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XV

Si ricordò della boccetta vuota quando ormai era impossibile

rimediare uno stimolante che la tenesse sveglia. L’insolita attività

della giornata l’aveva distratta, oltre a stancarla troppo: sarebbe

dovuta passare da Franco l’indomani.

Per un attimo valutò la possibilità di chiamarlo nonostante fosse

tardi, sperando di estorcergli la ricetta e con quella cercare una

farmacia di turno. Ma il medico era solito spegnere il cellulare e

staccare il citofono dopo una certa ora. Il mestiere del

neuropsichiatra, in assenza di limiti, rischiava di smarrire ogni

frontiera notturna.

E invece, per Sara, proprio la barriera del buio rappresentava il

confine con la paura. L’unica vera debolezza che le era rimasta,

l’unico terrore: dormire.

Amore, sei così forte. Io non ho mai conosciuto nessuno come te

e, credimi, ne ho incontrata di gente. Tu sei come l’acciaio, col tuo

sorridente silenzio, con le mani calde e ferme, col tono basso della

voce. Sei un diamante, che per qualche incredibile motivo solo io

vedo brillare. È così bello voltarsi e trovarti al mio fianco.

Non è vero, considerava Sara. Non ci credeva neanche quando

Massimiliano glielo ripeteva, ormai alla fine, nei momenti in cui la

coscienza riusciva a ricavarsi uno spazio nel dolore immenso che lo

attanagliava.

No, non sono forte. Altrimenti non mi sentirei morire come

stasera, alla sola idea di addormentarmi.

L’inizio era coinciso con il ritorno a casa, dopo la morte di lui.

Finché era rimasta in albergo, il sonno arrivava muto e ristoratore,

calandole addosso come le tenebre sulla città, trasportandola in un

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