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sara-al-tramonto

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«Che cosa sa?».

Lei si strinse nelle spalle:

«Che prima ha effettuato un arresto, e dopo le sono venuti dei

dubbi. Almeno, a quanto sembra».

«No, che sciocchezza. Non è andata affatto così. Io non ho alcun

dubbio. Ho rilasciato ben due testimonianze.»

La donna si fermò a riflettere. Quindi aggiunse:

«Ci dev’essere un errore. Se è tutto a posto, la mia presenza non

serve. Buona giornata».

E si avviò nella direzione opposta. Il poliziotto si riscosse e la

seguì:

«No, no, senta! Ehi! Si fermi, signora… come si chiama?».

La donna si bloccò voltandosi:

«Non è importante, ispettore. Faccia pace col suo cervello,

invece. E quando avrà deciso, riparli col collega».

«Di norma, io ho un ottimo rapporto col mio cervello. Mi aspetti,

mi libero di questo stron… cioè, porto il cane a casa e scendo. Un

attimo solo.»

Dopo nemmeno due minuti, era di nuovo in strada.

Sara lo studiò con maggiore attenzione. Non era brutto: forse un

po’ sovrappeso e abbastanza trasandato, ma la capigliatura

spettinata e gli occhi vivaci toglievano un po’ di anni alla durezza

dell’espressione. Con quello che aveva passato, in fondo, non se

l’era cavata troppo male.

«Senta» le disse, «nemmeno io sono sicuro dei motivi per cui mi

sono confidato con Luca a proposito di questa storia. E ignoro

perché la tizia abbia chiamato me e perché io ci sia andato. Io…»

Sara lo interruppe:

«Calma. Procediamo con ordine. Prima di raccontarmi tutto,

mettiamoci su quella panchina».

Davide sbatté le palpebre annuendo. Quando si furono seduti,

riprese:

«Dunque, della morte di Molfino suppongo che conosca quello

che c’è da sapere».

La donna fece un gesto vago con la mano:

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