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sara-al-tramonto

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gli accarezzava il pacco in modo assai esplicito, preludio di una notte

alla cui altezza lui sperava di dimostrarsi.

Con un’espressione rassicurante e continuando a toccarlo, Teresa

mormorò qualcosa. L’altro, con un largo sorriso che lo faceva

sembrare ancora più giovane e che non riusciva a levarsi dalla

faccia, annuì felice e scese dalla macchina. Avrebbe atteso in strada

che si accendesse la luce della finestra al secondo piano per

raggiungerla. La discrezione era d’obbligo.

Separatasi dall’accompagnatore, Teresa parcheggiò nel posto

riservato. Uscì dall’auto, chiuse lo sportello e ancheggiando allegra

si diresse verso il portone.

Sara la aspettava nell’ombra, e come al solito la Pandolfi la vide

solo all’ultimo momento.

«Accidenti a te, Mora. Mi hai spaventata, cazzo. Ma che ti piglia?

Invece di acquattarti nel buio, non potevi mandarmi un messaggio?»

La donna dai capelli grigi non mosse un muscolo. «Non ti ricordi

più quello che ci hanno insegnato? Limitare al minimo i contatti.

Perché scriverti, se so dove trovarti?»

Teresa d’istinto lanciò un’occhiata alle sue spalle:

«Ma io qua ci abito, maledizione! Si tratta di lavoro, no? Non ce

l’hai una vita?».

Sara fece una smorfia:

«No, mi hai cercata proprio per questo. E non preoccuparti, è

questione di pochi minuti. Devo incontrare la Molfino, da sola».

Teresa restò a bocca aperta:

«Perché? Il tuo compito è verificare che la bambina…».

«Senti, Bionda, se ti dico che devo incontrarla, significa che è

indispensabile. Non farmi perdere tempo, oppure liberami da questa

stronzata.»

«Ma hai parlato col poliziotto, quel…»

«Pardo, sì. Non ha capito niente, nemmeno il motivo per cui la

ragazza ha chiesto di vederlo. È anche per questo che voglio

parlarle. Hai dimenticato come funziona?»

Teresa emise un profondo sospiro. Dietro di lei, a qualche decina

di metri tra gli alberi, una figura camminava avanti e indietro,

inquieta, in attesa che una finestra si illuminasse. «Conosco il

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