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sara-al-tramonto

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La ragazza sbatté le palpebre, sorpresa:

«Chi? Ah, sì, quella bagascia da quattro soldi con cui giocava al

paziente e alla dottoressa. Ma non era una delle sue zoccole? La

incrociavo per caso, quando rientravo presto la sera, però non ci ho

mai parlato. Perché?».

«Assisteva tuo padre, pare per un problema alla schiena.

Passavano molto tempo insieme e…»

Dalinda scoppiò a ridere. Aveva una bella risata, improvvisa,

piena, coinvolgente. «Ma no, guarda che lui le sue puttane le

accoglieva in casa anche quando mia madre stava morendo nel letto

al piano di sopra. Non ha mai mantenuto la minima decenza con noi.

All’esterno si mostrava duro e puro, in famiglia veniva fuori alla

grande per lo schifoso che era.»

Sara era alle strette: il tempo era finito, e non era venuta a capo di

niente. «Quindi nella vita di tuo padre, prima della sua morte, non

c’era niente di nuovo, di particolare? Qualcuno che poteva aver

interesse a mettere le mani sul suo patrimonio, per esempio?»

La guardia entrò, avvicinandosi al tavolo.

Dalinda si alzò e rispose:

«Non conosco nessuno che non avrebbe messo con piacere le

mani sui suoi soldi, ma lui non mollava mai di un centimetro. Quel

poveretto di mio fratello ha dovuto subire ogni tipo di umiliazione.

Tanto è una spugna, assorbe tutto senza problemi». Mentre stava

per uscire si bloccò. «Qualcosa dell’ultima bagascia travestita da

infermiera me l’ha riferita Bea.»

La donna in divisa manifestò insofferenza, ma Sara si alzò a sua

volta e la fermò con un gesto:

«Un momento, per favore. Che ti ha detto Bea?».

La giovane corrugò la fronte, sforzandosi di riportare un ricordo

alla mente. Poi fece una smorfia di incertezza e disinteresse:

«Mah, poca roba. Che era gentile, che le raccontava qualche

favola prima di metterla a letto. Che le preparava la merenda, e se

ne stava con lei finché non aveva finito. Le piaceva, credo».

La sorvegliante sbuffò e prese la ragazza per un braccio.

Sara chiese ancora:

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