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Si passò una mano sul torace, come a ripercorrere i contorni del

corpo della piccola:

«Io l’ho avvertito con chiarezza. Stava male. L’ho detto subito a

Gianpi, e lui mi ha rassicurata. Pare che l’abbiano sottoposta anche

a un’approfondita visita pediatrica e che sia in salute. Ma io ho

percepito che non è vero. Lei è madre?».

La domanda improvvisa colpì Sara come uno schiaffo in pieno

volto. Senza nessun motivo, il pensiero andò a Viola che si

accarezzava il ventre enorme sulla panchina dei giardinetti.

Annuì, lenta:

«Lo sono stata, tanto tempo fa. Perché me lo chiedi?».

«Allora lo sa come funziona. Una le cose le sente, e basta. Non ci

possono essere dubbi.»

Non lo sento. Come se, voltandogli le spalle e chiudendo con

quella vita, abbia cancellato anche le sensazioni del mio corpo.

Come se fossi nata nel preciso momento in cui ho avvertito lo

sguardo di Massimiliano addosso, come se mai fossi esistita prima.

Non ricordo di aver fatto l’amore, non ricordo di aver partorito. Io non

lo sento, Bionda. Non lo sento più.

«Chi potrebbe volere il male della bambina, e perché?»

La ragazza, confusa, iniziò a divagare:

«Non lo so. Mio padre era malato. Ho sempre creduto che fosse

per come aveva vissuto, non era il tipo che si risparmiava. Un po’ gli

somiglio. Anch’io non mi sono negata niente. E mi va bene così».

Le ultime parole erano state pronunciate con aria di sfida,

fissando i grandi occhi neri in quelli di Sara.

Senza preavviso e senza cambiare tono, la donna chiese:

«L’hai ammazzato tu?».

Davide sobbalzò, quasi fosse esploso un petardo, e si voltò verso

la collega:

«Ma che c’entra questo?!».

Dalinda considerò la domanda come se fosse difficile dare una

risposta. Poi disse:

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