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Un pallone le rotolò vicino ai piedi e Viola lo rimandò con un

calcetto verso il ragazzino al quale era sfuggito.

«Mi stavo chiedendo come sarà. Se prenderà più da me o da

Giorgio. E ti pensavo, perché non riesco a capire se ritrovo i tuoi

lineamenti in lui. Io le somiglianze non le riconosco. Ti

assomigliava?»

Prima di rispondere, Sara tacque per qualche istante:

«Io l’ho visto… dopo l’incidente. Non è lo stesso. Non mi pare,

comunque. Ma nemmeno io sono fisionomista».

Tacquero entrambe.

Quindi Viola mormorò:

«Che peccato. Ci siamo solo io e te, e non saremo capaci di

stabilire se il bambino avrà qualcosa del padre».

Sara non riuscì a replicare e preferì cambiare argomento:

«Hai deciso il nome? È un maschio, no?».

Viola scosse la testa:

«Mia madre me ne avrà suggeriti mille che io trovo sbagliati. La

ginecologa è abbastanza convinta che sia maschio, ma fino

all’ultimo, se non si scopre bene, non è sicuro. Mi sembra tutto così

incerto». La voce era colma di tristezza, più di quanto avrebbe

giustificato il contenuto della frase.

Sara cercò di rincuorarla. «Manca pochissimo, ormai. Devi stare

serena.»

La ragazza scattò come se l’avesse insultata:

«E come posso stare serena, secondo te? Partorirò un orfano di

padre e dovrò tirarlo su da sola, piena di dubbi perché tuo figlio, che

in pratica non hai conosciuto, ha pensato bene di farsi investire da

una macchina, di notte, mentre portava in giro il cane. Dipendo da

mia madre, una donna pessima e invadente con cui non ho mai

avuto confidenza e che si tiene stretta i soldi. Non lavorerò per

chissà quanto, proprio ora che, dopo averci provato una vita,

cominciavano a conoscermi nel circuito delle riviste. Ma secondo te

dovrei stare serena». Aveva alzato il tono della voce e due

pensionati che leggevano sulla panchina di fianco si erano girati

incuriositi.

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