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sara-al-tramonto

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Dall’appartamento sopra di loro arrivava, nel silenzio della notte,

l’eco smorzata di frasi concitate.

Davide si rivolse a Sara:

«Che dicono?».

L’involontaria ammissione di fiducia nei confronti delle facoltà

interpretative della donna, che il poliziotto stava manifestando,

sfuggì a entrambe le donne.

«L’altra persona non è inquadrata. Lei ribadisce che non vuole

farlo più, e che non avrebbe mai pensato di trovarsi in una situazione

così assurda. Credo stia per piangere.»

Come obbedendo a un ordine, Rosanna si portò una mano alla

bocca e cominciò a singhiozzare. Si notò con chiarezza che nell’altra

stringeva qualcosa, forse un flacone di vetro.

Pardo esclamò:

«Io vado su. È troppo pericoloso».

Sara gli bloccò il braccio:

«Aspetta. Non hanno ancora detto nulla di compromettente».

«Ma ti rendi conto del rischio? E se finisce come con il vecchio?»

Viola si voltò, sorpresa:

«Addirittura? Ma allora pensi che sia stata lei a…».

Sara rispose, cupa:

«No. Non lei».

Nel monitor comparve all’improvviso un uomo. Era di spalle, e

brandiva un oggetto. Rispondeva alla donna in tono pacato, perché

da fuori non si sentiva niente, ma il modo in cui serrava le dita

intorno a quello che aveva in mano fece scattare Sara:

«Adesso! Andiamo su!».

Pardo schizzò come un felino. Assestò una spallata al portone,

che si aprì con uno schianto, e salì le scale tre gradini alla volta.

Dietro di lui, con la massima velocità che era consentita loro, si

precipitarono Viola e Sara. Arrivarono sul pianerottolo alcuni attimi

dopo l’ispettore, che stava prendendo a pugni la porta. Viola notò

che aveva estratto la pistola dalla tasca, ed ebbe un tuffo al cuore.

La sua mente, senza una ragione precisa, le ricordò che la realtà era

ben diversa dai film.

«Polizia! Aprite!» urlò Davide.

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