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sara-al-tramonto

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che nessuno di noi, e ci abbiamo provato, ah se ci abbiamo provato,

potesse liberarsi di lui».

«E come ci riusciva?»

Dalinda rise, amara:

«A uno coi soldi, con tantissimi soldi, ogni cosa è permessa.

Aveva amicizie, relazioni alla luce del sole e legami nell’ombra. Di

noi scopriva le mosse in anticipo, e prendeva le contromisure. Ti

proponevi per un impiego? Ti rispondevano che non c’erano posti.

Tentavi di aprire un’attività? I locali non si affittavano più, o erano

appena stati ceduti. Robe così, insomma. Alla fine ci siamo arresi,

mio fratello è entrato in azienda e io ho detto: “Non vuoi che sia

indipendente? E allora mantienimi, merda che non sei altro”».

«Quali erano i vostri rapporti? D’accordo, cercavi di evitarlo,

ma…»

«Ma ci vivevo insieme… Be’, il palazzo è molto grande. E avevo

l’occasione di sbattergli in faccia i miei eccessi. Sì, distruggevo

anche me e non davo alla bambina il buon esempio. Però questo lo

comprendi soltanto dopo, quando sei rinchiusa in un posto così; mai

sul momento.»

Sara guardò l’orologio. Mancava un quarto d’ora alla fine del

colloquio. Bisognava arrivare al punto. «Eri a conoscenza della

malattia di tuo padre? Dall’autopsia risulta che…»

«Ho letto il referto. Non sono rimasta molto sorpresa, per la verità.

Da giovane fumava, beveva, e si concedeva tutti i piaceri possibili.

Mia madre è morta sotto il peso della vergogna che lui le rovesciava

addosso. Da vecchio si era calmato parecchio, e me lo rinfacciava

ogni volta che ci vedevamo. Ma che fosse così malato, che stesse

addirittura morendo, non lo immaginavo. Altrimenti, chissà, magari

l’inconscio mi avrebbe fermata e non l’avrei ammazzato.»

Sara registrò che l’espressione del volto, la postura delle spalle e i

movimenti delle mani esprimevano assoluta sincerità, ma anche

apatia e disinteresse. Era solo che non le fregava nulla del padre.

Neppure della sua morte. Non poté evitare di provare un senso di

enorme tristezza: Dalinda si era convinta di averlo ucciso.

«Ascolta, quest’infermiera che assisteva tuo padre, Rosanna

Rimotti… Com’era?»

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