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XLVIII

C’era tramonto e tramonto, ai giardinetti.

C’era quello dei pensionati, impegnati nella perenne partita a

bocce condita da saltuarie imprecazioni che attiravano la

disapprovazione di austere lettrici dai capelli tinti; e c’era quello dei

bambini sudati che si disputavano i giochi di legno e plastica. C’era

quello dei gruppi di ragazzi che cominciavano a radunarsi ai margini,

in attesa di avere campo libero per rollarsi una canna, e c’era anche

quello di uno strano terzetto riunito su una panchina attorno a un

computer portatile aperto sulle gambe di una giovane donna,

nell’angusto spazio che il ventre enorme gli consentiva di occupare.

Davanti a loro, a scoraggiare l’eventuale curiosità dei passanti

riguardo alle immagini che scorrevano sullo schermo del pc e che i

tre seguivano attenti, se ne stava un Bovaro del Bernese di sessanta

chili in fremente attesa di trascinare in giro il proprietario a folle

velocità.

In quel momento, però, l’uomo era impegnato a esternare le

proprie perplessità:

«Cioè, giusto per capire: ogni volta che questa tizia riceverà una

telefonata, ci chiamerai con quel tono cospiratorio, e dovremo

correre a rotta di collo?».

Viola indicò lo schermo:

«Ma sei scemo? Non vedi che è scoppiata a piangere dopo un

paio di minuti di conversazione?».

«Perché è depressa, si mette a bere e a fumare appena torna a

casa, senza neanche infilarsi un paio di pantofole! Sei una novellina,

è inutile: almeno cercami quando si spoglia… Con un fisico così,

quello dev’essere un vero spettacolo per cui vale la pena…»

Sara lo interruppe:

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