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sara-al-tramonto

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stessa, che ora le sembrava strano dover riemergere e usare di

nuovo le nozioni che aveva imparato. Strano al punto da dubitare di

essere all’altezza.

Arrivò nel suo quartiere che la sera avanzava a grandi passi.

Posteggiò e salì a casa. La scelta di quel palazzo risaliva all’inizio, ai

tempi in cui Massimiliano le aveva proposto di convivere. Lei aveva

atteso, quieta, consapevole che qualsiasi decisione avesse preso

per loro due sarebbe stata giusta.

Ora che era tutto così lontano, continuava a meravigliarla

l’assenza di stupore per le scelte che aveva compiuto. Una giovane

donna lascia la famiglia, volta le spalle a ogni amicizia, affitta una

stanza ammobiliata e aspetta. Aspetta. Un sorriso, poi un altro; una

parola, due. Un espresso al bar, una pizza. Un bacio, e un bacio

ancora.

Fare l’amore. Farlo di nuovo.

Senza chiedere mai, senza programmare niente, senza

immaginare un futuro che durasse più di una settimana, di un

weekend fuori città. Attendendo, giorno dopo giorno, di occupare lo

stesso metro quadrato con lui. E basta.

Si preparò un caffè e si affacciò al balcone. Sei piani più in basso,

il traffico scorreva lento, punteggiato da guizzanti scooter maledetti

da anziani passanti. Un quartiere di vecchi, pensò. Di ricchi vecchi

terrorizzati.

La luce era strana, morbida, come quella di un acquerello.

Niente alba e niente tramonto.

Vedi, amore, questa città è talmente egocentrica che non ha

voluto né alba né tramonto. Il sole spunta dalla montagna che è già

alto, e si nasconde dall’altra parte, dietro la collina, ben prima di

diventare rosso. Ho scelto questo appartamento, oltre che per il

motivo che sai, anche perché da qua si vede alla perfezione. Se

questo posto avesse avuto aurore incantevoli e crepuscoli di fuoco,

sarebbero stati loro i protagonisti di cartoline e film, ti pare? “Guarda

che alba, guarda che tramonto” avrebbero esclamato tutti. E invece

dicono: “Guarda che città”. E mentre lo dicono, è già giorno o è già

notte.

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