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XVIII

Appena fuori dal carcere, l’ispettore Pardo fronteggiò Sara e parlò

senza preamboli:

«Un attimo, Mora. D’accordo, ho innescato io ’sto casino e adesso

devo occuparmene. Per inciso, sono anche contento di come è

andata, perché questa ragazza più la vedo, più dubbi mi vengono.

Se con gli anni ho sviluppato una paura per colpa di questo

mestieraccio, è quella di sbattere dentro un innocente. Mi è tutto

chiaro, quindi va bene».

Sara lo ascoltava, paziente. Un filo di brezza le muoveva i capelli

grigi, e Davide pensò che quella rinuncia a ogni attributo di

femminilità la rendeva inquietante. Eppure era carica di una strana,

placida energia. «E allora?»

«Se devo essere coinvolto in questo supplemento d’indagine,

come se avessero riaperto un caso che invece era chiuso, voglio

capire come stiamo procedendo. Qual è la strategia? Perché qui non

c’è nulla di ortodosso.»

Sara inclinò il capo. Sembrava stesse riflettendo su un elemento

nuovo, che non aveva considerato fino a quel momento.

«Va bene, mi pare giusto. Cosa vuole sapere?»

Davide fu colto alla sprovvista dalla rapidità della concessione. Si

era preparato un discorso più lungo.

«In primo luogo, cosa stiamo cercando? Il problema è la bambina.

Perciò dovremmo accertare se sta davvero male e indagare su chi

ce l’ha in affidamento o se ne occupa. Senza muoverci per vie

ufficiali, certo, magari seguendola, aspettandola davanti alla scuola.

Invece abbiamo incontrato il medico legale, poi di nuovo Dalinda e

non abbiamo scoperto niente che non conoscessimo già. Ora, mi

chiedo e le chiedo di nuovo: cosa stiamo cercando, in realtà?»

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