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sara-al-tramonto

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XLV

Dopo aver spento i cellulari e parcheggiato la macchina in una via

secondaria, Sara cominciò a camminare a passo svelto, seguita da

Pardo e Viola. Dieci minuti più tardi, l’ispettore e la ragazza avevano

perso il senso dell’orientamento e non sarebbero più stati in grado di

tornare indietro e ritrovare la vettura.

Davide chiese:

«Ma si può sapere dove siamo diretti, o almeno dove siamo? Non

capisco nemmeno che città è, questa».

Sara non rispose, continuando a imboccare vicoli e a sbucare in

anonime piazzette, fino a quando non si fermò all’improvviso e indicò

un portone. «Ecco, siamo arrivati. Allora, Viola, io sono tua madre e

lui è il tuo compagno. Siamo qui per una visita di controllo. È

chiaro?»

Pardo esplose:

«Devo di nuovo fare io il compagno di questa psicopatica? E

passare come un vigliacco stupratore di bambine?».

Anche Viola protestò:

«Ma non lo vedi che è un vecchio? Non è plausibile che una

come me abbia un figlio da uno come lui. E poi, se stessimo

insieme, pensi che lo farei uscire conciato così, con questa

giacca?».

Davide fissò l’indumento, un principe di Galles grigio che

sfoggiava con fierezza:

«Questa giacca probabilmente costa quanto la tua dannata

macchina fotografica!».

Sara li interruppe con decisione:

«Basta col cabaret, per favore. Vi ho spiegato chi dovete essere,

adesso recitate al meglio la parte, altrimenti vi mollo qui e continuo

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