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sara-al-tramonto

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Il dottore conosceva Sara da trent’anni, e non l’aveva mai vista

così partecipe. Certo non nei giorni della morte di Massimiliano,

quando si era chiusa in un mutismo che gli aveva fatto pensare al

peggio.

«Parla» le disse alla fine.

«Può succedere che uno col fegato ridotto come nel referto

autoptico che ti ho mostrato non si renda conto di essere malato?

Che lo ignori, e che lo ignori anche chi vive con lui?»

Peluso rifletté:

«Risulterebbe subito evidente da qualsiasi analisi del sangue o

dell’urina, ci sarebbero segnali e…».

Sara lo interruppe, impaziente:

«Questo è ovvio. Ma se uno non si sottoponesse ad analisi? Quali

sarebbero i sintomi di un fegato in quelle condizioni?».

Il dottore allargò le braccia:

«Be’, ci sarebbero delle momentanee aritmie cardiache, una

febbre saltuaria. Un senso diffuso di stanchezza, sonnolenza.

Inappetenza, astenia. Forse un po’ di ittero, ma anche no. Senza

accertamenti è difficile, poi è chiaro che quando la situazione

precipita…».

«Quanto tempo avrebbe avuto messo così, prima della fine?»

«Forse pochi giorni.»

Nella stanza calò un silenzio lugubre. Lo interruppe Davide, che

mormorò:

«Però non aveva sintomi clamorosi, insomma. Soprattutto per un

uomo anziano, no?».

Viola intervenne:

«Ma qualcuno esperto che stesse accanto a un malato di quel

tipo, per esempio l’occhio allenato di un operatore sanitario, non se

ne accorgerebbe, dottore?».

Peluso la fissò:

«Può essere, signora. Può essere, ma non è certo. Considerando

lo stato generale di aggravamento, una persona coinvolta dal punto

di vista affettivo insisterebbe perché fossero eseguiti degli

accertamenti specifici sul malato, almeno gli esami del sangue».

Di nuovo il silenzio calò nella stanza.

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