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sara-al-tramonto

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Lo sapeva, certo.

Era troppo abituata a desumere l’oggetto delle ricerche, la natura

del lavoro di Massimiliano, per non scorgere la zona d’ombra che le

teneva nascosta. Era come scoprire l’esistenza di un pianeta

dall’alterazione dell’orbita degli altri.

Avrebbe potuto leggere con facilità i documenti, aprire il fascicolo;

ma le piaceva credere che Giorgio fosse affidato a quel padre

invisibile, che non avrebbe mai conosciuto e che forse immaginava

coltivando i residui di un odio antico.

È un bravo ragazzo. Studia con profitto, gli piacciono le materie

scientifiche, la chimica. Intraprenderà la carriera universitaria: io ho

agito solo affinché gli fossero riconosciuti i meriti, non ho dovuto

eliminare ostacoli dal suo cammino. È sereno, equilibrato, di

carattere estroverso. Non è molto sportivo, ma sta bene in salute.

Perché ti racconto tutto questo? Perché voglio che tu sia certa che

mai, mai, possa trovarsi in pericolo. Che non stia o possa star male.

Che abbia sempre una vita soddisfacente, piena di amore e allegria.

Ecco perché.

Eppure, caro Massimiliano, lo hai preceduto di così poco. Non eri

Dio, e non hai mai giocato a farlo, ma hai commesso, senza esserlo,

l’errore di ogni genitore: convincersi che sia possibile proteggere un

essere umano da ogni problema, da ogni avversità.

Il figlio che non avevi, morto ammazzato meno di due anni dopo

che te n’eri andato tu.

L’angoscia si stemperò nel sonno inquieto. Con l’ultimo barlume di

coscienza, Sara si augurò di cadere in fondo al pozzo buio, privo di

sogni.

E invece il cadavere di Giorgio si rizzò a sedere e le chiese

dov’era mentre lui moriva.

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