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III

“Caffè” significava “pizza”. Era un messaggio in codice, una vecchia

accortezza che non serviva più.

Mentre camminava verso casa per prendere l’auto, Sara rifletté su

come certe abitudini fossero dure a morire. Una moglie che

organizza un piano per mollare il marito in difficoltà e sottrargli dei

soldi rivela le proprie intenzioni, su una panchina dei giardinetti, a

una confidente occasionale che a sua volta ammette con candore di

scoparsi il consorte della datrice di lavoro; il tutto a una trentina di

metri da una ragazza sul punto di partorire che, nel giro di dieci

minuti, apprende dalla madre del compagno defunto più di quanto il

figlio stesso abbia mai saputo di lei. Nel frattempo un’antica amicizia

necessita di un misterioso scambio di parole d’ordine per rinnovare il

rito di un appuntamento.

Il viaggio non era lungo. Qualche chilometro di strada urbana

trafficata, un’arteria secondaria a scorrimento veloce, alcuni

cavalcavia, un paio di traverse, un posteggio. Era da molto che non

si recava da quelle parti, ma nulla era cambiato. Ebbe l’impressione

che l’insieme fosse soltanto un po’ più sporco e decadente. Pensò

che forse era colpa della dolcezza dei ricordi, di cui ben conosceva

l’ingannevole potere di abbellire la realtà.

Percorse a piedi una via ampia, alcuni negozi erano ancora

aperti. E approdò a una piazzetta con al centro sparute aiuole, più

misere dei giardinetti in cui era stata nel pomeriggio, che tuttavia

sfoggiava il pomposo nome di VILLA COMUNALE inciso su una targa di

marmo all’ingresso. Dall’altro lato c’era una pizzeria piuttosto

rinomata, come certificato dalla sua sopravvivenza negli anni, e una

dozzina di persone che aspettava di entrare. Quando si accorse di

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