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IV

La sera era più fresca in quella zona dell’hinterland lontana dal

mare. Sara ricordava fin troppo bene quando usciva dall’ufficio con

Massimiliano a orari assurdi, l’umidità che entrava nelle ossa, il

freddo che succhiava il calore dai corpi e intorpidiva le dita.

Senza una ragione precisa, passeggiando con Teresa per quella

via così familiare, accusò un leggero disagio. Si sentì come se fosse

scappata, come se avesse disertato.

L’amica le offrì una sigaretta, che rifiutò. «Cerco di tenermi in

forma. Vado a correre la mattina presto. Provo a mangiare cibi

decenti. Mi aiuta a passare il tempo.»

«Beata te. Se ci fosse un campionato di esaurimento nervoso, io

vincerei la medaglia d’oro ogni anno.»

Percorsero un centinaio di metri in silenzio. Sara percepì

l’imbarazzo dell’altra e decise di aiutarla:

«Bionda, perché mi hai cercata? Capisco che ora il protocollo lo

consente, ma…».

La Pandolfi tirò un’ultima boccata e spense la sigaretta sotto il

tacco. Alla luce dei lampioni sembrava più vecchia. «Senti, Mora,

io… Quello che devo… che voglio dirti, non c’entra con… Cioè, il

lavoro c’entra, c’entra sempre. Ma è in via ufficiosa, mettiamola

così.»

«Cioè, è una questione personale? Riguarda te?»

Teresa scosse il capo con vigore:

«No. Ne abbiamo parlato: sei una leggenda in ufficio, e non solo.

È un terribile spreco che te ne stai con le mani in mano. Siamo tutti

d’accordo. E da quando il Capo…».

«Tere’, ne abbiamo già discusso, mi pare. Io ho chiuso, tu stessa

mi hai spiegato come funziona adesso, no? Non riuscirei nemmeno

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