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sara-al-tramonto

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V

La notte era diventata la grande nemica.

A tenerle compagnia ci sarebbe stato un altro ospite: il dubbio

sulla decisione da prendere. L’accenno di Teresa a Viola l’aveva

turbata: conosceva i meccanismi che l’unità era in grado di attivare,

l’aveva visto succedere di continuo in trent’anni, e un brivido le corse

lungo la schiena al pensiero di quanto fosse fragile il suo rapporto

con quello che rimaneva di Giorgio.

Ma doveva anche ammettere che lo stato di animazione sospesa

in cui era rimasta nei mesi dopo la morte di Massimiliano era

destinato a concludersi, prima o poi. Non era il tipo che se ne stava

fermo a guardare le lancette dell’orologio.

Molta compagnia, nella notte ostile.

C’era stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui per Sara il

giorno non era altro che un viaggio verso la notte: le ore della

tenerezza e dell’amore, il ritorno alla dimensione per la quale aveva

sacrificato tanto.

Mentre guidava verso la sua abitazione, si chiese in quale

momento le tenebre si fossero trasformate in quell’inospitale

territorio straniero che le procurava una paura così grande. La

malattia di Massimiliano non aveva tolto nulla alla loro intimità; anzi,

per paradosso, li aveva avvicinati ancora di più. Combattere insieme

a lui, sostenerlo, amarne la debolezza dopo averne adorato la forza

l’aveva persuasa, se mai ne avesse avuto bisogno, di non aver

sbagliato.

Lo vedete? Guardate con attenzione. Prende qualcosa dalla tasca

e gliela passa. Ecco, proprio qui. E ora… Lei chi è? Chi l’ha

autorizzata a entrare? Be’, dato che è qui, mi dica… Morozzi? Ma

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