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sara-al-tramonto

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«Insomma, ci sono andato. In verità ho agito un po’ fuori dai

canali ufficiali: non è stato un colloquio, non avrei potuto motivarne la

richiesta. Ha organizzato tutto Tina, questione di pochi minuti. Io

dopo l’affare di Lorusso ho una particolare sensibilità per chi è in

carcere e volevo la sicurezza di non aver arrestato un’altra aspirante

suicida.»

Sara annuì:

«E come stava la Molfino?».

Pardo allargò le braccia:

«E come doveva stare? Occhi bassi, dimagrita, voce rotta,

tremore alle mani. Una tossica in galera, disorientata e triste».

«Allora che è successo?»

Davide si mosse sulla sedia, in difficoltà:

«Tina la teneva per un braccio. Dalinda mi ha stretto la mano, mi

ha fissato in faccia e ha detto: “Bea, Bea… dovete salvarla. È in

pericolo, la ammazzeranno”».

«Ha usato proprio queste parole?»

Davide si spazientì:

«E chi cacchio se lo ricorda se erano quelle esatte? Io non sono

come lei, che sente bestemmiare uno a un chilometro di distanza. Le

ho spiegato che poteva stare tranquilla, che la bambina era con il

fratello e la cognata. Allora lei ha sospirato e ha cominciato a

piagnucolare, e Tina se l’è portata via. È finita lì».

Sara tacque, immersa nei propri pensieri, quindi tornò alla carica:

«Mi sfugge il senso del suo comportamento. Lei minimizza la

preoccupazione per le paure della Molfino; però ha contattato Luca,

il suo collega, e attirato la nostra attenzione. Forse sono io che non

la capisco, ma è una condotta poco coerente».

Pardo aprì e richiuse la bocca un paio di volte prima di

rispondere:

«Io… io non la voglio, questa responsabilità. Già una volta…

Sono un poliziotto, non uno psicanalista, e nemmeno un prete o un

giudice. Non voglio entrarci in questa storia. Ho passato

l’informazione a uno di cui mi fido, che magari può intervenire, e

adesso ne sono fuori».

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