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sara-al-tramonto

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da raccontarle».

L’ispettore protestò:

«Ti assicuro che è una persona fidata! Altrimenti non sarebbe qui.

Lo so benissimo quant’è difficile per te».

Dalinda gli sputò in faccia la sua frustrazione:

«Tu non sai un cazzo, un cazzo di niente. E io ho sbagliato a

fidarmi».

Sara si alzò, veloce:

«Pardo, andiamo. Ti avevo avvisato che era inutile. Non abbiamo

tempo da perdere con le paturnie di un’assassina».

Il poliziotto rimase con la bocca spalancata. Poi si alzò a sua

volta, rosso in viso.

La Molfino sollevò una mano:

«Ehi, aspetta! Non sono paturnie, mia figlia è in pericolo, merda!».

Senza sedersi, Sara le rivolse un’occhiata gelida:

«Secondo l’ispettore è un sospetto fondato. Ma io non sono

disposta a sorbirmi il turpiloquio di una che ha ammazzato il padre.

Quindi, o mi convinci in trenta secondi a prestarti ascolto o me ne

vado da chi davvero ha bisogno di aiuto».

Davide era sconcertato. Fino a poco prima gli era sembrato di

dover quasi convincere Mora che forse aveva sbagliato, che magari

era soltanto il tentativo di una psicopatica di attirare l’attenzione su di

sé: adesso invece la donna pareva decisa a chiudere la faccenda.

Aveva raggiunto la porta, messo la mano sulla maniglia, pronta a

uscire, e fissava calma la Molfino come a concederle un’ultima

possibilità. Sempre se si fosse sbrigata.

«Che caz… Non sono una… Io non lo so più, chi sono. Ma la mia

bambina è in pericolo. Non m’importa di me o di rimanere tutta la vita

qua dentro. Però accertatevi che Bea non corra rischi. Vi prego.»

Seguì un attimo di silenzio teso. Sara sembrava incerta se

andarsene o meno. Alla fine, con lentezza, sollevò la mano dalla

maniglia e tornò a sedersi. Guardò Dalinda negli occhi e disse,

calma:

«E allora muoviamoci. Io domando, tu rispondi. Ci stai?».

La ragazza acconsentì con un cenno deciso del capo.

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