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XXXIX

Quando si fu ripreso, con il viso ancora alterato da una delicata

sfumatura di rosso, Pardo la rimproverò:

«Ma ti rendi conto del rischio? Chi ti ha autorizzata a entrare in

contatto diretto con quella? Come ti sei permessa, senza

consultarci?».

Sara gli mise una mano sul braccio:

«Aspetta. Lasciala parlare».

Viola non pareva per nulla intimidita dalla reazione di Davide.

«Ispettore, le ricordo che sono una fotoreporter professionista e

sono in grado di condurre un’inchiesta. Mi sono limitata a procedere

come sempre, con il massimo della prudenza e della discrezione. Se

poi si creano le opportunità…»

Davide sbottò, facendo alzare in volo tre piccioni e causando il

brusco risveglio di un pensionato che si era assopito sulla panchina

di fianco:

«Un’inchiesta non è un’indagine, cacchiarola! Ma siamo

impazziti?». Si voltò verso Sara: «E la colpa è tua! Era chiaro che

non bisognava affidare un compito così delicato a una ragazzina,

che non è nemmeno una dei nostri! Adesso che la pista è

compromessa, voglio proprio vedere come…».

«Ti ripeto: lasciala parlare. Altrimenti grazie, ma credo che

possiamo salutarci qui.»

La frase, pronunciata a voce bassissima, quasi come un sussurro,

ebbe l’effetto di raggelare Pardo che restò a fissare la donna anche

quando Viola riprese:

«Dunque, ho cominciato a lavorarci ieri sera al computer. Prima

ho consultato le varie mappe in tre dimensioni per studiare il posto e

il palazzo. Poi mi sono dedicata alla Rimotti, che offre servizi

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