all’improvviso le cadde, costringendola a fermarsi per raccattarlo. Si

voltò e disse qualcosa in direzione dell’androne buio alle sue spalle.

Dopo qualche attimo, dall’ombra emerse una bambina. Indossava

una divisa scolastica, composta da una gonnellina blu a pieghe e da

una giacca dello stesso colore sopra una camicetta bianca, abbinata

a una sottile cravatta. Aveva i capelli raccolti in due treccine, ai lati

della testa. Camminava lenta e svogliata, trascinando i piedi. La

donna sospirò contrariata e abbassò le spalle di scatto. Quindi si

rivolse ancora alla piccola, che s’impuntò rimanendo ferma.

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