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sara-al-tramonto

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La donna dai capelli grigi trasse un lungo sospiro, girandosi verso

di lei. «È fin troppo facile. Contano le parole: il labiale o i suoni che

puoi selezionare in mezzo agli altri, anche a distanza. E serve tanto

allenamento, certo. Ma importanti sono le espressioni, la postura, i

movimenti di spalle, mani, occhi. È come unire dei puntini con la

penna, più osservi, meno spazi vuoti rimangono.»

La giovane continuava a scuotere la testa:

«È una specie di superpotere, te ne rendi conto? In pratica leggi

nel pensiero!».

«No. L’atteggiamento del tizio, il modo di giustificare il figlio

attaccando la madre del nipote. È sufficiente una frase per cogliere il

quadro generale, la separazione, gli orari. Semplice. Ma anche

terribile, se ci rifletti.»

Viola teneva lo sguardo incollato al bambino, che si asciugava le

lacrime con gesti bruschi.

«È vero, dev’essere tremendo. E il tuo lavoro è stato questo, per

tutti quegli anni?»

«In sostanza sì. Però noi ci occupavamo di un certo tipo di

incontri o riunioni, puoi immaginare. Situazioni simili», e indicò i due,

«non le consideravamo. Quand’è possibile, evitiamo di farlo. Ma ora

tocca a te, ricordi il patto?»

La ragazza annuì. Adesso sembrava più distesa. L’abilità di Sara

l’aveva strappata all’ansia. «Io e Giorgio… credo che la nostra

relazione stesse per finire. C’era la gravidanza, che era importante.

Magari saremmo rimasti insieme per sempre, chissà. Ma l’amore

stava scemando. Lui aveva qualcosa per la testa. Una donna se ne

accorge: i silenzi, gli occhi fissi nel vuoto. Qualche sorriso che

scappa, inseguendo un bel ricordo.»

Io e te parliamo sempre. Anche quando stiamo zitti, quando

leggiamo un libro o guardiamo un po’ di televisione, io e te parliamo.

Allungo la mano, ti sfioro e parliamo. In silenzio. E questo non è

come in ufficio, non c’è bisogno di interpretare. È semplice. Io so che

ci sei. E viceversa.

Viola continuò:

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