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XVII

Dalinda Molfino fu condotta nella saletta riservata da due agenti

della penitenziaria. Una era Tina, l’amica di Pardo, che gli lanciò

un’occhiata in cui si mischiavano curiosità, preoccupazione e perfino

una punta di risentimento.

Sara colse al volo e intervenne rivolgendosi all’altra guardia, una

donna più anziana dalla mascella pronunciata:

«Questo colloquio è stato richiesto fuori dalle procedure ufficiali

ed è molto, molto riservato. Sarebbe meglio se le altre detenute e le

colleghe non ne fossero informate. Grazie».

Le due si scambiarono uno sguardo d’intesa e uscirono dalla

stanza piazzandosi ai lati della porta.

Non avevano molto tempo, l’assenza della Molfino dalle attività in

corso nel carcere sarebbe stata notata presto. Nel messaggio inviato

di primo mattino, Teresa aveva specificato che disponevano di un

quarto d’ora al massimo.

Sara scrutò la giovane. Teneva gli occhi bassi e aveva i capelli

rasati quasi a zero. Alcuni caratteri orientali erano tatuati dietro

l’orecchio destro, e dal collo spuntava una testa di serpente che

allungava la lingua biforcuta verso il mento. Sia sul labbro inferiore

sia su una narice c’erano fori da piercing, e anche sulle orecchie,

dalla cartilagine ai lobi. Era ben diversa dalla donna entrata là mesi

prima, e questo a Sara fu subito chiaro.

Pardo disse:

«Dalinda, la signora vuole rivolgerti qualche domanda a proposito

del nostro ultimo incontro».

L’altra alzò lo sguardo, un’espressione dura sul viso:

«Credi che voglia parlare con una che non conosco? Io mi sono

confidata con te, accidenti. Solo con te. Chi è questa? Non ho niente

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