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sara-al-tramonto

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Tu sei proprio come il nostro mestiere: vai interpretata. Uno ti

guarda distratto e ti colloca su uno scaffale dentro di sé. Così fanno

tutti, in una perenne corsa verso chissà che. Io invece mi fermo, qui

e ora, lascio perdere il resto e comincio a studiarti. E vedo l’assoluta

bellezza, amore mio. Vedo due occhi socchiusi nella luce rossa di

questo tramonto, qualche lentiggine sulla punta di un piccolo naso,

una profondità senza fine. Ti prego, tirati su i capelli, legali. Ecco,

guardati adesso: sei una meraviglia assoluta. Perché mentre ti

osservo, tu osservi me, e io sento che mi ami almeno la metà di

quanto ti amo io. E mi basta, e mi basterà finché vivo.

Non molto, per com’è andata, pensò Sara sperando che l’ironia

allentasse la morsa del dolore intatto e fresco che sentiva ancora in

petto, dal giorno in cui era morto.

Massimiliano avrebbe capito, avrebbe messo insieme i pezzi,

sarebbe arretrato di un passo e sorridendo con quella meravigliosa

fossetta sul mento avrebbe esclamato: Ma non vedi, amore? È così

chiaro.

Invece a lei non era chiaro niente. C’era qualcuno, un regista

occulto dietro l’omicidio del vecchio Molfino e dietro la progressiva

malattia di Bea. Qualcuno che si stava vendicando? Oppure era un

progetto finalizzato a mettere le mani sul denaro del finanziere? Nel

primo caso, nessuna delle persone coinvolte era esclusa dal novero

dei sospettati; nel secondo, se fosse stata vera l’ipotesi della Astolfi,

dipendeva dall’esistenza del testamento di Andrea. Era la Rimotti la

colpevole? E se era lei, perché quell’angoscia terribile al telefono?

Aveva bisogno di più dati, più informazioni.

Guardò l’orologio. Forse, prima di affrontare la notte, doveva

incontrare qualcuno. E mercanteggiare un po’.

Davide Pardo inseguiva al solito le ondivaghe decisioni di Boris

gironzolando per il quartiere. L’assenza di qualsiasi trattativa col

Bovaro del Bernese escludeva ogni scelta condivisa in merito al

tragitto, ma almeno gli consentiva di concentrarsi sugli affari propri,

mentre con destrezza tentava di evitare che il cane rovesciasse

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