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sara-al-tramonto

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Sara ricambiò con un’occhiataccia gelida e quelli rimisero il naso

nei giornali. «Immagino la tua sofferenza, e hai ragione. Ma non sei

sola, Viola. Tua madre, anche se ha il suo carattere, ti vuole bene e

ti sosterrà sempre. E ci sono anch’io.»

La giovane la fissò, sorpresa:

«Tu? Perdona la schiettezza, ma non sei un modello di

affidabilità. E ho seri dubbi che Giorgio, se fosse vivo, mi

consentirebbe di parlarti».

Amore, ti prego, lasciami sveglio ancora un po’. Non permettere

che io dorma sempre, non preoccuparti del dolore, spiegalo ai dottori

che sono capace di sopportare. Lasciami sveglio, voglio pensare a

te, a quello che siamo stati e che saremo per sempre. Io lo so che ci

sei. E ti sento, anche quando sei lontana.

«Non è importante l’opinione che hai di me. Io ci sono per te e

soprattutto voglio esserci per il bambino. Però non sono una che

impone la propria presenza, perciò mi piacerebbe che sorridessi e

non avessi paura di me. Ecco.»

La giovane rifletté su quelle parole. Poi allungò la mano:

«Ci sto. Tu mi aiuterai se te lo chiederò, e in cambio ti terrò

informata su di me e sul bambino. Però promettimi, e promettimelo

adesso: se ti servirà qualcuno per il tuo lavoro, chiamerai me.

D’accordo?».

Sara rifletté qualche istante; quindi strinse con decisione la mano

di Viola. «D’accordo. Ora però discutiamo di questo nome. Non

reggerei certe sorprese.»

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