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sara-al-tramonto

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Molfino o la sua consapevolezza di essere destinato a morire presto.

E su questo, niente».

Viola intervenne:

«E… le cose tue? L’interpretazione dei movimenti… Il volto, le

mani. Che impressione hai avuto?».

Sara spostò lo sguardo sulla strada che sfilava dai finestrini. I

quartieri residenziali andavano cedendo il passo ai sobborghi

popolari, ma il traffico restava molto intenso. «È sincera, non ho

dubbi. E non è nemmeno reticente, per lei il padre era davvero meno

di un estraneo. Può averlo ammazzato sul serio, magari in un

accesso d’ira e sotto l’effetto di qualche sostanza. Ma non è questo il

punto. Il punto è Bea. Le vuole bene, però non deve essere stata

una madre presente, al di là delle droghe. Pensava a sé, insomma.

Certo, io non sono proprio nella posizione per stigmatizzare…»

Pardo fece un’espressione perplessa:

«Tu? Che c’entri tu?».

Viola glissò:

«Appunto, tu non c’entri. C’entra la bambina. E se la madre non

era molto presente…».

«Sì. Bea passava il tempo con una serie di persone, in primis il

nonno. Ma anche altri.»

Ci fu una pausa, poi Sara si rivolse a Davide:

«Svolta alla prossima a destra, vai fino in fondo e fermati».

Il poliziotto borbottò:

«Ordini. Sempre ordini. Uno schiavo sono diventato. Vai di qua,

corri di là, appenditi al davanzale. Che palle. Ma poi, dove stiamo

andando?».

Sara rispose:

«Andiamo a chiedere una consulenza a un vecchio amico.

Spegnete i cellulari. Dopo, ispettore, telefoneremo alla Astolfi, la

segretaria del defunto e per nulla compianto Andrea Molfino. Deve

fornirci qualche notizia confidenziale».

Davide sogghignò:

«Quella specie di rettile non aprirà bocca senza che Gianpiero

l’abbia prima autorizzata. Impossibile».

Sara ricambiò il ghigno:

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